I Mattone su mattone la città di Dio

Transcripción

I Mattone su mattone la città di Dio
I
NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE
REDAZIONE: LOPPIANO . 50064 INCISA VALDARNO IFI) . ANNO VII N. 1
.
GENNAIO·FEBBRAIO 1984 . BIMESTRALE
SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV 170%)
Mattone su mattone
la città di Dio
e in una città s'appiccasse il
fuoco in svariati punti, an­
che un focherello modesto,
ma che resistesse a tutti gli urti, in
poco tempo la città rimarrebbe in­
cendiata.
Se in una città, nei punti più dis�
parati, s'accendesse il fuoco che
Gesù ha portato sulla terra e questo fuoco resistesse per la buona
volontà degli abitanti al gelo del
mondo, avremmo fra non molto
accesa la città d'amor di Dio.
Il fuoco che Gesù ha portato sulla
terra è Lui stesso, è carità: quel­
l'amore che non solo lega l'anima
a Dio, ma le anime fra loro.
Infatti un fuoco soprannaturale
acceso significa il continuo trion­
fo di Dio in anime a Lui donate, e
perché unite a Lui, unite fra loro.
Due o più anime fuse nel nome di Cristo, che non
solo non hanno timore o vergogna di dichiararsi
reciprocamente ed esplicitamente il loro desiderio
d'amor di Dio, ma che fanno dell'unità fra loro in
Cristo il loro Ideale, sono una potenza divina nel
mondo.
Ogni piccola cellula, accesa da Dio in qualsiasi
punto della terra, dilagherà poi necessariamente e
la Provvidenza distribuirà queste fiamme, queste
anime-fiamma, dove crederà, affinché il mondo
sia in più luoghi ristorato al calore dell'amor di Dio
e risperi.
Ma c'è un segreto, perché quella cellula infuocata
s'allarghi a diventare tessuto e vivifichi le parti del
mistico Corpo: è che coloro che la compongono
si gettino all'avventura cristiana, che significa far
d'ogni ostacolo una pedana di lancio, non "sop­
portare" la croce, qualsiasi volto essa abbia, ma
S
attenderla ed abbracciarla minuto per minuto co­
me fanno i santi.
E, detto di sì al Signore, l'anima deve vivere con
pienezza il momento che segue, non pensando a
sé, al suo partire, ma a quello degli altri, o alle
gioie degli altri che deve condividere, o ai pesi
degli altri che deve portare con essi, o all'adem­
pimento dei propri doveri sui quali, per volontà di
Dio, onde siano elevati a continua preghiera, va
riversata l'attenzione di tutta la mente, l'affetto di
tutto il cuore, tutta la vigoria della propria forza.
� questo il piccolo segreto col quale si costruisce,
mattone su mattone, la città di Dio in noi e fra noi.
E ci inserisce, già dalla terra, nella divina volontà
che è Dio, eterno presente.
Chiara Lubich
(da "f'Attrattiva del tempo moderno")
nella città
Due poesie di Tony
Venticinque anni
di giornate intense
La croce
� come una goccia costante
che vuole incidere la roccia
e ripete fermamente:
"Fammi spazio, lasciami entrare".
La morte di Tony Daga, uno dei cinquecento
abitanti di Loppiano
� se io dico SI
senza se e senza ma
mi ritrovo veramente
ad amare quella goccia
ad attender solamente
il momento della sua caduta.
� strano,
perché umanamente sarebbe insolito,
ma è proprio accorgerti
che più il dolore penetra
tanto più l'amore, l'Amore aumenta. ..
E tu vivi... VIVI.
� la goccia del Cielo
elemosina del Suo infinito Amore.
Tony in alcuni momenti della sua vi­
ta. Qui sopra assieme al fratello Fran­
cesco; a sinistra, Tony suona la chi­
tarra; a destra in alto, assieme ad al­
cuni amici durante le vacanze estive
1983.
'è spento in silenzio, in pochi minu­
ti, tra le braccia di chi più ne aveva
condiviso le gioie e i dolori in que­
sto primo anno trascorso a Loppiano.
Un'emorragia cerebrale l'ha fulminato il
18 dicembre scorso.
Tony Daga, genovese, aveva venticinque
anni. Una storia breve ed intensa. Sin dal
'66 s'era impegnato nel Movimento dei
focolari: "Voglio andar dietro a Gesù", so­
leva dire. In questo suo "andar dietro a
Gesù" ebbe una quantità di compiti, im­
pegni, attività: suonava in un complessi­
no musicale dei gen, ebbe la responsabi­
lità di alcuni gruppi di giovani del Movi­
mento; ma soprattutto si sentiva investito
dall'improrogabile dovere di trafficare in­
stancabilmente le sue capacità al servizio
di Dio e del prossimo.
S
2
Umiltà
Umiltà,
ti accorgi di che cos'è
quando devi accettarla
e non riesci a superarla.
Umiltà,
che è fedeltà
alla cosa più insulsa
che stai facendo ...
come se fosse l'ultima,
proprio perché è l'ultima.
Umiltà,
è tagliare sul vivo,
accettare il non essere,
è restare al gioco.
Umiltà,
rimanere quando vorresti andare;
fallire quando vorresti vincere;
annullarti quando vorresti emergere.
Umiltà,
è quel filo d'oro che dà vita
alla vita presente,
alla vita futura...
anche se non vedi,
se non senti
bambino sulla via
della Speranza,
attendi.
La personalità di Tony era molto forte, la
sua intelligenza viva. Non era tipo da
"piegarsi" con facilità. Era cosciente di
ciò, ma cercava di vincere la propria ri­
trosia, per andare verso il fratello con tut­
ta la disponibilità di cui era capace. E co­
sì conquistò l'affetto di tanti e tanti.
Studiava "Lingue straniere", ma non s'era
ancora laureato. L'esperienza che ripor­
tiamo più avanti è avvenuta proprio du­
rante un periodo di studio di tedesco in
Germania, dove s'era recato per poter
completare la tesi.
Fino all'ultimo ha lavorato e studiato: an­
cora prima di morire aveva sostenuto un
esame alla Scuola che frequentava a
Loppiano, e poi aveva sistemato le sche­
de degli ultimi ospiti arrivati.
Quella lunga fila
La processione nata spontanea al ri­
chiamo d'una morte svela i giorni tra­
scorsi di chi giace con gli occhi chiusi sul
tavolo di morte.
Per Tony s'è mossa una città: i professo­
ri, il cuoco, il pasticcere, i bambini, cop­
pie anziane e coppie giovani, l'ortolano, il
carrozziere, il meccanico, la sarta, la ce­
ramista, il falegname, il fabbro. Una lun­
ga fila di uomini e donne per salutare un
giovane di venticinque anni che nella vi­
ta, si potrebbe forse dire, poco aveva
combinato: non s'era ancora laureato,
non aveva ancora lavorato per una car­
riera o per dei soldi, non aveva messo su
famiglia, non aveva scritto libri o sfonda­
to con le sue canzoni.
Vuoi dire che tutta questa gente s'è sco­
modata per un altro motivo. Lo stesso
che, poco dopo la sua partenza, ha pro­
vocato una telefonata: una vecchietta,
ignara della sua morte, voleva semplice­
mente salutarlo. Tony le aveva voluto be­
ne. Un giorno qualsiasi; lei, una persona
"insignificante" qualsiasi.
A dire il vero, nel vocabolario di Tony la
parola "insignificante" probabilmente
non esisteva. Chiunque incrociava i suoi
passi non lo era per lui; mai, nemmeno al
telefono, Tony era all'ascolto di perso-
naggi per lui "insignificanti".
Di persone d'ogni tipo, età, abbigliamen­
to e colore, Tony era "esperto". A Lop­
piano, infatti, lavorava nell'ufficio di rece­
zione. Tanti lettori sicuramente lo rico­
nosceranno da queste foto: forse proprio
lui li avrà accolti col suo sorriso franco e
sereno, avvolto nel suo inseparabile im­
permeabile beige a larghe falde, appena
arrivati a Loppiano.
A dir il vero, i giorni di Tony sin da giova­
nissimo erano occupati' dalla primaria
occupazione di capire l'uomo, di cercare
l'uomo. La sua più vera "professione" era
proprio questa. S'era allora ritrovato a
consolare cuori, a rincorrere aspiranti
suicidi, ad ascoltare vecchiette, a giocare
con bambini, ad "assorbtre" drammi ed
angosce, a darsi da fare per trovare lavo­
ro ad un disocuppato, o un ricovero in
ospedale per un malato.
Perché? La risposta più vera la si ritrova
nei suoi scritti più "segreti", trovati accan­
to al suo lettino: un amore sofferto e
sconfinato per colui che aveva dato un
senso ai suoi giorni, Gesù sulla croce,
Gesù rifiutato dal mondo che grida al
Padre l'Abbandono.
Questo il segreto del sorriso di Tony.
Nient'altro.
La lunga fila continua a snodarsi nel cor­
ridoio che porta al lettino bianco.
Sul volto d'un amico sorriso e lacrime.
Tony sarebbe stato contento d'essere
accompagnato così al termine delle sue
ore su questa terra.
Per l'amico in lacrime, per tutti, Tony era
sempre Tony; Tony era ancora Tony, più
di prima.
AI castello
Trascrizione di un intervento di Tonv Daga alla Mariapoli di Biella,
il5 agosto 1982
to terminando all'università il corso
di laurea in Lingue straniere; devo
trovare una possibilità per andare
in Germania a studiare. M'arriva l'occa­
sione di recarmi in un castello-collegio,
uno dei più ricchi della Germania, dove
soltanto l'aristocrazia e le famiglie molto
abbienti possono accedere. Vado verso
un'incognita e ho un po' di paura, ma
sento una risposta: "lo posso ancora
amare". Arrivo: piove, fa un freddo cane.
Il vento gelido e il cielo nuvoloso mi fan­
no venire la voglia di tornarmene a casa:
rimango. Sento che questi passi accre­
scono il mio rapporto con Gesù.
I ragazzi e le ragazze, che vanno dai tre­
dici ai diciotto anni, sono immersi nella
ricchezza più smodata: hanno tutto.
I casi di droga e di alcolismo non si con­
tano, la libertà sessuale e il vuoto morale
toccano i loro apici opposti.
Anche da parte dei professori ed assi­
stenti vi è tanta rilassatezza di fondo. Die-
S
Il castello di Salern.
5
AI castello
tra tutto questo scopro famiglie distrutte,
ragazzi abbandonati, genitori che magari
mandano denaro o regali da tutte le parti
del mondo, ma che non si vedono mai al
castello. E, soprattutto, un'infinita solitu­
dine, certo celata da cento, mille modi di
fare differenti, ma solitudine. E ancor di
più solitudine da Dio. Sento ancor più
impellente dentro di me l'esigenza di
amare.
Faccio l'assistente di quaranta ragazzi.
Voglio creare un rapporto di amicizia:
fermarmi davanti alla televisione è una
sorpresa per loro, perché nessun assi­
stente lo fa. Voglio amare tutti. E allora
parlo, scherzo, rido, soprattutto con quel­
'
li che mi sembrano i più soli, i più emar­
ginati. Sono stupiti da questo modo di
comportarmi, ma io sento che è Gesù
che mi spinge a farlo.
Scorgo tra di loro anche tante divisioni:
come fare? Con un enorme pacco di
spaghetti risolvo la situazione, invitandoli
tutti a cena da me. Dopo un po' è un gio­
co per tutti cercare i piatti e le posate
mancanti, oppure lavare le pentole: per
quaranta p ersone. Andandosene, tanti mi
dicono: "E stata la più bella serata della
mia vita. E la cosa più nuova era quel
particolare unisono che c'era tra di noi".
L'azione discoteca è un successo totale:
senza ferire nessuno, riusciamo a render­
la più accessibile a tutti, più luogo di ri­
trovo di amici che angolo di caccia per
esperienze sentimentali o di droga. I ra­
gazzi sono felici.
Nel nostro ospedale, durante l'inverno,
sono ricoverati parecchi ragazzi. Decido
di andarli a trovare con dei piccoli regali.
Dalla gioia che scorgo nei loro volti, mi
accorgo di che grande esigenza abbiano
di un rapporto vero.
Frau Monika è l'incaricata delle pulizie. t:
trattata con superiorità; se manca qual­
cosa dalle camere, la colpa è immanca­
bilmente sua. Lei mi saluta rispettosa­
mente. A me non basta risponderle con
un cenno o un sorriso. Una mattina pre­
paro del caffè con dei dolci e la invito;
non vuole entrare. Poi viene, beve, rin­
grazia e se ne va. Faccio così per altre
mattine; finché un giorno, scoppiando in
lacrime, mi dice: "Mio marito mi ha sem­
pre picchiata, i miei figli mi danno solo
dispiaceri, mi umilio tutti i giorni a lavare
gabinetti. Quando bevvi qui il caffé per la
prima volta, avevo deciso che a sera l'a­
vrei fatta finita. Ma da allora qualcosa mi
ha sempre trattenuta". Cresce il rapporto:
decidiamo insieme di vivere la Parola di
vita, e poi ci raccontiamo com'è andata. E
cresce il rapporto con i figli, i parenti.
Torna la pace.
Prima di partire, salutandola, le dico:
"Frau Monika, sono stati belli questi mesi
passati assieme, vero? Pieni di gioia, di
dolori; ma quello che rimane è l'amore, la
riscoperta che insieme abbiamo fatto che
Dio ci vuole bene, anche nelle situazioni
più dolorose". Le lacrime che adesso co­
lano dai suoi occhi sono lacrime di gioia.
Una domenica Johannes è da solo. Parla
poco anche durante le mie ripetizioni di
francese. Prepariamo il caffé, e poi, per la
prima volta, mi racconta di essere stato
abbandonato dai genitori dopo la nasci­
ta. Ora vive con i nonni, ad un isolato di
distanza dalla casa della mamma che sta
con un altro uomo; il dolore è grandissi­
mo per lui e per me. Lo ascolto fino in
fondo, anche se non ho una risposta: alla
6
fine è più sereno, mi sorride, mi" ringrazia.
So che ama tantissimo la pallanuoto: io
ho le chiavi della piscina. "Andiamo a
giocare?!!,
Robert non sorride più da quando i geni­
tori sono morti in un incidente stradale.
So del suo prossimo compleanno, e gli
regalo un grosso quaderno con sopra
disegnato un grande sole.
Gli scrivo: "Sii felice_perché il sole più
grande è sempre con te, perché è dentro
di te". Un sorriso smagliante è la sua ri­
sposta. E anche lui, per la prima volta,
racconta a qualcuno i suoi dolori e le sue'
speranze.
Michael, che già non vede suo padre da
parecchi anni, sta per essere abbandona­
to dalla madre. So che lei arriverà per il
ballo degli studenti di Pasqua, ma non so
proprio cosa fare. Allora prego Gesù che
mi mandi lui uri'idea. Eccola. La madre
arriverà e senz'altro dovrà cambiarsi per
il ballo, e non saprà dove farlo: "Ecco le
chiavi del mio appartamento. Poi mangi
qualcosa, è già pronto del thè con dei
dolci". E me ne vado. La rivedo più tardi,
e so che ha parlato col figlio: mi ferma e
mi dice: "Ho capito. Ho capito soltanto
adesso che devo amare il mio ragazzo.
L'ho compreso da come Michael le vuole
bene, dopo così poco tempo, e da come
lei ne vuole a lui".
Una sera, tornando tardi dopo una ri­
unione, non mi accorgo dell'assenza di
uno dei quaranta. Il giorno dopo Karl­
Heinz mi dice: " Peter è andato a casa.
Suo padre si è sparato d opo aver fatto
bancarotta". Anche qui il dolore è gran­
de. Non so cosa fare: abita troppo lonta­
no per raggiungerlo, ma non posso non
fare niente. Dopo una lunga ricerca, ri­
esco a trovare il suo indirizzo, e soprat­
tutto il suo numero di telefono per inviar­
gli un telegramma. Il giorno dopo squilla
il telefono. t: lui: " Nessuno fino adesso mi
aveva amato cosi tanto". Tornato, cresce
un'amicizia grande. Gli parlo di me, della
mia vita: anche lui vuole vivere così. So
che ama moltissimo fare il fuori-strada
con la macchina. Suo padre lo portava
sempre. Allora prendo la mia macchina ho un po' di paura - e andiamo a fare il
fuoristrada per i prati e i boschi della zo­
na.
Non mi interessa il pericolo. La gioia che
traspare dai suoi occhi è molto più im­
portante.
Sono verso la fine del mio soggiorno in
Germania. Vedo vere le parole di Gesù
" Date e vi sarà' dato". La mia camera è
ricca di cose prestate o regalate dall'a­
more che è tornato. Ho due televisori, di
cui uno a colori, piante, libri, giornali, po­
ster, piatti, posate ... Poi i ragazzi hanno
scoperto che suono la chitarra, e per un
certo periodo ne ho avute "soltanto" cin­
que, da suonare, bellissime: peccato non
aver avuto dieci mani!
Il giorno della partenza si avvicina: deci­
do di comprare piccoli regali per i qua­
ranta ragazzi e per gli assistenti.
Per trattenermi, mi viene proposto anche
il posto di lavoro fisso, ma so che la vo­
lontà di Dio per me è un'altra. In sala da
pranzo, in trecento tra professori, alunni
e assistenti, inaspettatamente mi ringra­
ziano con lunghi applausi: ma dentro so­
no io che ringrazio Gesù, perchè è Lui
che veramente ha toccato i cuori.
Sono sul treno, ripenso ai mesi passati al
castello e mi invade un grandissimo sen­
so di gratitudine verso Gesù: "Grazie,
grazie per tutto quello che hai fatto: là
lascio un pezzo del mio cuore, un cuore
che ora, tornando in I talia, vuole battere
ancora".
a cura della redazione
ALCUNI CENTRI DEL MOVIMENTO
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direttore responsabile Guglielmo Boselli Aut.
Trib. Firenze n. 2622 del 9.12.1977 c.c.p. n.
5/15188 intestato a Loppiano - Incisa Valdarno
stampato nelle tipografia Baldesi - Firenze
�
--�----
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--
I
ar a I
Marzo 1984
"Mio cibo è fare la volonta di Colui che mi ha mandato e
(Gv.4,34)
compiere la sua opera"
"Mio cibo è fare la volonta di Colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera"
Ecco una meravigliosa parola di Gesù che ogni
cristiano può, in certo modo, ripetere per se stesso e
che, se praticata, è in grado di condurlo assai lonta­
no nel Santo Viaggio della vita.
Gesù, seduto presso il pozzo di Giacobbe, in
Samaria, sta concludendo il suo colloquio con la
samaritana. I discepoli, tornati dalla vicina città, do­
ve sono andati a fare provviste, si meravigliano che
il Maestro stia parlando con una donna, ma nessuno
gli chiede perché lo faccia e, partita la samaritana,
lo sollecitano a mangiare. Gesù, intuisce i loro pen­
sieri, e spiega loro ciò che lo muove, rispondendo:
"Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete".
I discepoli non capiscono: pensano al cibo ma­
teriale e si domandano l'un l'altro se qualcuno, du­
rante la loro assenza, ne abbia portato al Maestro.
Gesù allora dice apertamente:
"Mio cibo è fare la volonta di Colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera"
Di cibo si ha bisogno ogni giorno per mante­
nersi in vita. Gesù non lo nega. E qui parla proprio
di cibo, quindi della sua naturale necessità, ma lo fa
per affermare l'esistenza e l'esigenza di un altro ci­
bo, di un cibo più importante, di cui Egli non può
fare a meno.
"Mio cibo è fare la volonta di Colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera"
"
Gesù è disceso dal Cielo per fare la volontà di
Colui che lo ha mandato e compiere la sua opera.
Non ha pensieri e progetti suoi ma quelli del Padre
suo, le parole che dice e le opere che compie sono
quelle del Padre; non fa la propria volontà ma quella
di Colui che lo ha mandato. Questa è la vita di Gesù.
Attuare ciò sazia la sua fame. Così facendo, si nutre.
La piena adesione alla volontà del Padre carat­
terizza tutta la sua vita, fino alla morte di croce, dove
porterà veramente a termine l'opera che il Padre gli
ha affidato.
4
"Mio cibo è fare la voi onta di Colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera"
Gesù considera suo cibo fare la volontà del Pa­
dre, perché, attuandola, "assimilandola", "mangian­
dola", identificandosi con essa, da essa riceve la
Vita.
E qual'è la volontà del Padre, l'opera sua, che
Gesù deve portare a compimento?
È dare all'uomo la salvezza, dargli la Vita che
non muore.
E un germe di questa Vita Gesù, poco prima,
col suo colloquio e col suo amore, l'ha comunicato
alla Samaritana. Presto infatti, i discepoli vedranno
questa Vita germogliare ed estendersi perché la
Samaritana comunicherà la ricchezza scoperta e ri­
cevuta ad altri samaritani: "Venite a vedere un
uomo .. che sia il Messia?" (Gv 4,29)
E Gesù, parlando alla Samaritana svela il piano
di Dio che è Padre: che tutti gli uomini ricevano il
dono della sua Vita. È questa l'opera che a Gesù
urge di compiere, per affidarla poi ai suoi discepoli,
alla Chiesa.
"Mio cibo è fare la volonta di Colui che mi ha
mandato e compiere la sua opera"
Possiamo vivere anche noi questa Parola così
tipica di Gesù, sì da riflettere in modo tutto partico­
lare il suo essere, la sua missione, il suo zelo?
Certamente! Occorrerà viverl3 anche noi il no­
stro essere figli del Padre per la Vita che Cristo ci ha
comunicato, e nutrire così anche noi la nostra vita
della sua volontà.
Lo possiamo fare adempiendo momento per
momento ciò che Lui vuole da noi; compiendolo in
modo perfetto, come non avessimo altro da fare. È
quanto si era proposto Papa Giovanni XXIII. Dio,
infatti, non vuole di più.
Cibiamoci allora di ciò che Dio vuole da noi
attimo dopo attimo e sperimenteremo che fare in
questo modo ci sazia: ci dà pace, gioia, felicità, ci dà
un anticipo - non è esagerato dirlo - di beatitudi­
ne.
Concorreremo con Gesù così anche noi, gior­
no per giorno, a compiere l'opera del Padre, che è la
salvezza nostra e di molti.
Chiara Lubich
I
I
18
Febbraio 1984
"Se dunque presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che
tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davan­
ti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad
(Mt. 5,23)
offrire il tuo dono"
"Se dunque presenti la tua offerta all'altare e li ti
ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,
lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il
tuo dono"
È questa una di quelle parole di Gesù che, se
bene intese, possono provocare in noi una vera rivo­
luzione e, se fossero vissute da tutte le persone del
mondo, si avrebbe la pace assicurata per sempre.
Gesù immagina che un israelita si rechi al tem­
pio per offrire a Dio il suo sacrificio. Oggi noi po­
tremmo pensare ad un fedele che va in Chiesa per
assistere alla Messa.
L'offerta del sacrificio per l'israelita del tempo di
Gesù - come, del resto, la partecipazione alla Mes­
sa per il cristiano di oggi - rappresentano il mo­
mento più importante, l'espressione più alta del suo
rapporto con Dio. Ebbene! - dice Gesù, usando un
linguaggio paradossale per sottolineare l'importan­
za davanti a Dio del pieno accordo tra fratelli - se,
mentre stai per offrire il tuo sacrificio, ti ricordi che
c'è una qualche disarmonia fra te ed il tuo prossimo,
interrompi il tuo sacrificio e vai prima a riconciliarti
con il tuo prossimo. L'offerta del sacrificio infatti e, per noi cristiani, la partecipazione alla Messa rischierebbe di essere un atto vuoto di contenuto se
si fosse in disaccordo con i nostri fratelli. Il primo
sacrificio, che Dio attende da noi, è che ci sforziamo
di essere in armonia con tutti.
"Se dunque presenti la tua offerta all'altare e li ti
ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,
lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il
tuo dono"
Con questa sua esortazione sembra che il pen­
siero di Gesù non presenti novità sostanziali rispet­
to all'Antico Testamento. I profeti infatti avevano già
anticipato questo concetto: Dio preferisce l'amore
verso il prossimo, la misericordia, la compassione
verso i deboli alle vittime offerte a Lui in olocausto
(Os 6,6). Quando i sacrifici vengono offerti da per­
sone le quali opprimono i poveri, Egli li respinge
come un abominio (Is 1,10-20). Anziché essere allo­
ra un atto di lode, diventano un insulto recato a Dio.
Ma la novità esiste e sta qui: Gesù afferma che
dobbiamo essere sempre noi a prendere l'iniziativa
perché sia costante la buona armonia, perché si
mantenga la comunione fraterna. E spinge così il
comandamento dell'amore del prossimo fino alla
sua radice più profonda. Egli non dice infatti: se ti
ricordi di avere tu offeso il fratello, ma: se ti ricordi
che il tuo fratello ha qualcosa contro di te. Per Lui il
fatto stesso di restarsene indifferenti di fronte alla
disarmonia cç>n i prossimi, anche quando di questa
disarmonia responsabili non fossimo noi, ma gli al­
tri, è già un motivo per non essere ben accetti a Dio,
per essere da Lui respinti.
Gesù vuole metterci in guardia quindi non sol­
tanto contro le più gravi esplosioni dell'odio, ma an­
che verso ogni espressione o atteggiamento che in
qualche modo denoti mancanza d'attenzione, d'a­
more verso i fratelli.
"Se dunque presenti la tua offerta all'altare e li ti
ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,
lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il
tuo dono"
Come, allora, mettere in pratica queste parole?
Dovremo cercare di non essere superficiali nei rap­
porti, ma frugare negli angoli più riposti del nostro
cuore. Faremo in modo di eliminare anche la sem­
plice indifferenza, o qualsiasi mancanza di benevo­
lenza, ogni atteggiamento di superiorità, di trascura­
tezza verso chiunque.
Normalmente si cercherà di riparare uno sgar­
bo, uno scatto di impazienza, con una domanda di
scusa o un gesto di amicizia. E se a volte ciò non
sembra possibile, ciò che conterà sarà il mutamento
radicale del nostro atteggiamento interiore. Ad un
atteggiamento di istintivo rigetto del prossimo deve
subentrare un atteggiamento di accoglienza totale,
piena, di accettazione completa dell'altro, di miseri­
cordia senza limiti, di perdono, di condivisione, di
attenzione alle sue necessità.
Se così faremo potremo offrire a Dio ogni dono
che vorremmo ed Egli lo accetterà e ne terrà conto.
Si approfondirà il nostro rapporto con Lui e arrive­
remo a quell'unione con Lui che è la nostra felicità
presente e futura.
Chiara Lubich
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