Parte I - Procura Generale dell`Oratorio di San Filippo Neri

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Parte I - Procura Generale dell`Oratorio di San Filippo Neri
ANNALES ORATORII
ANNUUM COMMENTARIUM DE REBUS ORATORIANIS
A PROCURA GENERALI
CONFOEDERATIONIS ORATORII S. PHILIPPI NERII EDITUM
DIRECTOR
Procurator Generalis pro tempore:
Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
REDACTIONIS CONSILIUM
Enrico Bini, Maria Teresa Bonadonna Russo,
Gian Ludovico Masetti Zannini, Paolo Vian,
Michele Pischedda, C.O., secretarius redactionis.
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Giulio Cittadini, C.O. (Italia); Giovanni Ferrara, C.O. (Italia)
pro lingua polonensi:
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________
Directio et Administratio:
“Annales Oratorii”
Procura Generalis Confoederationis Oratorii
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E. A. Cerrato, Al lettore
AL LETTORE
Il secondo fascicolo di “Annales Oratorii” – ringraziamo i lettori che, al
ricevere il primo, ci hanno espresso il loro incoraggiamento – si apre con
il ricordo del sessantesimo anniversario di un avvenimento notevole nella
storia plurisecolare dell’Oratorio: l’approvazione data dall’Autorità Apostolica il 12 aprile 1943 alle decisioni del Congresso Generale del 1942 che,
votando – insieme al testo rivisto delle Costituzioni – gli Statuti Generali,
dava origine alla “Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri”: punto d’arrivo di un lungo cammino volto alla ricerca di una formula di unione delle Congregazioni Oratoriane rispettosa delle origini ed adatta ai tempi nuovi.
*
Di tale cammino l’articolo che apre questo fascicolo intende presentare i
passi fondamentali: quelli che, partendo dal 1893, portarono al Convegno di
Bologna del 1932 da cui prese forma ed iniziò la sua attività la Procura Generale dell’Oratorio e alla decisione della Sede Apostolica di indire – nel
1933, esattamente settant’anni orsono – la Sacra Visita Generale a sostegno
delle Congregazioni; e quelli che, a partire dal Congresso del 1942, segnarono la vita della nuova istituzione. Nel percorso di questa storia emergono
le figure significative – per impegno e santità – dei “Padri” della Confederazione, i servi di Dio Giulio Castelli e Giovanni Battista Arista; come pure
quelle di uomini – oratoriani e non – della cui opera ha beneficiato l’istituzione, salutata come “felice novità” da p. Arcadio M. Larraona, il sapiente
canonista che ne fu artefice.
Nell’anniversario della “Confederazione dell’Oratorio” merita ricordare –
e lo facciamo con la pubblicazione di testi ormai rari – p. Edward Griffith,
d. O. di Londra, nel cinquantacinquesimo anniversario della sua elezione a
primo Procuratore Generale eletto dal Congresso; e nel cinquantesimo della
morte, p. Giuseppe Timpanaro, d.O. di Acireale, collaboratore di mons. Arista e fedele continuatore della sua opera nel cammino che portò al sorgere
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ANNALES ORATORII
della “Confederazione”, principale organizzatore del Convegno di Bologna e
attivamente impegnato nelle funzioni della neonata Procura Generale.
Ma desideriamo ricordare anche altri uomini insigni di cui ricorrono quest’anno significativi anniversari: papa Leone XIII, nel primo centenario della morte (20 luglio 1903): la sua memoria rimane in benedizione per l’orma
lasciata, come nella storia della Chiesa, nella storia dell’Oratorio (alcune pagine della sezione “Ad Chronicam” sono piccolo contributo a questo tema);
il card. Arcadio Maria Larraona, indimenticabile amico e fedele servitore
dell’Oratorio, di cui ricorre quest’anno il trentesimo della morte (7 maggio
1973); p. Paolo Caresana, d.O. di Brescia, fondamentale animatore del Convegno di Bologna, poi fervido ed operoso Preposito (1934-1958) della Congregazione di Roma e prezioso collaboratore del Visitatore Apostolico Larraona: ricorreva, il 30 giugno, il trentesimo del suo pio transito; il sv. di Dio
Paolo VI, di cui la Chiesa intera ha ricordato il quarantesimo anniversario
dell’elevazione alla Cattedra di Pietro (21 giugno 1963) ed il venticinquesimo della pia morte (6 agosto 1978): non direttamente coinvolto nel processo di riforma dell’Istituto Oratoriano, ma amico, discepolo e sostenitore di illustri figli di san Filippo Neri (tra i quali il citato p. Caresana e p. Giulio Bevilacqua, d.O. di Brescia, Cardinale di S. R. C.), il cui grato ricordo è vivo
nella Famiglia filippina insieme a quello dei suoi immediati Predecessori: il
sv. di Dio Pio XII, di cui ricorre il quarantacinquesimo della morte: ancora
risuonano gli orientamenti dati ai Padri del Congresso Generale del 1958
mentre rievocava con dolcezza, a pochi giorni dalla conclusione della sua vita terrena, gli anni giovanili trascorsi come chierichetto alla “Chiesa Nuova”;
e – nel quarantesimo anniversario della sua santa morte (3.06.1963) – il beato Giovanni XXIII, iscritto, da giovane monsignore, all’Oratorio Secolare di
Roma, teneramente devoto di san Filippo Neri – sulla cui tomba si recò a pregare anche poche ore prima di entrare nel Conclave da cui sarebbe uscito
Successore di Pietro –, studioso ed ammiratore del Baronio da cui trasse
quell’ “Oboedientia et pax” divenuto suo motto episcopale.
*
Degli articoli che seguono, sono in riferimento alla figura di s. Filippo Neri quello di p. Matthieu Delestre, che presenta il tema dell’influenza di s. Filippo e del ven. Cesare Baronio sulla riconciliazione di Enrico IV; di p. U.
Michael Lang, che affronta il tema del “miracolo di Casa Massimo”; delle
proff.sse Rosa Sánz Hermida e María Teresa Ferrer Ballester, che documen-
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E. A. Cerrato, Al lettore
ta le espressioni letterarie e musicali fiorite nella Spagna dei secc. XVII e
XVIII intorno alla figura del Santo.
L’articolo della dott.ssa Elisabetta Crema sull’attività letteraria del beato
G. G. Ancina introduce nella commemorazione di questa straordinaria figura che emerge, tra quelle dei primi discepoli di P. Filippo, per le doti di letterato, di compositore e per l’opera di intrepido vescovo della Riforma cattolica. Il prossimo anno sarà celebrato il IV centenario della sua morte, con
manifestazioni di cui fa cenno la Lettera del Procuratore Generale alle Congregazioni Oratoriane riportata in “Ad chronicam”.
Gli altri articoli mettono in luce figure significative del mondo oratoriano: p. Gontranno Tesserin offre una panoramica del servizio reso alla Chiesa lungo i secoli dai discepoli di san Filippo divenuti cardinali e vescovi; p.
Angel Alba presenta la figura di p. Teodomiro I. Días de la Vega; p. Ferran
Colás Peiró analizza i rapporti che legarono il sv. di Dio architetto Antoni
Gaudí all’Oratorio di Barcelona; p. August Monzon i Arazo delinea la figura del beato Manuel García Torró, dell’Oratorio Secolare di Valencia, martire nella Guerra Civile di Spagna; il prof. Elvio Ciferri, p. Mauro De Gioia, e
p. Luis Avila Blancas presentano, rispettivamente, il sv. di Dio p. Luigi Piccardini, dell’Oratorio di Città di Castello; il p. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova; il sv. di Dio p. Luis Felipe Neri de Alfaro, dell’Oratorio di San
Miguel de Allende.
La sezione “E Procura Generali” riporta in “Ad chronicam” il ricordo di
vari momenti dell’attività della Procura Generale; gli “Acta Apostolicae Sedis ad Oratorium quae attinent”; e gli “Acta Procurae Generalis” dell’anno
corrente.
*
Offriamo questo fascicolo di “Annales Oratorii” come modesto ma filiale omaggio a Sua Santità Giovanni Paolo II, stringendoci all’amato Padre nel
XXV della Sua elevazione alla Cattedra Apostolica di Roma e professandoGli, con affettuosa devozione, la nostra stima, colma di stupore per l’immensa opera da Lui compiuta nella storia della Chiesa e dell’umanità, ed insieme la nostra convinta adesione al Suo alto Magistero.
Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
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ANNALES ORATORII
Hanno collaborato a questo numero:
p. prof. Edoardo Aldo Cerrato, dell’Oratorio di Biella; p. Matthieu Delestre,
dell’Oratorio di Nancy; p. U. Michael Lang, dell’Oratorio di Londra;
prof.ssa Rosa Sánz Hermida, dell’Università di Valladolid; prof.ssa M. Teresa Ferrer Ballester, dell’Università di Valladolid; dott.ssa Elisabetta Crema, ricercatrice presso l’Università di Milano; p. Gontranno Tesserin, dell’Oratorio di Chioggia; p. Angel Alba, dell’Oratorio di Alcalá de Henares;
p. Ferran Colás Peiró, dell’Oratorio di Barcelona-Gracia; p. prof. August
Monzon i Arazo, dell’Università di Valencia; prof. Elvio Ciferri; p. prof.
Mauro De Gioia, dell’Oratorio di Genova; p. can. Luis Avila Blancas, dell’Oratorio di Mexico-La Profesa.
A Sua Santità Giovanni Paolo II
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A SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
BEATISSIMO PADRE,
nel XXV anniversario dell’elevazione di Vostra Santità alla Cattedra di San Pietro, la Procura Generale della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, a nome di tutte le Congregazioni confederate, porge alla Santità Vostra le più devote e filiali felicitazioni, unendosi alla festa della Chiesa universale ed al ringraziamento che in questa circostanza sale a Dio per la forza con cui Vi ha sostenuto in questi anni di servizio pontificale, per il coraggio e la dedizione di cui Vostra Santità ha dato costante prova, per l’esempio di fede, di speranza
e di carità che da Voi è venuto a tutti i discepoli del Signore.
A questi motivi che rallegrano ed edificano l’intera Chiesa di Cristo, si aggiunge per la Famiglia Oratoriana il grato dovere della riconoscenza per quanto la Santità Vostra ha operato specificamente
nei confronti dell’Oratorio di San Filippo: la grazia dell’erezione canonica di diciassette nuove Congregazioni dell’Oratorio; la canonizzazione di San Luigi Scrosoppi, d.O., la beatificazione del B. José
Vaz, d. O. di Goa, e quella del B. Manuel García Torró, martire, laico d.O. Secolare di Valencia; la Vostra paterna Visita alla “Chiesa
Nuova” di Roma nella festa di san Filippo del 1979, arricchita dall’Omelia da Voi pronunciata nella celebrazione della Santa Messa; la
Vostra partecipazione alla festa del IV centenario della morte del nostro Santo, nel 1995, di cui resta, a perenne memoria, la Lettera che
avete avuto la bontà di indirizzare alla Confederazione e l’Omelia
pronunciata in occasione della seconda Visita alla “Chiesa Nuova”,
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ANNALES ORATORII
il 28 maggio 1995; il ricordo di San Filippo Neri nella Bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000; il magistrale Discorso rivolto al
Congresso Generale della Famiglia Oratoriana benevolmente ricevuta in privata Udienza il 5 ottobre 2000; e tanti altri segni di benevolenza paterna che, lungo questi venticinque anni, dal Vostro cuore sono venuti all’Oratorio nei confronti di singoli membri delle Congregazioni.
BEATISSIMO PADRE,
con affetto di figli, riconoscenti per il dono che la Vostra Persona
è per la Chiesa, offriamo alla Santità Vostra, come omaggio e attestazione di devozione e fedeltà, la celebrazione di cento SS. Messe secondo le Vostre intenzioni, e preghiamo Dio che Vi conservi a lungo
alla Santa Chiesa nel mirabile servizio che da venticinque anni compite, impreziosito dalla sofferenza attraverso la quale il Signore ha
permesso che Vostra Santità partecipasse ancor più pienamente al Mistero di Cristo.
Baciando con affetto le Vostre Mani, imploriamo la Vostra
Apostolica Benedizione e Vi assicuriamo, Padre Santo, della nostra fedeltà alla Vostra Persona ed al Vostro alto Magistero.
Della Santità Vostra
dev.mo figlio
sac. Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
procuratore generale
S.S. Giovanni Paolo II
in visita a S. Maria in Vallicella
1995
Dal Discorso di Sua Santità al Congresso Generale del 2000
«Auspico che la rivisitazione delle fonti della spiritualità e dell’opera
di San Filippo susciti in ciascuna Congregazione una rinnovata consapevolezza della validità e dell’attualità del “metodo missionario” del vostro
Fondatore e rechi un significativo contributo all’impegno della “nuova
evangelizzazione”. Faccio voti che l’Oratorio, ponendosi al servizio degli
uomini con semplicità d’animo e letizia, sappia manifestare e diffondere
tale metodo spirituale in maniera sempre più attraente ed efficace. Potrà
così offrire una coerente ed incisiva testimonianza, vivendo in pienezza il
fervore delle origini e proponendo agli uomini di oggi un’esperienza di
vita fraterna fondata principalmente sulla realtà, accolta e vissuta, della
comunione soprannaturale in Cristo.
“Chi vuol altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia; chi
dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quel che dimanda; chi opera e non per Cristo, non sa quel che si faccia”. Queste parole del vostro
santo Fondatore indicano il criterio sempre valido di ogni rinnovamento
della comunità cristiana, che consiste nel ritornare a Gesù Cristo: alla sua
parola, alla sua presenza, all’azione salvifica che Egli attua nei Sacramenti della Chiesa. Tale impegno condurrà i Sacerdoti a privilegiare, com’è
nella vostra tradizione, il ministero delle Confessioni e l’accompagnamento spirituale dei fedeli, per rispondere pienamente al vostro carisma ed alle attese della Chiesa. Essi aiuteranno in tal modo i laici appartenenti agli
Oratori secolari a comprendere l’essenziale valore dell’essere “christifideles”, alla luce dell’esperienza di San Filippo che, riguardo al laicato, anticipò idee e metodi che si sarebbero rivelati fecondi nella vita della Chiesa. In particolare, vi esorto a lasciarvi guidare da questi valori, soprattutto
nell’avvicinare il mondo giovanile, che è carico di promesse, nonostante le
difficoltà, sentendovi inviati specialmente a quanti sono “lontani”, ma tanto vicini al Cuore del Salvatore. In tale contesto, vi sarà di grande sostegno la tradizionale sensibilità degli Oratoriani per l’arte e la cultura, vie
particolarmente idonee per una significativa presenza evangelizzatrice».
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
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PER IL SESSANTESIMO DELLA
“CONFEDERAZIONE DELL’ORATORIO” 1
Se l’Oratorio ha nel ministero di Padre Filippo la sua chiara origine, e se
è evidentemente creatura sua anche la Congregazione che dall’Oratorio nasce e per l’Oratorio è costituita, non si può invece affermare che fosse nella
sua mente una qualche forma federativa delle Congregazioni che sorgevano
fuori Roma ad iniziativa di sacerdoti venuti a contatto con l’Oratorio Romano ed affascinati dal nuovo metodo d’evangelizzazione, oppure ad iniziativa
d’alcuni membri della stessa Congregazione Romana2.
L’intenzione originaria di Padre Filippo riguardo alla Comunità sacerdotale dei suoi figli spirituali riflette la natura e l’impostazione del Padre, incline a non programmare nulla, a non organizzare, ma ad affidarsi piuttosto
allo Spirito Santo in una ordinata comunione.
Si deve all’iniziativa dei suoi discepoli sacerdoti, più che a quella del Padre, il cammino che portò al riconoscimento pontificio del 1575 quella Comunità che a Padre Filippo era nata e si era sviluppata tra le mani.
Era certamente vivo nel Padre il desiderio apostolico di veder l’Oratorio
diffondersi e con esso la Congregazione destinata a servirlo. Ne abbiamo un
significativo documento nella lettera che Padre Filippo scrive, il 13 gennaio
1580, all’arcivescovo di Fermo mons. Domenico Pinelli 3, in cui leggiamo
che volentieri avrebbe inviato dei sacerdoti ad iniziarne l’attività a Fermo,
ma lo tratteneva la scarsità delle forze, che effettivamente furono sempre esigue in relazione all’intensa attività dell’Oratorio, strutturato ormai nell’ordinata successione dei sermoni per i quali non tutti i Padri avevano capacità
1
Questo articolo riprende ed integra il cap. IV di E. A. CERRATO, San Filippo Neri. La sua
opera e la sua eredità, Pavia, 2000.
2
Ricordiamo il tentativo di fondazione in Milano, durato alcuni anni con l’invio di soggetti
da parte di P. Filippo; la Casa di S. Severino nelle Marche (1579), di Fermo (1583), di Napoli (a
partire dal 1584), dell’Abbazia di S. Giovanni in Venere, impetrata ed ottenuta da Sisto V (1585),
la Comunità romana di S. Giovanni dei Fiorentini.
3
San FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, a cura di A. CISTELLINI, Morcelliana, Brescia, 1994.
D’ora in poi citato: S. FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, pp. 52-53
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ANNALES ORATORII
adeguate e possibilità di tempo; molto probabilmente lo tratteneva pure la sua
intima, originale convinzione: quella famiglia di sacerdoti, che intorno a lui
si era raccolta, aveva la propria identità e la sua forza apostolica non nelle
strutture organizzative, ma nel rapporto spirituale di figliolanza che l’aveva
generata e che continuava a caratterizzarla.
Tale rapporto di stretta dipendenza spirituale dal Padre non impediva tuttavia ad alcuni di seguire, riguardo alla diffusione della Congregazione,
orientamenti diversi. Padre Filippo lasciava fare, fidandosi di Dio e continuando il suo impegno in una incessante attività apostolica che non gli lasciava molto spazio per questioni di organizzazione ecclesiastica. Questa intenzione del Padre non significava, tuttavia, indifferenza nei confronti delle
nascenti esperienze oratoriane: egli, anzi, se ne occupò, sia pure con la discrezione tipica del suo spirito; e, soprattutto, consentì che altri Padri se ne
occupassero.
I testi costituzionali che precedono gli Instituta del 16124 presentano chiaramente una struttura centralizzata delle Case, che risponde agli intenti del p.
Talpa, del Tarugi, del Bordini, del Baronio e di altri, più che all’intima convinzione del Padre, il quale tuttavia accettò l’idea dei suoi figli, e lui ed i suoi
primi successori, a partire dalle Costituzioni del 1583 ebbero il titolo di “Preposito Generale” 5, che figura anche nelle Costituzioni del 1588 – le uniche
non solo riviste, ma espressamente approvate da s. Filippo – e ne esercitarono la funzione su alcune Case aggregate, anche mediante la Visita delle stesse 6. Ma questa prassi durò soltanto per il tempo in cui le Costituzioni, a norma della Bolla di erezione della Congregazione, erano in elaborazione e la
4
In Collectanea vetustiorum ac fundamentalium documentorum Congregationis Oratorii S.
Philippi Nerii, A. CISTELLINI documenta collegit et illustravit, Brescia, 1982, pp. 75-208. D’ora in poi citato “Collectanea”.
5
Nell’assemblea della Congregazione del 17 giugno 1587, come risulta dal Libro dei Decreti, con piena accettazione di P. Filippo, fu proposto e votato il quesito: “Approvate voi che il R. P.
Ms. Filippo, nostro Preposito Generale sia confermato in Preposito nostro e Padre Generale perpetuo […]?”. P. Filippo nelle disposizioni sottoscritte nel febbraio 1585 afferma: “l’intenzione e
desiderio e volontà mia è che quando al Nostro Signore Iddio piacerà di chiamarmi a sé, i miei figli della Congregazione eleggano per Preposito Generale in luogo mio il Padre Ms. Francesco M.
Tarugi, al presente Rettore, che giudico atto a questo governo…” (San FILIPPO NERI, Gli scritti e
le massime, p. 108).
6
La prima fu decisa dal Preposito Generale p. Cesare Baronio, con suo Documento del 22
aprile 1594: “abbiamo deciso di mandare alle Case della nostra Congregazione il p. Pompeo Pateri […] e gli abbiamo dato ordine che, di nostra autorità, indaghi e visiti quanto presso di voi si
fa…”.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
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fisionomia dell’Istituzione si stava faticosamente delineando nel confronto
tra il Padre ed i suoi discepoli sacerdoti.
Il legame giuridico delle esistenti Case oratoriane, con il prevalere, soprattutto dopo la morte di Padre Filippo, della linea di fedeltà alla originaria
intenzione del Fondatore, sarà abolito e le Costituzioni definitive codificano questa scelta, che Gregorio XV ribadirà con il Breve “Ex iniuncto Nobis”
dell’8 luglio 16227.
Se questa è la storia delle origini, come nasce la “Confederazione”?
Maturata come idea solo in tempi recenti e sotto la spinta di situazioni storiche che hanno indotto le Congregazioni a cercare un legame organico tra
loro, nel pieno rispetto dell’autonomia voluta da colui che è considerato a
pieno titolo il comune Fondatore, la Confederazione nasce sessant’anni or sono. E, senza essere una creazione delle origini, si è rivelata in questo abbondante mezzo secolo di vita come la salvaguardia non solo dell’identità e dell’originale autonomia delle Congregazioni oratoriane, ma talora della loro
stessa sopravvivenza.
Invocata da molti e guardata con un certo sospetto da altri, la nuova istituzione, al di là delle circostanze storiche che l’hanno determinata, affonda
le sue radici nel legame di carità che fin dalle origini ha unito le Congregazioni dell’Oratorio, le quali, pur diffuse ben presto in varie parti del mondo
e con la difficoltà di comunicazione dei secoli passati, mai hanno mancato di
sentirsi un’unità morale e, nel rispetto del principio: “unaquaeque domus aut
familia […] se per se regat et moderetur” 8, non hanno omesso di intessere
tra loro rapporti spirituali e di collaborazione: la cultura e l’arte oratoriana
con le loro specifiche connotazioni ne sono testimonianza, come lo è la corrispondenza epistolare e l’aiuto reciproco che le Case si sono prestate nel favorire nuove fondazioni e nel soccorrere in qualche caso le difficoltà di alcune. L’Archivio Nazionale di Spagna, per citare un esempio, conserva la copiosa corrispondenza che le Congregazioni di America inviavano alla Congregazione-Madre di Roma ed alle Congregazioni spagnole, con la richiesta
di pareri giuridici, di consigli e con la comunicazione di vari argomenti.
Nasce da questa consuetudine l’annotazione che l’autore dei “Pregi della Congregazione dell’Oratorio” pone nel III capitolo parlando della “cara
7
8
Collectanea, 73-74.
Instituta 1612, cap. IV, in Collectanea, 220.
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ANNALES ORATORII
corrispondenza che passa tra le Congregazioni di S. Filippo”: “Questo Pregio della Carità, che unisce così bene tanti Sacerdoti e Fratelli in una sola
Casa, unisce pur anche tutte le Congregazioni di S. Filippo con strettissimo
vincolo di amore. E quantunque nelle cose esteriori non vi sia alcuna comunicazione fra esse, né partecipazione di Beni temporali, avendo voluto il
Santo Padre che ogni Casa si regga e si governi da sé, separatamente l’una
dall’altra […], nondimeno passa così buona corrispondenza di affetto tra tutti i Preti dell’Oratorio che, sebbene tra loro non siansi mai veduti, si amano
di un amore scambievole e di una Carità non finta. Questa strettissima unione di Carità, dice il p. Consolini in una Lettera che scrive ad un padre d’altra Congregazione, unisce tutte le anime ed i cuori nostri a Dio con vincolo tale che facit utraque unum: e questo amore reciproco non ce lo raffredda punto la differenza de’ genj, la lontananza de’ Paesi, la diversità delle Nazioni che non conosciamo, o delle Case maggiori delle nostre, o de’ Soggetti più qualificati. […] Da questa Carità procede che, quando il Signore
favorisce una Congregazione con qualche gran bene di gloria, di decoro, di
santità, ciascun’altra delle nostre ne gode come se fosse bene suo proprio.
[…] Ci riconosciamo tutti per Fratelli, perché tutti Figliuoli di un medesimo Padre, praticando le medesime regole e consuetudini; e quando una Congregazione può servir l’altra in qualche riscontro, sempre lo fa con sommo
piacere, né mai sono discordi, ma sempre unite nell’emulare l’una le Virtù
dell’altra…” 9.
Il cammino che portò al costituirsi della Confederazione fu lungo e segnato da non poche difficoltà, le quali servirono però a farlo avanzare con
prudenza e maturazione. Attraverso le seguenti note storiche intendiamo ricostruirne lo svolgimento, presentando di esso le tappe e facendo memoria
degli uomini che si impegnarono nell’impresa.
1. 1893 -1918.
Il primo passo ufficiale verso l’ “Institutum10 Oratorii S. Philippi Nerii”
fu compiuto dal Decreto della Sacra Congregazione dei Religiosi ex Audientia Sanctissimi del 21 marzo 1933, che istituiva la Visitatio Generalis Ora-
9
“Pregi della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, opera postuma e prima d’ora inedita d’un prete dell’Oratorio di Savigliano in Piemonte…”, 2 tomi, Venezia, 1825, I, pp.
156-162.
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Il termine “Confoederatio” sarà ufficiale solo nel 1969.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
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torii e nominava per tutte le Congregazioni oratoriane un Visitatore Apostolico nella persona del claretiano p. Arcadio Maria Larraona11, mentre già
aveva iniziato a svolgere in Roma le proprie funzioni la Procura Generale,
affidata all’iniziativa di p. Carlo Naldi12, d. O. di Firenze, designato dal Convegno dei Prepositi celebrato in Bologna nel 1932 e nominato nel febbraio
1933 dalla Sede Apostolica “Procuratore Generale dell’Oratorio” 13.
Ma il cammino che portò alla configurazione di un nuovo legame tra le
Congregazioni era iniziato alcuni decenni prima, quando tutti percepirono
che alla drammatica situazione venutasi a creare nel corso del secolo XIX
occorreva trovare una soluzione.
Falcidiate, infatti, dalla politica napoleonica in Europa, dalle leggi eversive dell’Italia risorgimentale, e da sommovimenti politici che coinvolsero alcune di esse anche in America Latina, le Case oratoriane vennero a trovarsi
ridotte di soggetti e in grave penuria di mezzi al punto tale che un buon numero di esse, anche gloriose per storia e tradizioni, esaurì la sua esistenza,
mentre molte altre erano nel serio pericolo di estinguersi.
“Con la fine del Settecento – scrive p. Carlo Gasbarri14 – ad opera dei regimi rivoluzionari eversivi giacobini, massonici ed anticlericali di vari paesi
europei, cominciava la crisi che in pochi anni ridurrà il numero delle Congregazioni da 182 a 56. Il fatto si spiega anche e molto per la struttura giuridica autonomista, che rendeva ogni casa del tutto isolata dalle altre, con poche e saltuarie comunicazioni generiche”.
11
FRISON B., Cardinal Larraona, Instituto Teologico de la Vida Religiosa, Madrid, 1979; ABBATE C., Il Card. Arcadio Larraona e l’Istituto dell’Oratorio, in “In Aevum”, XXXI (1953) novdic.; L’Istituto dell’Oratorio ed il Cardinal Larraona, in “L’Oratorio di san Filippo”, XVII (1960),
9, p. 3.
12
P. Carlo Andrea Naldi (1892-1957), fiorentino. Entrò nell’Oratorio di Firenze, e vi ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1905; diede esempi di pietà e di disponibilità alle opere comuni e
si dedicò infaticabilmente al ministero della predicazione. Di sentimenti e tratti gentili, ebbe facile entratura negli ambienti aristocratici e borghesi della società non solo fiorentina, di cui si servì
per aiutare molte opere caritative. Durante il periodo del suo ufficio di Procuratore trascorse a Roma, normalmente, la metà di ogni mese, allestendo la sede della Procura, dopo un breve periodo
trascorso in San Girolamo della Carità, nella casa annessa alla chiesa dei SS. Nereo ed Achilleo.
13
CISTELLINI A., Di revisione in revisione, in “Memorie Oratoriane”, n.s. II (1981), 5-6-7-8,
72; ID. Intorno all’indole della Congregazione dell’Oratorio, in “Memorie Oratoriane”, giugno
1992, n.15, pp. 75 ss. L’autore fa riferimento nei suoi saggi su questa materia al “Diario” di P.
Naldi, da cui trae citazioni. Il documento è stato recentemente donato -con viva sensibilità- dalla
Congregazione di Firenze all’Archivio della Procura Generale.
14
GASBARRI C., L’Oratorio Romano dal Cinquecento al Novecento, Roma, 1963, p. 205.
14
ANNALES ORATORII
Fin dagli ultimi anni del 180015 si presero a cuore il problema e lavorarono ad esso con sincero amore per l’Oratorio, particolarmente il servo di Dio
p. Giovanni Battista Arista16, d. O. di Acireale e poi vescovo della medesima
Diocesi ed il servo di Dio p. Giulio Castelli17, già d. O. di Torino e fondatore della Congregazione di Cava de’ Tirreni.
Li sostennero nell’intento il Sommo Pontefice Leone XIII, molto legato
all’Oratorio fin dai tempi del suo trentennale episcopato in Perugia, e il Papa S. Pio X che, primo fra i Vescovi italiani, mentre era Patriarca di Venezia,
aveva espresso il proprio plauso alle iniziative miranti a trovare una adeguata soluzione18. Non mancò loro l’appoggio convinto di alcuni Oratoriani – tra
i quali, in primo luogo, il cardinale Alfonso Capecelatro19, d. O. di Napoli,
allora arcivescovo di Capua e Bibliotecario di S. Romana Chiesa – ma non
fu parimenti assente l’avversione di altri Oratoriani che temevano la perdita
della caratteristica autonomia delle singole Congregazioni.20
Una lettera di p. Arista a p. Castelli, datata 13 agosto 1893, può essere assunta come inizio dei passi del lungo cammino:
15
Ma già nel 1847, il Preposito romano p. Carlo Rossi, durante la permanenza in Roma di J.
H. Newman, caldeggiava un’unione morale tra le Case “per avere più forza ed influenza”; idea
per nulla condivisa dal neo convertito che, risiedendo in S. Croce in Gerusalemme, si formava alla vita oratoriana. (TREVOR M., Newman, 1962, pp. 418-419).
16
Giovanni Battista Arista (Palermo 1863-Acireale 1920). Celebrato il Processo diocesano tra
il 1946-57, la Causa di Beatificazione fu introdotta presso la S. Congregazione dei Riti nel 1969.
CRISTALDI G., Il cuore di un vescovo, Roma, 1950. IACEN. Canonizationis Servi Dei Ioannis
B. Arista. Positio super virtutibus, Romae, 1992.
17
Giulio Castelli (Torino 1846-Cava de’ Tirreni 1926). Iniziato il Processo Informativo diocesano nel 1927, si concluse il 20 novembre 1941, e la causa di beatificazione fu introdotta presso la S. Congregazione dei Riti. MAZZA F.M., Il servo di Dio P. Giulio Castelli, Badia di Cava,
1950. CAVEN. TYRR. Beatificat. et Canonizat. Servi Dei Julii Castelli. Positio super introductione
Causae, Romae, 1953.
18
La Procura Generale conserva, esposto nella sua sede, il testo autografo del Patriarca di Venezia.
19
Alfonso Capecelatro dei Duchi di Castelpagano (1824-1912). Entrò nell’Oratorio di Napoli nel 1840 e fu ordinato sacerdote nel 1847. Preposito per molti anni, fu fatto Arcivescovo di Capua nel 1880 ed ebbe la Porpora da Leone XIII nel 1885. Nominato Bibliotecario di S.R.C. nel
1893. Uomo di larga celebrità, scrisse di storia, sociologia, agiografia, politica. Nel Conclave del
1903 ebbe qualche probabilità di essere elevato al Soglio Pontificio. MOLA C., Vita del Card. Alfonso Capecelatro, Napoli, 1913; DE FEO F., Alfonso Capecelatro, oratoriano, cardinale, scrittore, in “Memorie Oratoriane”, 14 (1984), pp. 55-70; RUSSO A., Convegno Nazionale di studi su “Alfonso Capecelatro…”, in “Memorie Oratoriane”, 14 (1984), pp. 86-89.
20
TIMPANARO G., S. E. Mons. Giambattista Arista, il filippino di oggi dai vasti orizzonti, in
“In Aevum”, XX (1948), suppl. al n. 5.; CISTELLINI A., Intorno all’indole…, cit., pp. 55-107.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
15
“… Ed ora, poiché ho la fortuna di trovare in V. Rev.za tanta bontà di animo, mi permetto di manifestarle un pensiero che da tanto tempo insistentemente mi perseguita, per domandarle lume e conoscere se sia tale da potercisi attendere, o da doversi assolutamente rigettare.
San Filippo nelle sue costituzioni ha stabilito che ciascuna Casa della sua
Congregazione stia da sé, indipendente da ogni altra e che si riconoscesse
dall’osservanza delle sue Regole.
Ora io penso: sarebbe un distaccarci dalla mente del S. Fondatore se si
pensasse di stringere tutte le Case in modo da formare un sol Corpo, pur rimanendo a ciascuna tale e tanta libertà da essere infatti indipendente? […]
Padre mio, coi suoi lumi avvalorati dal consiglio e dalla preghiera, pensi
quanto le ho esposto, e dalla sua carità mi aspetto a suo tempo una risposta.”
P. Giulio Castelli – passato dalla Congregazione di Torino a quella di Roma nel dicembre del 1889, a seguito di un drammatico appello rivolto a tutti gli Oratori del mondo già nel 1881 e reiterato negli anni seguenti dal Preposito della Vallicella p. Scaramucci21 – da parte sua era ben consapevole della necessità di un impegno a favore non solo della Congregazione Romana,
che non era l’unica a versare in triste situazione. A Roma, p. Castelli aveva
iniziato a lavorare con lo zelo di cui già aveva dato prova a Torino, tanto da
rimanere impresso nella mente del tredicenne Eugenio Pacelli, chierichetto
alla Chiesa Nuova, che non scorderà l’antico maestro e, divenuto Papa con
il nome di Pio XII, dirà22: “Sono lieto di veder introdotta la causa di beatificazione di un così degno figlio di San Filippo. Quando egli venne qui, a Roma, io avevo poco più di tredici anni e nella Chiesa Nuova mi fu anche maestro di catechismo. Tutti lo stimavano un santo, e io lo tengo ben presente:
figura alta, gracile, tutto raccolto, tutto umile e a occhi bassi, così…”, e congiunse le mani intrecciandole sul petto, nel gesto abituale di P. Giulio.
Con sacrifici immensi e nella assoluta mancanza di mezzi economici, p.
Castelli aveva anche costituito un piccolo Collegio per la formazione di candidati all’Oratorio da destinare a quelle Case che ne avessero fatto richiesta,
e, in occasione del III centenario della morte di san Filippo, si era assunto
21
Giovan Carlo Scaramucci (1821-1897), romano; Preposito dal 1878 alla morte, resse la Congregazione in situazioni difficilissime prodotte da gravi cause esterne ed interne. Cfr. GASBARRI C., L’Oratorio Romano, Roma, 1960, pp. 125-131.
22
Udienza del 18 dicembre 1941, concessa al vescovo di Cava mons. Marchesani – che ne riporta la testimonianza – e ad un gruppo di PP. dell’Oratorio.
16
ANNALES ORATORII
l’impegno di pubblicare una “Collectio Constitutionum et Privilegiorum
Congregationis Oratorii a S. Philippo Nerio fundatae” 23 con l’intento dichiarato di rivolgere un invito a rivitalizzare l’Oratorio e la vita delle Congregazioni.
La confidenza che l’Arista scrisse a p. Castelli fu inviata qualche tempo
dopo dal giovane Padre di Acireale anche ad un altro amico oratoriano,
mons. Jourdan de la Passadière24, il quale rispondeva il 19 marzo 1895 dichiarando la sua piena adesione alle idee esposte, e comunicando di averne
addirittura parlato, già qualche mese prima, e di sua iniziativa, al Santo Padre Leone XIII.
Papa Leone XIII, nel frattempo, per solennizzare le feste centenarie scrisse un Breve colmo di ammirazione per San Filippo e la sua opera e nell’Udienza del 6 giugno concessa ai Padri presenti in Roma per l’occasione25,
espresse il suo amore per l’Oratorio ed il suo ardente desiderio di vederlo risorgere; chiese inoltre che i convenuti si convocassero il giorno seguente, sotto la presidenza del Card. Capecelatro, per trovare il modo di stringere fra
tutte le Congregazioni un vincolo fraterno di carità attiva ed efficace.
L’incontro, il primo di questo genere, giunse a qualche conclusione pratica, ma le sue proposte non offrirono materia su cui rispondere alla Sacra
Congregazione dei Vescovi e Regolari, a cui il Capecelatro riferì; sostenne,
tuttavia, la speranza di quelli che credevano nella necessità di trovare qualche soluzione: p. Giulio Castelli, ad esempio, scriveva il 6 agosto 1895 al
Preposito di Perugia p. Enrico Bondi: “Confidiamo nel Signore. Un nuovo
orizzonte si apre dinanzi per l’Istituto Filippino. Il Congresso tenuto per ordine del Papa ha già portato frutti. Continuiamo a pregare, e faticare, e piantare, e innaffiare”26; p. Arista, consapevole ora che il suo desiderio collimava con quello del Vicario di Cristo, continuò intensamente l’impegno, ed ap-
23
Brixiae, Typographia et Bibl. Queriniana, 1895.
Dopo essere passato, come aspirante, nell’Oratorio Romano, aveva dato inizio nel 1870 ad
una Comunità oratoriana nel Sud della Francia, a Draguignan (Var), soppressa dallo Stato nel 1880,
ed aveva collaborato alla fondazione di altre Comunità a Rouen (1893) e Reims (1895, approvata nel 1897, e durata in vita fino al 1905); indi era diventato vescovo ausiliare di Grenoble, e successivamente di Lione.
25
“L’Osservatore Romano”, 6.6.1895
26
Lettera autografa donata alla Procura Generale ed esposta, con altri storici documenti, nella sede della stessa.
24
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
17
profittando di un viaggio in Italia, Francia, Spagna e Belgio, intrapreso per
motivi personali, contattò quante più Congregazioni poté, suscitando in molti oratoriani interesse verso l’iniziativa, non scevra tuttavia di qualche perplessità.
P. Castelli, che nel 1895, l’ultimo giorno dell’anno, aveva lasciato l’Oratorio di Roma, stremato dalle opposizioni di due vecchi confratelli, per recarsi a Cava, su invito del Vescovo di quella Diocesi, inviò ai Prepositi nel
1899, nell’imminenza della beatificazione del Ven. p. Antonio Grassi, prevista per l’Anno Santo 1900, una circolare, invitandoli a Roma per l’occasione, nella speranza che un nuovo incontro fosse possibile.
La situazione delle Case oratoriane d’Italia, nel frattempo, si aggravava
al punto che la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, su indicazione dello stesso Pontefice Leone XIII 27, con decreto del 29 maggio 1900 nominava
p. Clemente Benedettucci28 Visitatore Apostolico delle Case filippine, esistenti ed estinte, nelle Marche, nell’Umbria e nell’Emilia.
La relazione del Visitatore Apostolico, dalla quale emergeva la situazione davvero preoccupante, ebbe come risultato l’intervento con cui papa Leone XIII, in segno del suo amore paterno29, eresse in Perugia, con Motu Proprio del 30 settembre 1900, il Collegio Pontificio dell’Oratorio, -“ut ex eo,
recte posito tirocinio, operarii prodeant digni in spem decusque Oratorii”- a
cui furono preposti p. Paolo Recanatesi, dell’Oratorio di Osimo e p. Ercole
Salvatori, dell’Oratorio di Recanati30.
27
L’amore di Papa Leone XIII per l’Oratorio si manifestò in moltissimi modi. E’ per questo
che nel quadro commemorativo del Congresso 1948 il grande Pontefice tendendo le braccia verso i figli di San Filippo, nell’atteggiamento di stringerli e proteggerli, li benedice con amplissimo
gesto.
28
Clemente Benedettucci (1850-1949). Laureato in giurisprudenza a Roma, entrò nell’Oratorio di Recanati che si estinse con la sua morte. Lasciò molti scritti eruditi ed una ricca biblioteca,
ora aperta agli studiosi. Cfr. FINI C., Clemente Benedettucci oratoriano, Ancona, 1991; ADORANTE R. (a cura), La vita e l’opera di P. Clemente Benedettucci, Recanati, s.d. [ma 2000].
29
Cfr. Leone XIII. Suo Pontificato, suoi rapporti con la Congregazione dell’Oratorio, in “San
Filippo Neri. Monitore delle Congregazioni dell’Oratorio”, Biella, IV (1903), 4, pp. 91-96. D’ora
in poi: “San Filippo Neri. Monitore…”.
30
L’istituzione ebbe breve durata; nel 1907, su consiglio dei Padri di Perugia, con il consenso di Pio X e tramite p. Benedettucci, il Collegio Leoniano fu trasferito a Roma nella canonica
di S. Tommaso in Parione, ma nel 1910, con vivo rammarico del Papa, fu definitivamente chiuso. Si dovrà attendere il Pontificato di PIO XII, altro grande Pontefice legato all’Oratorio, per riaprire un Collegio Internazionale a Roma, intitolato al Papa stesso; anche questo tuttavia avrà vita breve.
18
ANNALES ORATORII
In quello stesso anno – che vide sorgere, ad iniziativa di p. Giovanni Battista Tonella, dell’Oratorio di Biella, una rivista intitolata “San Filippo Neri.
Monitore delle Congregazioni dell’Oratorio” 31 –, una circolare di p. Arista ai
Prepositi, prospetta l’idea di presentare una supplica al S. Padre perché intervenga con la sua autorità a sbloccare una situazione di stallo che durava
dal 1895 e dalla quale nessuno era in grado di uscire.
Il card. Capecelatro, perplesso di fronte al malumore di tanti, era dell’avviso di soprassedere, ma in quei giorni p. Benedettucci, sollecitando la presentazione della supplica, scriveva all’Arista: “Credo che la petizione venga
presentata prontamente. In questi giorni il P. Recanatesi ha avuto un’udienza particolare dal S. Padre per le cose nostre e l’ha trovato d’una benevolenza che l’ha commosso”.
Datata 8 febbraio 1901, sottoscritta dalla maggioranza dei Prepositi e raccomandata da numerosi Vescovi e Cardinali32, la supplica giunse a destinazione, ma i contrari scatenarono una battaglia, di cui rimangono testimonianza le lettere a stampa di p. Calenzio e di p. Lais.
L’arenarsi della supplica, tuttavia – lo riconoscono gli stessi fautori – è
dovuta ancora una volta alla labilità del progetto, determinata sicuramente
dal rispetto e dalla prudenza con cui l’Arista trattava una materia tanto delicata, mentre invece, come suggeriva p. Recanatesi, “è necessario presentare a Roma progetti belli e formati, altrimenti Roma non si muove” .
Di questo tenore fu infatti la risposta del card. Gotti, Prefetto della S.
C. dei Vescovi e Regolari, il 13 marzo: “Dalla Santità di Nostro Signore
Papa Leone XIII è stata trasmessa a questa S. Congregazione la sua memoria a stampa diretta ad ottenere che si stabilisca qualche vincolo fra le
varie Congregazioni dell’Oratorio di S. Filippo, salva sempre la rispettiva
autonomia secondo le Regole dell’Istituto. Questa S. Congregazione per altro, pur lodando gli intendimenti di quanti hanno firmato e raccomandato
31
La rivista, prima mensile poi, dal 1905, trimestrale, esce con il primo numero nel maggio
1900 e durerà le sue pubblicazione fino al 1907, molto dignitosa nella veste tipografica e ricca di
argomenti, recante anche una sezione intitolata “Cronache filippine” volta a creare un collegamento tra le varie Comunità. Sin dall’editoriale del primo numero (I, 1, 3) sono dichiarati gli intenti: “unire in un sol cuore ed in una sola anima le diverse Congregazioni, delle quali alcune sono state fondate nuovamente, ed altre si sono ristabilite, e per accendere tutti di quella carità che
è il sodo legame che stringe assieme le stesse Congregazioni”. Troviamo pubblicata nel numero
di settembre una lettera del p. Arista: “Benedico il Signore che Le ha ispirato l’idea di intraprendere un simile lavoro, che potrebbe spianare la strada all’unione desiderata”.
32
Precedenti storici del Movimento Federativo Oratoriano, in “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, XVII (1960), 11, pp. 11-12.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
19
la relativa supplica, desidererebbe che essi stessi, collatis inter se consiliis,
proponessero qualche piano o progetto pratico, onde tradurre in atto i loro
desideri. Voglia perciò la P.V. adoperarsi a tale effetto e rimettere poi le risultanze a questa S. Congregazione, la quale le prenderà nella dovuta considerazione”.
Pensò allora p. Arista, anche dietro il suggerimento di amici, di presentare al Dicastero un’informazione sullo stato delle Congregazioni esistenti – ritenendo che l’Autorità Apostolica sarebbe intervenuta direttamente – e attraverso alcune Congregazioni cercò le notizie necessarie, scontrandosi però
con il riserbo di un certo numero di Case che non risposero, forse sull’onda
delle circolari del Preposito di Roma.
Dopo la morte di Leone XIII, verso il quale gli Oratoriani nutrivano un
debito di riconoscenza pari all’ammirazione di cui la Chiesa circondava il
suo pontificato33, l’interesse del nuovo Pontefice Pio X, eletto il 4 agosto
1903, per la questione oratoriana è documentato, tra l’altro, da una lettera
di p. Recanatesi all’Arista – che nel novembre 1904 aveva accettato in obbedienza al Papa la nomina a vescovo ausiliare di Acireale, dopo essere riuscito, nel 1901, ad eludere la nomina a Vescovo-Prelato Nullius di S. Lucia del Mela –: “Fui dal Santo Padre e, dopo avere a lungo ragionato delle
nostre Congregazioni, conobbi anch’io che ha in animo di fare qualcosa a
loro vantaggio […] Concluse dando l’incarico all’Eccellenza Vostra e a me
di formulare un programma e farglielo avere” (21.11.1904).
Direttamente richiesto dal Papa, mons. Arista si rimise all’opera intraprendendo un’altra ampia consultazione testimoniata dal suo epistolario
che registra il contributo dato allo studio del progetto dai pp. Castelli, Colletti, d. O. di Genova, Recanatesi e Benedettucci. L’Arista, tuttavia, andava
ancora cercando consigli, quando p. Recanatesi34 gli scrive, il 19.12.1904: “Il
suo scritto è compilato con tanta saggezza che non saprei cosa aggiungere né
togliere […] non mi parrebbe però opportuno andar cercando qua e là consensi […] Vostra Eccellenza sa troppo bene quanti nemici abbia qualunque
movimento che porti un ordine migliore…”. Lo schema preparato, non-
33
Sollecitudine del Sommo Pontefice Leone XIII per i figli di S. Filippo, in “San Filippo Neri. Monitore…”, II (1901), 4, pp. 106-108.
34
Un interessante articolo del Recanatesi, discreto nei termini ma chiaro nelle osservazioni,
descrive il travaglio di questi anni: RECANATESI P., Due parole ai lettori, in “S. Filippo Neri.
Monitore…”, Quaderno 31 (1905), pp. 1-6.
20
ANNALES ORATORII
ostante le sollecitazioni, attenderà ancora alcuni mesi ad essere presentato, e
solo nel settembre del 1906 giungerà al Santo Padre35.
Qualche intervento dell’ambiente di Roma su esponenti di Curia riuscì a
rallentarne l’iter, se si deve dar credito a quanto lascia intendere p. Recanatesi in una lettera all’Arista del 20 agosto 1907.
Alla morte del vescovo Genuardi, mons. Arista è chiamato a succedergli
come vescovo di Acireale, e gli impegni in diocesi, enormemente accresciuti, non gli lasciarono molto tempo per la causa oratoriana che egli portava
tuttavia nel cuore.
Ne assunse l’eredità p. Giuseppe Timpanaro36, d. O. di Acireale, legato a
lui da vincoli di profonda devozione e sintonia, il quale ebbe occasione nel
1910 di visitare fraternamente numerose Congregazioni italiane, continuando poi la visita nel 1912, in compagnia di mons. Arista, e completandola nel
periodo del suo servizio militare (1917-1918). Riscosse qualche reazione, ma
raccolse pure osservazioni di eminenti Padri che lo indussero a modificare
alquanto il progetto del 1906.
Anche p. Castelli in quegli anni continuò ad interessarsi della questione.
Fra il 1913 ed il 14 si fece ricevere dal Prefetto della S. Congregazione dei
Religiosi, card. Cagiano de Azevedo, e gli presentò un progetto di unione.
Avutone sentore, il p. Lais, Preposito di Roma, immediatamente intervenne
presso il Cardinale, ma la triste situazione della Casa di Roma, che continuava con le sue irrisolte difficoltà, dolorosamente intrecciate a tutto il cammino che portò alla costituzione dell’Institutum, provocò una Visita Apostolica all’Oratorio Romano, poi estesa alle Congregazioni italiane. Mons. Melata ne fu incaricato, e dopo due anni gli succedette l’abate Arcangelo Lolli,
dei Canonici Lateranensi, il quale, nel tentativo di trovare una soluzione alle intricate questioni, promosse un Convegno di Prepositi, indetto a Roma
dalla Sede Apostolica per il 20 novembre 1918.
2. 1918-1932
Inizia nel 1918 l’epoca dei Congressi che, riunendo i Prepositi in legitti-
35
Schema d’unione fra le Case della Congregazione Filippina in Italia, Acireale, Tip. Umberto I, 1906.
36
Giuseppe Timpanaro (1888-1953). Di temperamento vivace e di acceso spirito filippino, fu
intraprendente animatore di svariate iniziative, tutte volte a ravvivare il culto di S. Filippo e la vitalità dell’Oratorio. Ristabilì in Palermo nel 1931 l’ormai estinta Congregazione.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
21
ma adunanza per disposizione pontificia37, già costituiscono una prima forma embrionale di organismo unitario.
Al Congresso del 1918 parteciparono sedici delle diciannove Case esistenti in Italia, presenti, tra gli altri, p. Castelli e mons. Arista. P. Timpanaro rivelò in quell’incontro tutto il suo dinamismo e la sua passione; si comprese chiaramente che era aperta la via ad un esponente, tra i più convinti e
operosi, del movimento unitario. Fu lui, infatti, a presentare all’abate Lolli
come promemoria il progetto che egli aveva modificato e che consegnò dattiloscritto anche ai partecipanti. Il Congresso stabilì la periodicità triennale
degli incontri e concluse i lavori con un reiterato appello alle Congregazioni
perché inviassero qualche soggetto alla Casa di Roma. P. Calenzio infatti era
morto nel 1915; p. Lais versava in pessime condizioni di salute e nel 1919
si ritirò a vivere privatamente. Da quel momento un continuo avvicendamento di Padri caratterizzò la vita della Comunità romana.
Allo scadere del triennio la S. Congregazione dei Religiosi indisse un nuovo Congresso con Circolare del 13 giugno 1921 che attraverso un questionario chiedeva di inviare alla stessa S. Congregazione proposte per l’incremento dell’Oratorio e chiedeva “se, nonostante la mutazione dei tempi, l’Istituto filippino debba rimanere tale e quale fu finora, o se, per contro, non
si debba applicare in qualche punto le prescrizioni del Diritto canonico vigente”. Era stato, infatti, promulgato nel 1917 il Codice di Diritto Canonico,
cui seguivano i Decreti del 26 giugno 1918 e del 21 ottobre 1921, che imponevano la revisione delle Costituzioni di tutti gli Ordini e le Congregazioni ed il loro adeguamento al nuovo Diritto.
Questo II Congresso delle Congregazioni italiane si svolse a Roma il 2324 novembre con la partecipazione di diciassette Case. Nell’incontro, a cui
partecipava anche il vecchio p. Castelli, mentre era morto in concetto di santità l’anno precedente mons. Arista, si decise di chiedere alle singole Congregazioni di formulare uno schema di revisione degli Instituta da inviare al
Rappresentante in Roma, figura di nuova istituzione che prese corpo in que-
37
Vedi, p. es., Lettera della S. Congregazione dei Religiosi, 13 giugno 1921, in Archiv. Procurae Generalis - Congressus Generales: “Conforme a quanto stabilito nel Congresso dei Prepositi delle Congregazioni dell’Oratorio d’Italia nel novembre 1918, questa S. C. ricorda a tutte le
Congregazioni d’Italia l’obbligo di inviare il proprio Superiore od altro rappresentante con pieni poteri…”
22
ANNALES ORATORII
sta assemblea. Al Rappresentante – individuato nel Preposito di Roma, che
allora era il p. Davide Viola, d. O. di Biella, passato in aiuto alla Casa di Roma – era demandata la rappresentanza delle singole Congregazioni presso la
Sede Apostolica, la relazione epistolare con le Case soprattutto per ciò che
concerneva l’attuazione delle deliberazioni congressuali, e la cura delle Comunità ridotte a meno di tre soggetti, e delle Congregazioni soppresse o estinte, nell’intento di risuscitarle o almeno di rintracciarne i beni.
Successe a p. Viola – entrato alla Trappa nel 1922, subito dopo i solenni festeggiamenti centenari della canonizzazione di San Filippo38 – il p.
Timpanaro, il quale, perdurando nella Casa di Roma la mancanza di soggetti ed altre gravi questioni, invocò la presenza di un Delegato Apostolico, nominato il 5 gennaio 1923 nella persona dell’Abate di San Paolo fuori le Mura, dom Ildefonso Schuster39.
Il Delegato Apostolico ritenne opportuno invitare anche le Case estere al nuovo Congresso celebrato a Roma dal 6 all’8 febbraio 1924 sotto la
sua presidenza. Diciassette Case italiane, due spagnole – Barcelona e Palma
de Mallorca – due polacche e una messicana parteciparono al Congresso;
svolsero l’ufficio di segretari due Padri che avranno un ruolo notevole nelle
successive vicende oratoriane, Paolo Caresana40, d. O. di Brescia e Cesare
Nanni41, d. O. di Bologna. La Congregazione di Roma fu affidata a quella di
Bologna, con non poche perplessità dato il numero esiguo dei soggetti della
Casa bolognese; ai pp. Castelli e Timpanaro venne affidata la revisione delle Costituzioni; e fu confermato quanto il precedente Congresso aveva deciso circa il Rappresentante delle Case.
38
Allietati da una Lettera di Papa Benedetto XV, furono solenni e memorabili. Dopo la ricognizione delle spoglie del Santo (per cui v. CAPPIO R., La ricognizione del corpo di S. Filippo Neri, in “L’Oratorio di S. Filippo”, 18 (1961), pp. 9, 8-10; 10, 8-10), l’urna fu portata per le strade
di Roma, in una processione che fu un autentico trionfo.
39
Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), beatificato nel 1985; LECCISOTTI T., Il Card. Schuster, 2 voll., Milano, 1969; MAJO A., La personalità spirituale del Card. A. I. Schuster, Milano,
1980.
40
Paolo Caresana (1882-1973), di Vigevano. Entrò nell’Oratorio di Brescia nel 1912 e dal 1934
al 1958 lavorò indefessamente a Roma, alla Vallicella, facendo rifiorire la Congregazione. Fu confessore di Giov. B. Montini (Paolo VI) che gli conservò un tenerissimo affetto, testimoniato anche
dall’epistolario: P. CARESANA-G. B. MONTINI, Lettere. 1915-1973, a cura di X. TOSCANI, Quaderni dell’Istituto Paolo VI, Ed. Studium, Roma, 1998.
41
Cesare Nanni (1890-1977); era entrato nell’Oratorio da pochissimi anni quando fu inviato
a Roma, non ancora quarantenne, come Preposito della Congregazione.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
23
Questo Congresso, che si chiuse tranquillamente, aprì il corso di una
lunga e tristissima vertenza tra p. Nanni – che, adottando ed adattando gli
antichi testi delle Costituzioni precedenti alla stesura ed all’approvazione
degli Instituta del 1612, decise ed attuò l’unione di alcune Case sotto la
Congregazione Romana ed esercitando su di esse l’autorità di Preposito
Generale – e p. Timpanaro che continuò indefessamente la sua opera di
araldo di una riforma rispettosa, alla luce dei progetti dell’Arista e del Castelli.
Non entriamo in questa vicenda che richiederebbe ampio spazio di trattazione. Solo è indispensabile citare, nel contesto di questa sintetica esposizione, che le vicende roventi di quegli anni fecero sospendere anche la convocazione dell’incontro congressuale che si sarebbe dovuto tenere nel 1927:
proprio in quell’anno, infatti, il Delegato Apostolico chiese l’intervento diretto della S. Congregazione dei Religiosi, la quale indisse una visita per la
Casa romana, affidandone il compito allo stesso Schuster. Gli indirizzi di p.
Nanni furono apertamente sconfessati e l’osservanza del tradizionale ordinamento oratoriano fu ristabilita.
Nel 1928 l’abate Schuster fu inviato a Milano come Amministratore Apostolico e l’anno seguente riceveva, insieme alla Porpora cardinalizia, la nomina di Arcivescovo; all’ufficio di Delegato Apostolico non fu dato dalla
Santa Sede un nuovo titolare.
Nel 1931, per iniziativa di p. Timpanaro – risultato vincitore nello scontro con le innovazioni del Nanni – si diede appuntamento ai Prepositi italiani in Cava de’ Tirreni, dove il 6 settembre, alla presenza del card. Lavitrano,
già vescovo di Cava ed ora arcivescovo di Palermo, antico penitente di p. Castelli, si traslarono al santuario di S. Maria dell’Olmo le venerate spoglie del
servo di Dio42 che si era spento il 21 luglio 1926. I Padri presenti a questo
rito ebbero occasione di parlare delle tante vicende intercorse dopo l’ultimo
Congresso, e rinnovarono a p. Timpanaro il compito, già affidato al Castelli
e a lui nel 1924, di rivedere le Costituzioni alla luce del nuovo Codice di Diritto Canonico.
Attivissimo ed infaticabile, p. Timpanaro riuscì ad organizzare un nuovo
Convegno, fissato a Bologna nei giorni 15-18 novembre 1932, nell’antico
monastero di san Vittore, proprietà dell’Oratorio bolognese. Vi parteciparo42
Il discorso fu pronunciato in quella occasione da p. Ettore Ricci (1866-1946), insigne Preposito dell’Oratorio Perugia, sacerdote pio e coltissimo, che la Chiesa Perugina annovera tra i suoi
figli illustri. RICCI E., Per il Servo di Dio P. Giulio Castelli, Tip. Di Mauro, Cava, 1934.
24
ANNALES ORATORII
no quindici delle diciannove Congregazioni43: da parte del Segretario della
S. Congregazione fu data assicurazione, a p. Filippo Bardellini44 inviato appositamente a Roma, sul placet della Santa Sede; si dedicò un esame minuzioso alle proposte di aggiornamento delle Costituzioni; fu richiamata la deliberazione del 1924 circa il Rappresentante a Roma – ora, secondo la terminologia del Codice del 1917, “Procuratore” – e si elesse a questo ufficio
p. Giulio Bevilacqua45, o p. Carlo Naldi se il primo non avesse accettato; si
stabilì che tutte queste decisioni sarebbero state sottoposte all’approvazione
del nuovo Congresso, fissato per l’aprile 1934; e si conclusero i lavori all’una di notte, con la firma dei verbali e con una memorabile adorazione eucaristica, guidata da p. Caresana.
3. 1933 -1958.
Il card. Lavitrano trasmise i voti del Convegno alla Santa Sede e p. Naldi, in sostituzione di p. Bevilacqua che subito aveva rinunciato all’incarico,
riferì a Roma i risultati del Convegno a mons. La Puma, segretario della S.
Congregazione. Questi lo indirizzò a p. Arcadio M. Larraona, docente all’Università Lateranense e qualificato canonista, di cui lo stesso mons. La Puma
affermava: “non si può trovare a Roma persona superiore per pietà e dottrina giuridica”. P. Larraona, come abbiamo ricordato, il 21 marzo veniva no43
È motivo di conforto, tra tante dolorose vicende, ricordare qui almeno alcuni Padri presenti,
uomini che illustrarono l’Oratorio con le preclare virtù della loro vita, di alcuni dei quali, morti in
concetto di santità, è in corso il processo di beatificazione: P. Paolo Caresana, Brescia; il Ven. P.
Filippo Bardellini, Verona; P. Carlo Mino, Biella; il Servo di Dio P. Raimondo Calcagno, Chioggia; P. Vincenzo Salsano, Cava (l’antico ragazzino che corse incontro a P. Castelli, al suo arrivo
alla stazione di Cava, e che non lo lasciò più, entrando anch’egli nell’Oratorio cavese).
44
P. Filippo Bardellini (1878-1956). Nato a Verona nel popolare quartiere dei Filippini, vi trascorse la fanciullezza e la giovinezza tra le difficoltà che in quegli anni spinsero molti all’emigrazione. Visse le primizie del suo sacerdozio tra le classi più povere e tra i giovani. Nel suo zelo ardente, nella pietà fervorosa, nella dedizione alle attività pastorali ebbe come guida spirituale
il futuro San Giovanni Calabria, che gli divenne non solo maestro, ma profondamente amico. Nel
1921 P. Filippo gettò le basi dell’Istituto delle “Poverette della Casa di Nazareth”, con l’intento di
dedicarsi, in primo luogo, alla gioventù minorata, spesso abbandonata e lasciata ai margini della
società. Giovanni Paolo II ne proclamò le virtù eroiche il 12 aprile di quest’anno.
45
Giulio Bevilacqua (1881-1965): uno dei grandi Oratoriani della Congregazione di Brescia e
dell’intero Istituto; Paolo VI, a lui legato da reciproca profonda stima ed amichevoli sentimenti,
lo creò Cardinale nel 1965. Uomo di ampia cultura e di iniziative pastorali coraggiose, lasciò un’orma profonda nella vita spirituale e culturale della Chiesa Italiana. FAPPANI A., Giulio Bevilacqua il Cardinale Parroco, Queriniana, Brescia, 1979. GUITTON J., San Filippo Neri ed il card. Bevilacqua, in “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, 22 (1965), pp. 7, 8-10; CE. DOC. (a cura), Scritti e
discorsi sul Card. Giulio Bevilacqua nel 25° della morte (1965-1990), Brescia, 1990.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
25
minato dalla S. Congregazione dei Religiosi Visitatore Apostolico dell’Oratorio con l’incarico della Visita Generale a tutte le Congregazioni filippine.
Il Decreto di nomina indicava chiaramente i problemi che il nuovo Visitatore era chiamato ad affrontare e risolvere: condurre a termine “inceptum conformationis ac revisionis [Constitutionum] opus”, estendendolo “etiam ad
particularia Statuta quibus Congregatio Oratorii Romana vel alia quaelibet
Congregatio actu utatur vel in posterum uti intendat”; disporre “omnia quae
ad bonum regimen, pacem et harmoniam Instituti vel singularum domorum
ac personarum spectat”.
Il 26 maggio dello stesso anno una circolare del Visitatore comunicava a
tutte le Congregazioni la decisione della Santa Sede e l’apertura della Visita
Generale, accludendo il Decreto della S. Congregazione che la istituisce;
elencava poi cinque Monita et Ordinationes relativi al primo scopo della Visita che era l’aggiornamento le Costituzioni da farsi in un Congresso Generale, nel quale tuttavia “si dovranno pure esaminare quelle questioni che possano riferirsi al bene generale dell’Oratorio”. Tutte le Congregazioni erano
invitate ad inviare suggerimenti. Il 19 giugno p. Naldi è nominato segretario
della Visita, e da questo momento, fino al 1942, sarà del P. Visitatore il più
stretto collaboratore.
“Il compito che p. Larraona si accingeva ad assolvere – scrive p. Cesare
Abbate46 – era in se stesso quanto mai arduo. Non si trattava solo, come per
gli altri Istituti religiosi, di adeguare le antiche Costituzioni al Codoce di Diritto canonico, ma anche, e soprattutto, di affrontare su piano giuridico quello scottante problema dell’unione fra le Congregazioni che, sollevato da
mons. Arista fin dal 1893, aveva diviso i Figli di san Filippo in tenaci oppositori da una parte e in appassionati caldeggiatori dall’altra e che, con alterne vicende, si trascinava ormai da un trentennio. Si trattava di dimostrare agli
immobilisti, agli autonomisti ad oltranza, che l’auspicata unione non implicava nessuna, benchè minima, deformazione dell’Istituto di S. Filippo, che
unico suo obiettivo era di salvare dal naufragio le poche – di moltissime che
erano – Congregazioni superstiti, di ripristinare possibilmente quelle soppresse o estinte, di fondarne delle nuove, di difendere insomma e perpetuare
l’eredità spirituale e materiale di S. Filippo: il tutto mediante una libera circolazione di aiuti”.
46
ABBATE C., Il card. Arcadio Larraona e l’Istituto dell’Oratorio, in “In Aevum”, XXI
(1959), 11-12, pp. 144 ss.
26
ANNALES ORATORII
Il nuovo Congresso, fissato a Roma per il 12-16 settembre 1933, si celebrò, sotto la presidenza di p. Larraona, con la partecipazione di una trentina
di Congregazioni italiane, spagnole, tedesche, e inglesi, e discusse lo Schema correctionum ac variationum quae in Constitutionibus faciendis proponuntur, preparato dallo stesso Visitatore. L’apporto più innovativo in questa
prima fase di revisione riguarda indubbiamente il cap. IV del testo riformato, che, sviluppato poi più ampiamente, costituirà gli Statuta Generalia. Si
concentrò l’analisi soprattutto sulla definizione che venne data della Congregazione: “L’Istituto di S. Filippo Neri, da lui fondato in Roma, per divina ispirazione, come si crede, è società clericale di diritto pontificio, formata da sacerdoti e chierici secolari e da fratelli laici che vivono in comune, senza voti”; “è costituito di diverse Case che sono chiamate Congregazioni” indipendenti ed autonome, ma “congiunte tra loro da vincoli specialmente morali”.
Vi fu chi guardò con sospetto a questa definizione, nella quale, se al termine “Institutum” si fosse dato il valore di “Corpus institutum”, poteva venir meno la fedeltà alla mens del Fondatore ed al dettato delle Bolle di erezione della Congregazione de Urbe e delle altre Case. Non mancò chi vide
nella formula “Istituto…costituito di diverse Case ” l’idea del Castelli, dell’Arista e di tanti altri che abbiamo incontrato lungo questo excursus.
Il Congresso si chiuse tra le perplessità di alcuni e la soddisfazione di altri. Le molte osservazioni pervenute al Visitatore sul primo abbozzo delle Costituzioni inviato alle Congregazioni nell’autunno del 1935, determinarono
un lavoro di riordino che fece considerare impensabile un Congresso nel
1936, secondo la cadenza triennale. Il lavoro di p. Larraona, anche in questa
fase della revisione dei testi, puntualmente inviata alle Congregazioni per riceverne pareri e suggerimenti, fu immenso. Nei mesi di settembre e ottobre
egli volle anche recarsi personalmente nelle Case di Inghilterra, Spagna e
Germania per illustrare quanto potesse implicare difficoltà; e le stesse dilucidazioni furono portate nei mesi successivi, di persona o mediante il segretario della Visita p. Naldi, alle Case d’Italia e di Polonia.
L’analisi scrupolosa di tutti i rilievi fu condotta, ancora una volta, con solerte attenzione, e diede origine ad una seconda stesura dei testi costituzionali (“Revisio et accomodatio ad Codicem Constitutionum Oratorii atque
Statutorum Generalium redactio et subsequens expolitio – Textus emendatus
Constitutionum cum animadversionibus Congregationum”). Ma la guerra civile in Spagna e lo scoppio della guerra mondiale nel 1939 costrinsero a ulteriori rinvii del Congresso già fissato per l’ottobre 1939. Nel 1942 p. Lar-
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
27
raona, dietro suggerimento della Sacra Congregazione, decise di rompere gli
indugi e convocò per aprile, benché la guerra in Europa fosse in pieno svolgimento, un Congresso delle Congregazioni Italiane, chiedendo però a tutte
le altre di inviare ancora osservazioni sulla seconda stesura. Con certosina
pazienza accolse tutto ciò che dalle Case filippine gli era giunto e formulò le
“Modificationes quae ex novis receptis animadversionibus proponuntur”
Il Congresso del 1942, convocato dal P. Visitatore e da lui presieduto come “straordinario […] non propriamente giuridico, equiparando a quelli cioè
che sono definiti nei nuovi Statuti”47, si celebrò alla Vallicella dal 20 al 23
aprile, con la partecipazione di una cinquantina di Padri.
Aperto nelle camere di S. Filippo la sera del 20 aprile con una breve celebrazione inaugurale, si svolse con le ampie relazioni del P. Visitatore sui testi costituzionali, e la discussione degli stessi in vista della loro approvazione, ma non mancò il tempo per una serie di interventi su temi significativi:
p. Caresana tenne due relazioni su “Lo spirito filippino ed i suoi caratteri” e
“Apostolato del Confessionale e della Direzione Spirituale”; p. Angilella su
“Il Collegio Filippino Internazionale Pio XII”; p. Cottinelli relazionò su “Il
Sacerdozio e la vita filippina” e p. Timpanaro su “L’Oratorio Secolare”; i pp.
Mino e Meggiolaro affrontarono il tema: “Vocazioni filippine: selezione, ammissione, formazione, incardinazione”; p. Bevilacqua parlò dell’ “Apostolato filippino e apostolato del Filippino”, p. Acchiappati dello “Spirito liturgico e apostolato liturgico”; p. Cistellini dell’ “Apostolato della cultura e dell’insegnamento”, p. Gasbarri di “Apostolato filippino e Azione Cattolica”.
Il Congresso si chiuse con una “Serata filippina”, nell’Oratorio del Borromini, introdotta da un discorso di p. Bevilacqua su “Ideale filippino vissuto” e conclusa dalle parole di saluto di p. Caresana.
I nuovi ordinamenti costituzionali, frutto di tanta fatica e di così attenta
elaborazione, furono approvati. Su indicazione del Congresso e con delega
della Santa Sede, il P. Visitatore elesse la Deputazione Permanente, prevista
negli Statuti Generali, la quale procedeva, tra l’altro, alla ratifica delle correzioni apportate dal Congresso; e p. Larraona assunse ad interim l’ufficio di
Procuratore Generale per il quale non diede la propria disponibilità p. Naldi,
che si sentiva un po’ messo da parte e soffriva della decisione del Congresso di trasferire la sede della Procura dalla casa di S. Nereo, decorosamente
47
Lettera di convocazione in Arch.Pr.Gen.: Congressus Generales, 1942.
28
ANNALES ORATORII
da lui adattata, alla disagiata residenza di S. Girolamo della Carità dove p.
Naldi già aveva abitato all’inizio del suo mandato.
Ai testi costituzionali, approvati ad experimentum in attesa del nuovo
Congresso da celebrarsi al termine della guerra, fu data conferma da Pio XII
ex Audientia Sanctissimi il 4 aprile 1943.
Il testo edito si presenta suddiviso in due parti: il frontespizio della prima
reca: “Constitutiones Congregationum Instituti Oratorii S. Philippi Nerii, a
Paulo V per Breve “Christifidelium” (24. II.1612) approbatae et post diligentem Codicis Juris Canonici accommodationem, a Sacra Congregatione
de Religiosis ex Audientia SS.mi (die 12 apr.1943) ad experimentum confirmatae”; sul frontespizio della seconda parte il titolo: “Statuta Generalia Congregationum atque Instituti Oratorii S. Philippi Nerii a Sacra Congregatione de Religiosis ex Audientia SS.mi (die 12 apr. 1943) ad experimentum confirmata” 48.
A p. Arcadio M. Larraona si deve, oltre all’immenso lavoro di revisione
delle Costituzioni, la configurazione dell’Insitutum Oratorii quale gli Statuti Generali lo presentano e l’Autorità Apostolica lo ha sancito. Sta qui la sua
creazione giuridica che diede forma e vita al sogno di mons. Arista. Le “domus sui iuris” formano una confederazione, denominata “Institutum Oratorii S. Philippi Nerii”, di cui il Congresso Generale è prima espressione ed organo supremo, e dal quale emanano tre organi centrali: la Deputazione Permanente – che fa le veci del Congresso –, il Procuratore Generale – che rappresenta giuridicamente l’Istituto e se ne prende cura, sia nel suo complesso
sia nelle singole Congregazioni, difendendone i diritti, rivendicandone i beni, accorrendo dove la necessità lo richieda, promuovendone la diffusione,
potenziandone la compattezza – e il Postulatore Generale, con il compito specifico di avviare e sostenere le cause di beatificazione e canonizzazione.
Anche chi, nell’Oratorio, conservò dei dubbi sulla positività della nuova
scelta istituzionale, non mancò di riconoscere a p. Larraona, insieme alla considerazione più alta per la dedizione con cui lavorò ed alla stima per la sua
splendida figura sacerdotale – che sarebbe stata onorata da papa Giovanni
XXIII con la Porpora cardinalizia –, il merito di aver seguito, nel lavoro di
revisione, criteri di reverenziale rispetto nei confronti degli antichi Instituta
approvati da Paolo V nel 1612.
48
Ampio commento in ABBATE C., Costituzioni e Statuti Generali, versione italiana, note e appendici, Acireale, 1956.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
29
Le opinioni critiche sugli Statuti Generali e sulla natura della nuova istituzione furono particolarmente vivaci nelle due Congregazioni inglesi49, timorose che nel dispositivo degli Statuti potesse trovarsi un “novum quoddam
instrumentum gubernandi”, ma la grandissima maggioranza delle Congregazioni accolse le decisioni del Congresso nella consapevolezza che qualcosa
di altamente positivo era stato compiuto. Non si era certo trovato il rimedio
a tutti i problemi, ma le Congregazioni oratoriane, operanti in tempi e situazioni, anche ecclesiali, così diversi da quelli delle origini, avevano a disposizione uno strumento di comunione atto a garantirne l’autonomia voluta dal
Fondatore, ed impegnato a difenderne e promuoverne la vita e l’identità oratoriana.
Con Lettera Circolare datata Corpus Domini 194350, p. Larraona comunicava alle Congregazioni l’avvenuta approvazione delle Costituzioni e degli
Statuti Generali, affermando che essi “sono esattamente il testo riveduto nel
Congresso del 1942, dopo le rinnovate osservazioni avute dalle Congregazioni delle diverse Nazioni”; e riguardo all’identità della nuova istituzione,
per indicare la quale “è stata ricevuta la formula chiara e tecnicamente assai
adatta di Istituto dell’Oratorio”, il Visitatore afferma: “Se il senso concreto
di questa espressione potesse dirsi in qualche modo nuovo, come la formula
dell’unione fraterna che esprime, potremmo dire di esso quel che ci diceva
Pio XI dei Congressi Filippini: è una felice novità”. “L’Istituto dell’Oratorio,
-continua la Circolare- nella forma rispettosa , larga e flessibile che riveste,
secondo la mente della S. Congregazione, può e deve recare indubbie utilità
e vantaggi certi d’ordine giuridico e morale a tutte le Congregazioni. […]
Tutti ricordate che noi le abbiamo avute sempre, e in tutte le nostre deliberazioni, presenti, non meno presenti che se lo fossero di persona, e che non
una delle osservazioni arrivateci da esse fin dal 1935 è andata dimenticata.
Di tutte abbiamo fatto tesoro, tutte sono state, come se i proponenti fossero
presenti, vagliate, discusse, approfittate”.
Il Congresso Generale del 1948, convocato e presieduto da p. Larraona
dal 4 al 9 ottobre, diede piena ratifica – con qualche lieve modifica – alle decisioni del 1942. La cinquantina di partecipanti rappresentava questa volta
anche alcune Congregazioni che non avevano potuto essere presenti al precedente: del Messico, dell’Inghilterra, della Germania.
49
50
Cfr. CISTELLINI A., Intorno all’indole…, p. 88.
Arch.Pr.Gen.: Visit.res Ap.lici - Larraona.
30
ANNALES ORATORII
Il momento più importante del Congresso furono le prime elezioni, che
diedero a p. Edward Griffith51, dell’Oratorio di Londra l’incarico di Procuratore Generale.
Nella mente e nel cuore di p. Timpanaro, che ebbe l’incarico di Postulatore Generale, questo Congresso ebbe una risonanza vivissima, perché egli
vi vide la definitiva attuazione dell’“idea di Mons. Arista, che in cielo avrà
esultato con San Filippo e con tutti i Beati dell’Oratorio” 52. Ricordo di tale
entusiasmo rimane anche una pittura di Giambattista Conti che raffigura, in
basso, il Congresso raccolto intorno alla Cattedra di Pio XII, mentre circondano la Sedia Apostolica i Papi che particolarmente operarono a favore dell’Oratorio: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, e sullo sfondo, raffigurati in medaglioni, i primi Pontefici legati alla persona ed all’opera di san
Filippo: Gregorio XIII, Paolo V, Gregorio XV; in alto, il cielo aperto mostra
l’Oratorio del Paradiso, stretto intorno a Maria, “Madre e fondatrice”: Padre
Filippo ed i suoi primi discepoli, S. Francesco di Sales ed i Beati dell’Oratorio, alcuni Venerabili Padri che lungo i secoli illustrarono le Congregazioni, ed in primo piano mons. Giavanbattista Arista con p. Giulio Castelli ed
il card. Alfonso Capecelatro, e p. Clemente Benedettucci con p. Recanatesi
ed altri; di lato ad essi, un po’ in disparte, il card. John Henry Newman, fondatore dell’Oratorio in Inghilterra, posto là “solo per il nome” dice un dattiloscritto anonimo, conservato nell’Archivio della Procura Generale, che
commenta la raffigurazione, e che ha tutto lo stile di p. Timpanaro, probabile ispiratore della composizione pittorica.
“Bello e consolante – scriveva p. Timpanaro in preparazione al Congres53
so – ricordare i lavori compiuti, i trionfi dal 1919 al 1924, ed anche i dolori patiti, le mortificazioni sostenute, le ingiustizie sofferte, ricordare tutto
per benedire il Signore e ringraziarlo delle sue grazie e dei suoi favori…”.
La prosa del Timpanaro, come la pittura commissionata al Conti, svela il temperamento del “rumoroso regista” 54, ma anche i palpiti del cuore latino di un
51
Edward Griffith (1899-1959), convertito alla fede cattolica dall’anglicanesimo. CISTELLINI
A., Intorno all’indole…, cit. p.93: “Uomo di amabile tratto, di buona cultura, a tutti bene accetto e a tutti disponibile, si dedicò subito e senza risparmio, e ininterrottamente anche in seguito,
ad attuare i deliberati congressuali e a far funzionare la nuova macchina…Durò un decennio in
questo ufficio, ed il bilancio conclusivo fu da lui tracciato in una lunga relazione di 83 fogli, inviata a tutte le Congregazioni prima del Congresso del 1958”. Fu anche il primo Visitatore eletto dal Congresso dopo il decreto della Santa Sede che istituiva questo ufficio.
52
TIMPANARO G., Mons. Arista…, p. 111.
53
ID., ibidem.
54
CISTELLINI A., Intorno all’indole…, p. 75.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
31
uomo che ha combattuto lealmente per l’ideale in cui fortemente credeva, e
che la Confederazione dell’Oratorio fa bene a non dimenticare.
Pacato ma ugualmente acceso di amore per l’Istituto, p. Griffith scriverà,
al termine dei suoi dieci anni di servizio, e a sedici anni dall’inizio della nuove istituzione: “è una transazione legale…ci vorranno anni perché diventi spirito e vita” 55.
Un argomento, in particolare, fu quello intorno a cui si concentrò l’interesse del Congresso. E merita di essere sottolineato per i suoi sviluppi successivi: la Visita periodica alle Congregazioni, in sostituzione della Visita
Apostolica che rivestiva carattere transitorio.
La prima Visita affidata ad un Oratoriano risaliva – a quanto è possibile
documentare – al 1899, allorchè p. Benedettucci ricevette l’incarico di visitare alcune Congregazioni. Da allora la necessità di un Visitatore o di Visitatori permanenti fu sostenuta non da pochi; fra questi mons. Arista, che, nel
suo “Schema d’unione fra le Case della Congregazione Filippina in Italia”,
postulava una serie di sei Visitatori, uno per ciascuna delle sezioni in cui aveva pensato di distribuire le Congregazioni italiane56.
I tempi non erano però maturi, e la tesi di un Visitatore filippino era destinata ad insabbiarsi: “troppo alte erano ancora le mura delle cittadelle -scrive p. Abbate- perché una simile idea potesse scavalcarle; troppo gelose della loro assoluta ed incontrollata libertà erano ancora in gran parte le Congregazioni; troppo spirito conservatore serpeggiava in esse. Se la semplice idea
di una unione morale intesa a sollecitare un aiuto reciproco aveva suscitato
un vespaio di reazioni e polemiche, si può facilmente immaginare qual seguito o accoglienza potesse riscuotere il progetto d’un Visitatore che prendesse in esame l’andamento delle singole Case …” 57.
Accantonata per anni, l’idea riemerge in una proposta della Congregazione Romana che si trova registrata nelle citate “Modificationes…” del p. Larraona.
Il Congresso del 1942 convenne sulla necessità di istituire la Visita periodica, ma l’importanza della questione, attesa anche l’assenza delle Congregazioni estere, indusse p. Larraona a soprassedere.
55
Lettera fraterna del Procuratore Generale sulla vita oratoriana e le attività della Procura
1948-1958.
56
Vedi ABBATE C., Il card. Arcadio M. Larraona…, cit. pp. 154 ss.
57
op. cit. pp. 155-156.
32
ANNALES ORATORII
Il Congresso del 1948 riprese il tema, che fu ampiamente illustrato dal P.
Visitatore. Messa ai voti, la proposta di introdurre la Visita fu accolta all’unanimità.
P. Larraona si era detto disposto a delineare in un testo specifico la nuova figura giuridica, ma i suoi crescenti impegni nella Curia Romana – fino
alla responsabilità di segretario della S. Congregazione per i Religiosi (11
novembre 1950) – non glielo consentirono.
Rimane di lui il testo scritto a commento della proposta fatta dalla Casa
di Roma per il Congresso del 1942, che riproduciamo in tradizione italiana:
“Né nelle Costituzioni, né negli Statuti la questione è stata trattata. Senza
dubbio però si dovrebbe provvedere, con norma interna e propria dell’Istituto Filippino. È una necessità canonica, dal momento che non si trova alcuna istituzione ecclesiastica, religiosa, clericale o laicale, che non sia periodicamente visitata (generalmente ogni cinque anni) dall’Ordinario del
luogo, o da un Superiore Maggiore interno, o da entrambi nei confini della
propria sfera. Pare assurdo che vi sia un’istituzione canonica che non possa
e non debba essere visitata da un competente Superiore. Cosicchè, se questa istituzione abbia motivo di essere corretta, […] si debba ricorrere, come
rimedio ordinario, alla Visita Apostolica, la quale dev’essere riservata sempre a casi straordinari e appare odiosa e può riuscire pericolosa se è troppo
frequente. Tutto ciò è chiaro. Ma come potranno essere istituite Visite canoniche interne senza che siano sentite come onerose dalle Congregazioni
che non ne sono abituate? Innanzitutto bisogna notare che da queste Visite
non dev’essere attentato all’autonomia che riguarda il regime interno. Inoltre sarà bene osservare che il Visitatore, in actu Visitationis, è Superiore
Maggiore, ma se la Santa Sede non disporrà diversamente, terminata la Visita non ha più potestà. Ciò detto, potrebbero essere messe a studio diverse
possibilità per risolvere la questione in modo meno inviso ai Filippini e maggiormente rispondenti alla speciale natura dell’Istituto. Eccone alcune: 1°)
dare ai Congressi Nazionali la facoltà di nominare i Visitatori, i quali, con
l’autorità concessa dalla Santa Sede per costituzione o statuti, ogni cinque
anni visitino le Congregazioni; 2°) riconoscere alla Deputazione Permanente la potestà di scegliere i Visitatori dalle singole nazioni; 3°) dare la facoltà ai Procuratori Nazionali. […] È lunga la strada per giungere a formulazioni mature. E, anche formulate, romana patientia et prudentia dovrebbero essere esaminate” 58.
58
Op. cit. pp. 156-157.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
33
4. 1958 - 2000.
Il Congresso Generale del 1958, presieduto da p. Edward Griffith, nel suo
riunirsi il 1 ottobre prese atto della decisione con cui l’Autorità Apostolica,
con Decreto del 24 settembre, aveva istituito il Visitator Oratorii S. Philippi, la cui elezione era affidata al Congresso e la nomina riservata alla Santa
Sede. Il Decreto istitutivo delineava anche la nuova figura giuridica ed i suoi
compiti, dal momento che, dopo venticinque anni, era posto termine alla Visita Apostolica.
Alla decisione aveva fondamentalmente contribuito il Visitatore Apostolico che succedette al Larraona, p. Enrico di S. Teresa, O.C.D. (Romolo Compagnone, poi vescovo di Anagni). Ma non si può pensare che p. Larraona ne
sia stato estraneo, non foss’altro perché rivestiva, in quel tempo, la carica di
Segretario della S. Congregazione dei Religiosi.
Trattandosi di Decreto della Sede Apostolica, il provvedimento, non fu
messo, ovviamente, in discussione nel Congresso; ma, giunto inatteso ai Congressisti, se fu salutato con grande favore dai molti che vedevano in esso il
termine di una presenza non oratoriana nella Visita alle Congregazioni dell’Oratorio, lasciò scontenti alcuni che non mancarono di sottolineare come,
contrariamente a quanto era sempre avvenuto nel lungo corso delle vicende
oratoriane, era stabilita una soluzione senza che fosse chiesto un parere.
Nel Congresso, ricevuto in Udienza a Castel Gandolfo da Pio XII, giunto
ormai agli ultimi giorni della sua vita, p. Edward Griffith fu eletto al nuovo
incarico di Visitatore e p. John Nedley, d. O. di Rock Hill, gli successe in
quello di Procuratore Generale. Alla prematura scomparsa di p. Griffith nel
195959, la Sede Apostolica, su indicazione della Deputazione Permanente, nominò Visitatore p. Ugo Oggè, d. O. di Mondovì, che esercitò il suo ufficio
fino al Congresso successivo.
Nel 1969 si celebrò il primo Congresso Generale dopo la fine della Vista
Apostolica60. Presieduto da p. Patrizio Dalos, Preposito d. O. di Roma, e aperto dalla Relazione di p. J. Gulden61, fu dedicato ad una nuova revisione de59
ABBATE C., Il P. Edoardo Griffith, primo Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio e
primo Visitatore, in “In Aevum”, maggio-giugno 1960, pp. 75-86; In memoriam di P. Griffith, in
“L’Oratorio di San Filippo Neri”, XVI (1960), 9, p.7; Fr.Edward Griffith, in “The Oratory Parish
Magazin” Londra, 7., 1959. P. Griffith, morto in Italia, volle essere sepolto nella tomba dei Padri
di Mondovì.
60
Cronaca del Congresso in “Oratorium”, I (1970), 1, pp. 62-63.
61
GULDEN J., Zeitgemasse Erneuerung im Oratorium des hl. Philipp Neri, in “Oratorium. Ar-
34
ANNALES ORATORII
gli ordinamenti costituzionali con il dichiarato intento di aggiornarli alla luce del Concilio Vaticano II. La Deputazione Permanente e le Commissioni
istituite a questo scopo avevano elaborato nuovi testi che confluirono, dopo
essere stati discussi ed approvati, nelle “Constitutiones seu Instituta Oratorii
S. Philippi Nerii a Congressu Generali Oratoriano anni 1969 approbatae” e
negli “Statuta Generalia Confoederationis Congregationum Oratorii S. Philippi Neri”, promulgati “ad experimentum” dal Delegato della Sede Apostolica - questa la nuova denominazione stabilita62. L’Institutum assunse da quel
momento il nome di “Confoederatio Oratorii S. Philippi Neri”, adottando peraltro un termine che già compariva negli Statuti Generali del 194363.
Fu eletto “Delegato della Sede Apostolica” p. Paul Turks, d. O. di Aachen,
e p. John Nedley fu riconfermato nell’ufficio di Procuratore Generale64.
Seguì nel 1975 il Congresso Generale65 presieduto da p. Edward Wahl,
d.O. di Rock Hill, e dedicato a temi prevalentemente pastorali, che rinnovò
l’incarico di Delegato a p. Paul Turks e confermò Procuratore Generale p.
Walter Oddone, d. O. di Torino, il quale si dimise per motivi di salute nel
1978 e fu sostituito da p. Luigi Romana, d. O. di Mondovì.
I successivi Congressi Generali del 1982 e del 1988 furono nuovamente
dedicati all’esame dei testi costituzionali, in vista della definitiva approvazione, che venne dopo l’adattamento dei testi al nuovo Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983.
Presieduto da p. G. Cittadini, d. O. di Brescia, il Congresso del 1982 elesse Delegato della Sede Apostolica p. Michael Napier, d. O. di Londra, e Procuratore Generale p. Antonio Dario, d. O. di Verona, confermati nei rispetti-
chivum Historicum Oratorii S. Philippi Nerii. Semestrale commentarium de rebus oratorianis, a
Congregatione Oratorii de Urbe editum”, d’ora in poi citato “Oratorium” I (1970), pp. 5-20. Per
un’ampia analisi della relazione di Gulden, sulla base di inoppugnabili argomenti storici, vedi CISTELLINI A., “Quale Oratorio? Quale Congregazione?”, in “Memorie Oratoriane”, vol. I, suppl.
al n. 2, marzo 1975, pp. 3-19.
62
Stat. Gen., Appendix de Delegato Sedis Apostolicae…A 3): “Delegatus Sedis Apostolicae
munus Visitatoris canonici Oratorii S. Philippi habet”.
63
Stat. Gen., §3: “ Auctoritate Apostolica confoederatio quaedam […] ad normam horum Statutorum, creata fuit quae “Institutum Oratorii S. Philippi Nerii” iure denominatur”.
64
Si dimise nel 1971, e la Deputazione Permanente chiamò a sostituirlo P. Walter Oddone.
65
Cronaca del Congresso in “Oratorium”, VII (1976), 1, pp. 67-69. I temi trattati: la predicazione quotidiana della Parola di Dio; la preghiera; la vita comune oratoriana; Vocazioni e formazione; l’Oratorio e la diocesi.
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
35
vi incarichi dal Congresso del 1988, presieduto da p. P. Turks, in cui si ebbe
l’approvazione in via definitiva dei nuovi testi delle Costituzioni e degli Statuti Generali: ratificati dal Decreto del 21 novembre 1989 della S. Congregazione dei Religiosi, essi furono pubblicati sotto il titolo: “Constitutiones et
Statuta Generalia Confoederationis Oratorii S. Philippi Nerii”.
Nel 1994 il Congresso Generale, presieduto da p. Giulio Cittadini, fu dedicato alla discussione ed approvazione del Direttorio: “L’Oratorio di S. Filippo Neri. Itinerario Spirituale”. Il Congresso, celebrato dal 2 al 7 ottobre,
elesse Delegato della Sede Apostolica p. Antonio Rios Chavez, d. O. di Città del Messico e Procuratore Generale p. Edoardo Aldo Cerrato, d. O. di Biella, e diede inizio ufficiale ai festeggiamenti del IV centenario66 del dies natalis di S. Filippo Neri, con una solenne Eucarestia presieduta in S. Maria in
Vallicella, dal card. Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per Roma. In questa occasione fu consegnata al Procuratore Generale la Lettera Pontificia67
che offriva ai figli di san Filippo una riflessione su alcuni fondamentali aspetti dell’esperienza e dell’insegnamento del Santo.
Il centenario ebbe a Roma, nel corso del 1995, manifestazioni artistiche e
culturali di notevole rilevo68 e manifestazioni religiose, quali la X Giornata
Mondiale della Gioventù, celebrata a Roma con momenti forti nell’Aula
“Paolo VI” – dove, alla presenza di Sua Santità, la veglia di preghiera fu
tutta incentrata sulla figura di San Filippo Neri attraverso l’azione scenica e
musicale “Paradiso, paradiso” di Marco Frisina69 – e nella grande veglia di
Pentecoste con i giovani di Roma.
Le celebrazioni romane furono onorate da una nuova visita di S. S. Giovanni Paolo II alla Vallicella domenica 28 maggio 1995, durante la quale il
66
Per i precedenti centenari della nascita di S. Filippo, vedi GASBARRI C., I tre centenari del
‘dies natalis’ di San Filippo, in “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, 25 (1968), 1, pp. 4-11; 2, pp. 2330.
67
In “L’Osservatore Romano”, 19 ottobre 1994.
68
Cataloghi delle Mostre Romane: Palazzo Venezia, maggio 1995-gennaio 1996, La regola e
la fama. S. Filippo Neri e l’arte, Electa, Milano, 1995; Biblioteca Vallicelliana, 24 maggio-30 settembre 1995, Messer Filippo Neri, Santo. L’Apostolo di Roma, De Luca, Roma, 1995. Atti del
Convegno di Studio Roma, 11-13 maggio 1995: San Filippo Neri nella realtà romana del XVI secolo, a cura di M.T. BONADONNA RUSSO e di N. DEL RE, Roma, 2000.
69
FRISINA M., Paradiso, paradiso, Roma, 1995. L’Anno centenario ha prodotto altri testi teatrali: FANTACCI A., Fiorentino anche in Paradiso. Commedia in tre atti, ediz. a cura delle Suore
di S. Filippo Neri, Firenze, s.d.; PAVAN M., Filippo Neri, Santo “giovane”, Vicenza, 1995; COSTATINI G., Santo Filippo degli opposti amen. Mistero in quattro atti, Vicenza, 1995.
36
ANNALES ORATORII
santo Padre presiedette la solenne Concelebrazione70 cui presero parte numerosi Padri dell’Oratorio provenienti da varie Nazioni.
Il Congresso Generale del 2000, dopo tante assisi dedicate ai testi legislativi, tornò ad essere di natura pastorale, ed affrontò il tema: “L’Oratorio Secolare nel III Millennio”. Per questo motivo fu caratterizzato, nella sessione
di studio che precedette la sessione canonica, dalla presenza di più di sessanta laici, rappresentanti di vari Oratori Secolari di diverse Nazioni e dai
rappresentanti di varie Comunità oratoriane in formazione.
A presiedere il Congresso fu eletto p. Edoardo Aldo Cerrato, che fu riconfermato Procuratore Generale; p. A. Rios ricevette un nuovo mandato nell’incarico di Delegato della Sede Apostolica.
Due fondamentali relazioni71 e vari interventi della tavola rotonda72 presentarono la storia, la profezia e l’attualità dell’Oratorio.
Lo sguardo posto sull’attualità dell’Oratorio ha consentito, tra l’altro, di
mettere in evidenza un dato significativo: nel corso del secolo XIX, che vide spegnersi un numero considerevole di Case, soltanto una decina di Congregazioni era sorta; nel secolo XX che assiste alla fine di un altro buon numero di Case, si ebbero pochissime nuove fondazioni prima del 1933; a partire, invece, da questa data, inizio della Visitatio Apostolica e della Procura
Generale, l’incremento è notevole.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, ricevendo in speciale Udienza i partecipanti, si rallegrò “della crescita che l’Oratorio sta conoscendo in diverse
parti del mondo”, e facendo esplicito riferimento all’istituto della Confederazione disse: “Le vostre Congregazioni, fedeli all’autonomia voluta dal santo Fondatore, vivono particolarmente legate alla realtà delle Chiese particolari ed alle situazioni locali. Ma occorre non dimenticare l’importanza che
pure riveste, nella vita delle Comunità e dei loro membri, il legame fraterno
con le altre Congregazioni che costituiscono la Confederazione. È attraverso
tale legame che la caratteristica autonomia delle singole Case si apre al do70
“L’Osservatore Romano” 29-30 maggio 1995.
BONADONNA RUSSO M.T., L’Oratorio di s. Filippo Neri; CARRIQUIRY LECOUR G., El Oratorio en la mision de la Iglesia al alba del Tercer Milenio. I testi sono stati diffusi dalla Procura
Generale, con altro materiale, nella “Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”, pro manuscripto, cura Procurationis Generalis Oratorii editum, Romae, 2000.
72
Tra essi, DE LLANOS PENA F., El Oratorio que somos, el Oratorio que imaginamos. Vedi
in “Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”.
71
E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio”
37
no della fattiva carità e le Comunità confederate trovano un valido aiuto a
crescere nella fedeltà al carisma oratoriano” 73.
Anche il Card. Eduardo Martinez Somalo, prefetto della Congregazione
per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, non mancò
di sottolineare l’importanza dell’istituto confederale, ricordando l’opera
svolta da p. Arcadio Maria Larraona: “Carissimi Padri e Laici dell’Oratorio,
vivete in pienezza di fedeltà il carisma che Dio vi ha dato nella persona di
Padre Filippo.
Vivete all’interno delle vostre Congregazioni e degli Oratori Secolari il
rapporto familiare, caratteristico della vostra tradizione; vivetelo anche nel
vincolo che lega le Comunità ed i singoli in Confederazione.
Quando la Sede Apostolica stabilì, in anni passati, di riunire le vostre “Domus sui iuris” in Confederazione, lo fece per offrirvi uno strumento idoneo
alla fraterna comunione, e si servì, nel dare forma e corpo a questo vincolo
di carità operosa, del grande cuore e della lucida mente di Padre Arcadio Maria Larraona, poi Cardinale di S. Romana Chiesa. Quanto egli amasse l’Oratorio di San Filippo e quanto ne abbia preservata l’essenza, voi lo avete dimostrato elaborando i vostri nuovi Statuti Generali, approvati nel 1989, in
sostanziale conformità con ciò che egli aveva impostato.
Amate questo strumento di comunione che è la Confederazione, e valorizzatene gli organismi, affinchè l’Oratorio cresca rigoglioso nella Santa
Chiesa di Dio, “circumdata varietate” secondo la bella immagine biblica assunta, per esprimere la ricchezza di doni nella Chiesa, dal vostro confratello,
il Ven. Card. Cesare Baronio, discepolo e primo successore di San Filippo” 74.
Edoardo Aldo Cerrato, C.O.
73
“L’Osservatore Romano” 6.10.2000.
“Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”, pro manuscripto, cura Procurationis Generalis Oratorii editum, Romae, 2000.
74
39
R. Mas, El Padre Eduardo Griffith
Rariora
IN MEMORIAM
EL PADRE EDUARDO GRIFFITH
*
Esta vez todo era más triste al pisar la clara tierra italiana. Tres horas, para saltar el mar, desde tierra adentro, parecían demasiado. Nunca se me hizo,
más misterioso el rumor inmutable de las hélices, que en cuatro surcos invisibles, perforaban la transparencia del aire. Ni tan leves las nubes blancas; ni
tan triste la fuerza tersa del mar azul, bajo los ojos; ni tan lisa y muda la claridad del cielo...
Iba a rendir el último homenaje a los restos venerables que fueron esbelta columna de un espíritu claro y peana serenísima de un corazón inmenso,
consumido generosamente en bien del Instituto del Oratorio y de todos sus
miembros. Era todo un gentleman del espíritu, y el. Señor le acababa de conceder la extrema elegancia de morir con el corazón dilatado y exhausto, tal
vez para que la dolencia física sirviera de símbolo a la semejanza típica con
San Felipe, y para descubrir una entrega sin límites a la misión paternal que,
sobre todas las Congregaciones del Oratorio, la Providencia le encomendó.
Descanse en paz el que tanto afán puso en servir a todos, sin molestar y
sin cansar a nadie; el que fue el primero en el sacrificio, el más generoso en
la entrega; el que fue maestro de lealtad y fidelidad al espíritu de San Felipe; el que fue más hermano y, por esto, más padre de todos, y supo, con prudencia y valentía, con sencillez y dignidad, con alegría y sacrificio, con. verdad y caridad, custodiar y defender la herencia de San Felipe y llevar hasta
aquí, por el cauce abierto y sereno con que la Santa Iglesia ampara su camino, la nave del Oratorio.
Ha muerto en Toscana, la región italiana donde San Felipe nació. San Felipe nacíó en Florencia, valle de flores rodeado de laderas con cipreses inhiestos que señalan el cielo y con un río que arrastra hacia el mar el rumor
de las alas de los ángeles que pintó Fray Angélico y que extasiaron a Pippo
Buono. Y el padre Eduardo Griffith moría en la orilla de este mar, en Livorno, donde las proas de las naves apuntan al cristal de las aguas marinas, que
*
“VIDA ORATORIANA”, Barcelona, agosto-sept.1959, nn. 128-129, pp. 120-123.
40
ANNALES ORATORII
se abre como un campo flúido y azul, igual que el escudo de los Neri, en el
que las tres estrellas doradas, para el P. Griffith, se habían convertido en tres
rosas de los vientos, que le marcaron todas las rutas de la tierra, de los mares y de los cielos, hacia todos los horizontes del mundo, donde quiera que
se encontrara un Oratorio o un hijo de San Felipe.
Fue el primero que conoció a todos y que a todos ha servido con su vida
y a costa de su vida, agotada en su plenitud, de tanto caminar, de tanto trabajar, de tanto velar y defender, de tanto comprender y servir, de tanto servir
y amar.
Para el Oratorio, ha sido el hombre de la Providencia, cuando la Iglesia
ha querido respetar la forma tradicional de esta Obra de San Felipe, pero vigorizándola para que también ahora, en nuestra sociedad y en nuestro tiempo, pudiera cumplir con la misión genial que le imprimió nuestro Santo Fundador. Su juventud no fue obstáculo para que, en el Congreso General Filipense de 1948 fuese elegido para ser el primer oficial del Oratorio, con el
cargo de Procurador General del Instituto; oficio que acababa de crear la Santa Sede al confirmar nuestras Constituciones y completarlas con los Estatutos Generales, en 1943.
El P. Eduardo Griffith contaba entonces treinta y nueve años; hacía quince que había ingresado en el Oratorio de Londres, después de convertirse al
Catolicismo, y diez que era sacerdote. Pero atesoraba ya una rica personalidad: fue educado en el Eastbourne College, y luego pasó al King’s College,
en la Universidad de Cambridge, graduándose en ciencias históricas. Con estos estudios cruzó el Atlántico para ser profesor de Historia en el Canisius
College de Búfalo y luego en la Universidad de Georgetown, Washington
D.C., hasta que encontró su estabilidad espiritual en el Oratorio londinense,
que fue propiamente el verdadero hogar de su conversión, aun cuanto había
abjurado de los errores del Protestantismo en la capilla de la Fisher House
de Cambridge, a la que profesaba un cariño mezclado con la nostalgia de sus
años de estudiante y de gratitud por la fe recibida.
En el Oratorio, su temperamento sereno y jovial a un mismo tiempo y su
energía y generosidad le hicieron un trabajador incansable en el apostolado
de las conversiones, de la dirección espiritual y de la predicación. Sus sermones nítidos, nacidos de una profunda convicción y dichos con sencillez
y dignidad, llegaron a granjearle cierta fama y fueron el aliciente de muchos
no católicos que acudían a oirle en la basta nave del Oratorio, repleta de
oyentes.
Pero la segunda guerra mundial le arrancó temporalmente de la Casa de
R. Mas, El Padre Eduardo Griffith
41
San Felipe y pasó al ejército como Capellán. Aquí tuvo ocasión de entregarse ampliamente a una misión pastoral que completaría su celo sacerdotal. Todos le recuerdan por su constante buen humor, simpatía e incansable caridad.
Fue en la campaña de Italia que pudo renovar el. contacto con esta nación,
tan amada por él, porque en ella, en Roma, siendo alumno del Colegio Beda
en sus años de teología, había recibido el sacerdocio; porque en ella, como
católico, se sentía ufano y lleno de admiración al ver tantos testimonios de
su religión, y también, como oratoriano, porque en Italia habíá más Oratorios que en ninguna otra nación. ¡Cuántas Casas de San Felipe le recuerdan,
particularmente la romana, de cuando llegaba, sin avisar, con su lorry, su camión-coche - más camión que coche… - llevando siempre algo que descargar: un saco de harina, unas cajas de conservas, azucar... en aquella época de
terrible escasez de alimentos! Desde entonces ya fue siempre, para los oratorianos italianos, «il caro Padre Edoardo»...
En el Congreso de 1948 nadie preveía, en los primeros momentos, que iba
a ser el elegido. Pero cuando salió Procurador General, fue unánime la satisfacción. Aceptó con modestia la elección, condicionándola al parecer de su
propia Congregación, y dijo que ya suponía que no se debía a su persona sino que era como un homenaje a los dos colosos ingleses: el Cardenal Newman, fundador del Oratorio de Birmingham, y el P. Faber, del de Londres.
Pareció un Pentecostés, porque supo expresarse en las lenguas de los diferentes países representados, y el déficit del castellano se apresuró a remediarlo en seguida. Eran cinco las lenguas que hablaba y escribía: el inglés, el
francés, el italiano, el alemán y, por fin, el castellano... En estos últimos tiempos le descubrí, entre sus libros, una gramática polaca: habría querido ir allí,
a Polonia; pero cuando lo tenía todo preparado, y a pesar de las seguridades
oficiales precedentes, el Consulado Polaco se volvió atrás y le negó el visado; ni pudo conseguir, a pesar de los enormes esfuerzos que hizo para ello,
que nadie de nuestros hermanos de Polonia asistiera al reciente Congreso del
año 1958. Fue ésta una pena que le afectó de una manera extraordinaria, porque no había regateado nada para hacerlo posible y lo iba preparando desde
largo tiempo.
Cuando hayan pasado los años y se pueda hacer historia, no será posible
referirse al padre Eduardo Griffith sin reconocer, muy por encima de las posiciones jurídicas que tuvo dentro del Oratorio, las excelencias de su rica personalidad humana, sacerdotal y filipense, y la grandeza y generosidad de su
corazón, verdaderamente «gastado» en servicio y defensa de todo el Instituto. Los que han sido sus colaboradores en la Procura General podrán dar tes-
42
ANNALES ORATORII
timonio de aquel espíritu sereno, activo, simpático, sencillo, inteligente y distinguido, todo de una pieza, que de la nada, y sin hacerse gravoso a nadie,
inició y organizó el funcionamiento de la Procura, hasta convertirla en un organismo eficiente, benefìcioso para todos, capaz de robustecer, sin injerencias, la. vida de las Congregaciones existentes y de asistir al nacimiento de
doce Congregaciones más elevándose el número de los Oratorios extendidos
por el mundo, de cuarenta a cincuenta y dos.
Y también constituirá un capítulo especial de gratitud de todos hacia él,
cuando se diga todo lo que hizo y dijo a los Superiores Apostólicos y a los
Organismos de la Santa Sede, al asesorarles para salvar y mantener lo genuino de la herencia espiritual y apostólica de San Felipe Neri.
Por esto no es extraño que la misma Santa Sede, por boca de sus representantes, con gesto maternal, se complaciera, últimamente, en refrendar el
deseo general de los oratorianos, delegando el cuidado y la custodia del Instituto del Oratorio en el padre Eduardo Griffìth, de quien dijo públicamente
al cerrar su Visita Apostólica Monseñor Compagnone, que «en su carne y en
su alma llevaba, impresos con la huella del sufrimiento, todo el sacrificio y
todo el amor que había dedicado al Oratorio», no sólo como Procurador General, sino como colaborador, en casos especiales, de la misma Visita Apostólica.
A pesar de los achaques que le afligían, convenía que fuese él quien estrenara el cargo de Visitador del Oratorio como Delegado de la Santa Sede.
Así lo comprendieron también los congresistas del año 1958, porque nadie
tanto como él estaba capacitado para tener la visión completa y serena del
estado de todo el Oratorio en esta época interesantísima de su progreso en la
historia de la Iglesia. Y la Santa Sede, complacida, confirmó la designación
con el nombramiento. Este nuevo cargo, que le daba verdaderas atribuciones,
incluso jurídicas, sobre las Casas del Oratorio, no, le desvió de su posición
de servidor y de hermano mayor de todos los oratórianos, y hasta, si cabe, la
acentuó, llegàndo a un luminoso equilibrio de prudencia, de caridad y de sabiduría, que no es dado comprender por los que nos lean, sino solamente por
los Padres del Oratorio que hemos podido admirar las últimas cartas circulares que de él hemos recibido y que constituyen, nos atrevemos a.decir, un estudio digno de figurar en la antología jurídica de lo que se haya escrito sobre estados de.perfección encuadrados en Sociedades de vida común sin votos, como es la nuestra. Poco ha vivido como Visitador, pero si no tuviera
otros méritos, esto sólo le consagraba. Estas cartas, si solamente hubiese sido muy inteligente, no las habría podido escribir: hay en ellas un respeto ha-
R. Mas, El Padre Eduardo Griffith
43
cia el Oratorio genuino, que solamente puede nacer en un corazón verdaderamente enamorado de San Felipe y profundamente preocupado por serle fiel.
Y ya que hablamos de corazón, para ser fieles a la expresión cariñosa que
un alto dignatario eclesiástico dijera al Padre Griffith, porque le encontró que
era «un inglés con corazón», digamos dos palabras de sus predilecciones.
Podría parecer difícil seleccionar, porque tuvo tanto afecto para todos, que
todos se sentían predilectos suyos, por poco que le hubieran tratado. Amó
mucho, y bien. Quien le oyera hablar de Francia, podría suponer que era su
país de ensueño; pero es que hablaba con cariño de este pueblo, porque allí
el Señor le hizo, decía él, las mayores gracias de iluminación para convertirse. Quien le oyera de Alemania, la nación de la tenacidad, de la constancia,
a la que tantas veces hacía alusión, se precipitaría si juzgara que menospreciaba a los demás. Y de Estados Unidos, el país joven, fuerte e ingenuo…
Era «un inglés con corazón». Era un inglés y amaba profundamente a Inglaterra, aunque en ella los católicos sean minoría y a veces poco amados;
y, de Inglaterra, amaba Cambridge, relacionándolo con su itinerario espiritual, por lo cual, naturalmente, el Oratorio de Londres remataba este amor
como el objeto más acariciado, símbolo de su definitivo encauzamiento en
el Señor.
Dentro de la gran familia del Oratorio amaba a todos y no medía el amor;
pero se inclinaba más solícitamente por los Oratorios pobres, y por las fundaciones recientes, de las que se sentía muy padre. Ellas llevaron, tal vez, la
mayor parte de sus fatigas y ellas le costaron más sacrificios, y seguramente
por esto era mayor su amor por ellas El que escribe estas líneas no podrá olvidar jamás la impresión fatal que le causó la figura del padre Griffith, al que
había despedido meses atrás lleno de energía y rebosante de fortaleza física,
cuando le vio bajar del avión que le restituía a Roma, desde Bogotá, donde
se habían multiplicado sus desvelos por aquella Congregación naciente. No
midió su entrega y por esto regresaba con las primeras huellas de su enfermedad mortal. Era a principios de 1955, y aunque tuvo altibajos en la salud,
y hasta, según el dictamen de los médicos, debía esperarse de él una vida más
larga que la de estos casi fugaces cincuenta años, segados precipitadamente
por la guadaña de la muerte, lo cierto es que nunca más se sintió completamente bien.
Otra predilección suya ha sido Italia. Lo saben muy bien todos los Oratorios italianos y cada uno de sus miembros. Fuese que allí terminó su preparación para el sacerdocio en 1938; fuese que, capellán de la Army, asistió a
la hora de la paz, tan deseada, estando en Roma; fuese que tuvo que vivir
44
ANNALES ORATORII
preponderantemente allí por razón de su oficio, lo cierto es que, sin dejar de
ser siempre «un inglés», tuvo para esta nación como un enamoramiento que
ningún desengaño habría podido destruir. Era la sede del gobierno de la Iglesia, el centro de la Cristianidad, la patria de San Felipe... y le gustaba, sin dejar de ser «un inglés», la vivacidad, la alegría, la luz y el color de aquella tierra y de sus moradores, y cuando por ser anglosajón hubiera podido disgustarle la ausencia de la puntualidad matemática o de la constante formalidad
propia de los países del norte, veía en la aparente algarabía de algunas situaciones aquel «bello desorden» caaácterístico de los países latinos, y en particular, de algunas regiones italianas, que le conquistaban el corazón. Ha
muerto y ha querido ser enterrado en Italia y en el cementerio de una Congregación pequeña, la de Mondovì, para que hasta en esto se resumieran estas dos predilecciones.
Después de rezar sobre su tumba, apenas cerrada, en este cementerio limpio, ordenado y esmaltado de flores, he visto un angel de bronce que se eleva por encima del remate de todas las tumbas: es una magnífica escultura de
Calandra, fundida en metal por encargo de la familia Oggè. Hay una inscripción que dice: Angelus Dei comitetur vobiscum. Sí, que acompañe a él y
a todos los que allí se enterraron. Pero que él, después de habernos hecho de
padre, nos siga haciendo de ángel, desde el Cielo, para acompañarnos al Oratorio de la eternidad, donde nos aguarda San Felipe, el santo del corazón.
Ramón Mas, C.O.
45
C. Abbate, P. Edward Griffith
Rariora
IN MEMORIAM
P. EDWARD GRIFFITH
*
Il 14 giugno u.s.** un gravissimo lutto ha colpito le Congregazioni Filippine sparse in tutto il mondo.
A Livorno, dove si era recato sulla fine di maggio per trascorrervi un periodo di convalescenza o, meglio, di completo riposo, dopo sette lunghi mesi di degenza nella clinica “Salvator mundi” dell’Urbe, improvvisamente spirava il P. Edward Griffith, primo Visitatore in atto e già primo Procuratore
Generale dell’Istituto dell’Oratorio di S. Filippo Neri.
Nel delinearne qui brevemente la massiccia figura, non staremo a soffermarci né sulla sua nascita da famiglia anglicana, avvenuta a Londra il l° maggio 1909, né sulla sua prima educazione all’ “Eastbourne College” e sui suoi
studi universitari compiuti al famoso “King’s College” di Cambridge, ove
conseguì il titolo accademico di “Master of Arts”, né sulla sua conversione
alla Chiesa Cattolica e sul suo insegnamento negli Stati Uniti d’America, prima al “Canisius College” di Buffalo e poi alla “Georgetown University” di
Washington, né sulla sua vocazione filippina, cui seguì il 6 dicembre 1933 la
vestizione e il noviziato, e sui suoi connessi studi al Collegio Beda di Roma,
ove fu ordinato Sacerdote il 12 marzo 1938, né sul suo apostolato di Cappellano Militare dell’esercito britannico esplicato nell’ultimo conflitto mondiale e sulla sua attività di Prefetto dell’Oratorio svolta a Londra fra il 1945
e il 1948 e impegnata in gran parte nel difficile ministero delle conversioni.
Per tutti questi dati biografici e per altri che potrebbero aggiungersi il P.
E. Griffìth appartiene, o potrebbe appartenere, alla scia luminosa della benemerita Congregazione Filippina londinese o anche – se si vuole – al processo di progressivo sfaldamento dello scisma anglicano: comunque, all’ambiente britannico. Per l’insonne attività da lui svolta dalla sua elezione
a Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio (8 ottobre 1948) fino alla
*
ABBATE C., Il P. Edward Griffith, primo “Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio
di S. Filippo Neri” e primo “Visitatore dell’Oratorio”, In Aevum, XXXI (1959), 5-6, pp. 75-85.
**
n. d. R.: 1959.
46
ANNALES ORATORII
vigilia – può ben dirsi – della sua triste scomparsa egli appartiene indubbiamente a tutto l’Istituto di S. Filippo Neri con un rilievo e un’importanza
di primo piano.
Non sembrerà quindi ingiustificato, se noi, sorvolando quasi a piè pari sui
precedenti biografici accennati, restringeremo questo nostro breve profilo all’ultima tappa della sua laboriosa giornata terrena, senza dubbio la più faticosa e significativa.
Quanti adeguatamente conoscono quel genialissimo Santo, che fu S. Filippo Neri, e la Congregazione dell’Oratorio da lui fondata sanno che le singole Congregazioni Filippine - i cui singoli membri per espressa volontà del
Fondatore non sottostanno ad alcun legame di voti, giuramenti o promesse non dipendono da alcun superiore generale o provinciale, che le regga e governi.
Per l’assoluta autonomia, di cui gode, ogni Casa Filippina è dunque come
una libera ariosa isola, inondata dal sole fulgido della carità di Cristo, unico
vincolo, al quale S. Filippo, ricalcando il fervore di vita dei tempi apostolici, volle raccomandare la sua originalissima creazione.
Nella Congregazione di S. Filippo nessun travaso di soggetti da una Casa ad un’altra, nessuna imposizione o coartazione dall’alto, nessun formalismo o schema preconcetto, ma rispetto massimo della personalità umana nella sua individua concretezza: abitata sempre dagli stessi membri, ogni Casa
Filippina ha - per dirla con un’immagine dei nostri Padri antichi cara al Card.
Newman - tutto il tepore d’un “nido”; sorretta dalla più piena libertà è - secondo una felice espressione del Card. Baronio - come una “repubblica ben
ordinata”. Legge sovrana in ogni Congregazione Filippina è il comando di
Gesù agli Apostoli: “Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos... Haec mando vobis, ut diligatis invicem” (Io. 15, 12; 17). Ed invero in ogni Congregazione o, diciamo meglio, in ogni Famiglia Filippina, che
viva dello spirito del nostro Santo, dovrebbe perennemente aleggiare il più
puro e il più fraterno degli affetti, dovrebbe davvero ripetersi il miracolo delle prime comunità cristiane, i cui credenti – senza alcun vincolo esterno, che
ve li spingesse – erano “cor unum et anima una” (Act. 4, 32).
Se non che proprio là, dove è da vedere uno degli aspetti più originali dell’Istituto di S. Filippo, il tempo e l’esperienza dimostrarono nascondersi quasi rovescio della medaglia - un grave pericolo: il pericolo dell’isolamento delle singole Congregazioni e il conseguente intristimento ed esaurimento di alcune di esse.
Questo pericolo non si avvertì per tutto il Seicento e per la maggior par-
C. Abbate, P. Edward Griffith
47
te del Settecento, quando le Congregazioni Filippine – numerosissime – fiorirono più o meno rigogliose. Cominciò ad avvertirsi, per cause diverse, sulla fine del Settecento e molto più nell’Ottocento, fino a quando, sulle soglie
del Novecento1, la progressiva estinzione di molte Case e le tristi condizioni
di parecchie altre non indusse un autentico Filippino dal cuore ardente e fiducioso, Mons. Giambattista Arista, a levare alta la sua voce per una unione
fra le Congregazioni Filippine, che, senza travisare o deformare la primigenia struttura della Congregazione di S. Filippo, ponesse fine alla disastrosa
piega e, creando una specie di confederazione con appositi organi alla sommità, fosse un valido aiuto per le Congregazioni in difficoltà, strumento di
resurrezione per le estinte, lievito per la fondazione di nuove.
L’idea, sbocciata dunque proprio qui, ad Acireale, suscitò – com’è ovvio
– caldi consensi da una parte e aspre polemiche dall’altra, ma in ultimo finì
per trionfare, dando appunto vita – sotto la vigile e premurosa guida della S.
Sede – ad un organismo confederale, denominato “Istituto dell’Oratorio di S.
Filippo Neri”, con suoi propri organi e con un suo corpo di leggi: il tutto senza la minima deformazione dell’idea archetipa del Fondatore.
Nasce così l’8 ottobre 1948, col suffragio di tutte le Congregazioni Filippine del mondo riunite in Congresso e con un rilievo tutto particolare, il Primo2 Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio nella persona del P. E.
Griffith dell’Oratorio di Londra: elezione, che egli accettò con grande senso
di modestia, dicendo che essa non si doveva certamente alla sua persona, ma
era come un omaggio ai due colossi inglesi, fondatori delle Congregazioni
Filippine di Birmingham e Londra, il Card. J.H. Newman e il P. F. G. Faber.
Il fardello caduto sulle spalle del buon P. Edoardo in quel lontano autunno del 1948 era invero di quelli, che, ad abbracciarli integralmente, valgono a schiacciare sotto il loro peso qualsiasi fibra, anche la più robusta. Un
compito nuovo da affrontare, una via nuova da percorrere, una tradizione
nuova da stabilire, senza casa, senza collaboratori, senza mezzi: questa l’ardua impresa che lo attendeva, tale invero da far tremare a chiunque “le vene e i polsi”.
1
Il primo appello – sia pure in termini di timida (tanto timida, quanto esplicita) proposta al
Ven. P. Giulio Castelli, fondatore della Congregazione Filippina di Cava dei Tirreni – risale esattamente al 13 agosto 1893 (Cfr. “In Aevum” 1948, Suppl. al fasc. Sett.-Ott., pp. 83-84).
2
Prima del 1948, se vi furono due Procuratori Generali (P. Carlo Naldi e P. Giuseppe Timpanaro delle Congregazioni Filippine di Firenze e Acireale), essi non furono eletti da un Congresso
Filippino Internazionale, ma direttamente nominati dalla S. Sede con compiti e funzioni del tutto
particolari.
48
ANNALES ORATORII
E quanto egli abbia fatto per adeguarsi il più possibile alla sua molteplice funzione, quante e quali difficoltà abbia egli dovuto superare o fronteggiare nessuno forse saprebbe abbastanza immaginare, se non tralucesse – pur
nel prudente riserbo, che gli fu abituale – dai copiosi scritti indirizzati fin da
principio alle singole Congregazioni, da quegli scritti, stilisticamente infarinati d’inglese, che sono il riflesso più fedele della sua tempra e che si trovano poi come compendiati e fusi in visione sintetica nell’amplissima relazione non ufficiale inviata al termine del decennio a tutte le Congregazioni.
* * *
Suo primo obiettivo, appena eletto, fu quello di visitar tutte e singole le
Congregazioni, sì da prender con esse diretto contatto e porsi nelle condizioni migliori per conoscerne e sposarne i problemi e le necessità. Attraverso queste visite e questi contatti personali egli fu conosciuto e apprezzato oltre che, s’intende, nella sua terra natale - in tutto il mondo filippino: in Italia, Spagna, Germania, Stati Uniti d’America, Messico, Salvador, Columbia.
Non riuscì a visitare – e grande ne fu il suo rammarico – solo i Confratelli
delle due Congregazioni di Polonia: all’ultimo momento, quando tutto era
pronto per il viaggio, il consolato polacco gli negò il visto, frustrando le precedenti assicurazioni.
Il giro per tutte le Congregazioni Filippine esistenti nel mondo, eccettuate quelle di Polonia, – il primo, che un Filippino abbia compiuto – gli fu enormemente facilitato dalla buona conoscenza che ebbe di tutte le lingue parlate nei rispettivi paesi. Ignorava solo il polacco, ma da tempo doveva essere
alle prese anche con questa lingua, se fra i suoi libri fu scoperta una grammatica polacca.
Venne così anche in questa nostra Congregazione e vi tornò più volte:
sempre discreto, affabile, gioviale.
* * *
Preso contatto con le Congregazioni Filippine da una parte, con la S. Sede dall’altra, il P. E. Griffith si diede anima e corpo alla realizzazione del suo
intenso e complesso, seppur tacito, programma, le cui linee maestre possono
riassumersi, a nostro avviso, nei seguenti punti fondamentali:
– Fondazione di nuove Congregazioni;
– Assistenza alle Congregazioni esistenti;
– Rispetto profondo dell’autonomia.
C. Abbate, P. Edward Griffith
49
Cooperare con tutte le forze alla fondazione di nuove Congregazioni fu la
sua più fervida aspirazione. “Il mio più felice scopo, servendo la Famiglia di
S. Filippo, e il mio più gioioso dovere di riferire è la cooperazione per le nuove Fondazioni”. Così scriveva nella relazione sopra menzionata.
Convinto che la geniale istituzione di S. Filippo è oggi, forse più che mai,
rispondente ai tempi, non risparmiò fatiche, tempo, iniziative per piantare le
tende dell’Apostolo di Roma dovunque gli fu possibile. E i suoi sforzi non
furono vani: ben undici Congregazioni in diverse parti del mondo (1 in Italia; 2 nella Spagna; 5 in Germania; 1 negli Stati Uniti di America; 1 nel Salvador; 1 nella Colombia) furono canonicamente erette nel decennio 19481958 e, se una dodicesima, in Polonia, non ottenne la Bolla Pontificia, ciò fu
dovuto “più alle speciali circostanze che al merito e all’importanza di quella nuova Comunità”.
Ben a ragione dunque – e non per vana iattanza, ma per l’intima gioia,
che gli traboccava dal cuore – poteva mettere a fronte “tempo e numeri”:
dodici nuove Congregazioni nel breve giro di dieci anni di fronte a cinque
sole Congregazioni nel lungo volgere d’un secolo (1849-1948). Il consolante
raffronto e la constatazione che le nuove Congregazioni non erano sorte “in
un’unica nazione o in un unico continente, ma, come abbiamo detto, in diverse parti del mondo, erano per lui la prova più tangibile della “vitalità e
attualità dell’idea e degli ideali, che l’Oratorio rappresenta ed incarna nel
mondo”.
Ma non bastava evidentemente adoperarsi in tutti i modi perché nuove
Congregazioni sorgessero sotto il segno di S. Filippo. Bisognava arrestar subito il processo di sgretolamento di talune Congregazioni già esistenti, imprimervi un rinnovato ritmo di vita, trasfondervi nuovo sangue, aprirne il
cuore alla speranza; bisognava soprattutto creare fra le Congregazioni esistenti quel ponte ideale, che, sognato per la prima volta da Mons. Giambattista Arista, aveva ormai trovato nei nuovi Statuti la sua concreta e felicissima formulazione giuridica.
Di questo urgente ed imperioso bisogno fu profondamente penetrato, fin
dall’inizio della sua carica, il P. E. Griffith, che non lesinò tempo, premure
ed energie nel suo costante sforzo di essere il meno possibile impari all’aspetto più difficile e delicato del suo multiforme compito.
La discrezione – quella stessa discrezione, che fu una delle più chiare trasparenze del suo carattere e che improntò costantemente la sua attività, il suo
parlare, i suoi scritti – ci vieta qui di scendere a particolari. Vogliamo solo
porre l’accento sul complesso groviglio di difficoltà, cui quest’opera di fra-
50
ANNALES ORATORII
terna assistenza e di efficiente affratellamento era destinata ad andare incontro per la stessa struttura dell’Istituto, perché luminoso rifulga il merito di chi
con caldo affetto, inesauribile pazienza e felici accorgimenti seppe dare concretezza di vita a quel che prima sembrava vano anche sperare.
Chi pensi che, a norma degli Statuti Filippini, il Procuratore Generale non
ha autorità alcuna sulle singole Congregazioni, che il suo intervento in esse
è condizionato al caso in cui constano di un solo membro, o alla loro libera
richiesta, che egli non ha alcuna facoltà di trasferire un membro da una Congregazione ad un’altra, che le Congregazioni non son tenute ad inviare elementi propri in Congregazioni sorelle in difficoltà, né financo a sostenere con
loro contributi l’opera soccorritrice del Procuratore Generale, chi pensi in una
parola che nell’Istituto di S. Filippo tutto deve articolarsi in chiave di piena
libertà, senza cioè costrizioni di sorta, si renderà facilmente conto degli scogli e delle angustie, che un Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio è
costretto ad affrontare, degli scogli e delle angustie che il Primo Procuratore
Generale fu costretto ad affrontare.
Ricordiamo ancora – e non potremo facilmente dimenticarlo – il nostro
ultimo incontro nella clinica “Salvator mundi”, pochi mesi prima della sua
scomparsa. Lo trovammo seduto a metà letto con la forcellina dell’ossigeno
alle narici e con in mano il nostro lavoro sulle Costituzioni e sugli Statuti Filippini 3: quel lavoro, che egli aveva voluto fosse ciclostilato a spese della
Procura (e le spese andarono oltre le 300.000 lire) in cento esemplari per il
bene delle Congregazioni soprattutto italiane, dopo aver pensato in primo
tempo addirittura ad una riproduzione fotografica costosissima. Parlammo in
quella nostra visita di questo e di quello e, tra l’altro, noi esprimemmo il nostro profondo convincimento che per la rinascita delle Congregazioni Filippine è assolutamente necessario provvedere alla istituzione - prevista dagli
Statuti - di Scuole Apostoliche regionali. Ricordò allora che altre volte noi
avevamo toccato lo stesso tasto e, gli occhi accesi, ci disse: “Il P. Abbate batte sempre su lo stesso chiodo, ma ha perfettamente ragione”. In realtà la istituzione di Scuole Apostoliche Filippine era stato uno dei suoi “chiodi” fissi
e tutti qui, ad Acireale, ricordiamo con quale intima compiacenza visitasse la
Scuola Apostolica di questa Congregazione, con quale palese godimento si
intrattenesse fra i nostri aspiranti e novizi.
Il P. E. Griffith seppe dunque amare le singole Congregazioni, seppe farne sue le ansie, le difficoltà, i problemi. Ma quel che più conta sottolineare
3
Costituzioni e Statuti Generali - Versione italiana, note e appendici del P. C. A. d.0.
C. Abbate, P. Edward Griffith
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è che seppe amarle, seppe viverne le necessità da fratello, nel più assoluto rispetto di quell’autonomia, che è l’espressione più genuina della volontà del
Fondatore e l’eredità più sacra da Lui trasmessaci.
Pienamente consapevole che la sovranità delle singole Congregazioni investe la natura stessa dell’Istituto di S. Filippo in uno dei suoi elementi più
originali e delicati, non interferì mai incautamente nell’andamento, sia pure
non del tutto esemplare, di questa o quella Congregazione, nemmeno quando a talune Congregazioni si accostò, per necessità, nella veste di Delegato
della S. Visita Apostolica, rivestito cioè di un potere che come Procuratore
non poteva avere, perché espressamente escluso dagli Statuti.
Il riflesso di questa sua aurea regola di condotta, alla quale informò sempre la sua azione benefica, traspare dalla relazione citata, dove il richiamo all’autonomia torna insistentemente in tutti i toni e per quasi tutti i rilievi ivi
ampiamente svolti. Ci sarebbe proprio da trarne un piccolo mosaico di espressioni e osservazioni – d’ordinario piuttosto brevi –, che tutte insieme rivelano il suo profondo rispetto per la più preziosa gemma filippina. Ci piace riportarne qualcuna, che tutte le riassume e rispecchia: “Discrezione e rispetto per l’autonomia mi spingono ad esser piuttosto riservato sui dettagli (riguardanti le Congregazioni di nuova fondazione)”; “Senza autonomia l’idea
di S. Filippo e la nostra vocazione non possono realizzarsi”; “L’autonomia è
un’eredità ed un compito ininterrotto per ogni singolo Oratorio ed Oratoriano”; “La conoscenza – durante le varie visite – dell’apostolato di differenti
paesi e nazioni mi ha fatto meglio comprendere la necessità dell’autonomia
ed il bisogno del suo rispetto vero”; “La Federazione dovrà anche rafforzare
l’autonomia”; ecc.
Il pericolo più grave di offuscare il principio di autonomia, che deve animare l’Istituto di S. Filippo, sta nella difficoltà di conciliare o armonizzare
la sovranità delle singole Congregazioni con l’unità confederale e con la funzionalità dei relativi organi centrali previsti dagli Statuti. Se da un lato infatti il Procuratore Generale non ha – come abbiamo detto – alcun potere sulle
Congregazioni e sui loro membri, dall’altro non ultimo dei suoi doveri è quello di “promuovere l’unione fraterna delle Congregazioni e la loro mutua collaborazione” (St. Gen. n. 82, III, 3), giacché, pur nell’assoluto rispetto per
l’autonomia, “la S. Madre Chiesa desidera stretta cooperazione fra le nostre
Congregazioni, una cooperazione che comprenda responsabilità reciproca e
– in alcuni casi – aiuto reciproco”.
Il P. E. Griffith, per quel senso di equilibrio, che gli fu – diremmo – connaturale, seppe trovare e imboccare la giusta via: quella giusta via, che lo ten-
52
ANNALES ORATORII
ne ben lungi da inconsulte deformazioni e lo guidò nella ricerca dei mezzi
atti a realizzare il sogno ormai comune della Confederazione Filippina.
Il suo punto di vista a riguardo è anch’esso diffusamente chiarito nella relazione citata. Egli vide l’unità attraverso e in funzione dell’autonomia e questa nel quadro di quella, sintetizzando il suo pensiero nello slogan “varietà
nell’unità; unità nella varietà”. Mezzo e condizione imprescindibili per realizzare questo piano ideale è anzitutto evitare i due estremi dell’ “isolazionismo” e della “centralizzazione”: il primo, che è l’esasperazione del principio
di autonomia, l’atteggiamento cioè negativo di chi vuol restare chiuso in se
stesso, al di fuori di ogni “responsabilità per gli altri”, il secondo, che è la
ipertrofia dell’anelito all’unione, l’atteggiamento cioè funesto di chi rischia
di scivolare - sia pure inconsapevolmente - in posizioni che involvono “autorità centrale”, con conseguente “decadenza tanto della autonomia che della federazione”. Occorre poi che nelle singole Congregazioni “vi sia una larga comprensione per le caratteristiche altrui”, cioè “rispetto per l’altrui autonomia, per i punti di vista, le abitudini e la procedura delle altre Congregazioni”, così come è necessario che il Procuratore Generale, nel promuovere
la intesa e la solidarietà fra le singole Congregazioni, adotti come suo metodo quello di “ispirare e non spingere; ispirare e non dirigere”. “Un consiglio
od un’iniziativa, che in realtà è una via di coercizione camuffata, fa più male che bene. Se l’ideale della nostra reciproca solidarietà e confederazione
nell’Istituto è sana e secondo lo spirito di S. Filippo, l’idea frutterà senza bisogno di spinte”. “Il più grande pericolo per il Procuratore e per il suo lavoro è - a quanto mi sembra - il considerare e valutare i problemi e le difficoltà di altre Congregazioni secondo i punti di vista e l’idea della sua mentalità e quella della sua Congregazione. Un Procuratore, che volesse imporre come misura ed esempio le abitudini e le idee del suo Oratorio in merito alla
vita e all’apostolato di altre Congregazioni, ne limiterebbe necessariamente
non soltanto la efficienza, ma introdurrebbe – istintivamente – l’uso dell’uniformità e la conseguente centralizzazione”.
Insomma carità e libertà, come sono i presupposti inderogabili della vita
filippina in ogni singola Congregazione, così debbono stare e restare alla base del processo unitario, che dovrà condurre ad una viva ed efficiente confederazione di tutte le Congregazioni Filippine.
Il P. E. Griffith è in gran parte qui, nel saper cogliere, in una situazione o
in un problema, l’essenziale, senza trascurare le sfumature o il giuoco delle
ombre e delle penombre.
53
C. Abbate, P. Edward Griffith
***
Queste le linee, che diremmo più appariscenti, dell’operosità e degli intendimenti del P. E. Griffith. Quando si tenga presente che egli dal 24 aprile
1957 fu anche Postulatore Generale e Procuratore Nazionale Italiano e per
tutto il decennio 1948-1958 braccio destro della S. Visita Apostolica e a tutto ciò si aggiungano le non lievi difficoltà incontrate per la sede e il mantenimento della Procura, il cumulo delle incomprensioni e delle amarezze pazientemente sorbite, le immancabili delusioni di chi molto si propone di fare e trova la via sbarrata da scogli insospettati e, talora, insormontabili, il reciso proposito costantemente perseguito di non gravare per nulla sulle singole Congregazioni e sui singoli confratelli, sì da poter essi testimoniare alla fine del decennio che “la Procura Generale non fu mai un peso” per nessuno, si ergerà in tutta la sua ricchezza polivalente la poliedrica figura del
Primo Procuratore dell’Istituto dell’Oratorio.
Evidentemente con quanto siamo venuti dicendo non intendiamo certo
proclamare o decantare miracolistici successi o mirabolanti mete raggiunte,
gonfiando – com’è pessimo costume nelle necrologie – la realtà delle cose.
Ridurre a unità cellule comunitarie per loro natura libere e indipendenti, che
una tradizione secolare ha tenuto pressoché chiuse in se stesse, è impresa
estremamente ardua, che richiede soprattutto il battesimo del tempo. “L’Istituto, la fraterna cooperazione, che legalmente esiste, abbisognano di vari anni (noi diremmo di “vari decenni”) per divenire una realtà”, scriveva lo stesso P. Griffith sulla fine della citata relazione. In realtà, per una effettiva unione delle Congregazioni Filippine di tutto il mondo, per giungere ad un effettivo reciproco appoggio fra di esse bisognerà, a nostro avviso, superare tali
e tante difficoltà, sapere attendere tanto tempo, quante sono le difficoltà che
bisognerà superare, quant’è il tempo che bisognerà lasciar trascorrere per realizzare gli Stati Uniti d’Europa.
Nel porre dunque in rilievo la decennale fatica del compianto P. E. Griffith intendiamo solo sottolineare che l’azione da lui svolta fra mille scogli,
con inesauribile dedizione alla buona causa dell’Istituto, ha un suo profondo
significato e quasi il valore d’un simbolo: essa sta a dimostrare che il sogno
carezzato da Mons. Giambattista Arista, se, come tutte le grandi cose, implica tempo e difficoltà, non è certo utopia d’un fanatico. Il P. E. Griffith ha
aperto una strada nuova, larga e luminosa: una strada, sulla quale – ne siamo
certi – non ci si fermerà.
54
ANNALES ORATORII
***
Il migliore riconoscimento delle eminenti qualità del P. E. Griffith e della sua inestimabile costruttiva opera, spesa a bene dell’Istituto, si ebbe nel II
Congresso Filippino Internazionale, tenutosi a Roma – come di regola – nello scorso ottobre.
Questo secondo Congresso di tutte le Congregazioni Filippine del mondo
– dobbiamo dirlo per quanti non lo sanno – ha nella storia dell’Istituto una
portata e un’importanza di incalcolabile risonanza giuridica: una portata e
un’importanza incomparabilmente più grandi che la portata e l’importanza
del Congresso tenutosi nel 1948, quando fu eletto il Primo Procuratore Generale. Durante il suo svolgimento infatti la S. Sede faceva pervenire all’assemblea riunita in seduta plenaria un Decreto, col quale, mettendo fine alla
S. Visita Apostolica – istituita a suo tempo per aggiornare le Costituzioni e
porre le basi dell’auspicata Confederazione Filippina – e confermando per
l’ennesima volta l’assoluta autonomia delle singole Congregazioni, inseriva
nella compagine dell’Istituto una nuova figura giuridica: il “Visitatore dell’Oratorio”.
Visitatore dell’Oratorio, che, per quanto eletto dal Congresso Filippino e
confermato dalla S. Sede, non è affatto (chè non poteva esserlo, senza che la
Congregazione di S. Filippo ne uscisse miseramente deformata) un “moderator generalis”, ma solo un “custos iuris communis Ecclesiae et legum Oratorio propriarum”, qual “Delegato” della S. Sede.
Ognun vede però che questa nuova figura, indiscutibilmente necessaria e
genialmente concepita dal punto di vista giuridico, è ben altra cosa che la figura del Procuratore Generale: questi infatti “nullam potestatem neque in
Congregationes neque in Sodales habet; nullam canonicam Visitationem peragere potest” (St. Gen. n. 74), mentre il Visitatore dell’Oratorio, sia pure sotto determinate condizioni, ha la stessa autorità della S. Sede, che rappresenta e da cui ripete il mandato; il Procuratore Generale è il rappresentante delle singole Congregazioni e dei loro singoli membri presso la S. Sede, il Visitatore dell’Oratorio il rappresentante della S. Sede nei riguardi delle singole Congregazioni e dei loro singoli membri.
Nel Congresso dunque dello scorso ottobre i Padri convenuti a Roma furono chiamati ad eleggere, per votazione segreta, oltre il Procuratore Generale e gli altri Ufficiali dell’Istituto, anche il Primo Visitatore dell’Oratorio.
La scelta questa volta era, come mai, impegnativa e molto delicata. Si trattava di affidare per la prima volta l’autorità stessa della S. Sede ad un Padre
C. Abbate, P. Edward Griffith
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Filippino: ad un Padre Filippino, che desse, sotto ogni aspetto, piene garanzie, che soprattutto non fosse capace di atteggiarsi prima o poi a un “moderator generalis” sotto mentite spoglie.
Superata una certa esitazione per la sua fibra ormai visibilmente logora,
la scelta cadde, quasi unanimemente, sul P. E. Griffith, così come su di lui
era caduta qualche giorno prima l’elezione a Presidente del Congresso. È
questa per noi la più chiara riprova che in dieci anni il P. E. Griffith aveva
lavorato, che aveva saputo lavorare, che era riuscito a cogliere la linfa nuova, che fluiva per il secolare e glorioso tronco della Congregazione di S. Filippo, a incarnare in sé le aspirazioni del rinnovellato mondo filippino.
Ma, ohimè, quell’impressione di prostrazione fisica, che aveva indotto
molti ad esprimere riserve sulla opportunità di puntar sulla sua persona per
la elezione del Visitatore, era tutt’altro che illusoria. Appena un mese dopo
la sua elezione, un attacco acuto di pleuropolmonite, che veniva ad aggravare le sue già precarie condizioni di salute minate fin dall’autunno del 1955
da due attacchi cardiaci, lo costringeva ad entrare in clinica. Era l’attacco dal
quale non si sarebbe più riavuto.
Noi uomini non possiamo certo affondare lo sguardo nel fitto mistero che
circonda la morte, ministra anch’essa – e non ultima – dell’arcana Provvidenza di Dio, ma se ci è lecito, sul piano umano, rischiare un giudizio, questo è che il nostro P. Edoardo sotto il peso della sua pesante croce di Primo
Procuratore ha sensibilmente affrettato il tramonto della sua molto laboriosa
giornata terrena.
Le sue spoglie mortali riposano adesso, per suo espresso desiderio, in terra italiana, nel cimitero di Mondovì Breo (Cuneo), sede di una Congregazione Filippina a lui particolarmente cara. Dinanzi a quella tomba tutti, confratelli e amici, profondamente ci inchiniamo, scorgendo nello spirito che sopra vi aleggia chi fu e resterà un pioniere, l’archegeta - nel significato dinamico della parola – dell’Istituto dell’Oratorio.
Cesare Abbate, C. O.
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A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro
Rariora
IN MEMORIAM
P. GIUSEPPE TIMPANARO *
Le ultime volte che andai a visitarlo nella clinica non ebbi il coraggio di
parlargli. Sotto il grande peso del male lo trovai abbattuto e non sempre in
piena coscienza e creargli uno sforzo per riconoscermi, per parlare, mi sembrava inumano.
Speravo ogni volta che, ritornando, l’avrei trovato meglio per iniziare di
nuovo il nostro conversare che aveva quasi sempre per argomento il pensiero
che gli era divenuto dominante: la Causa di Beatificazione di Mons. Arista.
Ma ogni volta la speranza luceva meno nel mio cuore e P. Timpanaro, tra
gravissime sofferenze, si spegneva.
E ora, con l’animo che corre invano al desiderio di riprendere il colloquio
col confratello, col mio padre spirituale, sol mi resta ubbidire all’incarico di
ricordare l’opera sua a quanti lo conobbero e a quanti, con la vampa del suo
ardente cuore sacerdotale, affascinò all’amore di Gesù.
Ragazzo, prima che l’avessi visto, sentivo spesso parlare di lui e dell’opera sua. Un giovane della Diocesi, che l’aveva conosciuto in un pellegrinaggio
a Valverde, impressionato dell’energica attività che mostrava P. Timpanaro mi
diceva di aver visto quasi un capitano. E quell’immagine troppo sensibile forse, a cui poco feci caso, quando lo conobbi, mi si ridestò al primo vederlo, e
sotto questo profilo non potei cessare di guardarlo: un capitano dell’esercito
di Cristo. Non semplice soldato, perché il suo apostolato egli specialmente lo
rivolse al campo sociale e organizzativo e vi fu sempre in testa.
È incredibile, per chi non lo conobbe, solamente immaginare la vulcanica attività, il travolgente spirito che l’animava, l’instancabile anelito per nuove iniziative e nuove conquiste. Sembrava qualche volta esagerato, riusciva
anche a stancare i più animosi, ma lui non si stancava mai.
Io che lo conobbi solo in parte nel pieno della sua attività dopo il suo ritorno da Roma, restavo ammirato e sorpreso dell’arditezza dei suoi desideri,
della grandiosità dei suoi propositi, anche nell’ultimo periodo di sua vita,
*
SPINA A., In memoria di P. Giuseppe Timpanaro, “In Aevum”, 25 (1953), 8-9, pp. 2-5.
58
ANNALES ORATORII
quando i medici consigliavano riposo, anche negli ultimi mesi quando l’inesorabile male già faceva le prime manifestazioni minacciose.
Ma P. Timpanaro non conobbe difficoltà per cui dovesse tornare indietro.
Se esistevano le vedeva piuttosto come vette da valicare.
Perché troppo eco aveva nel suo animo il canto di Longfellow, che egli
ammirava, e che a scuola commentava più che con l’ammirazione dell’esteta, con l’accento caldo dell’entusiasta.
Le generazioni più giovani non abbiamo idea della temperie che s’era formata nella nostra città prima dell’altra guerra.
Acireale, cittadina di parecchie decine di chiese, di istituti religiosi, di tradizionale fedeltà ai principii cristiani, veniva investita da forte ventata di anticlericalismo e la massoneria organizzata, forte di rappresentanti della cultura, minacciava pericolosamente. Al liceo classico più di un professore si
compiaceva di bistrattare impunemente i giovani che facevano aperta professione di fede. Contro il pericolo di traviamento della gioventù, nel Nord
specialmente, si era opposta l’opera dei circoli e dava magnifiche prove. La
nuova forma di apostolato per un animo aperto al bene, qual era P. Timpanaro, con la sua inclinazione verso i giovani, potenziata dalla ardente vocazione filippina, lo conquise. Intuì il momento, riconobbe il rimedio e lo attuò in quella che ancor oggi, nei benefici effetti che produce, resta l’opera
più bella e da lui immensamente amata: il Circolo “Amore e Luce”.
Sui giovani aveva un fascino irresistibile e in breve li conquistò in gran numero. Sessanta, tutti giovani liceali e universitari furono i primi che all’altare
di S. Filippo il 29 gennaio 1911 ricevettero da Mons. Arista la tessera.
Erano una promessa e presto diventarono una forza. E la forza non la diede il numero, ma la formazione religiosa e la compattezza dell’organizzazione. Corsi di cultura religiosa tenuti dal dottissimo Mons. Salvatore Scaccianoce e dallo stesso P. Timpanaro formavano le menti e le scaltrivano contro i luoghi comuni dell’anticlericalismo massonico; la frequenza dei sacramenti e la divozione alla Madonna della Purità nutrivano il cuore. E l’“Amore e Luce” fu seme crescente e dilatantesi e lievito fermentatore.
Di là i maestri di catechismo per i fanciulli, i propagandisti, gli organizzatori, i fondatori di nuovi circoli, in città e diocesi, di là i primi presidenti e
la maggior parte dei componenti la Federazione. P. Timpanaro era la mente
e il braccio di questo movimento, come Mons. Arista ne era il cuore che alitava negli entusiasmi. Congressi federali, pellegrinaggi mariani a Valverde e
soprattutto il Congresso Eucaristico del 1913 che fu un vero trionfo di fede
e di amore.
A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro
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Ma ho detto che P. Timpanaro mi sembrò un capitano dell’esercito di Cristo, un capitano dell’avanguardia, che preferisce correre là dove l’opera è più
necessaria.
Questa caratteristica dà significato particolare al suo genere di apostolato, che fu molteplice, e lo pone in giusta luce, chè altrimenti parrebbe instabile e frammentario.
Dopo la prima guerra mondiale la Congregazione di Roma era venuta a
trovarsi in crisi molto grave; abbisognava di aiuto e P. Timpanaro vi corse
con alcuni Padri di altre Congregazioni.
Un campo nuovo e immenso di lavoro, nel cuore della Cristianità, nella
casa stessa di S. Filippo.
Altri potrebbe testimoniare meglio quanto riuscì a fare. Eletto Preposito,
in pochi anni con povertà di mezzi, in locali assolutamente insufficienti iniziò, con la valida collaborazione di pochi Padri, una vita nuova per l’Oratorio di Roma.
Oltre a risultati cospicui d’indole piuttosto materiale, con la rivendicazione di alcuni locali dell’antica casa, riaffermò egregiamente a Roma l’idea filippina, polarizzò intorno a sè le più cospicue personalità del mondo cattolico e rifece della Vallicella un centro di cultura religiosa, ripristinando l’Oratorio del Borromini; e l’opera sua culminava in un grande successo con le feste centenarie della canonizzazione di S. Filippo Neri nel 1922, quando, con
uno spettacolo cui da decenni non si assisteva, le Spoglie dell’Apostolo, composte nella nuova preziosa urna, furono portate in trionfo per le vie di Roma.
Non è raro però che ai trionfi, succedano i disinganni. Nelle opere che
hanno uno scopo soprannaturale la vicenda è più frequente e per i Santi è
quasi norma costante. E’ la mano della Provvidenza che, attraverso mille cause, che noi chiamiamo incomprensioni, gelosie, inimicizie degli uomini, ci
richiama al più puro spirito di apostolato, che è quello del dolore e del sacrificio, e ci mette al vaglio delle più gravi delusioni.
Così anche P. Timpanaro, con grande dolore, dovette comprendere che
Roma non poteva continuare ad essere il campo del suo apostolato.
Nel 1925 era perciò di nuovo ad Acireale. Forte ripresa di attività giovanile alla Villa S. Martino, rinvigorimento dell’“Amore e Luce”, scuola al Seminario e Presidente della Giunta diocesana di Azione Cattolica.
Si preparava un nuovo Congresso Eucaristico Diocesano a Giarre. P. Timpanaro si assunse l’onere della preparazione specialmente spirituale nelle parrocchie.
Ero allora novizio alle sue dipendenze e da vicino vedevo lo svolgersi del-
60
ANNALES ORATORII
le sue attività, che spesso giungevano all’incredibile. Le ore del giorno non
potevano bastare per il suo lavoro; suppliva con parecchie ore della notte.
L’ultimo mese, prima della chiusura del Congresso, in Acireale, non andò forse mai a letto. La mattina, quando andavo a svegliarlo, perché le suonerie di
tre sveglie non riuscivano a scuoterlo dal sonno, lo trovavo avvolto nelle coperte, sdraiato sulla poltrona.
Intanto altre Congregazioni chiedevano il suo aiuto. Prima corse a Cava
dei Tirreni, ove iniziò il processo del fondatore P. Castelli, poi a Palermo, ove
riaprì la casa dell’Oratorio chiuso dalla soppressione delle case religiose dei
1870.
Nuovo campo di azione e molto vasto. Ma di nuovo senza mezzi, con pochi collaboratori e con sole 4 stanze al quarto piano dell’antica casa. La meravigliosa chiesa dell’Olivella rivide presto il suo splendore di culto e la Villa Filippina si animava ogni sera di fanciulli. Gli inizi erano stati fecondi, era
necessario del tempo per una più salda affermazione, erano necessari soprattutto parecchi e validi cooperatori.
La guerra con le sue distruzioni rovinò tutto e riuscì anche a frangere l’indomita fibra di P. Timpanaro. Ammalato di cuore, gli era impossibile l’intensità solita della vita attiva. Con dolore dovette abbandonare Palermo, ma
l’animo suo di ardente filippino otteneva intanto il frutto più duraturo della
sua attività: l’unione morale delle Case filippine e la codificazione delle regole. Era stato il sogno del suo Maestro, Mons. Arista ma i tentativi erano rimasti infecondi. P.Timpanaro riprese l’idea di Mons. Arista, la perseguì con
mirabile tenacia, ma anche con prudente cautela e misura, perché lo spirito
dell’Istituto non venisse sfigurato e la genialità della concezione di S. Filippo non venisse alterata. Restando autonome le diverse case, son tutte unite
nel vincolo della carità con possibilità e norme di mutuo aiuto.
Per questo aveva visitato più volte le case filippine d’Italia, aveva stretto
relazioni più intime con le personalità più in vista delle Congregazioni.
Quanto ho finora ricordato è anche la parte più conosciuta della vita di P.
Timpanaro, perché riguardante la sua attività esterna, colorita anche dalla impulsività del suo carattere. Ma ci inganneremo molto se fermassimo il nostro
pensiero solo sulle manifestazioni che più sensibilmente ci impressionano. A
ricordare P. Timpanaro nella sua instancabile e focosa attività, siamo indotti
forse a considerare il suo animo privo di profondi motivi animatori, vuoto di
alte finalità spirituali, denutrito di virtù. Ci potremmo insomma rappresentare un tipo in cui l’azione è tutto e la sua vita si sia esaurita esclusivamente
in essa. La stessa spontanea e quasi primitiva forma con cui soleva reagire
A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro
61
potrebbero confermare un giudizio tanto affrettato quanto superficiale e perciò sbagliato.
La gloria di Dio e la salvezza delle anime era il fine delle sue fatiche apostoliche; la meditazione e la preghiera, il nutrimento da cui traeva forza e
conforto, - e P. Timpanaro era profondamente pio - Gesù Eucaristia e la Madonna il suo rifugio. Chi potè da vicino, attraverso la direzione spirituale,
sentire l’influsso dell’animo suo, può testimoniare l’ansia profonda di asceta e il conforto sovrannaturale che sapeva comunicare.
Più volte mi son rifatto alla memoria di Mons. Arista. Ora, saranno pure
coincidenze casuali, ma che qualcuno ha rilevato e che non posso non ricordare anch’io.
Mons. Arista morente, da P. Timpanaro si aveva fatto promettere che la
sua Congregazione, anche se temporaneamente ne stava fuori, era Acireale;
e ad Acireale egli volle chiudere i suoi giorni in un’opera che era di gratitudine e di riparazione, diceva lui, per gli involontari dispiaceri che gli aveva
dato: la Causa di Beatificazione del pio Vescovo. Era suo ardente desiderio
vedere chiuso il processo informativo ma quando si avvicinava il termine, il
Signore preferì chiamarlo a Sè.
Mons. Arista era stato per P. Timpanaro tutto. L’aveva iniziato alla vocazione filippina, di cui fu sempre altamente orgoglioso. L’aveva guidato nel
suo apostolato giovanile, temperandone i focosi ardori, l’aveva amato con
particolare predilezione, e nell’agire suo, P. Timpanaro si richiamava spesso
all’esempio del santo Vescovo.
Ebbene P. Timpanaro moriva per la stessa malattia, con sofferenze altrettanto atroci e, al di fuori di ogni previsione umana, nella stessa stanza che
per tanti anni aveva abitato Mons. Arista. Lo amò molto e fu assimilato nello stesso dolore e fino agli ultimi momenti di coscienza, come lui, trovò forza di gridare il suo amore a Gesù Crocifisso, che resta l’unica speranza negli istanti più atroci e nei distacchi più grandi: “mio amore, mio amore,, fu
l’ultimo suo grido stringendo il Crocifisso.
Cursum consummavi, fidem servavi. Una corsa faticosa, tempestosa qualche volta, con gli inevitabili urti e contrasti, che diversità di caratteri e angoli differenti di visione creano anche tra le persone in buona fede, anche tra
i Santi, fu la vita del P. Giuseppe Timpanaro. Ma una corsa verso un’idea:
Gesù, sulla strada di S. Filippo. E la consegna che ebbe con l’abito fìlippino
e l’ordinazione sacerdotale la conservò immacolata: fidem servavi.
Forse la mia opinione è influenzata dall’affetto filiale che nutrivo per P.
Timpanaro, ma mi pare anche suggerita dalla spontanea partecipazione che
62
ANNALES ORATORII
viene testimoniata da ogni parte al cordoglio immenso per tanta perdita, come atto non solo di dolente umanità per la sorte comune a cui soggiacciamo,
ma anche e soprattutto a testimonianza e riconoscenza per l’opera sua di sacerdote e filippino.
Lo vidi, dissi, in vita come un capitano delle avanguardie dell’esercito di
Cristo. E delle avanguardie ebbe lo spirito combattivo, i compiti più ardui, il
correre ove erano incrinature, l’opposizione all’avversario tenacissima; gustò
anche i primi e grandi successi della molteplice sua opera, ma il più delle
volte la gioia, che egli nel Signore sentiva grandissima, fu breve. Altri, quasi sempre, dovevano succedere a godere i frutti più duraturi della sua conquista.
E ora salve, o Padre. Ti saluto con i miei confratelli filippini non di Acireale soltanto, che apprendono la tua dipartita con accorato dolore, con tutti
quelli che ti conobbero, ed in cui suscitasti l’entusiasmo per il bene con quanti, giovani specialmente, legasti all’amore di Gesù.
La riconoscenza cristiana per il bene che facesti, per il tuo contributo alla gloria del Signore, saranno le nostre preghiere in suffragio per l’anima tua
benedetta.
Antonino Spina, C.O.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
63
L’INFLUENCE DE SAINT PHILIPPE ET DU VÉNÉRABLE BARONIO
DANS L’AFFAIRE DE L’ABSOLUTION D’HENRI IV (1593-1595)
On se souvient que lorsque le pape Grégoire XV, le 12 mars 1622, canonisa Ignace de Loyola, François Xavier, Thérèse d’Avila, Isidore le laboureur
et Philippe Néri, le peuple romain s’exclama: «Quatre Espagnols et un saint!»
C’était bien sûr par vénération envers celui qui était encore des siens moins
de trente ans auparavant, mais c’était aussi pour piquer l’amour-propre des
représentants à Rome du roi Philippe IV. Il semble bien, en effet, que ceuxci étaient intervenus en haut lieu pour qu’on ne canonise pas durant la même cérémonie des représentants de leur nation et quelqu’un qui avait, en son
temps, contribué à contrer les intérêts de la puissante Espagne. Ce temps était
celui des dernières années de la vie de saint Philippe Néri, marquées à Rome par la très grave affaire de l’absolution du roi de France, Henri IV. Ce
dernier avait abjuré le protestantisme en juillet 1593, mais ne fut reçu dans
le sein de l’Eglise catholique qu’en septembre 1595. Ses nombreux ennemis,
à commencer par le roi d’Espagne Philippe II, firent tout pour empêcher cette réconciliation lourde de conséquences politiques. Pour le pape Clément
VIII, ce fut un cas de conscience extrêmement pénible et difficile à trancher,
et l’on sait qu’en pareilles circonstances le fondateur de l’Oratoire, ainsi que
Baronio qu’il avait pour confesseur, l’encouragèrent fermement à absoudre
le roi de France. Mettre en valeur l’aspect proprement philippin de cet encouragement est le but de cet article : nous voulons montrer ici qu’en cette
unique fois où, «durant sa longue carrière romaine, il [fut] mêlé à des affaires d’Etat1», saint Philippe n’a pas agi autrement ni dans un autre domaine
que celui qu’on lui connaît. Ce domaine est celui de l’influence spirituelle en
vue du bien des âmes, en vertu d’une force qu’il diffusait d’autant mieux qu’il
se trouvait plus faible aux yeux des hommes ; en vertu aussi d’une grâce de
communion et de complémentarité des charismes au sein de sa congrégation.
Nous allons donc examiner l’«affaire de l’absolution d’Henri IV» sous son
1
Louis PONNELLE et Louis BORDET, Saint Philippe Néri et la société romaine de son temps
(1515-1595), Paris 1928, p. 499.
64
ANNALES ORATORII
angle oratorien ; cet examen sera précédé d’une étude du genre d’influence
qu’exerçait saint Philippe sur la personne du pape et sur le milieu concerné
par cette affaire. Mais il convient en premier lieu de rappeler les circonstances générales.
Henri IV de Bourbon est le successeur sur le trône de France d’Henri III
de Valois, assassiné le 1er août 1589. Cousin très lointain de ce dernier, il ne
doit sa couronne qu’au respect de la coutume française, codifiée sous le nom
de «Loi salique», qui interdit aux femmes d’hériter ou de transmettre le droit
d’hériter du royaume. En fait, sa légitimité n’est pas reconnue par le puissant
parti de la Ligue, une vaste coalition, alliée à l’Espagne, de villes et de grandes familles nobles, sous la direction du duc de Guise. Henri IV mène donc
la guerre contre la Ligue pour conquérir en son propre royaume les villes (en
particulier Paris) et les provinces contrôlées par celle-ci. Ce conflit, dont l’issue est encore incertaine, est la dernière des huit «guerres de religion» qui
déchirent la France entre 1562 et 1598. Cette phase ultime est aussi la plus
longue ; elle met en jeu le fondement même du royaume, qui se résume en
la personne du roi. Cette personne est sacrée, tout comme le pouvoir qu’elle
détient ; aussi la foi que professe le monarque est-elle déterminante pour tous
ses sujets. Les Français, dans leur grande majorité, ne peuvent donc accepter un roi que catholique. Or ils savent dès 1584 que celui à qui doit revenir
la couronne de France ne peut être, si l’on respecte la Loi salique, que ce fameux Henri de Bourbon, duc de Vendôme, roi de Navarre… et protestant notoire. La réaction ne se fait guère attendre : en janvier 1585, la Ligue est fondée, qui s’emploie dès lors à neutraliser ce prétendant indésirable et à orienter le choix du roi vers son propre candidat : le duc de Guise. Evidemment,
si Henri de Navarre revenait au catholicisme, les prétentions de la Ligue perdraient largement en crédibilité. Mais ce prince, à 31 ans, a déjà changé cinq
fois de religion, aussi ses ennemis imaginent-ils mal qu’il puisse se convertir autrement que par opportunisme. Cela facilite leur cause, à Rome : en septembre 1585, les ligueurs ont obtenu du nouveau pape Sixte Quint une bulle déclarant que le roi de Navarre ne pouvait régner nulle part en raison de
son hérésie. En août 1589, lorsque ce dernier devient, pour ceux qui veulent
bien le reconnaître, le roi de France Henri IV, Sixte Quint s’alarme. Il pense
alors que ce pays est définitivement perdu, comme l’Angleterre (on est au
lendemain du désastre de l’Invincible Armada), et que le seul moyen d’y
maintenir la foi catholique est d’encourager sa conquête par les Espagnols.
En 1590 toutefois, durant les derniers mois de son pontificat, il accepte de
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
65
prêter foi à l’hypothèse suivante: Navarre pourrait bien se convertir réellement, ainsi qu’il l’a promis au lendemain de son avènement; il faudrait alors
le reconnaître comme roi légitime. Mais Sixte Quint meurt bientôt et ses successeurs immédiats, Urbain VII, Grégoire XIV et Innocent IX, qui ne régnent
à eux trois qu’un an et trois mois, reprennent délibérément une politique française hostile à Henri IV et favorable aux intérêts de la Ligue et de l’Espagne.
Il faut dire que le parti espagnol est très puissant à Rome: plus d’un tiers des
cardinaux doivent leur chapeau à l’intervention de Philippe II et sont pensionnés par lui. Et à vrai dire, l’hypothèse de la conversion d’Henri IV peut
sembler improbable aux yeux de ces papes et de leur successeur Clément VIII
(élu en janvier 1592): il faut attendre, en effet, l’été 1593, avant de voir le
roi de France manifester publiquement sa volonté de se réconcilier avec l’Eglise catholique. Il le fait lors d’une cérémonie d’abjuration qui a lieu le 25
juillet 1593 à Saint-Denis, antique église abbatiale située aux portes de Paris, où sont enterrés les rois de France. L’archevêque de Bourges lui donne
l’absolution « sous réserve de l’autorité du Saint-Siège apostolique » et le
rend à l’Eglise romaine et à ses sacrements. Dès lors, le roi de France détient
la clé de la pacification de son royaume… mais pas celle de sa véritable réintégration dans l’Eglise ! Car les évêques qui l’ont absous ont agi sans aucun mandat de la part de Rome. Or ce cas d’absolution relève du pape, et de
lui seulement. Cette manière d’agir ne doit pas étonner: si ces prélats, en effet, avaient demandé à Rome l’autorisation d’absoudre, ils ne l’auraient
sûrement pas obtenue. Officiellement ralliés à Henri IV, ils étaient déjà, euxmêmes, sous le coup d’une sentence d’excommunication2; ensuite, le pape
n’était pas disposé, à l’époque, à croire qu’Henri de Navarre pourrait se
convertir de bonne foi; enfin, cet acte précis relevait de cette mentalité «gallicane»3, alors très vive, en vertu de laquelle ils se croyaient naturellement
investis, avec le roi, d’un certain nombre de prérogatives relevant normalement de l’autorité du Saint-Siège4. Ils savaient bien qu’il était nécessaire, en
ce cas précis, de s’en remettre au pape, mais ils n’excluaient pas, s’il refusait cette absolution, de se passer complètement de son autorité. Autrement
dit, il y avait là, soixante ans à peine après le schisme anglican, la possibilité d’un schisme gallican. On comprend que pour Clément VIII, à qui il re-
2
GRÉGOIRE XIV, bref Beatissimi Apostolorum principis Petri cathedrae, 1er mars 1591.
Le terme est apparu en 1882 seulement, dans le Dictionnaire de Littré.
4
Voir l’article Gallicanisme dans Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques
XIX, Paris 1981, 846-847.
3
66
ANNALES ORATORII
venait, en dernier lieu, d’en décider, le cas de conscience ait été terrible. Le
parti français dut attendre deux ans avant d’obtenir gain de cause. Deux ans
d’une véritable bataille diplomatique, à Rome, entre la France et l’Espagne.
Les protagonistes, du côté français, furent successivement le duc de Nevers
Louis de Gonzague, dont l’ambassade échoua, puis l’abbé Arnaud d’Ossat,
qui travailla sur place pendant dix-huit mois et enfin Monseigneur Jacques
Davy du Perron, évêque d’Évreux, dont l’ambassade vit l’heureuse conclusion de l’affaire. Il va sans dire que le travail, bien connu, de ces personnes
officielles doit être retenu par l’historien comme l’influence la plus évidente
en faveur de la décision finale de Clément VIII. Ceci posé, nous pouvons
nous rendre maintenant chez ceux qui nous sont chers et que cette histoire
toucha de près.
Commençons par examiner attentivement deux documents appelés «Mémoriaux», que la Congrégation de Rome conserve encore: ils sont la trace la
plus nette des relations qu’entretenaient Clément VIII et saint Philippe Néri,
et fournissent en outre bien des informations sur le genre d’influence qu’exerçait notre saint sur la société romaine de son temps. Le premier Mémorial, à
vrai dire, ne subsiste que sous la forme d’une sorte de copie en style indirect,
écrite par un tiers peu de temps après la mort de l’auteur de l’original5. En
voici une traduction:
«Le Bienheureux Père Philippe se retrouvant malade reçut l’ordre de Notre Seigneur
le pape Clément VIII de ne plus aller à l’église pour confesser, afin que cela ne lui
fût pas l’occasion d’une nouvelle maladie. Le Bienheureux répondit dans une lettre,
ou mémorial au Pape, mais en manière de plaisanterie, qu’il s’étonnait grandement
qu’on puisse croire, et qu’on ait cru, qu’il avait voulu ravir la papauté à Sa Sainteté, car s’il était certes allé à l’église et s’était laissé baiser les pieds et les mains par
ceux qui venaient à lui, il ne fallait pas pour autant en juger qu’il veuille ou ambitionne la papauté; s’il l’avait voulu d’ailleurs, comme il ne peut y avoir deux papes,
il aurait fallu qu’il souhaite la mort d’une personne aussi chère que lui était Sa Sainteté. Aussi le priait-il de bien vouloir le réhabiliter à confesser à l’église quatre pauvres femmes et gens de peu, puisque le Père César lui avait pris, avec le supériorat,
Monseigneur Pamphili et l’Abbé Maffa. Les Cardinaux, il les aurait confessés en
restant au lit, mais le même les lui avait volés aussi.»
5
Archives de la Congrégation de l’Oratoire de Rome, vol. A.IV.15 intitulé Scritture originali
duplicate per San Filippo CC, f. 354 r. Cf. Processo, II, 35, n. 1087. Traduit par nos soins.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
67
Le second n’est pas non plus de la main du saint: sans doute trop faible
pour écrire, il le dicta, mais il s’agit bien de l’original6. En voici la teneur:
«Bienheureux Père, quel personnage suis-je donc pour que les Cardinaux viennent
me faire visite, et en particulier hier soir les cardinaux de Florence et Cusano? Et
parce que j’avais besoin d’un peu de manne de feuille, ledit Seigneur cardinal de
Florence m’en a fait apporter deux onces de San Spirito, attendu que le Seigneur
Cardinal en avait envoyé le jour même une grande quantité à cet hôpital. Il resta ensuite jusqu’à deux heures de nuit, et dit beaucoup de bien de Votre Sainteté, beaucoup plus qu’il n’en paraissait à mes yeux: car, puisque vous êtes pape, vous devriez
être l’humilité en personne. Jésus-Christ vint à sept heures de nuit s’incorporer à
moi, mais Votre Sainteté pourrait bien venir une fois en notre église. Jésus-Christ est
non seulement homme, mais Dieu, et il vient me voir aussi souvent que je le désire: Votre Sainteté n’est qu’un simple homme, né d’un saint homme, d’un homme de
bien, mais lui est né de Dieu le Père. La mère de Votre Sainteté est Madame Agnesina, une très sainte femme, mais la sienne est la Vierge des Vierges. Que ne diraisje pas si je voulais laisser libre cours à ma colère? J’ordonne à Votre Sainteté que
vous fassiez ce que je veux: il s’agit d’une jeune fille que je veux faire entrer à Tor
di Specchi; elle est la fille de Claudio Neri, à qui Votre Sainteté a promis qu’elle
protègera ses enfants, et alors je vous rappelle qu’il est galant, quand on est pape,
de tenir parole. C’est pourquoi accordez-moi ce que je demande, de sorte que je puisse au besoin me servir de votre nom, d’autant plus que je connais la jeune fille et
que je suis certain qu’elle est mue par inspiration divine. Avec la plus grande humilité, je vous rends mes devoirs et vous baise les pieds.»
La lettre de Philippe laissait une page; sur celle-ci Clément VIII, de sa
propre main, a répondu ceci7:
«Le pape dit que, dans sa première partie, la supplique contient des traces d’esprit
d’ambition, quand elle a soin de l’informer que les cardinaux lui font si souvent visite, à moins qu’il s’agisse de lui faire entendre, ce que l’on sait du reste, que ces
6
Il se trouve exposé dans la sala rossa des Stanze di san Filippo à la Chiesa Nuova. C’est au
Père Germanico Fedeli que Philippe l’avait dicté, et c’est lui aussi qui l’avait portée au Vatican.
Voir sa déposition (Processo, III, 270 et n. 2179 ; II, 100 et n. 1189). La traduction que nous donnons de ce second Mémorial et de son rescrit est probablement due à Louis Bordet (PONNELLE,
477-478).
7
Lorsque Germanico Fedeli retourna au Vatican le lendemain, le maître de chambre du pape
lui rendit le Mémorial en lui disant que la réponse avait été écrite en dessous par Clément VIII
lui-même. A défaut d’un examen graphologique, on peut se contenter de ce témoignage (Processo, III, n. 2179).
68
ANNALES ORATORII
seigneurs sont des spirituels. Pour ce qui est de venir le voir, il dit que Votre Révérence ne le mérite pas, du moment qu’elle n’a pas voulu du cardinalat, qu’on lui a
tant de fois offert. Quant à l’ordre que vous lui donnez, il vous suffira de rabrouer
ces bonnes Mères avec votre vigueur habituelle, si elles ne se conforment pas à vos
désirs. De plus, le pape ordonne une fois de plus à Votre Révérence de se ménager
et de ne pas retourner au confessionnal sans sa permission ; et il lui ordonne aussi
de prier Notre-Seigneur, quand celui-ci vient la voir, pour lui et pour les besoins très
pressants de la Chrétienté.»
Quant à la date de ces mémoriaux, on peut noter que le premier fait mention de la charge de supérieur que le «Père César» a «prise» à Philippe: on
est donc entre juillet 15938 et mai 1595: la période même des tractations en
vue de l’absolution du roi de France: il n’y a guère de doutes à se faire sur
ce que le pape entend, dans son rescrit, par «les besoins très pressants de la
Chrétienté».
L’ordre qu’il donne à Philippe de ne plus descendre à l’église pour confesser renouvelle celui que Grégoire XIV (8 décembre 1590 – 16 octobre 1591)
lui avait déjà donné par souci de préserver sa santé chancelante. Le saint prêtre, en ses dernières années, doit de plus en plus vivre retiré dans sa chambre, voire garder le lit. Mais dès qu’il est à peu près sur pied, il s’efforce d’aller s’asseoir dans la chapelle latérale de la Chiesa Nuova où il avait coutume auparavant de passer toute la matinée à entendre les confessions. Quoique
cette «église neuve» porte alors d’autant mieux son nom qu’elle est encore
en chantier, et donc ouverte aux quatre vents – la façade n’existe pas encore – il préfére, pour exercer ce ministère, se trouver là plutôt que dans sa
chambre9. Celle-ci est certes très accessible: beaucoup aiment à y rester auprès de lui et y viennent aussi se confesser, mais tous, certainement, ne peuvent y monter, en particulier les femmes. Aussi l’allusion plaisante aux « quatre pauvres femmes et gens de peu » qu’il veut avoir le droit de confesser
montre-t-elle, par delà le rire, la très grande sollicitude pastorale de Philip8
A cette date, Philippe, jusque là sans interruption prévôt de la Congrégation depuis ses origines, obtient du pape lui-même, par l’intermédiaire des cardinaux Borromée (Frédéric) et Cusani,
une démission que les siens sont contraints d’accepter. Le pape demande alors, conformément à ce
qu’on lui a suggéré, que le P. César Baronio succède au P. Philippe Néri en cette charge. Baronio,
tout comme les autres membres de la Congrégation, se refuse à ce catapultage forcé, absolument
contraire aux Constitutions de l’Oratoire. Des élections régulières, finalement, ont lieu, et il est élu
à l’unanimité des voix, sauf la sienne (22 juillet 1593). Antonio CISTELLINI, San Filippo Neri, l’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia 1989, vol. II, p. 874 ss.
9
PONNELLE, 440.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
69
pe. A cette sollicitude, jointe aux dons de grâce vraiment exceptionnels dont
il jouit, répond une vénération pour ainsi dire universelle, manifestée entre
autres par le fait que cet humble prêtre doit se laisser « baiser les pieds et les
mains » par ceux qui viennent à lui. Parmi les 361 témoins ayant déposé en
sa faveur lors du procès de canonisation – témoins de tout rang social et dont
on commence à recueillir les dépositions dès le 2 août 1595, c’est-à-dire deux
mois après sa mort – Augustin Cusani, l’un des deux cardinaux évoqués au
début du second Mémorial, déclare lui-même qu’il n’a jusque là connu « aucun religieux, ni régulier ni séculier, qui soit plus vénéré par autant d’hommes de toute sorte, aussi bien plébéiens que nobles, courtisans, prélats,
évêques, archevêques, cardinaux et papes; et cela à cause du grand fruit qu’on
voyait de l’acquisition de tant d’âmes, qui par son œuvre étaient induites dans
la voie du salut.»10 Lui-même l’avait pour confesseur ordinaire depuis 1575,
et reçut encore son absolution au soir du 25 mai 1595, quelques heures avant
que le saint prêtre ne meure. L’autre cardinal évoqué dans le second Mémorial est Alexandre de Médicis, le cousin du Grand-Duc de Toscane, Côme de
Médicis. C’est lui qui devait être nommé légat en France le 3 avril 159611;
c’est lui aussi qui succéderait immédiatement à Clément VIII sur le trône de
Pierre, sous le nom de Léon XI – élu le 1er avril 1605, il mourut le 27 du même mois. Comme le cardinal Cusani, il rend visite à Philippe plusieurs fois
par semaine12. Les seuls noms de cardinaux forment déjà une liste conséquente dans le «carnet d’adresses» de saint Philippe13. Que dire alors des autres ecclésiastiques? Contentons-nous de présenter brièvement les deux qui
10
Il primo Processo per San Filippo Neri […], texte édité et annoté par Giovanni Incisa della Rocchetta et Nello Vian avec la collaboration du P. Carlo Gasbarri, C.O., (=Studi e testi
191.196.205.224), Città del Vaticano 1957-1963, vol.II, pp.34-35. Traduit par nos soins.
11
Cette mission, couronnée d’un succès notoire, est relatée en particulier dans les Lettres du
Cardinal de Florence sur Henry IV et sur la France (1596 – 1598). Documents inédits des Archives Vaticanes recueillis et présentés par Raymond RITTER, Paris 1955.
12
Processo, II, 340.
13
On ne peut éviter de rappeler aussi la présence, parmi les plus proches de l’Oratoire, du cardinal Frédéric Borromée, neveu de saint Charles, le Préfet de la Congrégation de l’Index, et du
cardinal vénitien Augustin Valier, auteur entre autres d’un plaisant opuscule qu’il dédia et offrit à
Philippe: Philippus, sive de laetitia christiana. Il rapporte en cet ouvrage un entretien sur le thème de la joie chrétienne entre les membres d’un petit cénacle rassemblé chez lui. Il est attesté que
ce genre de tractatio, à l’imitation d’un exercice que l’Oratoire avait promu, avait cours alors en
divers palais romains, et notamment au palais Saint-Marc – c’est-à-dire chez le cardinal Valier –
mais aussi, le soir des dimanches de carême, chez le pape Clément VIII lui-même. Il est remarquable que le petit cénacle décrit par Valier compte les cardinaux Borromée et Cusani, ainsi que
les PP. Maffa et Baronio, sans compter Bordini et Antoniano, dont il sera aussi question ici!
70
ANNALES ORATORII
sont ici cités: Monseigneur Pamphili, Jérôme de son prénom, est alors auditeur de Rote, et régent de la Pénitencerie si le mémorial est postérieur au
1er octobre 1593; Romain de naissance, il connaît Philippe depuis son enfance
et lui rend de très fréquentes visites; il se confesse ordinairement à lui et n’a
recours au Père César Baronio que lorsque le vieux prêtre est trop indisposé
pour l’entendre14. L’abbé Marc-Antoine Maffa, prêtre du diocèse de Salerne,
est un homme de talent comptant parmi les familiers du cardinal Cusani; c’est
en accompagnant son maître qu’il est devenu familier de l’Oratoire et pénitent de Philippe «presque jusqu’à sa mort»15. Religieux et religieuses abondent aussi dans l’entourage du père ; relevons la mention de ces «bonnes Mères» de Tor di Specchi, le couvent d’oblates fondé par sainte Françoise Romaine au pied du Capitole, au siècle précédent. Ces moniales sans vœux ni
clôture ont un idéal de vie fort proche de celui des Oratoriens, et ce n’est pas
un hasard si leur chapelain appartient à cette congrégation. Philippe, très souvent, y confesse d’ailleurs lui-même16 ; comme à tant d’autres instituts, il leur
a fourni un nombre considérable de vocations, comme cette fille de Claudio
Neri qui, soit dit en passant, ne lui est pas apparentée.
Venons-en finalement aux papes, qui ont été plusieurs à manifester à l’égard de Philippe un respect confinant, spécialement chez Clément VIII, à la
vénération. Cette attitude pourtant ne se vérifie pas tout de suite. On se souvient que Philippe a même été inquiété en haut lieu au temps de Paul IV Carafa (1555 – 1559), lorsque son œuvre, l’Oratorio, a commencé à se dessiner et à prendre de l’ampleur; saint Pie V lui-même (1566 – 1572) l’a suspecté et ordonné qu’on surveille ses activités. L’Oratoire œuvrait pourtant à la
conversion de Rome, que ces papes réformateurs souhaitaient vivement, mais
son caractère ouvert et bon enfant, dicté par l’esprit de son fondateur, tranchait avec le cadre strict qu’ils imposaient alors avec une rigidité d’autant
plus grande, probablement, qu’ils étaient plus conscients de la difficulté de
la tâche qui leur incombait. Le prêtre Philippe Néri, qui confiait parfois à des
laïcs le soin de donner en public un enseignement, leur était donc suspect.
Mais le fruit même de l’œuvre parlait en sa faveur, et avait fini, comme on
sait, par conquérir les milieux catholiques réformateurs, cardinaux compris:
c’est-à-dire, à terme, les pontifes eux-mêmes. C’est ainsi que le patricien romain Fabrizio de’Massimi, dans sa déposition de 1609, peut rappeler que le
14
Voir sa déposition, Processo, II, 108 et n. 1203.
Voir sa déposition, Processo, II, 82 et n. 1166.
16
PONNELLE, 271 et Processo, II, 280.
15
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
71
prêtre florentin jouissait déjà de quelque crédit auprès de Pie IV (1559 –
1565), dont il affirme qu’il a été assisté par lui à l’heure de sa mort, que Grégoire XIII (1572 – 1585) fut des plus généreux à l’époque de la fondation de
la Congrégation et de l’édification de la Chiesa Nuova, et que Grégoire XIV
gratifia Philippe d’une grande estime jointe à une respectueuse familiarité et
à diverses faveurs. Le témoignage continue ainsi:
«Et le même pape Grégoire XIV, quand le bienheureux Philippe allait chez lui, le
faisait toujours se couvrir et s’asseoir; et le pape Clément VIII faisait encore de même: ce à quoi j’ai pu assister plusieurs fois, et je l’ai vu assis, couvert, aux côtés du
dit pape Clément, qui s’entretenait le plus familièrement du monde avec le dit bienheureux Philippe et lui demandait son avis sur bien des choses. Et j’ai vu le dit pape se lever de son siège, aller à l’encontre du bienheureux Philippe, et l’embrasser
affectueusement, et l’on voyait qu’il y trouvait un goût particulier, et il dit: “Soyez
le bienvenu, Père”: je suis resté fort étonné et consolé de cette action. Et j’ai entendu dire aussi, à cette époque, que le dit pape Clément, lorsque le bienheureux Philippe le quittait, lui baisait les mains et se recommandait à ses prières.»17
Il semble bien qu’entre Philippe Néri et Clément VIII, les désormais traditionnels bons rapports du simple prêtre avec le successeur de Pierre aient atteint leur plus haut degré dans l’affection18. Il faut dire que la courte génération qui séparait les deux hommes favorisait entre eux une relation pour une
part analogue à celle d’un père et d’un fils. Sylvestre Aldobrandini, le père de
Clément VIII, était né à Florence, tout comme Philippe Néri, mais seize années plus tôt. Docteur en droit, il s’était montré actif lorsque sa patrie, secouant
en 1527 le joug des Médicis, avait renoué avec le régime républicain et le
souffle de Savonarole. En 1531, lorsque les «tyrans» eurent repris le dessus,
il n’avait pu que s’exiler, comme beaucoup. Il avait alors attendu que le pape
Clément VII Médicis fût mort pour se rendre à Rome et mettre ses talents au
service de Paul III Farnèse. C’est ainsi que son fils Hippolyte avait vu le jour
17
Processo, II, 359.
Dans le procès, on peut lire d’autres récits d’audience témoignant de cette familiarité; plus
frappant encore que celui de Fabrizio de’Massimi est celui du prêtre oratorien Augustin CorcosBoncompagni, un juif converti par Philippe et baptisé, avec ses trois frères, par Clément VIII luimême, le 28 octobre 1592. Il rapporte qu’il se rendit peu de temps après son baptême au palais du
Vatican, en compagnie de ses frères et de Philippe, pour baiser les pieds du pape. Il entendit le pape répondre à Philippe, qui d’autorité avait remis sa barrette: «le patron, c’est vous», et vit le vieux
prêtre prendre la main de Clément VIII et lui caresser le visage et la barbe, «comme ferait un père
à son enfant», ce qui procurait manifestement la plus grande joie au pape. Processo, III, 229-230.
18
72
ANNALES ORATORII
sur les rivages de l’Adriatique, à Fano (États de l’Église), et non sur les rives
de l’Arno19. Philippe avait lui aussi, et dans les mêmes années, quitté pour toujours sa patrie florentine. C’était à vrai-dire pour une raison plus économique
que politique, mais la deuxième n’était sans doute pas tout à fait étrangère à
la première, puisque son père était républicain. Il s’était fixé à Rome, assurément parce que les lieux saints l’attiraient, mais la présence massive de la nation florentine en cette ville avait joué avec la providence20: c’était chez un
Florentin, Galeotto del Caccia, qu’il avait alors trouvé de quoi subsister. Il fut
toute sa vie un familier du quartier du Ponte, où ses compatriotes étaient très
nombreux; ceux-ci lui avaient d’ailleurs confié leur église, Saint-Jean-des-Florentins, avant que son œuvre ne se fixât à Santa Maria in Vallicella, c’est-àdire toujours à deux pas de leurs banques et de leurs palais. Nul doute que les
solidarités naturelles et réseaux de relations de la nation florentine à Rome
avaient mis en contact Philippe Néri et les membres de la famille Aldobrandini à une époque qui devait correspondre pour le pape à ses souvenirs d’enfance. La façon dont Philippe évoque sa mère, «Madame Agnesina», dans le
second Mémorial, indique qu’il la connaît plus que par ouï-dire. Deux des frères du pape, Bernardo, homme de guerre, et Tommaso, philosophe, étaient par
ailleurs connus des Pères de l’Oratoire21, et ses neveux plus encore : Pietro
Aldobrandini fut en partie élevé, durant son enfance, à la Vallicella22. Un jour
que, déjà cardinal, il y était venu pour des vêpres solennelles, il se leva en
plein office pour accueillir le vieux Père qui avait voulu quitter sa chambre et
traverser la foule pour rejoindre le chœur. Philippe lui fit signe de s’arrêter et
vint s’asseoir près de lui, mais plus bas, à côté du caudataire, et il cacha son
visage dans ses mains23.
Quant au pape lui-même, le second Mémorial l’atteste, il ne vient pas en
personne à la Chiesa Nuova, ce qu’il faisait pourtant volontiers avant d’être
19
LUDWIG VON PASTOR, Storia dei papi […]XI : Clemente VIII (1592-1605), Roma 1958, pp.
16-18.
20
Voir JEAN DELUMEAU, Rome au XVIème siècle, Paris, Hachette, 1975, p. 53.
21
PONNELLE, 474.
22
Processo, II, 84. Son oncle l’avait créé cardinal le 17 septembre 1593, en même temps que
son cousin Cinzio et que le Jésuite Francesco Toledo. Les deux cardinaux-neveux – Pietro avait
alors 20 ans ; Cinzio, 40 – furent conjointement chargés des affaires de la Secrétairie d’Etat, c’est
à dire qu’ils étaient les intermédiaires officiels entre le pape et les nonces; Pietro, qui excellait en
diplomatie, fut envoyé comme légat auprès d’Henri IV en 1600 avec la mission de résoudre le
conflit entre la France et la Savoie à propos du marquisat de Salluste, et celle de bénir le mariage
du roi avec la princesse florentine Marie de Médicis.
23
Processo, III, 230-231 et n. 2113. Ces vêpres étaient celles de la Nativité de la Sainte Vierge, le 8 septembre 1594.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
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élu, mais il rencontre au moins un Oratorien tous les jours: Baronio, son
confesseur24. En fait, Clément VIII continue à manifester de bien des manières son attachement, non seulement à Philippe, mais aux pères de la Vallicella en général. Lorsqu’il n’était encore que cardinal, Sixte Quint l’avait envoyé comme légat en Pologne, en 1588 – son succès dans cette mission délicate avait d’ailleurs certainement pesé en faveur de son élection – et il avait
alors choisi, pour l’accompagner en tant que confesseur, le Père Jean-François Bordini, de l’Oratoire; il l’avait gardé par la suite. Bordini fut nommé
évêque de Cavaillon moins d’un mois après que son pénitent ne fût devenu
pape! Quelques mois plus tard, passant outre les protestations de Philippe,
Clément VIII enlevait à l’Oratoire un de ses membres les plus en vue, le Père François-Marie Tarugi, pour le nommer archevêque d’Avignon. Celui-ci,
tout comme Baronio d’ailleurs, sera créé cardinal le 5 juin 1596, tandis qu’un
autre Oratorien deviendra évêque sous le même pontificat: Jean-Juvénal Ancina, nommé à Salluste en 1602. Germanico Fedeli, le cérémoniaire de la
Congrégation, avait quant à lui été pressenti pour la charge de maître des cérémonies pontificales. Et pour Philippe Néri lui-même, c’est à la pourpre, évidemment, que Clément VIII avait pensé, reprenant d’ailleurs en cela un propos que Grégoire XIV avait déjà eu, et se heurtant tout comme lui à un refus catégorique de la part du vieux prêtre. De cela témoigne notamment, en
octobre 1595, Bernardino Corona, un frère laïc de la Congrégation, pénitent
de Philippe depuis 1555 et à peine moins âgé que lui25:
«Un jour, environ trois mois avant que le P. Philippe ne meure, j’allai le visiter, et
il revenait de chez le pape. Et en parlant tous les deux, en compagnie de messer Antonio Gallonio, il me dit ceci: “le pape veut me faire cardinal: que vous en semble?” et il me le répéta deux ou trois fois. Et moi je lui dis “Votre révérence pourrait accepter, pour faire du bien à la Congrégation”. Et le père enleva sa barrette en
regardant le ciel et dit: “paradis, paradis”».
24
Clément VIII se confessait tous les soirs (PASTOR, XI, 21). Il n’a pas eu le Père Philippe pour
confesseur ordinaire, mais le lui a demandé après être devenu pape (Processo, III, 319); le vieux
prêtre, trop affaibli, a dû décliner l’offre et proposé Baronio pour confesseur. C’est à partir de la
fin de 1594 que Baronio remplit cette fonction. GENEROSO CALENZIO, La vita e gli scritti del Card.
Cesare Baronio, Roma 1907, pp. 348-353.
25
Processo, I, 287. Traduit par nos soins. Ce même témoin raconte ensuite que Philippe lui
avait un jour montré la barrette rouge que Grégoire XIV lui avait fait apporter. Un peu plus tôt, il
lui avait posé la sienne sur la tête en disant le plus sérieusement du monde qu’il voulait faire le
bref pour le créer cardinal. Philippe s’était alors défendu avec véhémence: «Non, Saint-Père, non;
ça suffit comme ça».
74
ANNALES ORATORII
Notons que la visite évoquée ici dut précéder de peu, sinon être la même
que celle où Philippe Néri trouva Clément VIII alité, souffrant violemment
d’une attaque de goutte à la main que, d’un simple toucher, il lui guérit26. Ce
fut semble-t-il la dernière fois que les deux hommes purent se voir. Plus tard,
après qu’il fut mort, le pape voulut avoir dans son bureau son portrait, et Baronio, à sa demande, lui donna celui qu’il possédait27.
La prédilection de Clément VIII pour Philippe Néri en particulier et pour
les Oratoriens en général était assez manifeste pour qu’on en trouve des traces dans certains documents officiels, aussi bien que dans des Avvisi28. Du
coup, la plupart des prélats de la cour, voulant suivre l’humeur du pontife, se
donnaient comme Vallicellioli; plusieurs parmi eux l’étaient toutefois véritablement, en particulier Silvio Antoniano, le «maître de chambre» du pape,
c’est-à-dire son familier le plus proche, comparable, mutatis mutandis, à l’actuel préfet de la maison pontificale. Les Oratoriens, qu’il fréquentait depuis
un quart de siècle, le considéraient comme «des leurs», et Bordini se permettait d’affirmer qu’il était «leur procureur auprès de Sa Sainteté»29. Il fut
lui aussi créé cardinal, en 1599. C’est lui qui avait remis notre second Mémorial entre les mains de Germanico Fedeli, en lui disant que le pape lui-même y avait écrit la réponse.
Clément VIII, on le sait, prend très au sérieux son travail de pape, et «les
besoins très pressants de la Chrétienté » ne sont pas pour réjouir ses journées.
Il est pourtant d’un naturel joyeux, à l’instar des gens de sa famille, aussi le
contact rafraîchissant avec le Père Philippe doit-il être précieux pour lui30.
Dans le cas qu’on examine ici c’est lui-même, semble-t-il, qui le provoque:
averti, sans doute par quelque cardinal habitué de la Chiesa Nuova, que leur
cher vieux Père s’obstine à vouloir y descendre pour confesser, il lui semble
nécessaire de réitérer l’ordre attentionné et prudent de Grégoire XIV, ce qu’il
fait probablement au moyen d’une première lettre. La réponse de Philippe
suggère que cet ordre du pape était lui-même écrit sur un ton décontracté, en
manière de facétie, tant par une exigence de respect et de délicatesse à son
égard – ce n’est pas un petit renoncement que celui qu’il lui demande là –
que par un effet de la familiarité déjà évoquée. Le fait est que Philippe, si
26
ANTONIO GALLONIO, Vita di San Filippo Neri, texte édité, annoté et commenté par M. T.
Bonnadonna Russo, Roma 1995 (11601), pp. 292-294.
27
Processo, IV, 232, n. 1819.
28
PASTOR, XI, 436, n. 1; PONNELLE, 475, n. 4.
29
PONNELLE, 475; Processo, II, 93, n. 1180.
30
PONNELLE, 477.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
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l’on veut bien admettre que ce texte rédigé au style indirect diffère probablement très peu de l’original, plaisante sur sa prétendue ambition de ravir
au pape la papauté comme s’il ne faisait que répondre à une première boutade en ce sens. Mais il rebondit allègrement, et garde sans complexe un ton
humoristique, donnant par dérision de grands airs à sa réponse en l’appelant
un «mémorial». On trouve en cet échange la gratuité d’une véritable récréation en même temps que le prix d’une affection exprimée sans fausse pudeur,
la simplicité d’une bonne partie de rire alliée à la vérité, à la délicatesse et
au sérieux de la charité. L’échange du second Mémorial a la même qualité
de ton, mais plus simple et libre encore, avec de surcroît, de la part de Philippe, l’expression très concrète de la foi d’un vrai mystique: «Jésus-Christ
vint à sept heures de nuit s’incorporer à moi…», qui trouve chez le pape l’écho le plus chrétien: «il lui ordonne aussi de prier Notre-Seigneur, quand celui-ci vient [le] voir, pour lui et pour les besoins très pressants de la Chrétienté.»
Cette qualité de relations, pour n’être pas exclusive du milieu et des personnes que nous considérons, n’en est pas moins caractéristique de l’esprit
que saint Philippe Néri incarna et diffusa alors à Rome. Il insuffla notamment
cet esprit dans les hautes sphères de la hiérarchie ecclésiale, à la mesure de
l’influence personnelle qu’il eut sur bon nombre de ses représentants. Jouant
de manière exemplaire sa propre partition, c’est ainsi qu’il servit, comme on
sait, le profond renouvellement de la vie morale et spirituelle de l’Église catholique à la fin du XVIème siècle. Cette «partition philippine» était une manière simple d’évangéliser à nouveau la nature humaine sans la priver de sa
sève propre ; fort de la mesure pleine que procure la grâce du Christ, Philippe pouvait partager l’optimisme foncier de l’humanisme et orienter son monde vers le ciel sans pour autant briser son naturel. Le tout de l’ascèse qu’il
exigeait des siens était la pratique effective de l’obéissance et de l’humilité.
Il soignait cette dernière, clé de toutes les vertus, en ne se prenant pas luimême au sérieux et en traitant librement chacun, quel que fût son rang, avec
sa familiarité affable autant qu’avec sa «vigueur habituelle», dont Clément VIII parle comme s’il l’avait expérimentée lui-même. D’ailleurs, la vigueur du «puisque vous êtes pape, vous devriez être l’humilité en personne»
ne lui a certainement pas échappé: ce trait, pour peu que son destinataire ait
un minimum d’humilité et de clairvoyance, est moins une boutade qu’une
impérieuse leçon. Philippe ne craignait guère d’égratigner l’amour-propre de
ceux qu’il aimait, bien au contraire ; il manquait donc rarement d’édifier de
la sorte. Clément VIII, ici, ne se formalise pas et accuse le coup gaîment ; il
76
ANNALES ORATORII
se montre ainsi bon disciple de l’esprit philippin.
L’influence de saint Philippe Néri sur le pape Aldobrandini fut donc, on le
voit, plus qu’anecdotique, et la vénération du pontife à l’endroit du vieux prêtre
n’était pas simple révérence dûe à un «ancien», serviteur méritant de l’Église. Il
ne faudrait pas en conclure trop vite, cependant, que les Oratoriens, et en particulier Philippe lui-même, pouvaient dicter leurs volontés à Clément VIII. Si celui-ci leur accorda bien des faveurs comme sa caution implicite en faveur de cette postulante à Tor di Specchi, ou bien la libération gratis de quarante prisonniers très pauvres sur une simple requête de Philippe, il n’hésita pas à en refuser d’autres quand le bien commun lui semblait l’exiger: ainsi la grâce d’un
condamné à mort; ainsi, l’avons nous évoqué, la faveur de laisser Tarugi au service de la Congrégation et de lui épargner la charge de l’épiscopat. Le pape, pour
admiratif qu’il soit à leur égard, n’est pas aux ordres des Oratoriens, et cela témoigne en faveur de la liberté de ses décisions et de la conscience qu’il a de sa
propre responsabilité. La décision très grave qu’il a à prendre à propos d’Henri IV le tire d’ailleurs vers un sommet dans la mise à l’épreuve de sa liberté.
Pour saint Philippe et certains de ses proches, comme on va le voir maintenant, cette même épreuve correspondra à des sollicitations précises, et à
l’occasion de manifester une qualité d’aide et de conseil typique de leur charisme dans le cadre d’une affaire de longue portée historique.
Le champ des événements français, particulièrement en ce qui concerne
la conversion d’Henri IV, n’est pas étranger aux préoccupations des Oratoriens: plusieurs lettres échangées entre la congrégation de Rome et celle de
Naples, en particulier durant l’année 1590, en témoignent; l’Oratoire a
d’ailleurs participé aux processions, expositions des Quarante Heures et autres prières publiques prescrites à Rome à cette intention31. En novembre
1587, en particulier, au lendemain de la victoire du Béarnais et de ses troupes huguenotes à Coutras, un jubilé extraordinaire avait été décrété par Sixte Quint pour qu’on priât aux intentions de la France; l’église des Oratoriens
bénéficiait pour l’occasion d’une indulgence spéciale; le père Germanico Fedeli témoigne32:
«Le jubilé à propos duquel j’écrivais à Votre Paternité la semaine passée a fait tant
de bruit que je ne crois pas qu’on en ait jamais entendu autant depuis l’Année Sain31
PONNELLE, 492, nn. 4 et 5.
Dans une lettre du 5 décembre 1587 adressée au P. Tarugi, à Naples; citée par ALFONSO CAPECELATRO, La vita di s. Filippo Neri libri tre, Roma-Tournai 1902, vol. II, p. 574.
32
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
77
te [1575]. Dans les églises où l’on a fait la prière des quarante heures, avec ce temps
exécrable de pluie quasi continue et ces rues quasi impraticables, ont accouru à toutes les heures tant de gens que c’était à grand’ peine qu’on pouvait entrer et sortir.
Notre église en a eu plus que sa part, et cela a épuisé tous les confesseurs plus qu’à
Pâques. Dimanche, il est certain qu’on a donné la communion à plus de deux mille
personnes car, outre le nombre d’hosties, les communions à l’autel majeur ont commencé à treize heures et ont duré jusqu’à dix-huit heures33. Un prêtre en surplis s’y
est tenu continûment et l’on communiait par tablées entières, avec quelque affluence, sans jamais s’arrêter sauf le temps de la prédication. On n’a pas dit la messe, sauf
le Père Philippe, et encore, après dix-huit heures, parce que lui aussi donnait la communion. Toute cette semaine, chaque matin, d’autres encore venaient communier.
Plaise à Dieu que cela lui donne du fruit aussi dans le royaume de France qui est en
si grand travail, et qu’il y trouve ce profit pour lequel le jubilé a été concédé.»
Six ans plus tard, l’affaire de l’absolution d’Henri IV fait aussi, à Rome, beaucoup de bruit. Tout un chacun s’y intéresse et se range pour ou
contre; nul doute, donc, qu’il en aille de même à la Vallicella. D’ailleurs,
l’un des pères, Tommaso Bozzio, qui compte alors parmi les théologiens
romains les plus en vue, sollicité à cet effet par le pape, a rédigé un mémoire sur la question, et il y conclut qu’on ne peut rebénir Navarre34. Mais
à coup sûr, la tendance pro-française a des sympathisants de poids dans la
Congrégation; il semble en particulier que le Père Philippe soit à ranger
d’emblée dans le parti français, non seulement comme Florentin, mais aussi parce que son ami et disciple le cardinal Jean-François Morosini l’avait
minutieusement informé de cette affaire lorsqu’il avait été rappelé de sa légation en France, à l’automne 1589, et qu’il avait dû venir à Rome se disculper. Philippe, qu’il avait à nouveau fréquenté à cette époque lui aurait
alors dit : «Dieu se servira du roi Henri comme d’instrument en ce qui
concerne les faveurs secrètes désignées par l’éternelle Providence pour la
France et l’Eglise catholique»35. Durant les années 1593-1595, on voit encore Morosini s’entretenir librement et longuement avec le pape au sujet et
33
C’est-à-dire de sept heures du matin à midi.
Scriptum p. Thomae Bozii de non admittendo Navarro, joint par Francesco Peña à un recueil intitulé Relationi e scritture diverse nella causa di Enrico Borbone, conservé aux Archives
Secrètes du Vatican. Cependant, il n’est pas dit que Bozzio soit un «Espagnol»: comme on le verra, il est aussi de ceux qui encouragent l’initiative de Philippe en faveur de Nevers ; rien n’interdit, au reste, que son opinion ait évolué.
35
S. COSMI, Memorie della vita di G. F. Morosini (…), Venezia 1676, l. IV, c. 7, n. 4, cité par
CISTELLINI, II, 895.
34
78
ANNALES ORATORII
en faveur de la «rebénédiction», ainsi que l’atteste Paolo Paruta36.
Durant la première semaine de décembre 1593, alors que le duc de Nevers, à Rome depuis une quinzaine de jours, s’efforce en vain de faire avancer son dialogue avec le pape, ce dernier est pris par l’un de ses accès de
goutte. Les entretiens se trouvent donc suspendus pour un certain temps, et
pour l’émissaire français, dont la présence à Rome est en sursis et à peine tolérée, le temps presse. Il s’avise alors de se tourner vers les religieux, de manière à trouver appui et conseil chez des membres éminents des ordres les
plus en vue de la Ville; c’est d’autant plus urgent qu’au même moment – une
lettre adressée au Grand-Duc de Toscane à ce moment le précise37 – les Espagnols s’appliquent à faire souscrire par les mêmes religieux, c’est-à-dire en
premier lieu les Oratoriens et les Jésuites, un nouveau mémoire déclarant canoniquement impossible l’absolution sollicitée. Il s’agit donc de contrer leur
action tout autant que de continuer à faire avancer la cause du roi de France.
Suivant les conseils de Monseigneur Lomellini38, Nevers se rend donc en premier lieu à la Vallicella. Lomellini lui avait écrit en effet: «Je crois qu’il sera bon que la première visite soit pour la Chiesa Nuova […] Vous ferez appeler d’abord le Père Philippe, qui est un vieillard vénérable, le fondateur de
cette Compagnie, au demeurant un homme simple et tout le contraire d’un
savant. Vous resterez avec lui dans les généralités, l’invitant à prier pour l’affaire. Puis vous demanderez le Père Cesare Baronio et le Père Tommasso
Bozzio, qui sont, eux, gens de science et de valeur et jouissent d’un très grand
crédit à la cour ». Nevers, continue Lomellini, pourrait parler théologie avec
ceux-là, mais ferait bien d’amener d’Ossat avec lui, pour avoir de son côté
quelqu’un qui soit capable de leur répliquer. «J’espère, conclut-il, que ce sera une bonne journée.» Cette instruction signale assez que Nevers avait potentiellement, à la Chiesa Nuova, des alliés, et qu’à Rome on savait cela.
Le duc vint donc à la Vallicella le mercredi 8 décembre 1593 au matin,
comme le confirme l’Avviso du 11 décembre39. Il s’arrêta d’abord dans l’é-
36
Cité ici par CAPECELATRO, 581.
Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, documents recueillis par Giuseppe Canestrini et publiés par Abel Desjardins (=Documents inédits sur l’histoire de France), Paris 1875, Vol. V, p. 178.
38
Les instructions données au duc de Nevers par ce prélat de la Curie – collaborateur immédiat, semble-t-il, de Silvio Antoniano (le «procureur des Oratoriens auprès du Saint-Père») – sont
conservées à Paris, à la Bibliothèque Nationale (fonds français 3988); nous en exploitons ici les
extraits cités par Louis Bordet (PONNELLE, 494, nn. 2-5).
39
Bibliothèque Vaticane, Urb. 1061; cité par PASTOR, XI, 69, n. 3.
37
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
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glise, où il entendit la messe, puis alla voir Philippe, qu’il trouva souffrant et
alité. Il parla longuement avec lui, ainsi qu’avec Baronio et d’autres. L’aprèsmidi de ce jour-là, il poursuivit ses démarches et se rendit chez les Jésuites.
Philippe, de son côté, recevait la visite du cardinal de Médicis; il lui raconta, enthousiaste, son entretien du matin avec le duc, en précisant: «il me semble que l’Esprit Saint m’a fait parler, car je suis satisfait de ce que j’ai répondu à Nevers»; Philippe, de surcroît, se montrait résolu à aller plaider luimême, et au plus tôt, la cause du roi de France auprès du Saint-Père; le cardinal «l’y poussa vigoureusement», lui suggérant de profiter de l’attaque de
goutte du pape pour pouvoir lui parler plus longuement et aisément de cette
affaire, les audiences officielles étant suspendues. L’important, précisa encore Médicis à Philippe, était de persuader le pape de ne pas rompre avec Nevers – ce à quoi le parti espagnol, on le sait, s’employait fébrilement; le simple fait de temporiser pouvait alors jouer en faveur de la France – et de continuer de s’entretenir de l’affaire avec les cardinaux – entendons: qu’il donne
leur chance à ceux du parti français. Philippe, selon ce qu’en dit ensuite Médicis, se proposait de suggérer au pape de donner au moins à Navarre l’absolution pour un an, pour le mettre à l’épreuve en quelque sorte. Bien entendu, il valait mieux éviter d’ébruiter une telle idée, de crainte que le parti
adverse n’en use à son propre avantage. Giovanni Niccolini, dans sa relation
au Grand-Duc datée du 10 décembre, unique source disponible concernant la
teneur de cet entretien entre Philippe et le cardinal Médicis, observe encore
qu’«en somme, le père y est très chaud, et le cardinal Médicis n’a pas manqué de faire tout ce qu’il pouvait pour l’enflammer encore plus»; mais il faut,
continue-t-il, procéder avec patience et prudence pour que le pape, toujours
lent à se résoudre «selon sa nature», se range à l’avis de Philippe et du cardinal40.
Mais Philippe se trouve alors pris de vitesse par ses amis les cardinaux
Cusani et Borromée, qui sont eux de fervents partisans de la cause espagnole. A peine ont-ils appris que Nevers lui a rendu visite, ils se rendent directement chez le pape, accompagnés de l’archevêque de Monreale (De Torres)
et de l’évêque de Cassano (Audoeno), qui eux non plus ne sont assurément
pas pro-Français. Giovanni Niccolini apprend le fait par Lomellini, et le rapporte au grand-duc, lui écrivant en particulier qu’en agissant ainsi, tous ces
bons fils spirituels de Philippe lui avaient fait une bravade ; ils avaient mê40
L’original de ce document est conservé à l’Archivio di Stato de Florence. On exploite ici
CISTELLINI, II, 896, PONNELLE, 495 et CAPECELATRO, II, 583-585, qui le citent.
80
ANNALES ORATORII
me cru bon de lui faire scrupule de cette initiative de sa part41. Leur manoeuvre fut efficace car le bon père « comme un homme de peu d’âme, s’épouvanta » et sembla renoncer à son projet. Le fait correspond bien à un trait
de ce saint, dont l’assurance fulgurante, souvent attestée, relève essentiellement de motions de l’Esprit Saint, et a pour contrepoint naturel, autant peutêtre que pour base ascétique, une très grande défiance envers lui-même, qui
peut se manifester par beaucoup d’indécision. N’avait-il pas dit, pourtant,
qu’il estimait avoir été inspiré par l’Esprit Saint lorsqu’il avait parlé à Nevers? Toujours est-il que ce fut par l’intercession de Baronio et Bozzio, qui
lui parlèrent alors pour lui rendre courage « et lui dirent qu’il ne prenne pas
garde aux paroles de ces prélats, mais fasse ce qu’il avait d’abord décidé »
que Philippe, finalement revenu à sa première idée, se rendit chez le pape, le
dimanche 12. On imagine que Clément VIII fut heureux de revoir celui qu’il
vénérait tant, mais le discours qu’il entendit alors de sa part n’eut guère d’effet notable, au moins à ce moment ; même les espions placés par Sessa autour de son audience n’y trouvèrent pas de quoi s’alarmer42.
Philippe raconta au cardinal de Médicis son entretien avec le pape43: Clément VIII lui aurait confié que la cause de ses longues hésitations venaient
de la certitude que Navarre avait feint sa conversion. Il n’y avait pas à s’étonner, ajoute Niccolini, que Philippe n’ait pas pu tirer grand chose de cet entretien, parce que le pape «quoiqu’il le tienne pour un homme de bien, ne le
tient pas pour un théologien fondé, et il le tient pour à moitié sénile (mezzo
barbogio)»44. Par ailleurs, d’après Médicis, le père avait perdu un peu de son
enthousiasme à cause de l’influence continuelle exercée sur lui par Cusani,
Borromeo et les autres prélats, «qui lui étaient toute la journée sur le dos pour
tenter de le dissuader». Ceux-ci, de leur côté, étaient aiguillonnés par le duc
de Sessa et les siens. Niccolini achève sa missive du 17 décembre en rapportant l’opinion du cardinal de Médicis, pour qui le pape, sans rien précipiter, continuera à avancer, sans rompre le fil mais en le gardant tendu pour
pouvoir s’accomoder à ce que le temps apportera. Philippe a-t-il encore traité directement de l’affaire avec ses protagonistes? Rien de moins sûr. Cistellini n’insiste guère sur l’hypothèse d’un second entretien avec le pape45; Ca41
42
43
Lettre du 13 décembre ; même fonds.
PONNELLE, 496.
Lettre de Niccolini au grand-duc, 17 décembre 1593, même fonds que les deux précéden-
tes.
44
45
CISTELLINI, II, 897, n. 105.
CISTELLINI, II, 896.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
81
pecelatro, lui, affirme que le cardinal Gondi aussi s’est entretenu avec Philippe: il se fonde sur un manuscrit hagiographique daté de 1617, rédigé selon lui par un pénitent du saint et corrigé par Baronio lui-même46. On trouve dans ce manuscrit le passage suivant:
«Le royaume de France étant agité par des guerres intestines, on traitait dans la ville
de Rome l’affaire de l’absolution du roi Henri. Or, parce qu’il avait mandat à Rome
pour traiter de cela avec le Souverain Pontife, le Cardinal Gondi, le Duc de Nevers
et d’autres seigneurs du royaume se rendirent chez Philippe; et Clément VIII luimême s’entretint avec Philippe à propos de cette affaire qui était si importante.»
Un peu plus loin, l’auteur anonyme affirme:
«Etaient alors à Rome le Cardinal Gondi et le Duc de Nevers, légats royaux, par
l’autorité desquels le Bourbon promouvait son affaire. Ceux-ci cependant, échangeant souvent leurs idées avec Philippe, et gouvernant toute cette affaire avec son
conseil, obtinrent à la fin que le roi Henri revienne en grâce par le Pontife et soit
ainsi rendu apte à régner.»
Nous ne croyons cependant pas qu’il soit possible de prêter foi à ces assertions fournies par un admirateur semble-t-il mal documenté, malgré sa
probable familiarité avec des contemporains de l’affaire. Ce n’est pas Baronio, en tout cas, qui a relu sa prose: le vénérable cardinal est mort en juin
1607. Capecelatro, à vrai-dire, s’avére ici peu rigoureux au plan du récit historique et de la critique de ses sources; une certaine prudence dans son utilisation s’impose donc. La rencontre, qui n’aurait rien d’invraisemblable, de
Philippe et du cardinal de Gondi à l’époque où celui-ci, Nevers étant parti,
est présent à Rome (printemps 1594), ne bénéficie d’aucun autre témoignage, à notre connaissance, que de celui de cet «hagiographe de 1617»,
l’un des premiers colporteurs de la légende – parfois tenace chez les Oratoriens – qui prétend que saint Philippe Néri est le véritable instigateur de
l’absolution d’Henri IV. Capecelatro se contente ici de se faire l’écho d’une leçon historique un peu hâtive. Car s’il y eut indéniablement participation de saint Philippe Néri à cette affaire, ce que nous venons d’en évoquer
indique un mode d’influence et de prise de position difficilement assimilable au travail du diplomate ou du négociateur, élaboration stratégique et tac-
46
CAPECELATRO, II, 582. Nous traduisons les deux extraits du manuscrit qu’il cite à cette page.
82
ANNALES ORATORII
tique visant à obtenir, dans un traité ou un marché, le maximum d’avantages
au profit de son camp. Sans hâter nos conclusions, nous pouvons d’ores et
déjà observer que si Philippe Néri prend parti, ce n’est pas pour ou contre
telle ou telle puissance terrestre. Sinon, on ne voit pas que des représentants
éminents du parti espagnol auraient pu se sentir aussi à l’aise à ses côtés
que ne l’étaient ceux du parti français. Or, sa chambre même est un lieu de
rencontre paisible pour des gens de tout bord politique, absolument pas le
cénacle d’une faction. C’est si vrai qu’on trouverait sans doute à grand’peine lequel des deux partis était le mieux représenté et le plus assidu chez
les Oratoriens.
Non seulement, d’ailleurs, Philippe Néri n’était pas un homme d’influence à la façon du monde et des puissants, mais il l’était si peu que, d’après
l’ambassadeur florentin, le pape lui-même, son ami, avec toute la vénération
qu’il avait pour lui, se permettait de le tenir pour mezzo barbogio et qu’un
Lomellini assurait à Nevers que le vieillard était un uomo semplice, ce que
Bordet traduit, à notre avis justement, par la périphrase «un homme simple
et tout le contraire d’un savant». Rappelons encore que pour Clément VIII,
il était «peu fondé en théologie». Non qu’il fût ignorant: sa bibliohèque personnelle comptait alors plus de 500 livres et manuscrits, et il avait autrefois
étudié la théologie avec intérêt47. Mais il n’était assurément pas non plus un
chercheur, un spéculatif, un docteur. Pour nourrie et équilibrée que fût sa
science, ce n’était pas par elle qu’il convainquait: la quantité de ceux qui se
convertirent à son contact furent bien plutôt gagnés par la transparence de
l’amour divin en sa personne. Il devait notamment cette transparence à sa
simplicité et à son humilité, qu’il cultivait au point de chercher activement
les moyens d’être considéré comme un simple et, pour ainsi dire, un « fou ».
L’avis d’un Clément VIII ou d’un Lomellini indiquent qu’il y était parfaitement parvenu; le handicap du grand âge jouait d’ailleurs dans ce sens, et probablement en usait-il ainsi, laissant finalement à la grâce le soin de transfigurer sa faiblesse. Aussi peut-on même, à la limite, affirmer sans égratigner
le moins du monde la sainteté de Philippe que son intervention, à vues humaines, ne fut pas nécessairement brillante, ni par son utilité, ni peut-être par
sa pertinence.
Peut-être même sa démarche ne fit-elle qu’augmenter la perplexité du pape? A cette époque, elle était source chez Clément VIII d’une anxiété telle
47
Voir ANTONIO CISTELLINI, I libri e la libreria di San Filippo Neri, in Memorie Oratoriane.
Quaderni di storia e spiritualità oratoriana n. 18 (1997) 7-43.
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
83
qu’il lui échappait de dire qu’il préférerait être lui-même mort, ou que Navarre trépassât d’une arquebusade48…
L’aida-t-elle par ailleurs à se montrer assez bien disposé à l’égard de Nevers pour que celui-ci se maintienne encore à Rome? Probablement pas, car
à la date à laquelle Philippe rendit visite à Clément VIII, Nevers avait déjà
obtenu la prolongation de son séjour.
Il n’y a pas moins lieu de noter ici que l’esprit de discernement et celui
de prophétie qui caractérisaient Philippe, conjointement à l’aura propre de
cette simplicité que nous évoquions, donnaient à ce vieux prêtre une autorité surnaturelle qu’un Clément VIII était tout à fait à même de recevoir, comme on l’a évoqué plus haut ; si elle n’eut pas d’effet visible à court terme, on
peut estimer à bon droit qu’elle pesa son poids, à la longue, dans les délibérations intérieures du pape. D’ailleurs, tant que Philippe fut en vie, il ne donna guère semble-t-il au pontife l’occasion d’oublier son conseil. Et lorsqu’il
fut mort – ce qui ne fut pas, dans la Rome de 1595, un petit événement – le
pape qui faisait ouvrir son procès de canonisation en même temps qu’il se
lancait décidément dans les dernières consultations concernant l’absolution
de Navarre ne manqua sans doute pas d’implorer en secret le père si cher qui
comblait déjà par son intercession la foule de ceux qui s’en remettaient à lui.
Car l’intervention des Oratoriens ne s’arrêta pas à la démarche en faveur
de Nevers. De son côté en effet, César Baronio ne cessa d’intercéder auprès
du pape en faveur de la réconciliation, appuyé en sous-main par le commandement d’un père Philippe qui semblait peut-être radoter un peu mais n’impatientait pas, lui, le Saint Esprit. «L’hagiographe de 1617», sans doute plus
fiable ici, témoigne d’ailleurs de la persévérance et du sommet atteint dans
l’intention spirituelle du fondateur de l’Oratoire concernant cette affaire,
alors qu’il n’était plus qu’à quelques mois de la mort49:
«Le bienheureux Philippe envoya Baronio, alors confesseur du pape, dire à Sa Sainteté qu’il fallait qu’il rebénisse Bourbon, parce que lui [Philippe] s’obligeait à devoir rendre compte à Dieu de cette action. Et cela Baronio l’attesta quelques années
plus tard, dans un sermon que fit Sa Seigneurie Illustrissime après vêpres dans l’église au jour de la fête du Bienheureux, en présence de nombreux cardinaux très
illustres, parmi lesquels se trouvait le Cardinal du Perron, de singulière doctrine et
48
49
PONNELLE, 496.
CAPECELATRO, II, 591-592.
84
ANNALES ORATORII
éloquence, lequel, cité par Baronio comme témoin de ce fait, se leva et, enlevant sa
barrette, acquiesca aux paroles de Baronio.50»
On pourrait bien objecter que du Perron, qui arriva à Rome alors que Philippe Néri était mort depuis un mois et demi, n’avait pu être directement témoin du fait ; il serait cependant injuste d’en conclure à la nullité de cette
source. Philippe, selon l’une de ses propres expressions, aurait donc «fait violence à Dieu» à ce sujet. Ce fut Baronio, toutefois, qui prit sur lui d’insister
auprès de Clément VIII, en son propre nom comme en celui du vieux père,
par écrit aussi bien que par oral, et en allant jusqu’à déclarer au pape qu’il
ne voudrait plus l’entendre en confession si celui-ci persistait à refuser d’absoudre Navarre51. A la cour, on savait ses manœuvres, et on lui conseillait de
modérer son action, de manière à ne pas irriter les représentants du parti adverse. Etant donné la gravité de l’affaire, la puissance des partis en lice et l’échauffement des passions, ces tentatives d’intimidation indiquaient de réels
dangers. Baronio aurait toutefois répondu qu’il désirait cent fois la mort pour
la gloire de Dieu, la paix de l’Eglise et le salut des âmes. Pour ce qui est de
l’écrit, le prévôt de l’Oratoire fut notamment chargé de fournir au pape la lecture critique d’un mémoire contre Navarre rédigé par l’Auditeur de Rote
Francesco Peña; ce mémoire intitulé De veris et falsis remediis Christianae
Religionis instaurandae, et Catholicos conservandi, reçut en dessous de son
titre, écrite à l’encre rouge par le pape lui-même, l’annotation suivante:
«Hunc librum nobis Clementi Octavo dedit Franciscus Peyna Rotae Auditor:
adnotationes autem vel censurae sunt Caesaris Baronii.»52 En 1594, l’Inquisition espagnole fit de grosses difficultés pour la publication des Annales ecclésiastiques dans les territoires relevant de sa juridiction, insinuant ainsi que
Baronio n’était pas un auteur fiable. Ce coup contre lui n’avait rien d’innocent: il l’atteignait là où son autorité, donc son influence, était la plus grande. Ce n’est sans doute pas un hasard, d’ailleurs, si Baronio, dans sa dédicace au pape du cinquième tome des Annales, consacré à l’époque de saint Augustin et publié au même moment, évoque l’antique discipline de l’Eglise
50
Cette scène advint le 26 mai 1605, 1606 ou 1607.
CALENZIO cite une source le confirmant (p. 354-355) : « Et ex eo tempore, et hac occasione cepit Cardinalis haberi suspectus ab Hispanis, quasi defecisset ab eis, et adhaesisset Gallis.
Minatus est Baronius Clementem VIII se nolle amplius fungi officio confessarii, nisi absolveret Regem Galliarum, cum adhuc esset in Minoribus Presbyter simplex. »
52
CALENZIO, 356.
51
M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio...
85
concernant la réintégration des lapsi ou hérétiques en soulignant que la miséricorde avait toujours prévalu, sauf le cas de simulation… il récidive l’année d’après, dans un livre d’apologétique sur le même sujet, et doit ferrailler
dur car il est contredit en haut lieu, comme en témoigne un contemporain53:
«Pendant ce temps, on vit à la Cour de nombreux écrits disputant de ce point pour
l’un ou l’autre camp. Mais comme certains, ou bien agissaient par intérêt, ce qui
aveugle même les hommes par ailleurs réputés prudents, ou bien, poussés par ce zèle que S. Paul appelle non secundum scientiam, osaient parler trop librement, le Père César Baronio, auteur des Annales Ecclésiastiques et confesseur de Sa Sainteté,
prenant occasion de la mauvaise interprétation que certains donnaient à la dédicace
du cinquième tome qu’il avait adressée à Sa Sainteté, publia une Apologie dans laquelle il démontrait que ce n’était pas une chose nouvelle dans l’Église de Dieu que
l’on absolve les hérétiques relaps en leur rendant même sceptre et couronne. Avec
cela, comme il avait déplu à quelqu’un dont je ne puis dire le nom puisqu’il l’a lui
même tu dans l’écrit qu’il a publié54, untel lui écrivit donc de telle sorte que Baronio dut reprendre la plume et faire une Apologie de l’Apologie pour mieux se disculper et prouver son opinion par d’autres fondements encore.»
Le prévôt de la Congrégation de l’Oratoire de Rome s’engagea donc très
clairement et obstinément, entre 1593 et 1595, en faveur de l’absolution d’Henri IV, et Clément VIII estima manifestement que ce qu’il fit était utile au
progrès de l’affaire: Calenzio signale et dresse à ce propos la considérable
liste de mémoires qui étaient parvenus au pape sur la question, et que la bibliothèque Vallicellane conserve encore aujourd’hui en tant que dépositaire
des livres des premiers Oratoriens. Cela signifie que Baronio disposait d’un
vaste «dossier» concernant l’affaire: à n’en pas douter il le tenait du pape
lui-même, qui sollicitait explicitement, on l’a vu, son conseil. Il se trouve
qu’avant même de l’avoir pour confesseur, Clément VIII souhaitait donner
à Baronio le chapeau de cardinal: on peut bien sûr penser que l’œuvre et les
qualités intrinsèques de cet homme qu’il connaissait et appréciait depuis
longtemps justifiaient déjà ce choix. Toujours est-il qu’apparemment, le
commerce quotidien qu’il eut avec lui durant l’année précédant l’absolution
53
LAZARO SORANZO, Narrazione di quanto operò in Roma Monsignor di Peron nel negozio
dell’assolutione ricercata da Enrico IV Re di Francia e di Navarra dalla Santità di Nostro Signore
Papa Clemente VIII, fino all’ultimo atto di essa assolutione ; extrait cité par CALENZIO, 358. Traduit par nos soins.
54
Calenzio identifie un évêque travaillant à la Curie, Mgr Serafini.
86
ANNALES ORATORII
d’Henri IV l’a confirmé dans son propos: on peut donc aussi penser que Clément VIII conféra d’autant plus volontiers la pourpre à Baronio qu’il lui était
reconnaissant d’avoir pu trouver en lui un conseil fiable, spécialement dans
«l’affaire Navarre». On sait que le pape, pour ce gravissime cas de conscience
qu’il devait trancher seul, sollicitait les aides autant qu’il s’en défiait. En même temps que son pointillisme intellectuel requérait les travaux précis et argumentés des hommes sages parce que savants, sa foi lui faisait demander
les secours et la lumière de Dieu en cette «forêt obscure» qu’il disait traverser; et pour cela il avait besoin de l’avis et des prières des hommes sages parce que saints. Trouver en Baronio à la fois le conseil d’un homme docte et
avisé, et la fermeté spirituelle d’un vrai disciple de celui «qu’il tenait pour à
moitié sénile et non fondé en théologie», mais qu’il vénérait comme un saint,
ne fut sans doute pas la moindre des aides pour Clément VIII. On se permet
donc d’affirmer ici que la pourpre qu’il lui donna moins d’un an après l’absolution d’Henri IV tenait certainement aussi de sa reconnaissance à ce propos55; nous nous rangeons de surcroît à l’avis de Ludwig von Pastor en estimant que cette accession au cardinalat du vénérable César Baronio fut, avec
celle de saint Robert Bellarmin, la plus méritée de toutes celles qui advinrent
sous le pontificat de Clément VIII. Après cela, que le cardinal Baronio ait
aussi nourri la fermeté de ses convictions concernant l’absolution d’Henri IV
de la vivace impulsion qu’il pouvait trouver chez son propre maître de vie –
et pénitent tout à la fois – n’enlève rien à la spécificité de sa propre influence; d’ailleurs saint Philippe Néri lui devait au moins, de son côté, une exhortation à l’heure où lui-même avait perdu courage. Cette affaire qui impliqua conjointement les deux premiers supérieurs de l’Oratoire de Rome est
par le fait assez exemplaire d’une réalité de la vie ecclésiale que notre institut tend ordinairement à vérifier et illustrer: l’interdépendance et la complémentarité des charismes dans le lien de la charité et de l’obéissance mutuelle, source d’une œuvre dont la valeur dépasse infiniment la somme des travaux de chaque individu.
Matthieu Delestre, C.O.
55
Il ne lui donna d’ailleurs sans doute pas au hasard le titre des saints Achille et Nérée, qui
était encore quelques mois auparavant celui du cardinal Jean-François Morosini!
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
87
THE MIRACLE OF ST. PHILIP NERI
IN THE PALAZZO MASSIMO *
An important aspect of the reform of the Catholic Church inaugurated by
the Council of Trent (1546-63)1 was the regulation of the procedures by
which the sanctity of holy men and women was officially recognised. The
storms of the Protestant Reformation, with its vehement reaction against the
cult of the saints, had led to a crisis of confidence in Catholicism. After the
canonization of the fourteenth-century Dominican reformer Antoninus of
Florence in 1523, the first saint to be raised to the altar by a pope was the
fifteenth-century Spanish Franciscan Diego de Alcalá in 1588.2 On 22 January of that year Pope Sixtus V founded the Sacred Congregation of Rites and
Ceremonies. This dicastery of the Papal Curia was in charge of examining
the life of candidates and of regulating their public cult until 1969, when it
was replaced by the Congregations for the Causes of Saints and for Divine
Worship. Other landmarks in this process of reform were Pope Clement VIII’s bull canonising Raymond Peñaforte, Romana catholica ecclesia, in 1601
and the establishment of a distinct Congregation of the Beati in 1602. The
post-Tridentine efforts to define sanctity found their lasting expression in the
brief Coelestis Ierusalem cives (1634) by Pope Urban VIII. The rules set forth
*
I would like to thank Dr Simon Ditchfield of York University and Father Dermot Fenlon of
the Birmingham Oratory for their help and criticism and Mr George McHardy for his advice in
matters of grammar and style.
1
For an overview see E. Iserloh – J. Glazik – H. Jedin, Reformation, katholische Reform und
Gegenreformation (Handbuch der Kirchengeschichte; IV), Freiburg 21975 and, more recently, M.
Venard et al., Le temps des confessions (1530-1620/30) (Histoire du christianisme des origines à
nos jours; VII), Paris 1992; cf. also A. Borromeo, ‘Aspetti della riforma postridentina a Roma nell’età di san Filippo Neri’, M. T. Bonadonna Russo – N. Del Re (ed.), San Filippo Neri nella realtà romana del XVI secolo: atti del convegno di studio in occasione del IV centenario della morte
di San Filippo Neri (1595-1995), Roma – 11-13 maggio 1995, Roma 2000, 37-67.
2
S. Ditchfield in his chapter ‘Santità e culti nel mondo della Riforma e della Controriforma
(1560-1800 ca.)’ of the forthcoming volume Storia della santità nel cristianesimo occidentale argues that the triumphal translation of Benno of Meissen (who, incidentally, was canonised with
Antoninus of Florence in 1523) to Munich by the Wittelsbach in 1580 marked the revival of the
cult of the saints after Trent.
88
ANNALES ORATORII
in this document remained in force until 1983, when Pope John Paul II issued the Apostolic Constitution Divinus perfectionis magister.3
An established school of thought, represented in the English-speaking
world by John Bossy, has argued that in response to the Protestant attack on
the veneration of saints, the Catholic Church put emphasis on the saint as a
model of heroic virtue rather than as a powerful intercessor and wonderworker:
Rome certainly learnt the lesson, and took some time to recover its nerve.
When it did, it adopted the humanist notion that a saint was a model of virtue
rather than a friend or benefactor, and presented heroic figures for public
wonder or imitation, not for private affection.4
The recognition of a candidate’s heroic virtue was an essential part of the
canonization procedure in the Catholic Church after Trent. However, a number of studies on the Counter-Reformation Church in various parts of Europe
have shown that the miraculous, especially as manifested in powers of healing, continued to be seen as an outstanding mark of a person’s sanctity, in
spite of the Reformers’ criticism.5 In fact, the working of miracles was believed to be one of the key signs indicating the Holy Roman Church as the
One True Church in the face of the Protestant challenge. The presence of God
in his saints contributed to the renewed confidence of the Ecclesia militans.
Devotion to the saints as heavenly patrons and friends was thriving, not least
because it appealed to traditional religious practice, the continuity of which
should not be underestimated. This devotion often centred on the holy person’s miraculous powers of healing.6
3
See G. Papa, Le cause di canonizzazione nel primo periodo della Congregazione dei Riti
(1588-1634), Città del Vaticano 2001, 16-26; also S. Ditchfield, ‘Sanctity in Early Modern Italy’,
Journal of Ecclesiastical History 47 (1996), 98-112, at 103-4.
4
J. Bossy, Christianity in the West 1400-1700, Oxford – New York 1985, 96; cf. the seminal
study by R. De Maio, ‘L’ideale eroico nei processi di canonizzazione della Controriforma’, id., Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli 1973, 257-78.
5
For example, D. Gentilcore, From Bishop to Witch: The System of the Sacred in Early Modern Terra d’Otranto, Manchester 1992; id., Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester 1998; P. Soergel, Wondrous in His Saints: Counter-Reformation Propaganda in Bavaria,
Berkeley – Los Angeles – London 1993; J.-M. Sallmann, Naples et ses saints à l’âge baroque
(1540-1750), Paris 1994; R. Scribner – T. Johnson (ed.), Popular Religion in Germany and Central Europe, 1400-1800, Basingstoke 1996.
6
Cf. Sallmann (1994), 374: ‘Il serait faux de croire que l’Eglise a cherché à amoindrir le rôle
du miracle en lui substituant la notion de vertu héroïque. Celle-ci ne fut théorisée qu’à la fin du
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
89
A case in point is one of St Philip Neri’s most celebrated miracles, the
raising to life of the young Paolo Massimo on 16 March 1583. The event is
well documented by several depositions in the canonization processes, and
the extant material sheds light on a number of interesting issues, which I shall
discuss in this article.
The Canonization of St Philip Neri
The first inquiry to ascertain Philip’s reputation for sanctity was started in
1595, within weeks of his death on 26 May of that year. The initiative came
from Father Antonio Gallonio, a priest of the Roman Oratory, who from his
early youth had been under Philip’s spiritual direction and took care of him
in the last years of his life. Gallonio was totally dedicated to Philip; at the
same time he was hot-headed and often showed considerable intransigence
in the matters he decided to pursue.7 His energy and determination in promoting public devotion to Philip was not well received by everybody in his
own congregation, and the Roman Fathers kept their distance.8 The opening
moves of Gallonio were supported by the Abate Marc’ Antonio Maffa, a curial official and intimate friend of Neri, who obtained from Pope Clement VIII the verbal commission that the Apostolic Visitors for the City of Rome,
Ludovico de Torres, Archbishop of Monreale, and Lewis Owen, Bishop of
Cassano, both devoted to Philip, should open the process of canonization.
The Congregation of the Oratory was more or less constrained to act as the
promoter of the cause and was represented by its superior, Father Cesare Baronio, later made a cardinal, who was joined by Cardinal Agostino Cusani.
They appointed the notary of the Apostolic Visitors, Giacomo Buzio, a canon
of San Giovanni in Laterano, to examine witnesses. The first testimonies
XVIe siècle, mais elle naît au XIIIe siècle. Ce n’est donc pas à proprement parler une nouveauté, et
il convient de distinguer le discours à vocation pédagogique et la pratique quotidienne des fidèles.
Lorsqu’on examine de près les dépositions de ces derniers dans les procès de béatification, il est
facile de vérifier à quel point ils renversent le lien que les théologiens ont établi entre les vertus
chrétiennes exercées au degré héroïque et les dons surnaturels. C’est bien parce qu’il accomplit
des miracles que le fidèle est convaincu que le saint fut un héros chrétien au cours de sa vie, et
non pas la contraire’.
7
M. T. Bonadonna Russo, in the introduction to her critical edition of A. Gallonio, Vita di San
Filippo Neri. Pubblicata per la prima volta nel 1601, Roma 1995, IX, speaks of the ‘appassionata intransigenza con cui Gallonio affrontava qualunque situazione, sia comunitaria che personale’.
Cf. S. Ditchfield, ‘Gallonio, Antonio’, Dizionario biografico degli Italiani 51 (1998), 729-31.
8
See A. Cistellini, San Filippo Neri: L’Oratorio e la Congregazione Oratoriana, storia e spiritualità, 3 vol., Brescia 1989, II, 983-86; also Bonadonna Russo (1995), XVI.
90
ANNALES ORATORII
were heard on 2 August 1595, and many depositions were recorded in the
following years.9 Despite the strong devotion to Philip among the people of
Rome, the inquiry dragged on for a considerable time and suffered from long
interruptions. There were various reasons for that: the problems caused by
the somewhat imprudent zeal of some Roman Oratorians in promoting the
public veneration of their founder and the death of important persons involved in the cause, especially of Buzio and Baronio. Moreover, the projected canonization of Philip became a political issue, since the Spanish resented the key role he had played in the reconciliation of Henry of Navarre with
the pope and the Church.10
An effort to resume the cause was made by the Roman Oratory, with the
help of the Grand Duke of Tuscany and the French ambassador to the Holy
See, Carlo Gonzaga, Duke of Nevers, towards the end of 1608. Pope Paul
V’s brief to reopen the process was presented to the Congregation of Rites
on 9 May 1609, and the Cardinal-Vicar of Rome, Gerolamo Pamphilj, was
appointed judge in charge of the proceedings to examine Philip’s life, character, holiness and miracles. This second processus (‘in genere’) was quickly completed by 20 June of that year, with a favourable conclusion.11 Further
testimonies were heard and another year passed until the beginning of the
third processus (‘in specie’).12 From 19 July 1610 to 15 April 1612, the third
processus was conducted ‘auctoritate apostolica’ before the Auditors of the
Roman Rota, Francisco Peña, Denis Simon de Marquement and Orazio Lancellotti (replaced in 1611, when he was created cardinal, by Alessandro Lu9
The acts of the processes are available in the edition of G. Incisa della Rocchetta – N. Vian
(con la collaborazione di C. Gasparri), Il primo processo per s. Filippo Neri nel codice Vaticano
Latino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, 4 vol., Città del Vaticano
1957-63 [henceforth cited as: Processo]. For the protracted history of the canonization, see the
brief account in Processo, I, VII-IX. Cf. Cistellini (1989), II, 985: ‘Vero è che in questa opera di informazione, di interventi varii da ogni parte e di sollecitazioni e pressioni per la glorificazione del
Padre, rimangono non poche cose in ombra e si affacciano molti interrogativi’.
10
These issues cannot be explored here; see Cistellini (1989), II and III, passim. The problems
caused by the public veneration of Philip before the official approval of his cult are discussed by
Papa (2001), 52-64 and 127. Cf. also A. Wright, ‘“A Race to the Altar”: Philip Neri and Ignatius
Loyola’, M. A. Rees (ed.), Leeds Papers on Symbol and Image in Iberian Arts, Leeds 1994, 151160.
11
Only a few depositions were recorded between 4 and 17 June 1609; cf. Processo, IV, 1-2,
and Cistellini (1989), III, 1902-5.
12
Papa (2001), 110, comments: ‘A dimostrare che l’incertezza della procedura non era stata
superata, si fa notare che, ancora a questo tempo (...) sempre nei riguardi di Filippo Neri, si procedette all’escussione di moltri altri testi in fase “ordinaria”.’
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
91
dovisi).13 A commission of cardinals of the Congregation of Rites was given
the task of examining the material in June 1614. They concluded their work
with a positive verdict and Pope Paul V beatified Philip on 25 May 1615,
granting permission to celebrate the Office and Mass of the saint (classified
as a confessor who was not a bishop) in the Chiesa Nuova.14 The Pope reminded the Fathers of the Roman Oratory to take into account the difference
between beatification and canonization, and urged them to conduct the festivities in honour of Philip ‘con modestia’. This injunction reflected the fact
that beatification was still understood as nothing more than the approval of
the Office and Mass of the candidate. It is generally recognised that the first
formal beatification, as distinct from the ‘autorizzazione all’ufficiatura’, was
that of Francis de Sales on 8 January 1662.15 In 1621, Philip’s cause was taken up again and on 12 March 1622 he was canonised by Pope Gregory XV
along with Isidore the Labourer, Ignatius of Loyola, Francis Xavier and Teresa of Avila.16 The Roman people, who were greatly devoted to Philip, said
that the pope had raised to the altar ‘four Spaniards and a saint’. This comment was not only a characteristic piece of wit and chauvinism, but also
showed keen awareness of how the political struggles among the Catholic
powers of Europe affected the causes of saints. Be that as it may, the day of
these five canonizations is rightly regarded as one of the high points of the
Counter-Reformation.
The Raising from the Dead of Paolo Massimo
The Massimo were among the most illustrious and powerful families of
Rome. Fabrizio Massimo (1536-1633), Paolo’s father, was a spiritual child
and intimate friend of St Philip. The saint exerted a very salutary influence
on Fabrizio, who had an intemperate character and was in his earlier years
given to strife and violence. In one of the many family dramas of sixteenth-
13
Cf. Processo, IV, 7-19; Cistellini (1989), III, 1947-8; Papa (2001), 109-11.
Cf. Cistellini (1989), III, 2051-3. The permission was strictly limited to the Roman house.
Not even the Naples Oratory, a foundation made in Philip’s lifetime, was allowed to celebrate the
anniversary of his death with a proper Office and Mass. This added to the tensions between the
two houses.
15
However, Pope Urban VIII raised Andrea Avellino to the honour of the altar with the formula ‘interim beatus nuncupetur’ on 4 September 1624, as noted by De Maio (1973), 298. On the
history of beatification and its distinction from canonization, see Papa (2001), 170-214, and M.
Gotor, I beati del papa: santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze 2002.
16
Cf. Cistellini (1989), III, 2139-48.
14
92
ANNALES ORATORII
century Rome, Fabrizio stabbed his sister Plautilla, who was suspected of an
adulterous relationship. Fortunately, she survived the attack and her brother
was afterwards reconciled to her. Philip’s affection, prudence and gentle
tenacity transformed the life of Fabrizio and indeed of the whole family; Fabrizio declared that his house had been entirely in Philip’s hands.17 The saint
often went to the Palazzo Massimo alle (or delle) Colonne to hear the confessions of the family and took care of their spiritual welfare and occasionally even of their temporal affairs. Fabrizio visited Philip frequently and so
completely enjoyed the confidence of the saint that he is, in fact, a better witness to the last years of the saint’s life at the Vallicella than most members
of his own Congregation. Fabrizio and his first wife, Lavinia de’ Rustici, who
died in 1575, had five daughters in succession. When Lavinia was again pregnant in 1569, Philip predicted the birth of a son. Fabrizio agreed that the boy
should be given a name determined by Philip, who, for unknown reasons,
chose Paolo. The saint had great affection for the boy, who was one of his
most faithful spiritual children; Paolo for his part was dedicated to prayer and
regularly went to the saint for confession.
In January 1583, when the boy was about fourteen years old, he caught a
fever that proved to be fatal. His illness lasted sixty-five days, during which
Philip visited him every day. Paolo’s condition deteriorated, and on 16 March
his end was obviously near. The received version of the miracle is found in
the Life of St Philip by Father Pier Giacomo Bacci of the Roman Oratory,
published in 1622. This work has become the received life of the saint in the
hagiographical tradition:18
[On 16 March] the poor boy was near his end; and as the holy father had desired to be informed when he was on the point of expiring, they sent to say
that if he wished to see him alive he must come as quickly as possible. The
messenger arrived at S. Girolamo whilst Philip was saying mass, so that he
could not speak to him. Meanwhile the boy expired; his father closed his
eyes; Camillo, the parish priest, who had given him Extreme Unction and
17
Fabrizio Massimo’s deposition of 29 February 1596, Processo, II, 60. Cf. M. T. Bonadonna Russo, ‘Quarto centenario del miracolo di casa Massimo’, L’Urbe 46 (1983), 1-12, at 5-10. The
pamphlet in commemoration of the miracle by G. Lais, Terzo centenario del miracolo di s. Filippo Neri al Palazzo Massimo, Roma 21883, is indicative of the bond between the Massimo family
and the Roman Oratory.
18
Cf. Cistellini (1989), III, 2155.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
93
made the commendation of the soul, was already gone; and the servants had
prepared water to wash the body, and linen cloths to wrap it in. In half-anhour’s time the holy father arrived; Fabrizio met him at the top of the stairs,
and said, weeping, ‘Paolo is dead;’ Philip replied: ‘And why did you not send
for me sooner?’ ‘We did,’ rejoined Fabrizio, ‘but your Reverence was saying
mass.’ Philip then entered the room where the dead body was, and throwing
himself on the edge of the bed, prayed for seven or eight minutes with the
usual palpitation of his heart and trembling of his body. He then took some
holy water and sprinkled the boy’s face, and put a little into his mouth. After this he breathed in his face, laid his hand upon his forehead, and called
twice with a loud and sonorous voice, ‘Paolo, Paolo!’ upon which the youth,
as if awakening from a deep sleep, immediately opened his eyes and said, in
reply to Philip’s call, ‘Father!’ and immediately added, ‘I forgot to mention
a sin, so I should like to go to confession.’ The holy father made those who
were round the bed retire for awhile, and putting a crucifix into Paolo’s hand,
heard his confession and gave him absolution. When the others returned into the room Philip began to talk to the youth about his sister and mother, who
were both dead, and this conversation lasted about half-an-hour, the youth
answering with a clear distinct voice, as if he had been in perfect health. The
colour returned to his countenance, so that those who saw him could hardly
persuade themselves that anything was the matter with him. At last the holy
father asked him if he could die willingly; he replied that he could. A second
time Philip asked him if he could die willingly; he answered, ‘Yes, most willingly; especially that I may go and see my mother and sister in paradise.’
Philip then gave him his blessing, saying, ‘Go, and be blessed, and pray to
God for me;’ and immediately with a placid countenance and without the
least movement Paolo expired in Philip’s arms. During the whole of this
scene Fabrizio was present with his two daughters, afterwards nuns at Santa
Marta, Violante Santa Croce, his second wife, the maid Francesca who had
attended Paolo during his illness, and some others.19
19
P. G. Bacci – G. Ricci, Vita di s. Filippo Neri Fiorentino, Fondatore della Congregatione
dell’Oratorio, Roma 1672, 331-2 (lib. III, cap. XII); English translation by F. I. Antrobus, The Life
of Saint Philip Neri, Apostle of Rome, and Founder of the Congregation of the Oratory, from the
Italian of Father Bacci of the Roman Oratory, new and revised edition, 2 vol., London 1902, II,
66-8. The room where the miracle happened was soon turned into a chapel, which was splendidly decorated and honoured with papal privileges; cf. ‘La cappella del miracolo a palazzo Massimo’, Memorie Oratoriane 18 (1997), 129-30. Pope Gregory XVI raised the chapel to the status of
a ‘chiesa publica’, and Pope Pius IX granted a proper Mass to be said on 16 March in commem-
94
ANNALES ORATORII
Although Bacci’s Life of St Philip draws on the extensive material from
the canonization processes, there are a few points where he departs from the
depositions made by the witnesses to the miracle. To elucidate these unclear
points we need to look at the individual testimonies in detail.
The Depositions of the First Process
There are three accounts of the miracle by Paolo’s father, Fabrizio. There
is another by Violante Santacroce, his second wife and the boy’s stepmother, and another by Francesca, a servant in the household who later moved
with her husband Giovanni Battista Rosati to Arsoli, where the Massimo family had acquired a fief. These three persons were eyewitnesses of the events.
A narrative of the miracle is included in the biography of the saint published
by Gallonio in 1600.
On 13 September 1595, Fabrizio gave a description of what happened on
that memorable day more than twelve years ago (see Appendix).20 This is the
shortest of Fabrizio’s three depositions. It is reduced to the essential facts of
the boy’s terminal illness and death, his brief return to life, when he was
called by Philip, and his second death. The narrative includes one colourful
detail confirmed by Violante Santacroce and Francesca Rosati but omitted in
Bacci: Paolo showed definite signs of being alive and relieved himself. Fabrizio testifies to the conversation between Philip and Paolo, which lasted for
a quarter of an hour, but does not say anything about its contents, let alone
mention the boy’s confession.
Less than six months later, on 29 February 1596, Fabrizio made another
deposition, mainly about the miraculous resuscitation of his son Paolo (see
Appendix).21 In this more detailed report Fabrizio confirms that the messenger from the Massimo family found Philip saying mass and could not speak
to him. In January 1583, Philip still lived in San Girolamo della Carità (he
moved to the Vallicella in November of the same year). Since we know that
it was the saint’s habit to celebrate the last mass of the morning, this would
indicate that it was about midday. In the meantime Don Camillo, the parish
priest of San Pantaleone, to which the Palazzo Massimo belonged, made the
commendation of the soul. In his third deposition of 1609 Fabrizio states that
oration of the miracle. Every year many Romans and foreign visitors alike go to the palace to pray
and celebrate the anniversary of the miracle. For photographs of the chapel, see the website of the
Oratorian Confederation: <http://www.oratoriosanfilippo.org/index5.html> (18 May 2003).
20
Processo, I, 202-3.
21
Processo, II, 60-1.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
95
Don Camillo had conferred the sacrament of Extreme Unction on the boy a
few days earlier.22
After Philip had arrived,23 he went straight into the room, put his hand on
the boy’s forehead and prayed for a few minutes, with the great trembling that
was a characteristic sign of his fervour. He took holy water, which the parish
priest had left in the room, and sprinkled it on the boy’s mouth and face.24
Then Philip said with a loud and clear voice ‘Paolo, Paolo’. The boy opened
his eyes, as if rising from sleep, and said ‘O Padre.’ Paolo showed clear indications of being alive. Again the detail about the boy’s need to pass water is
revealed. Fabrizio gives an account of the conversation between Philip and the
boy. Philip asked Paolo whether he would not be happy to die and go and see
his mother and sister again. Paolo’s mother Lavinia had died on 30 October
1575, and his sister Giulia, a nun in the convent of Tor di Specchi, having taken the name Elena, had passed away on 20 January 1583. The boy replied with
a clear and distinct voice that he was ready to die and wanted to go and see
his mother and sister. While there is no mention of Paolo’s confession, Fabrizio states that they had ‘altri ragionamenti sopra la morte.’ It is noteworthy
that Fabrizio lists the witnesses of the events, but he is somewhat vague about
it: Violante Santacroce, his wife, an unspecified number of servants, the physician Alessandro da Civita, and another person whose name he does not remember. Don Camillo, the parish priest, had already left the house.25
Fabrizio made another, third deposition on 30 September 1609, which comprises forty-six folio pages in the acts of the process. This deposition follows the
sequence of articles drafted for the third processus ‘in specie’ and was obviously considered definitive.26 Fabrizio gives an extensive account of the miracle (see
22
Processo, II, 353.
In his second deposition of 29 February 1596 (Processo, II, 60), Fabrizio states that Philip
came after a quarter of an hour, which is confirmed by A. Gallonio Vita Beati P. Philipii Nerii Florentinti Congregationis Oratorii Fundatoris in annos digesta, Romae 1600, 154. However, according to the other witnesses, including Fabrizio in his third deposition of 30 September 1609
(Processo, II, 352), it took Philip half an hour to get to the Palazzo Massimo.
24
Gallonio (1600), 155, says that the course of events was the other way round: first came the
sprinkling with holy water, then the saint’s prayer. Gallonio also mentions that Philip pressed Paolo’s body to his breast, in his usual manner.
25
Only Francesca Rosati in her deposition of 26 October 1596 provides the names of two of
the servants who were present: Portia and Gieronima, one of them being dead, the other one having become a nun in Cittaducale; Processo, III, 407.
26
Cf. the note at the end of the deposition, dated 29 September 1609: ‘Idem ill.is d.nus Fabritius de Maximis consignavit, medio iuramento, tactis etc. mihi notario etc. praesentem processum et examen foliorum quadragintasex retroscriptum et dixit contenta in eo fuisse et esse vera in
23
96
ANNALES ORATORII
Appendix),27 which agrees with his two earlier testimonies. There are a few
points of interest. Paolo’s physical necessity is described in detail;28 naturally,
the people in the room were stupefied by this, all the more so because the boy
showed signs of being in perfect health. Fabrizio reports that Philip talked with
Paolo for about a quarter of an hour, and he conveys the impression that he witnessed the whole conversation between the two. Finally, Philip asked the boy
whether he wanted to die and see his mother and sister again in Paradise. After
Paolo had answered in the affirmative, the saint gave him his blessing (‘gli diede
la sua benedittione’ – no absolution is mentioned) and the boy died peacefully.
Fabrizio asserts that he was witness to all that had happened and that he observed
with utmost attention everything that Philip did, including the conversation between him and the boy. Once again, Fabrizio gives a list of further witnesses,
which accords with the list already given in 1596. He was convinced that he had
seen an extraordinary miracle that was evidence of Philip’s holiness: Paolo died
and was raised to life again through the prayers of the saint.
The rather circuitous deposition of Violante Santacroce, given on 30 April
1596, confirms Fabrizio’s account. Violante emphasises that Paolo was considered dead by all those present and testifies that Philip spoke to the boy for ‘un
quarto d’hora, o mezza hora’, but there is no mention of a confession.29 The deposition of Francesca Rosati, recorded on 26 October 1596 extra urbem in Arsoli also corroborates Fabrizio’s version of the events.30 It would seem all the
more significant that Francesca does not mention Paolo’s confession, because
she states that she was witness to all that happened and in fact supported the
boy (most likely his head) with her left hand during his conversation with
Philip.31 In that case the saint could hardly have heard the boy’s confession.32
fidem, et post eorundem lecturam, se subscripsit manu propria, praesentibus, in domo propria,
rev.do d.no Alphonso Putignagno, presbitero, romano, et Ioanne Baptista Pia, mantuano, testibus
etc. Ita est Petrus Mazziottus notarius deputatus’, Processo, II, 366. The date 29 September 1610,
given in II, 322, fn. 1664, must be a mistake.
27
Processo, II, 352-4.
28
Paolo is reported to have said: ‘Io mi son bagnato’. He seems to have spilled himself in the
act of passing water; cf. Bonadonna Russo (1983), 2, fn. 9.
29
Processo, II, 79.
30
Processo, III, 406-7.
31
‘Che io a tutto mi trovai presente, che havevo cura di governare detto s.r Paolo. (...) Il quale
[Paolo] io lo sostentava dalla mano mancha, et io restai stupita, con l’altri, che erano lì presenti,
di haver veduto resuscitare detto s.r Paolo, attribuendo tutto alla santità de detto p. Filippo’;
Processo, III, 406-7.
32
As rightly noted by L. Ponnelle – L. Bordet, Saint Philippe Néri et la société romaine de
son temps (1515-1595), Paris 1928, 117, fn. 3.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
97
Germanico Fedeli, a Father of the Oratory who was later made canon of
St Peter’s, knew Paolo well and visited him regularly during his terminal illness. He gave an account of the miracle based on what he had been told by
Fabrizio Massimo and Violante Santacroce. His deposition agrees with the
previous testimonies of the eyewitnesses: he states that the boy had been spiritually prepared to die, but there is no mention of his confession.33
The Depositions of the Third Process
The third process ‘in specie’ was opened on 19 July 1610 before the Auditors of the Rota. No fewer than two hundred and sixty-four witnesses were
heard, most of whom had already testified before. All the witnesses confirmed their previous depositions, and some of them added unknown particulars about the life of the much venerated Father Philip.34 The first witness
to be (re-)examined in three sessions on 19, 23 and 24 July 1610 was Fabrizio Massimo, by then 72 years old. According to the acts of the process, he
did not add new facts or important circumstances. Fabrizio was mainly questioned about Philip’s raising to life of his son Paolo and repeated in brief his
account of the miracle. The inquiry focused on three points: first, how long
in Fabrizio’s estimation Paolo had been dead; secondly, whether Paolo had
really died in the first place or whether he only showed signs that could be
mistaken for death; and, thirdly, why he was raised to life only for a short
time and then died again. Fabrizio reckoned that the boy had been dead for
about half an hour. He and the other people present were certain about the
boy’s death. The parish priest had already made the recommendation of Paolo’s soul and had left the house. Moreover, the whole body had already become cold and the pulse had stopped.35 As for the third question about the
33
‘Non restando di dire, che, pochi giorni prima moresse, ragionando io con detto Paolo, gli
dissi, se voleva barattare con me, con darmi egli il suo male, con il merito della patienza (che realmente fu male di molta pena, et egli lo sopportava con ogni patienza) che io gli havrei data la mia
sanità; mi rispose, che non si curava di barattare, et che stava contento del suo male: onde non è
maraviglia, se disse al beato padre, che moriva volentieri’; Processo , III, 292.
34
Cistellini (1989), III, 1948, comments: ‘Col ricordo di lui si avvivava quello della folta
schiera dei suoi figli spirituali e discepoli come in un curioso convegno di suggestive memorie’,
and adds in fn. 50: ‘C’è da chiedersi perché alcuni fra i più noti (il Pateri, il Fedeli e altri), dopo
aver già ampiamente deposto in passato, ora si dilungavano con nuovi particolar, mentre altri, che
non deposero in passato, nemmeno ora recano la loro testimonianza’.
35
‘Io dico, che lo tenni per morto, e quelli che erano presente, lo tennero per morto; il prete
essersi già partito, per haverli racomandato l’anima e lasciatolo per morto; e per concorrer tuttil li
altri segni, che concorreno alli morti, con esser rafreddato tutto, da capo a piede, perso il polso, et
intesito’, Processo, IV, 20.
98
ANNALES ORATORII
reason for this brief return to life, the only answer Fabrizio was able to give
was that it had pleased God’s Majesty to resuscitate Paolo from death only
for a short time and that there were many such instances in the lives of the
saints. The hearing was then completed and Fabrizio secured the insertion of
his earlier, very detailed deposition of 30 September 1609 into the acts of the
third process.36
On 30 July 1610, Violante Santacroce made a deposition for the third
process. Apart from a few minor details, she had nothing to add to her earlier testimony of 30 April 1596. The Auditors of the Rota obviously focused
on the miraculous raising to life of Paolo Massimo. Violante, who stood ‘a
piede al letto’, confirms that the boy was considered dead.37
A new facet in the story is related in yet another deposition Fabrizio made
before the Auditors of the Rota on 18 August 1610. There he declared that in
his previous testimonies he had failed to remember an important point:
Signore, havendo io fatto reflessione sopra quanto, alcuni giorni sono, mi
esaminai, per la verità, di quello che sapevo del beato padre Philippo Neri,
mi è sovenuto, che io mi scordai dire certe circostantie, circa la resurrectione
di Paolo, mio figliolo, quali, poi, mi sono ricordato et hora, acciò apparisca
pienamente il fatto, come seguì, desiderarei dirle qui.38
Fabrizio’s deposition continues as follows:
La causa, che io son venuto a dimandar di esser ascoltato, è che, essendomi
ricordato, quando il beato Philippo resuscitò mio figliolo detto Paolo, li disse
Paolo, al padre, che si era scordato di un peccato, et il detto beato padre fece
scanzar tutti da torno a letto e lo riconciliò: e questo passò così, aguingendo
questo alle altre cose da me deposte nelli altri esamini, alli quale non intendo pregiudicare.39
According to this new testimony, Paolo, having been raised from the dead,
said that he had forgotten a sin and would like to go to confession. Philip
then sent away those who were standing around the bed and the boy con36
Fabrizio comments on this earlier deposition: ‘alla quale voglio si habbia relatione, come
fatta da me più consideratamente’, Processo, IV, 20.
37
‘Io non saperei dir questo, ma, quanto a me, era morto et, alli andamenti et alli segni, era
morto, perchè era aggiacciato, serrati li occhi, nè si sentiva cosa nisuna e stava come una cosa
morta’, Processo, IV, 23.
38
Processo, IV, 38.
39
Processo, IV, 38.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
99
fessed to him. Less than a year earlier, on 30 September 1609, Fabrizio spoke
only of a blessing having been given by Philip to his son, adding that he was
witness to all that happened and had observed carefully everything Philip did,
from the boy’s resurrection until his second death. When asked by the Auditors of the Rota who reminded him of the new details, Fabrizio adds:
Doi mie figliole, che sono moniche in S.ta Martha, quale si trovorno presente a tutto questo, con occasione di ragionar seco del processo, che si va
facendo, in questa causa.40
The two daughters who recalled Paolo’s confession were Ortensia (15701657) and Costanza (1571-1662), both at the time nuns at the Augustinian
convent of Santa Marta, having taken Vittoria and Pulcheria as their name in
religion. Fabrizio also states that he sought the advice of the Fathers of the
Oratory, who urged him to add to his previous depositions:
Ragionando con li padri della Vallicella di questo, che mi ero scordato, mi
dissero che sarebbe stato bene a deponerlo.41
Vittoria Massimo was questioned about the miracle by the Auditors of the
Rota on 30 August 1610:
Et, allhora, Paolo aprì li occhi e disse: ‘Padre’. Et, allhora, il beato padre li
dette un Crucifisso in mano, et parlorno, un pezzo, insieme. Ma io non intesi
quello si dicessero, perchè il p. Philippo fece scanzar tutti. E, poi, io intesi,
che, interrogato Paolo se moriva volentieri, per andar in Paradiso, a veder sua
madre e sua sorella, Paolo rispose che sì. E, dicendoli il padre: ‘Orsù, va’, che
sii benedetto, e prega Iddio per me’, Paolo chiuse li occhi e, senza far altro
movimento, se ne morse, e, di lì a poco, il beato p. Philippo se ne andò.42
Vittoria’s deposition largely agrees with what other witnesses had said in
the first inquiry. She confirms her father’s most recent testimony that Philip
made everyone in the room retire for a short while. Asked who was present
when it all happened, Vittoria states:
Presenti erano il s.r Fabritio, mio padre, la s.ra Violante, mia madregna, e le
mie sorelle, che erano piccole, e delle altre serve, che io non me ne ricordo.43
40
Processo, IV, 38.
Processo, IV, 38.
42
Processo, IV, 53-4.
43
Processo, IV, 54.
41
100
ANNALES ORATORII
Here, for the first time, it is mentioned that Paolo’s sisters were also present in the room. Neither Fabrizio Massimo in 1595, 1596 and 1609 nor Violante Santacroce and Francesca Rosati in 1596 nor Gallonio in his life of
1600 include the children in their lists of those who witnessed the miracle.
This might be because they would have been too young to be heard as witnesses in the canonization inquiries.44 Be that as it may, when talking about
the reason why Paolo was resurrected from death for only a short time, Vittoria is quite vague:
Perchè, forsi, [Paolo] si haveva da confessar di qualche cosa, che non haveva confessato: e fu detto, se bene io non l’intesi, che Paulo haveva lasciato
di confessar un peccato, il quale, poi, lui confessò e se ne morse.45
She says that Paolo perhaps had something to confess that he had not confessed earlier; however, this is based only on hearsay. In contrast to Vittoria’s
reticence, Pulcheria Massimo, questioned on the same day, asserts with confidence:
Et poi, passata mez’hora, arrivò il beato Philippo a casa, et entrò dove era
Paolo, e lo chiamò, e Paolo rispose. Et allhora il beato padre li disse, che era
ritornato in vita, per confessar un peccato, che non si era confessato, e poi,
facendo il beato padre scanzar tutti quelli che eravamo lì, lo riconciliò e li
dimandò, se moriva volentieri. Et io ero presente, quando li disse queste parole, perchè, doppo essersi reconciliato Paolo, tornassimo a intrare. Et respondendo Paolo di sì, che moriva volentieri, disse il beato padre: ‘Va’, che
sii benedetto’ et Paolo tornò a morire.46
Asked for the reason for Paolo’s very short raising to life, Pulcheria responds without hesitation: ‘Per confessarsi di quel peccato’.47 It would appear that Maria Teresa Bonadonna Russo is right in regarding Pulcheria as
the source for Paolo’s confession. Vittoria was probably under the influence
of her sister in nature and in religion; at any rate, her deposition is too hesitant to be convincing. Fabrizio’s new testimony of 18 August 1610 seems intended to anticipate and give more authority to his daughters’ version of the
events.48
44
45
46
47
48
For a similar judgment cf. Bonadonna Russo (1983), 11, fn. 55.
Processo, IV, 54.
Processo, IV, 54-5.
Processo, IV, 55.
See Bonadonna Russo (1983), 11.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
101
As already mentioned, Francesca, the servant who waited on Paolo, said
in 1596 that she supported the boy (most likely his head) with her left hand
during his conversation with Philip. In that case the saint could hardly have
heard the boy’s confession. Gallonio, who does not mention the confession
either, notes in his life that those present could not hear everything the saint
said to the boy; but he does not say that the people at any stage left the room.
Thus there would not have been an opportunity for confession.49 Despite
these obvious inconsistencies, the account of Paolo’s confession was included in Bacci’s Life of St Philip of 1622 and has become part of the hagiographical tradition.
Medical Aspects
The raising of the dead to life was considered not only an extraordinary
favour granted by God but also a stupendous proof of the intercessory power of the servant of God who wrought the miracle. Hence it featured prominently in canonization processes as evidence of the candidate’s holiness. The
obvious problem with this kind of miracle is how to ascertain whether the
person raised to life had actually died. The eminent eighteenth-century
canonist Prosper Lambertini (later Pope Benedict XIV) addresses this question in his seminal work on beatification and canonization. He mentions that
in the cause of Turibius of Mongrovejo, archbishop of Lima, who was canonised in 1726, the resuscitation of a dead person was not approved as a miracle, because there was only one eyewitness, while other depositions merely
relied on hearsay. Lambertini refers to a comment made by the Roman polymath Aulus Cornelius Celsus that according to Democritus, doctors are not
certain about what indicates termination of life.50
An alleged resuscitation from death must therefore be examined with great
caution. Lambertini presents several criteria for the approval of this miracle:
first, the person is considered dead by those present; secondly, the person
49
‘[Paulus,] apertis oculis, Philippo, omnibus, qui aderant stupore oppressis clara voce respondit, quocum per quadrantem horae, aut plus eo multum sermonem habuit, quem astantes non
audiebant’, Gallonio (1600), 155.
50
Benedict XIV, De servorum Dei beatificatione, et beatorum canonizatione, lib. IV, pars 1,
c. 21, nr. 7-8: Benedicti XIV … opera omnia, Editio novissima, Bassano 1767, tom. IV, 156. Aulus
Cornelius Celsus wrote in the first century AD about philosophy, agriculture, medicine and warfare. His treatise De medicina most likely draws on the Hippocratic writers and is an important
source for our knowledge of Alexandrian medicine. The manuscript of Celsus’ De medicina was
rediscovered in the fifteenth century and first printed in the edition of Bartolommeo della Fonte
(Florence, 1478); subsequently, the work became very influential in Renaissance medicine.
102
ANNALES ORATORII
does not show any sign of respiration; thirdly, one of those present prays to
the servant of God or Blessed that the dead person may be brought back to
life; fourth, after this plea the dead person shows signs of life. Then it needs
to be ascertained whether the person really died in the first place. This can
be done in two ways, either by considering the time that has elapsed since he
fell into that state or by judging from signs or conducting experiments that
show whether the he was actually dead.51 Lambertini raises the question
whether the recognition of the miracle requires the person raised to life to
continue to live for a long time. The answer is negative: a dead person may
be brought back to life in order to receive baptism or make a confession and
then die again. The point is illustrated with the example of St Philip’s resuscitation of Paolo Massimo and the boy’s confession. Finally, the learned
canonist cautions against a momentary resuscitation, since this might prove
to be merely imaginary.52
Angelo Vittori, a celebrated medical doctor of the his age, who was physician in ordinary at the papal court (archiatra pontificio) and from 1585 served
as ‘medico in casa’ at the Vallicella,53 has a treatise on Philip’s resuscitation
of Paolo Massimo in his Medicae consultationes, published posthumously in
1640. In his account of the event, based on the acts of canonization processes, Vittori clearly says that the boy was considered dead by those present and
showed clear signs of that state:
[Paulus] moriturus ab omnibus indicatur, et paulatim marcescens extinctus
est … Interea dum gelidus totus, ac rigidus evasit, eius famula ad corpus lavandum, et de more vestiendum se accinxerat, ut ad Ecclesiam quandocumque deferri potest.54
Vittori notes that according to the depositions made by the eyewitnesses,55
Paolo had indeed died:
51
Benedict XIV (1767), lib. IV pars 1, c. 21, nr. 9: 157.
Benedict XIV (1767), lib. IV pars 1, c. 21, nr. 30: 163.
53
He made a deposition for the first canonical inquiry on 4 September 1595; Processo, I, 151-4.
54
A. Vittori, Medicae consultationes post obitum auctoris in lucem editae a Vincentio Mannuccio, Romae 1640, Consultatio XCV. Paulus de Maximis nobilis adolescentulus a morte in vitam revocatur a B. Philippo Nerio, cui confitetur peccatum in confessionibus omissum: deinde ab
eodem petita venia moriendi e vita migrat, 411. On the importance of medical considerations in
canonization processes, see N. G. Siraisi, ‘Signs and Evidence: Autopsy and Sanctity in Late Sixteenth-Century Italy’, ead., Medicine and the Italian Universities 1250-1600, Leiden – Boston –
Köln 2001, 356-380.
55
Cf. Fabrizio Massimo’s deposition of 30 September 1609; Processo, II, 355.
52
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
103
Ex narratis Paulum vere fuisse mortuum etiam a principio, et non symptomate, seu quopiam accidente correptum, quod mortuo similem reddiderit,
nemo est qui iure dubitare possit.56
The first reason for this assessment is the high credibility of the testimonies given by those present, especially the parish priest who made the
commendation of the soul. As an experienced pastor, Vittori argues, he would
hardly have done so if he had felt any doubt about the boy’s state. Secondly,
the nature of the illness, a violent fever, suggests that Paolo was dead and
that he did not just suffer from symptoms that made him appear dead. The
decisive point for Vittori is the fact that when the boy came to life again, the
fever had disappeared and he seemed in perfect health:
hilaris cum motu, et sensu corporis valido, voce clara, et sana mente respondens.57
This would have been different if the boy had suffered from a condition
that would simply have made him unconscious. Further support for the miracle’s authenticity is provided by the ‘causa revocationis ad vitam’, that is,
Paolo’s confession, and by his most edifying second death.58
Raising the Dead
Those who witnessed what happened in the Palazzo Massimo on that remarkable day had no doubt that Paolo had been raised to life at the intercession of St Philip. Fabrizio Massimo gives the impression that he immediately broke the news far and wide, though the knowledge of the astonishing
event was at first confined to the Massimo household and to the inner circle
at the Chiesa Nuova.59 It seems that Fabrizio began to tell others about the
miracle only after Philip’s death, when he gave his first deposition in the canonization inquiry on 13 September 1595.60 One would expect the tidings of
56
Vittori (1640), XCV: 411.
Vittori (1640), XCV: 412.
58
Vittori (1640), XCV: 412-3.
59
See his deposition of 30 September 1609; Processo, II, 354. Among the few people who
knew about the miracle during Philip’s lifetime was the Jesuit Father Francesco Benci, who arrived at the Palazzo Massimo soon after the event. Benci died in 1594, without making public what
had happened on that day. As related by Fabrizio, the episode involving Cardinal Anselmo Marzati occurred shortly before the latter’s death on 17 August 1607.
60
Processo, I, 202-3.
57
104
ANNALES ORATORII
such an extraordinary miracle to spread like wildfire and capture the imagination of many, but there is no evidence that it was known in the city of Rome
before that date. A silence of more than twelve years is not only in keeping
with the extreme caution shown by the ecclesiastical authorities towards supernatural phenomena, but also reflects Philip’s well-known reticence to publicise the miraculous manifestations of God’s favour that were so frequent in
his life.61
The miracle recalled Christ’s raising of Lazarus in Bethany (John 11) and
the Apostle Peter’s raising of Tabitha in Joppa (Acts 9). Raising the dead to
life is certainly one of the most amazing deeds that a holy man could perform through his intercessory power. Gallonio notes in his Life of St Philip
that several saints in the history of the Church were known to have obtained
this extraordinary favour from God.62 The miracle showed the saint’s Christlike quality and was a mighty sign of continuity with the age of the Apostles.
In the early decades of the sixth century, Barsanuphius, an Egyptian recluse
near Gaza, wrote to a sick and dispirited monk:
I speak in the presence of Christ, and I do not lie, that I know a servant of
God, in our generation, in the present time and in this blessed place, who can
also raise the dead in the name of Jesus our Lord, who can drive out demons,
cure the incurable sick, and perform other miracles no less than did the Apostles … for the Lord has in all places His true servants, whom He calls no
more slaves but sons [Galatians 4:7].63
Barsanuphius confirms that the working of stupendous miracles, such as
raising the dead, is perceived as a sign of the presence of Christ in his saints.
He encourages his addressee by evoking apostolic times. This is not just a
reference to a past age; rather, the power bestowed on the apostles is present
and available at all times and in all places through the holy men who are the
Lord’s true servants.
One of the most popular saints in the Middle Ages, Martin of Tours, is also credited with raising a dead person to life. The account given by his bi61
Bonadonna Russo (1983), 4, rightly speaks of ‘una ritrosia che il miracolo di casa Massimo
sottolinea ed esalta, ponendosi come ulteriore conferma della originale personalità del Neri, e del
suo particolare stile di vita’.
62
Gallonio (1600), 155.
63
Barsanuphius, Ep. 91: ed. F. Neyt – P. de Angelis-Noah (SC 427), Paris 1998, 382-4; quoted in the English translation of P. Brown, Authority and the Sacred: Aspects of the Christianisation of the Roman World, Cambridge 1995, 58.
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
105
ographer Sulpicius Severus is significant for our enquiry, since it gives a specific reason for the miracle being wrought:
As Hilarius had already gone away, so Martin followed in his footsteps;
and having been most joyously welcomed by him, he established for himself a monastery not far from the town. At this time a certain catechumen
joined him, being desirous of becoming instructed in the doctrines and
habits of the most holy man. But, after the lapse only of a few days, the
catechumen, seized with a languor, began to suffer from a violent fever. It
so happened that Martin had then left home, and having remained away
three days, he found on his return that life had departed from the catechumen; and so suddenly had death occurred, that he had left this world
without receiving baptism. The body being laid out in public was being
honoured by the last sad offices on the part of the mourning brethren, when
Martin hurries up to them with tears and lamentations. But then laying
hold; as it were, of the Holy Spirit, with the whole powers of his mind, he
orders the others to quit the cell in which the body was lying; and bolting
the door, he stretches himself at full length on the dead limbs of the departed brother. Having given himself for some time to earnest prayer, and
perceiving by means of the Spirit of God that power was present, he then
rose up for a little, and gazing on the countenance of the deceased, he waited without misgiving for the result of his prayer and of the mercy of the
Lord. And scarcely had the space of two hours elapsed, when he saw the
dead man begin to move a little in all his members, and to tremble with
his eyes opened for the practice of sight. Then indeed, turning to the Lord
with a loud voice and giving thanks, he filled the cell with his ejaculations.
Hearing the noise, those who had been standing at the door immediately
rush inside. And truly a marvellous spectacle met them, for they beheld
the man alive whom they had formerly left dead. Thus being restored to
life, and having immediately obtained baptism, he lived for many years afterwards; and he was the first who offered himself to us both as a subject
that had experienced the virtues of Martin, and as a witness to their existence. The same man was wont to relate that, when he left the body, he
was brought before the tribunal of the Judge, and being assigned to gloomy
regions and vulgar crowds, he received a severe sentence. Then, however,
he added, it was suggested by two angels of the Judge that he was the man
for whom Martin was praying; and that, on this account, he was ordered
to be led back by the same angels, and given up to Martin, and restored to
his former life. From this time forward, the name of the sainted man be-
106
ANNALES ORATORII
came illustrious, so that, as being reckoned holy by all, he was also
deemed powerful and truly apostolical.64
St Martin raised the catechumen to life in order to baptise him. The miracle was wrought not only to show Martin as potens et vere apostolicus, as
Sulpicius Severus says, but also for a very specific purpose, that is, to procure the man’s eternal salvation.65
L. Ponnelle and L. Bordet suggest that those who did not believe Fabrizio
Massimo’s account of the miracle were puzzled by the difficulty of giving a
reason for so short a return to life.66 Without judging the veracity of the new
depositions of 1610 – twenty-seven years after the event – it would seem fair
to say that the emphasis on Paolo’s confession supplied such a reason.67 This
would not be the only instance of a story from Philip’s life being embellished
in the hagiographical tradition. A. Cistellini argues that this is the case with
the famous episode of the dilatation of the saint’s heart that happened in the
catacombs on San Sebastiano in 1544. The event itself is well attested in the
depositions of the canonization processes. However, that Philip saw a globe
of fire entering his mouth and resting in his breast and that all this happened
on the eve of Pentecost 1544 emerges only in the middle of the seventeenth
century.68
64
Sulpicius Severus, Vita S. Martini, c. 7: ed. C. Halm (CSEL 1), Wien 1866, 117-8; quoted
in the English translation of A. Roberts (Nicene and Post-Nicene Fathers. Second Series, vol. XI),
Oxford – New York 1894 (reprinted: Edinburgh – Grand Rapids 1991), 7-8.
65
On the appeal to St Martin’s friendship and patronage cf. P. Brown, The Cult of the Saints:
Its Rise and Function in Latin Christianity, London 1981, 65.
66
Ponnelle–Bordet (1928), 117.
67
Cf. the balanced conclusion of Bonadonna Russo (1983), 11-12: ‘Sembra dunque proprio
che la confessione sia scaturita dalla fantasia candida della pia suora [Sister Pulcheria, i.e. Costanza Massimo], inconsciamente decisa a trovare comunque una spiegazione umanamente accettabile
di tutto l’episodio, e capace, con la sua determinazione, di un’influenzare psicologicamente anche
suo padre. Questa spiegazione divenne, nelle mani degli istruttori del processo del Neri, l’argomento decisivo per ammettere la veridicità del miracolo, senz’altro il più straordinario compiuto
da s. Filippo, e di cui ci sia giunta notizia; ma forse, al di là di ogni motivazione comprensibile
secondo la logica degli uomini, l’unico ad avvicinarsi alla verità fu ancora Fabrizio Massimo,
quando affrontando per la prima volta il problema, nel luglio 1610, istintivamente dichiarò che tutto avvenne perchè “piacque così alla Maestà di Dio”.’
68
Cistellini (1989), I, 32, fn. 63: ‘Biografi tardivi hanno ambientato nelle catacombe di S. Sebastiano ... l’episodio della dilatazione delle costole, avvenuto, secondo la precisazione fornita dal
Gallonio, nel 1544. ... Questo fatto, confermato per udito da autorevoli testimoni, fra quali il card.
Federico Borromeo ..., si ampliò nei biografi successivi con l’aggiunta del globo di fuoco e con
la collocazione dell’avvenimento nella festa delle Pentecoste di quell’anno. Questi ultimi partico-
U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo
107
The Saint as Example of Heroic Virtue and Wonderworker
The case of the Massimo miracle supports and exemplifies the conclusions
drawn by Simon Ditchfield in his book Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy:
The enduring appeal of the miraculous throughout the Early Modern period
and beyond cannot be overstated. Indeed, examination and verification of a
candidate’s miracles constituted a central part of contemporary canonization
trials. (...) It is thus appropriate that the pages of much hagiographical literature both pre- and post-Trent were dedicated to the recounting of the miraculous. (…) Tridentine hagiography only makes sense if we appreciate the
continuity within which change occurred. As has been seen, the humanist-led
critique of traditional hagiography predated Trent, while the taste for the
miraculous was rediscovered and redefined soon after. The change consisted, above all, in the unprecedented care with which hagiographical content
was matched to the context and form in which it was to be used.69
Rome learned the lesson of the Protestant attack on the cult of the saints
and responded by developing more accurate historical and medical criteria
for the recognition of miracles attributed to the intercession of holy men and
women. The execution of these reforms lay with the Holy Office and the Congregation of Rites; inevitably, this led to an emphasis on legal aspects and
proceedings.
The Massimo miracle also sheds light on another point that has been the
subject of debate among historians of the early modern period. The cult of
the saints used to be perceived as an element of ‘popular religion’, often considered superstitious, as opposed to the religion of the well born and educated classes. However, as the depositions of canonization procedures reveal,
holy men and women drew the devotion of people from all strata of society.
In fact, the cult of the saints functioned as a factor of social cohesion.70 The
lari furono riportati per la prima volta dal BACCI-RICCI nel 1672 ..., il quale nella vita del p. Pietro
Consolini posta in appendice con altre, narra che questi, pochi giorni di morire (1643), avrebbe
riferito i fatti sopraddetti al p. Mariano Sozzini (1613-1680), entrato in Congregazione nel 1641’.
Cf. I. Brix [pseudonym for A. Cistellini], ‘La pentecoste filippina’, Memorie Oratoriane 17 (1995),
85-91.
69
S. Ditchfield, Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy: Pietro Maria Campi and the
Preservation of the Particular, Cambridge 1995, 129; cf. Ditchfield (1996).
70
Cf. Sallmann (1994), 370-371: ‘Il est temps de faire un sort à une thématique qui a trop
longtemps stérilisé l’histoire culturelle, celle qui a voulu opposer à tout prix une culture populaire
108
ANNALES ORATORII
miraculous no doubt was particularly attractive to the urban masses and the
rural population, but it would be wrong to suggest that this fervour was in
opposition to the social elites. Rather, as in the case of the Massimo family,
noble and educated believers promoted the veneration of saints with a strong
appeal to their intercessory and thaumaturgic powers.
In conclusion, the miracle wrought by Philip Neri in the Palazzo Massimo on 16 March 1583 and its subsequent history confirm the revised perspective on the cult of the saints in the Counter-Reformation period. The continuous invocation of the miraculous, though in a purified and more rigorous
form, contributed to the vigour with which the Catholic Church took on its
renewal after the challenge of the Protestant Reformation.71
U. M. Lang, C.O.
à une culture savante, une religion du peuple à une religion des élites. (…) Je n’ai jamais rencontré parmi les élites sociales un témoignage traduisant un mépris quelconque ni une critique à l’encontre de croyances ou de pratiques censées relever de la superstition populaire. Les dépositions
sont là, unanimes, pour démontrer le contraire. Du haut en bas de la hiérarchie sociale, l’attachement au culte des saints est partagé par tous, au même titre et sous les mêmes formes, par le noble de haute volée comme par le modeste artisan ou le paysan.’
71
Cf. P. Prodi’s preface in A. Turchini, La fabbrica di un santo: Il processo di canonizzazione
di Carlo Borromeo e la Controriforma, Casale Monferrato 1984, X-XII.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
109
LITERATURA, MÚSICA Y DEVOCIÓN
EN TORNO A SAN FELIPE NERI EN ESPAÑA
(siglos XVII y XVIII)1
Para el lector, a modo de prólogo
Insertadas en las corrientes devocionales propias de la época y comunes
a muchos santos, las manifestaciones literarias y musicales de la devoción a
San Felipe Neri en los siglos XVII y XVIII en España revisten un gran atractivo para los estudiosos al tratarse de terreno todavía inédito en la investigación. Sin duda alguna los trabajos de Ángel ALBA ALARCOS han sido pioneros en el ámbito de la historiografía artística filipense española, ya sea señalando los cauces de penetración de la devoción al santo en España,2 ya compilando parte de su representación iconográfica (pintura, escultura, grabado).3
Recientemente han visto la luz fuentes documentales que acercan y ayudan
a reconstruir el contexto devocional. 4
Fiesta y agasajo en honor al santo.
El 12 de marzo de 1622 tiene lugar en Roma la canonización de San Felipe Neri junto a los grandes santos españoles Teresa de Jesús, Ignacio de Loyola, Francisco de Borja e Isidro Labrador. La noticia llega a Madrid el 6 de
1
Con el objeto de facilitar el acceso a los textos, hemos modernizado y actualizado su grafía,
ortografía y puntuación (a excepción de los títulos de las obras citadas).
2
A. ALBA ALARCOS, Los españoles y lo español en la vida de San Felipe Neri. Raíces históricas de la devoción a San Felipe Neri en España. Alcalá de Henares: Gráficas Dehon, 1992.
3
A. ALBA ALARCOS, San Felipe Neri en el arte español. Alcalá de Henares: Gráficas Ballesteros, 1996.
4
En concreto el texto de M.T. FERRER BALLESTER y R. SANZ HERMIDA presentado en la Sixteenth Century Conference (Denver, 2001), “The St. Felipe Neri´s Congregation in Spain and its
Music and Literary production”. Estas investigaciones han sido en cierta manera posibles gracias
al proyecto “El oratorio en España: génesis, desarrollo y tipología del género en el siglo XVIII”
del Ministerio de Ciencia y Tecnología (ref. BFF2000-0828).
110
ANNALES ORATORII
abril y pocos días más tarde, a Valencia5, donde se recibe con repique de campanas de la seo. Precisamente en esta ciudad se festeja por todo lo alto la llegada a los altares del santo florentino costeada por un devoto del santo y paisano suyo, Pablo Antonio Giuliani,
acudió toda [la ciudad de Valencia] con grandes señales de júbilo y
contento a celebrar tan heroicas fiestas. Honróla con su presencia el Virrey que era entonces, con toda su familia. Honrólas el Gobernador con
los Padres de la República en forma de ciudad. Honrólas lo más granado del cabildo de la Iglesia mayor, de las religiones, y clero, y toda
la nobleza valenciana (BERTRÁN MARCO).6
Como relatan las crónicas de época, los fastos celebrados con tal motivo tuvieron lugar en la parroquia de San Andrés, los días 25, 26, 27 y 28
de junio de 1622, pudiendo considerarse esta iglesia como gloriosa cuna
de la devoción de San Felipe Neri7 en solar valentino y, por ende, en toda
España.8
La devoción y magnanimidad de Pablo A. Giuliani hizo que asimismo corriese a su cargo la primera biografía española, que vió la luz en 1623, en la
oficina del impresor Felipe MEY: Vida y hechos milagrosos de S. Filipe Neri, clerigo florentin, fundador de la Congregacion del Oratorio... , 9 con el
fin de estampar su vida en lenguaje castellano, para que toda España pudiese gozar un tan gran tesoro y difundir, de esta manera, la devoción al santo.
5
cf. Sucesos de [Valencia] desde 1589 a 1628 (Real Academia de la Historia, manuscrito,
sign. 17. 9/517, fol. 383). La noticia se recibió el 14 de abril: “Martes, a 14 de abril 1622... el amigo Jorn toca las campanas de la seo por la canonización que el Stmo. Papa Gregorio 14 (sic) había hecho de cinco santos... en el mes de marzo de 1622. A S. Isidro, a Sta. Teresa, a S. Ignacio,
a S. Javier, españoles, y a S. Felipe Neri, florentino, confesor de S. Carlos Borromeo” (traducción
de la cita en valenciano).
6
L. BERTRÁN MARCO, Vida y hechos milagrosos de S. Filipe Neri, clerigo florentin, fundador
de la Congregacion del Oratorio. Valencia: Felipe Mey, 1623, “Dedicatoria”.
7
T. GÜELL, Tomo que dexó escrito de su mano el R.P.Fr. Thomás Güell, hijo de este Real Convento de Predicadores. Año 1755. Biblioteca Universitaria de Valencia, ms. 13, fol.433r.
8
vid. también el artículo de Mª T. FERRER BALLESTER-R. SANZ HERMIDA, “Valencia, cuna del
oratorio musical”, en Música, Estética y Patrimonio. II Jornadas Nacionales. Xàtiva: Ayuntamiento, 2003, pp.125-140.
9
Op. cit. Hubo reimpresión en 1625. El autor era dominico del convento de Predicadores de
Valencia. En este volumen aparecen insertas las Constituciones de la congregación así como el
Breve de su Confirmación.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
111
¿Cuáles son los primeros vestigios literarios de esta devoción? Aunque es
muy probable que se hicieran poemas festivos, letrillas, etc con ocasión de
la canonización,10 como era costumbre muy al uso en la época, 11 hasta la fecha apenas contamos con un ejemplo: un terceto octosilábico de un emblema dedicado al santo, recogido en la relación sevillana del impresor Simón
FAXARDO12:
Tan alto con la oración
subió de Felipe el vuelo,
que nunca bajó del cielo.
10
Y más teniendo en cuenta las fiestas celebradas en Valencia en honor del santo mencionadas más arriba; por el momento no hemos encontrado ninguna noticia de éstas, no así de las que
se hicieron en esta misma ciudad para celebrar a S. Ignacio y S. Francisco Javier: Relación sumaria de las fiestas que se hicieron en Valencia a la Canonización del Padre Ignacio de Loyola,
Fundador de la Compañía de Jesus, y de San Francisco Xavier, Apóstol de la India. Valencia, junto al Molino de la Rovella, 1622, 4 fols. (este dato lo ofrece PALAU DULCET en su Manual del Librero Hispanoamericano. Bibliografía general española e hispanoamericana desde la invención
de la imprenta hasta nuestros tiempos (Madrid: Librería Palau); también las menciona Pilar PEDRAZA en su obra Barroco efímero en Valencia (Valencia: Ayuntamiento, 1982). El bibliógrafo valenciano CARRERES ZACARÉS cita también un Pregón anunciando las fiestas con que la ciudad de
Valencia había acordado solemnizar las canonizaciones de S. Ignacio de Loyola y S. Francisco
Javier, impreso en Valencia en 1622 del que dice no haber visto ningún ejemplar. “Estas fiestas
se celebraron los días 24, 25 y 26 de julio con luminarias, procesión y octava en la Casa profesa,
oficiando el último día de pontifical el Arzobispo de Valencia” (S. CARRERES ZACARÉS, Ensayo de
una Bibliografía de libros de fiestas celebradas en Valencia y su antiguo reino. Valencia: Imprenta
Hijo de F. Vives Mora, 1926). Por otra parte, existe también relación de las fiestas celebradas en
Valencia en honor de Santa Teresa de Jesús, meses antes de su canonización, con su correspondiente certamen poético: Fiestas que el convento de nuestra Señora del carmen de Valencia hizo
a nuestra Santa Madre Teresa de Iesus, a 28. de Octubre, 1621... Por el Padre Fray Manuel Mendoça, Sacristan mayor del mismo Conuento. Valencia: Felipe Mey, 1622.
11
En Madrid, por ejemplo, se celebró un certamen poético en honor del santo labrador S. Isidro, que corrió a cargo del insigne poeta Lope de Vega (Relacion de las fiestas que la insigne villa de Madrid hizo en la canonizacion de su bienauenturado hijo y patron San Isidro, con las comedias que se representaron y los versos que en la Iusta Poetica se escriuieron. Madrid : Vda. de
Alonso Martin, 1622); en esta misma ciudad hubo otros certámenes organizados por la Compañía
de Jesús (vid. p. ej. la Relacion, de las Fiestas, que se han hecho en esta Corte, a la Canonización de cinco Santos: copiada de una carta que escrivio Manuel Ponce en 28 de Junio 1622. Madrid. Viuda de Alonso Martin).
12
El emblema, que rezaba “In cœlum semper”, representaba un águila volando hacia el cielo.
Vid. Sumptuosas fiestas que la Villa de Madrid celebró á XIX de Junio de 1622. En la canonización de San Isidro, San Ignacio, San Francisco Xavier, San Felipe Neri, Clérigo Presbítero, Florentino y Santa Teresa de Jesús. Sevilla. Simón Faxardo. 1622. Para el texto, seguimos la edición
de J. Simón Díaz en Relaciones de actos públicos celebrados en Madrid (1541-1650). Madrid:
Instituto de Estudios Madrileños, 1982: 164-8.
112
ANNALES ORATORII
Como se deja entrever en las relaciones escritas con motivo de la canonización,13 esta celebración suscitó gran número de composiciones poéticas que
quizá verán la luz en en un futuro próximo rescatadas de algún archivo. 14
A partir de esta fecha de 1622, prolifera la producción literaria en torno
al santo tomando como pretexto sucesos significativos de su vida, casi siempre de carácter sobrenatural y místico. En este sentido, uno de los topoi más
usados es el capítulo del “rompimiento” de las costillas (producido por la dilatación del amor a Dios en su corazón), tema frecuentado bajo muy diversas formas literarias, desde la retórica sagrada a formulaciones poéticas más
sintéticas y concisas, si bien unas y otras se sirven de muy variadas imágenes para describir el hecho. El fuego, símbolo de la acción divina es, lógicamente, común a ellas pero el desarrollo metafórico desplegado a raíz de ésta es variado como se verá en los ejemplos siguientes. En el primero de ellos,
las llamas que devoran el corazón de Felipe terminan provocando, en una
exagerada hipérbole, una fuerte tempestad
Fue el caso que siendo nuestro Sto. de 29 años, aún no ordenado de sacerdote, pocos días antes de Pentecostés, pidiendo en la oración con
grande instancia sus dones al Espíritu Santo, sintióse abrasarse en vivas llamas de amor de Dios. Y aquel Señor que dijo por Isaías Ego sum,
qui conturbo mare, et intumescunt fluctus eius15 conmovió el mar de
su pecho con una borrasca deshecha. Levantábanse espumas de suspiros y afectos que llegaban hasta el cielo: “¡Señor, no más! ¡No más,
Señor!”. Aumentábase la tempestad, faltábanle las fuerzas, dejóse ir a
pique, cayó en el suelo, mitigóse aquel ardor y halló rota la nave de su
pecho, rompiéndosele dos costillas, y quedando en forma de arco. ¡O
prodigio admirable!16
13
“Hubo muchos papeles escritos en alabanza del Santo [Felipe Neri], todos puestos en orden
sobre las colgaduras, a distancia de poderse leer” se dice, por ejemplo, en el texto atribuido a Manuel Ponce (Relacion de las fiestas, que se han hecho en esta Corte, a la Canonizacion de cinco
Santos: copiada de una carta que escriuio. En 28 de Iunio 622. Madrid. Viuda de Alonso Martin.
Reproducida en J. SIMÓN DÍAZ, 1982:169-178).
14
GÜELL -op.cit.- da noticia de las fiestas celebradas por la Congregación de San Felipe Neri
de Valencia en 1656, en agradecimiento por haber recibido del Papa Alejandro VII la confirmación apostólica de su fundación. Dichas fiestas tuvieron lugar los días 22-26 de julio.
15
El texto corresponde al capítulo 51, versículo 15, y dice literalmente así: Ego autem sum
Dominus Deus tuus qui conturbo mare et intumescunt fluctus eius Dominus exercituum nomen
meum.
16
Fol. 46r. “A San Felipe Neri”. Sermón anónimo incluido dentro de un volumen de “[ser-
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
113
El soneto, escrito en el más puro estilo conceptista,17 retoma un motivo
clásico que, al corresponderse con el episodio biográfico del santo, transgrede el ámbito estrictamente retórico:
Rasga Felipe en caridad deshecho,
Bóveda al corazón majestuosa,
Cual en ascuas de abril purpúrea rosa
Rompe de su botón el nudo estrecho.
Llega a lamer la llama el áureo techo
Con blanda adulación, tan poderosa,
Que abrasando la viga más hermosa
Terremotos de amor rebate al pecho.
Ya entibiar con su llanto el fuego quiere
Y bálsamo en el fuego recibido
Tanto le aumenta, más cuanto le hiere.
Arde el nido del sol y el sol vencido,
Aunque desmaya en la calor no muere,
Que al sol quien le da tumba le da nido.18
La biografía del santo constituyó también “materia” poética utilizada con
fortuna diversa. Uno de los ejemplos más tempranos lo constituyen los poemas insertos en la obra del vallisoletano Ioseph CANTERO XIMÉNEZ, primer
secretario de la congregación del Oratorio en la ciudad de Valladolid, Plausibles elogios, celebre octava, circvlo festivo, corona qve labraron, laureola
que entretexieron, y victimas que sacrificaron, sagradamente ambiciosos, en
aras de su piadoso çelo, los deuotos hijos del nunca bastantemente venerado S. Felipe Neri. En sv Congregacion, y nvevo Oratorio de la Nobilissima
Ciudad del Valle de Vlid. A los veynte de Octubre de 1658.19 Su valor radica, más que en las cualidades literarias (por otra parte cuestionadas -y no sin
razón- por el propio autor)20 en ser la primera obra, al margen de las biogramones varios]” que se encuentra en la Biblioteca Universitaria de Valencia bajo la signatura 667
(fols. 37v.-55r.). Cfr. M. GUTIÉRREZ DEL CAÑO, Catálogo de los manuscritos existentes en la Biblioteca Universitaria de Valencia.
17
Sin fechar, pero muy posiblemente de mediados del s.XVII.
18
En [Varias poesías]: “A San Felipe Neri quando se le quebró la costilla” (Biblioteca Universitaria de Valencia, sign. 310 (8), n. 18).
19
En Valladolid: por Bartolome Portoles, Impressor de la Real Vniuersidad. Año M.DC.LIX.
20
Se reproduce en el anexo de “Textos” un romance del que CANTERO XIMÉNEZ llega a decir:
114
ANNALES ORATORII
fías del santo, impresa en castellano en honor del santo, y en las noticias que
proporciona acerca de la implantación de la congregación en solar castellano. En el anexo de textos se inserta, como ejemplo, un largo romance.
Además de la literatura estrictamente devocional,21 hubo poemas “de circunstancias”; los acontecimientos que más se prestaban a ello eran las fiestas con motivo de aprobaciones, erecciones de iglesias... en definitiva, literatura efímera que favorecía, en algunos casos, la creación de composiciones
escritas generalmente con variada fortuna literaria. Ente ellos, las Seis décimas para las fiestas de la Congregación de San Felipe Neri de Valencia por
la Dedicación de su Iglesia Nueva y traslación del Santísimo Sacramento22,
del escritor valenciano José Vicente ORTÍ Y MAYOR.
Otros recreos y diversiones23
ORTÍ Y MAYOR es autor a su vez, de unos Coloquios al Gran Patriarca S.
Felipe Neri para la honesta recreacion que todos los años executan los Padres de la Congregacion de Valencia. De éstos no existe más noticia, por el
momento, que la de su título y el número de ellos compuesto: Hasta ahora
ya son veinte y tres los que ha compuesto sobre varios sucesos de la vida del
“Bien fue menester la buena compañía de la música para que se hiciese menos desabrido y largo
el camino del romance pasado; pero por ir historiando algo de los prodigios del santo, para que en
verso se lean más reducidos y sucintos, se tomó este rumbo” (74).
21
Se incluyen en los textos anexos unos gozos y un responsorio en latín y castellano. Los gozos están insertos en la Novena al glorioso Padre S. Felipe Neri, fundador de la Congregacion
del Oratorio y abogado de la perseverancia. Compuesta por D. Josef Orti, y Figuerola (Valencia:
Francisco Burguete, s.f.); el responsorio forma parte del Exercicio de devocion al glorioso patriarca S. Felipe Neri impreso en Mallorca en 1755 (Imprenta del Real Convento de Santo Domingo).
22
cf. GÜELL, fol. 422v. El texto se ofrece en anexo. El erudito P. ESCLAPÉS DE GUILLÒ escribió, al igual que GÜELL, la relación de estas fiestas: Rasgo heroico en que se manifiesta la solemne Translacion del SS. Sacramento de la Antigua Casa del Oratorio de San Felipe Neri (cf. XIMENO, Escritores del Reyno de Valencia, chronologicamente ordenados desde el año
M.CC.XXXVIII. de la Christiana Conquista de la misma Ciudad hasta el de M.DCC.XLVII. por
Vicente Ximeno Presbitero, Doctor en Sagrada Theologia, Beneficiado en la Santa Iglesia Metropolitana de Valencia su Patria, y Academico Valenciano. Al Ilustrissimo, y Reverendissimo Señor
Don Andres Mayoral, Arzobispo de dicha santa Iglesia, del Consejo de su Magestad, &c. Valencia: Joseph Estevan Dolz, 1747. T.II: 274-5).
23
No se incluyen en el presente artículo cinco villancicos “A San Felipe Neri”, fechados en el
último tercio del siglo XVII y localizados en la catedral de Valladolid, de los que ya dimos noticia -cfr. FERRER BALLESTER-SANZ HERMIDA, art. cit.: 131-.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
115
Santo.24 Curiosamente, en un volumen facticio, se conservan dos coloquios,
en lengua valenciana, dedicados al santo.25 El primero está fechado en
1721,26 año, según el autor, que
fue el primero en el que dispusieron los padres de la congregación una
diversión santa en el huerto del Señor Patriarca, día de Pascua del Espíritu Santo por la tarde.
¿Se correspondería esta diversión con la que describe una crónica de la
fundación de la congregación de Murcia?:
Sólo se añade que entre año, algunos días, especialmente de funciones
de toros, o máscaras, para separar de estos concursos a los hermanos y
otros que quieran, suele el prefecto sacar los hermanos a la huerta, y
entretenerlos con alguna representación devota o lección espiritual, y
vuelven cantando el rosario. O los lleva a algún huerto
retirado (...) donde tiene prevenida música, se hace alguna representación devota por los mismos hermanos del oratorio, se cantan algunos
diálogos jocodevotos que contengan desengaños; se reparten a los concurrentes algunos libritos devotos, o estampas, frutas y dulces, que
aprecia mucho la gente. Se vuelven cantando el rosario y la letanía, y
coplas devotas compuestas por los mismos hermanos. A esta honesta y
útil recreación concurren muchos caballeros, eclesiásticos y religiosos:
es de grande edificación. Se cuida mucho que no haya desórdenes, ni
cosa que desdiga de la modestia cristiana.27
24
cf. J. XIMENO, t.II: 316, nº 47.
ms 14097 de la Biblioteca Nacional de Madrid. El musicólogo A. BOMBI da noticia de este
manuscrito en su bien documentado artículo “ “...Imitar las cadencias italianas” El recitativo en
Valencia antes de la ópera” (en La ópera en España e Hispanoamérica (E.CASARES RODICIO-A.TORRENTE, eds.). Madrid: ICCMU, 2001, vol. I: 131-174). Con relación a este ejemplar y a los poetas ORTÍ Y MAYOR y ORTÍ Y MOLES, vid. también FERRER BALLESTER -SANZ HERMIDA 2003: 1356. Pueden verse ediciones de algunas obras de este último a cargo de Pasqual MAS I USÒ (ed.
Reichenberger, 1992 y 1994).
26
Coloqui de chanza sobre un suces que es refereix én la vida de Sent Felip Neri Lib. 6. cap.14.
pera él ani 1721. que fonch lo primer en que dispongueren los pares de la congregacio una diversió santa en lo hort de él Senyor Patriarca dia de Pasqua de Esperit Sant per la Vesprada. (346r350r.). El de 1722, que ocupa los folios 350v.-355v. es Pera la mateixa santa diversió (...). Coloqui de chanza sobre el suces que es refereix en la vida de sent Felip Neri al libre 2. capitol 8.
27
[Relacion breve de lo que pasó en la fundacion de la Congregacion del Oratorio de S. Phelipe Neri de Valencia y resumen de sus principales constituciones; Breve noticia de la fundacion
de la Congregacion de Murcia: 212-3]. Se trata del manuscrito 253 conservado en la Biblioteca
Valenciana.
25
116
ANNALES ORATORII
Los coloquios conforman un tipo de género que aúna música, literatura y
devoción, combinación característica de los variados ejercicios devocionales
filipenses. Precisamente esta mixtificación hace muy difícil identificar y reconocer los “géneros” a los que aluden las fuentes documentales: coloquios,
diálogos jocodevotos, representaciones devotas, dramas sacros, oratorios
con música, oratorios músicos... .
Este problema se complica con la aparición de las denominadas “siestas”.28 El contexto de éstas es la celebración del triduo festivo en honor de
San Felipe Neri (Valencia, años 1713 y 1715). Los autores de las letras, José Vicente ORTÍ Y MAYOR y el escritor José ORTÍ Y MOLES. El “problema” radica en la alusión a los músicos, Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE y Pedro RABASSA, ya que se producen puntos de coincidencia muy significativos entre
éstos y los aquéllos: su participación en las Academias de Valencia de 1704
y 1705; su trabajo conjunto en los oratorios interpretados a partir de 1715 y,
finalmente, su colaboración en las siestas de la congregación de San Felipe
Neri de 1715:29
Que virtud de las quatro [79v.-83r.] Año 1713. Música: ¿ ?
Ô tu, heroyca constancia [140r.-144v.] Año 1715. Música: P. RABASSA
Los quatro tiempos de él año [166v.-170r.] Año 1715. Música: P. RABASSA
Pues él Mundo os ofreze [170v.-174r.] Año 1715. Música: P. MARTÍNEZ DE
ORGAMBIDE
Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE (Madrid ¿?- Valencia 1727)30 es el autor
del Oratorio sacro al Nacimiento de Christo Señor Nuestro interpretado por
28
Siestas [de música]: se refiere, como señala el Diccionario de Autoridades (1739), al “punto de Música que en las Iglesias se canta por la tarde. Díjose así porque en las Catedrales se canta en la hora de siesta. Lat. Musica, vel cantus postmeridianus”. Las mencionadas siestas aparecen en el volumen facticio -ms 14097- de la Biblioteca Nacional bajo el epígrafe “Óperas para
cantar en algunas siestas. A San Felipe Neri”, y con la foliación que se indica entre corchetes.
29
Cabe señalar también otro dato curioso y muy significativo: la vertiente interpretativa de
ORTÍ Y MAYOR, como se manifiesta en su intervención como arpista en las academias de Valencia.
A. BOMBI, en el citado artículo alude, por otros motivos, a esta faceta de intérpretes y artistas de
los poetas que participaron en las academias valencianas de estos años.
30
Se dispone de escasísimas noticias acerca de Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE. En 1696 ingresó como tiple en la valenciana iglesia del Colegio de Corpus Christi donde, a partir de 1705,
desempeñó interinamente el cargo de maestro de capilla. Su obra es, prácticamente, desconocida:
apenas se conserva más de una docena de composiciones en el archivo musical del Colegio de
Corpus Christi y un oratorio en el archivo de la Congregación de San Felipe Neri de Palma de
Mallorca.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
117
primera vez en la iglesia de la congregación de San Felipe Neri en 1704.31
En este mismo año, y en el siguiente, aparece como compositor de la música de la Academia de Valencia.32 En 1715 de nuevo se le encomienda la composición musical Para una de las siestas de la tarde en la congregacion año
1715.
Pedro RABASSA (Barcelona, 1683-Sevilla, 1767)33 es autor, como quedó
dicho, de la música compuesta para las siestas que tuvieron lugar en la congregación de San Felipe Neri de Valencia el año de 1715 y, además, de cinco oratorios:
– La gloria de los santos, oratorio que se cantó en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciudad de Valencia, año
1715.
– La caída del hombre, y su reparacion. Oratorio sacro, que se cantò en la
Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciudad de Valencia, Año 1718.
– Oratorio Sacro a San Juan Bautista que se cantò en la Real Congregacion
de San Felipe Neri, en la Ciudad de Valencia, este año 1720.
– Diferencia de la Bvena, y Mala Mverte, representada en la del mendigo
31
cf. FERRER BALLESTER-SANZ HERMIDA, art. cit.: 134-5.
Los títulos de las dos academias valencianas celebradas en 1704 y 1705 son, respectivamente:
- Academia de Valencia en celebracion de la gloriosa entrada en los dominios de España y
feliz cvmplimiento de años del rey nuestro señor Don Felipe IV de Aragon, y V. de Castilla. Executada en la casa de la Dipvtacion del Reyno de Valencia. El dia 2. de Febrero 1704. Y dedicada a sv Magestad Catolica, por manos del Excelentissimo Señor Marqves de Villagarcia, Virrey,
y Capitan General del Reyno. En Valencia: Por Vicente Cabrera, en la Plaça de la Seo. Año 1704.
- Festivos obseqvios con qve acreditò sv fidelidad la Academia de Valencia, celebrando los
avgustos años y felize entrada de el Rey Nuestro Señor Don Felipe IV. de Aragon, y V. de Castilla. Execvtaronse en la Casa de la Dipvtacion de la misma ciudad, y Reyno, en 22. de Enero 1705
y se dedican a sv Magestad Catholica, por medio del Exmo. Señor Marques de Uillagarcia, Uirrey, y Capitan General de este Reyno. En Valencia: en la Imprenta de Vicente Cabrera, en la Plaça de la Seo. Año 1705.
33
Pedro RABASSA fue discípulo del músico catalán Francisco VALLS. En 1713 es nombrado
maestro de capilla de la catedral de Vic y el 24 de mayo de 1714 pasa a ocupar el mismo cargo
en la de Valencia, una de las mejores plazas para un músico español de aquella época. Allí escribió su tratado Guía para los principiantes que, junto con el Mapa Armónico de Francisco VALLS
constituye la fuente más importante para el conocimiento de la música barroca en España. En 1728
ocupa el magisterio de la catedral hispalense hasta su muerte. Su obra -muy prolífica- fue decisiva en el proceso de italianización de la música española de estos años.
32
118
ANNALES ORATORII
Lazaro, y en la de el Rico Avariento. Oratorio sacro que se cantò en la
Iglesia de la real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciudad de Valencia, año 1721.
– Oratorio Sacro a la Natividad del glorioso precursor San Juan Bautista.
Que se cantó en su dia, en la Real Congregacion de San Felipe Neri, de
la Ciudad de Valencia, este año 1722.
Todas estas coincidencias arrojan luces sobre el origen y la conformación
del oratorio musical en España o, cuando menos, abren múltiples interrogantes: ¿cómo llegaron a conocer, poetas y músicos, este género? ¿cómo se
realizaba su trabajo conjunto? ¿quién los encargaba y cómo se realizaba la
elección de unos y otros? ¿qué vinculación les une a la congregación del Oratorio?
Otra problemática, mencionada en parte más arriba, surge en torno a la
finalidad de las siestas, los oratorios y los coloquios. La sospecha en este
caso es que estos “géneros” (o subgéneros) han florecido como alternativa
de las diversiones mundanas. En todas las biografías del santo florentino se
plasma su preocupación por la educación de la juventud: el temor por su deterioro moral en determinadas épocas del año (sobre todo carnestolendas y
Pascua de Resurrección) propiciado por la proliferación de entretenimientos
y espectáculos que pudieran atentar contra la modestia cristiana (vid. texto
de la fundación de Murcia transcrito más arriba). Y propone recreaciones
destinadas a distraer el espíritu, aunque sin alejarlo de la consideración de
las cosas divinas. Una de estas “diversiones” espirituales, que gozaba de
gran éxito entre los “ejercitantes”, era la visita a las siete Iglesias de Roma,
descrita en la letra de la siesta que se reproduce en los “Textos”. La intervención de la música, al igual que en el resto de las prácticas oratorianas,
es fundamental: música, goce para los sentidos, y letra, palabra para el espíritu:
Ya todos por el camino,
con músicas consonancias,
dando a Dios himnos de gloria
y cánticos de alabanza.
[José Vicente ORTÍ Y MAYOR, Letra para una de las siestas...]
Como colofón a este apartado de “recreo y diversión” cabe citar la existencia de dos oratorios dedicados expresamente al santo:
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
119
– Triunfo de la castidad en S. Felipe Neri. Oratorio sacro, que se cantò en
la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio del mesmo Santo, de la
Ciudad de Valencia, año de 1721, con música de Pedro VIDAL.34
– Corona de las virtudes de S. Felipe Neri. Oratorio sacro que se ha de cantar en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio del mismo Santo de
la Ciudad de Valencia este presente año de 1756.35 Su compositor es Francisco MORENO, maestro de capilla de la catedral de Tortosa.
Rosa Sanz Hermida
María Teresa Ferrer Ballester
34
Pedro VIDAL I MÁS fue maestro de capilla de la parroquia de Algemesí (Valencia) y, en 1730,
ocupó el mismo cargo en el colegio de Corpus Christi. Además puso música a estos dos oratorios:
Oratorio sacro al Nacimiento temporal de Christo nuestro Señor, que se cantó en la Real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de Valencia, año de 1732; La obediencia mas humilde, practicada en la purificacion de Maria Santissima, y presentacion del Niño Jesus en el templo. Oratorio sacro, que se cantò en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciudad de Valencia, año 1734.
35
No hemos visto este oratorio. Lo cita el bibliógrafo valenciano Francisco MARTÍ GRAJALES
en su Ensayo de una bibliografía valenciana del siglo XVIII. Valencia: Diputación, 1987, t.I: 296.
120
ANNALES ORATORII
TEXTOS
[J. CANTERO XIMÉNEZ: Romance [Oigan por amor de un santo]. Valladolid: 1659]
Oigan por amor de un santo
la historia de aquel Felipe
que estando su alma ensu palma
así vive como vive.
Florencia, ciudad de Italia,
fue supatria muy felice,
y aunque hoy le trasladan tantos
tan grande es, que no se escribe.
Francisco y Lucrecia fueron
sus padres, de ilustre estirpe,
de cuya virtud esta rama
sacó flor, fruto y raíces.
Dióse a todas buenas letras,
y aunque era muy apacible,
sobre cualquiera suceso
se daba a Dios, y a la Virgen.
Cayó al ir a dar limosna
en una sima terrible
y un mancebo como un ángel
le sacó en el aire libre.
En Nápoles, un pariente
mercader rico y insigne,
le adoptaba, y él no quiso
vivir con pesar tan triste.
Y hacía bien en fiarle
sus talentos, pues más firmes
con cinco que le dió el cielo
lucratus est alia quinque.
Pasóse a Roma, dejando
del mundo engañosas Circes
donde vivió como un santo
mas nunca fue un santo simple.
De noche iba a las iglesias
a entonar mejor que el cisne
cantando todas las horas
sin tocarle a él a maitines.
Tan fácil era en quedarse
en gran quietud, que se dice
que empezando la misa
contemplaba hasta los quiries.
A dos hermanos hebreos
en nuestra fe nada firmes,
les convirtió a ser cristianos
con dos milagros gentiles.
Una taura de amor
le embidó con juegos viles
mas el santo en puridad
pasó, y no quiso el embite.
Quedó la ninfa picada
viendo lo mal que la dice
y se levantó perdiendo,
pero nunca halló desquite.
Porque como en lugar limpio
era nuestro santo un lince,
la dejó sin hacer baza,
con un capote, y dos piques.
Era el padre de los pobres
con caridad indecible
y con ser muy noble dicen
que fue el hombre más humilde.
Por el olor sabía quién
andaba en torpes deslices,
y les decía en conciencia
sus pensamientos sutiles.
El ventor fue de la Iglesia,
privilegio el más sublime
con que cazó tantas almas
dándole el humo a narices.
A enfermos, ya deshauciados
solía el santo decirles:
Si es que me queréis de veras
nadie por mí ha de morirse.
Pero son tantas, y tales
sus gracias, que es imposible
si imprimirse todas pueden
todas pueden imprimirse.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
121
[José Vicente ORTÍ Y MAYOR: Seis décimas para las fiestas de la congregación de San
Felipe Neri de Valencia por la dedicación de su Iglesia Nueva y traslación del Santísimo Sacramento. Valencia: 1736]
1ª
En tanta solemnidad
debe concurrir, lucida
en fuerza de agradecida,
la insigne Universidad.
Pues sería impropiedad
y aún villana grosería
el mirar que en este día
falte con ingratitud
a una Casa de virtud
la de la Sabiduría.
2ª
Hoy, con misteriosa unión,
de este festín en lo atento
a Felipe y Sacramento
enlaza la devoción.
Pues si la interpretación
de Felipe es hacha ardiente,
ya nos enseña, elocuente,
que, a tan divino manjar,
todos debemos llegar
con el corazón ferviente.
3ª
Si con tal solicitud
cuida la congregación
de la fiel educación
de la incauta juventud,
fuera torpe ingratitud
que el más discreto instituto
se negase a este tributo,
y que, neciamente ciego,
siendo tan copioso el riego
no rindiese fértil fruto.
4ª
Si en nuestra universidad,
como a Valencia es notorio,
los padres del Oratorio
son de tanta utilidad,
la Escuela, con propiedad
concurre a tan gran función:
pues si es la renovación
de su magnífico Templo,
para una Escuela contemplo
que es propia la conclusión.
5ª
Para mejor celebrar
desta Iglesia el placer,
hoy San Vicente Ferrer
deja verse en este altar.
Justo es llegue a celebrar
tan festiva Translación
si une la veneración
en el obsequio que anhela:
uno, que fundó esta Escuela,
y otro, la Congregación.
6ª
Pues que san Pedro Pajona
en esta Escuela aprendió
la ciencia que le enseñó
a buscar lo celestial,
hoy, con afecto especial,
concurre con sus loores,
pues de entrambos los fervores
dan al aplauso motivos:
uno, en redimir cautivos;
otro, en librar pecadores.
122
ANNALES ORATORII
José ORTÍ Y FIGUEROLA, Gozos al glorioso Felipe Neri. Valencia: s.XVIII ]
Pues el Espíritu Santo
os dilató el corazón:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Flor, en Florencia nacísteis
y de belleza inmortal,
pues la gracia bautismal
en ningún tiempo perdísteis.
Con este admirable don
lució vuestra vida tanto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Patria, nobleza, y herencia
olvidando, a Roma os vais,
y con la virtud juntáis
humana y divina ciencia.
Las noches en oración
pasáis gustoso entre tanto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Vuestra vida a la salud
de las almas consagráis,
y el oratorio fundáis,
escuela de la virtud;
su ejemplo, y exhortación
es un celestial encanto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Por los aires elevado
glorias gozáis de María,
dulce Madre, Norte, y Guía
de tan fino enamorado.
Siempre de su protección
os acogísteis al manto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Rotas ya las dos costillas,
y el corazón dilatado,
al mismo Cielo ha admirado
tanto incendio, y maravillas.
Esta sacra división
fue del infierno el quebranto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
En el olor discerníais
el casto o impuro estado,
y haciendo guerra al pecado
las piedras enternecíais.
¡A cuántos vuestro sermón
libró del eterno llanto!:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Aún estando en esta vida
los Papas os veneraron,
y con capelos honraron
vida tan esclarecida.
No admitís la promoción,
y así, os tiene el cielo en tanto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
Si vuestra gran caridad
allá en la gloria ha crecido
y a nadie pone en olvido
en qualquier necesidad,
oíd nuestra petición
con este devoto canto:
extended la intercesión
a todos, Felipe Santo.
TORNADA.
Pues el Espíritu Santo
os dilató el corazón,
alcanzadnos contrición
perfecta, Felipe Santo.
V. Justum deduxit Dominus
per vias rectas.
R. Et ostendit illi Regnum Dei.
OREMUS
Deus, qui Beatum Philipum Confessorem
tuum Sanctorum tuorum gloria sublimasti: concede propitius, ut cujus commemoratione lætamur, ejus virtutum proficiamus exemplo. Per Christum, &c.
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
[RESPONSORIO para implorar el auxilio de San Felipe Neri. Mallorca: 1755]
Responsorium
Ad implorandum auxilium
Sancti Philippi Neri
Si prodigia quaeris, habes,
Dum in corde non sit labes:
Ad Philippum mens devota
Fundat preces, & pia vota.
Si buscas prodigios, luego
los tendrás, si estando en gracia
tu devoción, y eficacia
dirige á Felipe el ruego.
Ipse corporis languores,
Morbos pellit, & dolores
Imperatque mari, & ventis,
Tutor est Romanæ gentis.
El nuestras dolencias sana;
del mar y viento el rigor
mitiga, y es protector
de la religión cristiana.
Curas animi molestas
Sedat: æris tempestas,
Ignis, grando si bacchantur,
Ejus ope dissipantur.
Cuidados y adversidades
de los ánimos serena;
el fuego aplaca y enfrena
granizos, y tempestades.
Ipse corporis &c.
Terremotus sunt represi;
Liberantur & obsessi;
Quosque premit sæva inopia
Victus, eris juvat copia.
Ipse corporis &c.
Eo precante, vita suncti
Vitæ redeunt conjuncti:
Salutarem mostrat viam,
Quæ perducit ad Mariam.
Ipse corporis &c.
O Philippe, spes salutis,
Omnis speculum virtutis,
Ut fruamur intercede
Tandem cœlica mercede.
Ipse corporis &c.
Trino, ac uni Deo sit gloria:
Cum recolitur memoria,
Sancte Pater, mirabilium,
Quæ fecisti, fer auxilium. Amen
El nuestras dolencias &c.
Reprime los terremotos;
los energúmenos cura,
y en la pobreza procura
socorrer a sus devotos.
El nuestras dolencias &c.
Su intercesión cada día
restituye vida al muerto,
y es el camino más cierto
para el favor de María.
El nuestras dolencias &c.
¡Oh, gran Felipe, consuelo
y esperanza de salud!
¡Oh, espejo de la virtud!
Solicítanos el Cielo.
El nuestras dolencias &c.
A Dios trino y uno, en tanto,
sea el honor, y por memoria
de tus prodigios, y gloria
danos tu auxilio, gran santo. Amen
123
124
ANNALES ORATORII
[ [José Vicente ORTÍ Y MAYOR] Letra para una de las siestas de la tarde en la congregación. Puso música D. Pedro Martínez de Orgambide, capellán en el Colegio del Señor Patriarca desta Ciudad de Valencia. Valencia: 1715]
A 5.
Personas
Perfección (P): Tiple 1º; Celo (C): Tenor
Diversión (D): Tiple 2º; Engaño (E): Bajo
San Felipe (F): Alto
D. E. Pues el mundo os ofrece
bullicios, regalos, placer, y contento,
¡venid, mortales, corred a mi acento!
F.
D. E. ¿Quién eres? ¿quién eres, hombre
que con tan vana soberbia
juzgas rendir voluntades
convidando a las tristezas?
F.
P. C. Cuanto el mundo os ofrece
es falso, mentido, inconstante, y sangriento,
y así, ¡huid, mortales! ¡Huid de su acento!
Los 4. Venid a mis voces, venid a mis ecos,
y aunque nos detenemos en llamaros,
no queráis en seguirnos deteneros.
F.
¡Quién pudiera, Dios mío,
con vuestro santo celo
infundirle en las almas
para que sólo obrasen lo perfecto!
D. E. ¡Venid! ¡venid! Pues ya os previene ansioso
alegre el mundo todo lo gustoso,
para que mientras dure vuestra vida
lograrla procuréis bien divertida.
F.
¡Oh, quién pudiera de tan necio engaño
introducir cabal el desengaño!
P. C. ¡Huid, huid de aquellas tristes voces
los acentos, crueles, y feroces!
Pues ¿qué importa el placer por un instante
si a él se ha de seguir pena incesante?
F.
¿Qué encontrados afectos
de opuestas persuasiones
intentan, atractivos
cada cual, cautivar para sí al hombre?
¿Quién sois los dos que procuráis su daño?
D.
Yo soy la Diversión.
E.
Y yo, el Engaño.
F.
¿Y quién los dos que le guiáis al cielo?
P.
Yo soy la Perfección.
C.
Yo, el santo Celo.
Pues si mi nombre feliz
hacha ardiente se interpreta,
procure con mi eficacia
fervorizar su flaqueza.
Aunque por mí no espero tanta gloria,
segura me prometo la vitoria,
pues Dios asiste siempre generoso
a quien su causa solicita ansioso.
Yo soy Felipe Neri,
a quien el cielo dio,
para tan santa empresa,
divina ilustración.
P. C. Para vencer del mundo
el obstinado error.
C.
En mí tendrás al celo.
P.
Y en mí a la Perfección.
F.
Si auxiliares a entrambos
os logra mi fervor,
no temo del abismo
cruel la oposición.
Los 5. Y pues no hay vencimiento,
sin preceder glorioso el ardimiento,
suene el clarín, y la batalla avise;
el parche gima, y nuestra lid promulgue;
cúbrase todo el aire de temores;
la tierra vista fúnebres capuces,
y, sirviendo de armas las razones,
la razón sea quien el triunfo anuncie.
F.
Señor, en vuestro nombre soberano
entro en la lid ufano,
pues si busco evitaros tanta ofensa,
por vuestra mano corre mi defensa.
P. C. Que nos querréis defender
mucho más que persuadir,
lo debemos suponer;
pues fuera agravio creer
que habíais de permitir
lograse el error vencer.
Aria
R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ...
E.
No tanto blasonéis de confiados,
que aún a mi industria os he de ver postrados.
D.
Cuando tú no bastases a atraerlos,
yo con la diversión sobro a vencerlos:
y más en este tiempo
de las Carnestolendas,
en que mis regocijos
tienen tan general la preeminencia.
F.
¡Oh tiempo lamentable!
¡Oh, cómo de un engaño tan notable
quisieran mis deseos
las cadenas romper a tantos reos,
que se labran, en bárbaras prisiones,
por su mano los propios eslabones!
E.
En vano, Felipe,
en vano pretendes
sea a la persuasión de los mortales,
más eficaz la angustia que el deleite.
D.
¿Quién, di, tan necio se ve
que cuando en su arbitrio esté,
busque la severidad?
¿Como hallará tu entereza
quien te siga en la aspereza,
perdiendo su libertad?
Aria
P.C.
¿Quién conozca el error de vuestro engaño,
y que aspiráis a ocasionar su daño?
F.
Quien sepa que es el mundo
un letargo profundo,
una fingida luz, una apariencia,
y que se ha de seguir una sentencia
del todo irrevocable,
feliz eternamente, o lamentable.
D. E. Ya para esas razones
tan poderosas,
su reflexión quitamos
de la memoria.
E.
D.
Mira a Roma, anegada
en regocijos,
y que es común asunto
sólo el bullicio.
Mira sus moradores
cómo se alegran
con máscaras, saraos,
bailes, y fiestas.
125
E. D. Pues porque aquellas luces
brillar no logren,
su memoria borramos
con diversiones.
F.
¡No podréis, no, cautelosas Sirenas,
no podréis, no, con encanto falaz
de la influencia feliz de la gracia
el logro impedir, ni el trofeo estorbar!
D. E. ¡No podrás, no; no podrás, oh, Felipe,
por más que se anime tu industria especial
de esta común alegría del pueblo
ni aún el desorden menor remediar!
¡No podrás!
P. C. ¡Si podrás!
D. E. ¡No podrás!
F.
¡Sí podré reducir su pertinacia
pues que me auxilia la divina gracia!
P.C.
Y nada hay, por más inaccesible
que su poder no lo haga muy posible.
D. E. Pues otra vez, Felipe, mi porfia
a la propuesta lid te desafia.
F.
Otra vez se presentan mis fervores
a fin de avasallar tantos errores.
Los 5. Pues prosiga la lucha, y el combate,
y no el triunfo a mis glorias se dilate:
que, para merecerle,
me sobra la razón del emprenderle.
E.
Tus alientos, Felipe,
ríndanse a mis industrias;
que de un sutil engaño
nadie libra, por más que lo presuma.
F.
Poco triunfo es librarme.
Mayor será, sin duda,
sacar a feliz puerto
tantos que en mar tan mísero fluctúan.
D.
No podrán conseguirlo tus alientos.
F.
Pues para ver si puedo, ¡estadme atentos
moradores de Roma,
que neciamente errados
para los precipicios
aceleráis los pasos!
126
ANNALES ORATORII
E.
Tanto el número es que le acompaña
en tan no vista hazaña,
(¡ay, dolor, y qué rabias me ocasionas!)
que a pasar llega de dos mil personas.
Quien os conduce loco
es un fingido engaño,
que a efecto de perderos
procuró deslumbraros.
F.
Ya todos por el camino,
con músicas consonancias,
dando a Dios himnos de gloria
y cánticos de alabanza.
E.
¡Todos oyen con gusto quanto dice!
P. C. ¡Qué contento!
D.
¡Ay, triste!
E.
¡Ay, infelice!
F.
Mirad que ha de seguirse
día, y no sabéis cuándo,
en que Dios, Juez severo,
de todo os hará cargo.
P. C. ¡Qué prodigio!
D.
Su voz les deja à todos convencidos.
F.
¡Qué ventura!
E.
¡Qué angustias!
D.
D.
¡Qué gemidos!
F.
Si en el día tremendo
queréis ser bien librados,
del mundo y sus placeres
no creáis los encantos.
Ya, Felipe, vencida me confieso.
Pero supo ser tal tu maravilla,
que no sólo me rindo ya, postrada,
si que también me rindo convencida.
E.
La cautelosa industria del engaño
a tu fervor sujeta ya se mira.
Que, al fin, mi astucia es siempre malograda,
al punto que a ser llega conocida.
F.
Gracias te doy, Señor,
de que quisísteis dar
a mi impulso, fervor,
a mis voces, lugar,
y, a mi empresa, favor.
E.
¡Todo el concurso para a sus razones!
D.
¡Qué ansias!
E.
¡Qué confusiones!
F.
E.
A todos tras sí llegan sus fervores.
D.
¡Qué iras!
E.
¡Qué furores!
D. E. Tan sin aliento quedan
ya mis pesares,
que aún alientos les faltan
para quejarse.
P. C. ¡Oh, gran Dios, y qué triunfo
Felipe alcanza!
¿Pero, qué habrá dificil
para la gracia?
F.
Del mundo los encantos despreciemos,
y en sus casas a Dios, finos, busquemos.
D.
Caudillo de una tropa numerosa,
con piedad religiosa,
apartando la gente del bullicio
dispone un nuevo modo de ejercicio:
pues con veneraciones
hace a las siete Iglesias estaciones.
D. E. ¡Qué pasmo!
F.
¡Qué ventura!
D. E. ¡Qué asombro!
Aria
P. C. Gracias os damos, Dios omnipotente,
de que así se redujo tanta gente,
que, alucinada y loca en estos días,
intentaba seguir sus fantasías.
D. E. Gracias a ti, Felipe, te rendimos,
pues por tu medio ya nos reducimos.
F.
Al cielo; al cielo es justo que las demos,
pues nosotros sin él nada podemos.
Todos. ¡Oh piedad, la de Dios, siempre infinita!
que cuando el hombre más se precipita,
con mayor eficacia
Dios procura atraerle con su gracia.
127
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
L’ALTRA VOCE DEL PELLEGRINO ERRANTE
*
Nel panorama della letteratura italiana la figura di Giovenale Ancina è ricordata principalmente in virtù della vasta silloge di laudi musicali a tre voci da lui raccolte e, in parte, composte: il Tempio armonico della beatissima
Vergine, stampato a Roma nel 1599 per i tipi di Niccolò Muzi.1 Ma il singolare personaggio vanta una produzione assai più cospicua del pur poderoso
laudario, e si muove con una certa disinvoltura attraverso generi piuttosto diversi: dai poemetti umanistici della giovinezza ai sonetti d’occasione, dai sermoni alle elegie latine, dagli epigrammi ai trattati teologici.2 I testi di cui si
vuole dare notizia sono due odi d’argomento autobiografico, particolarmente interessanti perché attinenti il medesimo episodio cui si ricollega un’altra
opera attribuita ad Ancina, più conosciuta e pittoresca, che viaggia sotto il titolo di Il pellegrino errante.
*
Nel licenziare queste pagine ringrazio Giuseppe Frasso che, con la consueta pazienza, ha seguito passo dopo passo lo svolgersi dell’indagine, p. Edoardo Cerrato, che mi ha dato l’occasione
di darle una forma pubblica, p. Alberto Venturoli, che mi ha permesso di consultare il materiale
dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, la Biblioteca Vallicelliana, Giliola Barbero per la consulenza paleografica, Alessandro Ledda e Cristina Terzaghi per l’aiuto tempestivo, ed il dipartimento di
Filologia moderna dell’Università degli studi di Milano, che ha sostenuto questo progetto.
1
Su Giovenale Ancina si vedano P. DAMILANO, Ancina, Giovenale, in Dizionario Biografico
degli Italiani, III, Roma 1961, pp. 40 – 43, ID., Giovenale Ancina musicista filippino, Olschki, Firenze 1956, e le numerose notizie ricavabili da A. CISTELLINI, S. Filippo Neri. L’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia 1989; sul Tempio armonico, oltre alla monografia di Damilano, si vedano G. ROSTIROLLA, La musica a Roma al tempo del cardinal Baronio.
L’oratorio e la produzione laudistica in ambiente romano, in ID., O. MISCHIATI, D. ZARDIN, La lauda spirituale tra Cinque e Seicento. Poesie e canti devozionali nell’Italia della Controriforma, a
c. di G. Filippi, L. Luciani, M. Toscano, D. Zardin, E. Zomparelli, IBIMUS, Roma 2001 (Studi,
cataloghi e sussidi dell’Istituto di bibliografia musicale, 6), pp. 56-74 e 95-96, M. L. DOGLIO, Il
Tempio armonico di Giovenale Ancina: dal Petrarca “travestito” alla lauda spirituale alla “canzonetta ariosa”, in Literatur ohne Grenzen. Festschrift für Erika Kanduth, Frankfurt am MainBerlin-Bern-New York-Paris-Wien 1993, pp. 99-112, D. TRUCCO, I “travestimenti” musicali del
Beato Giovenale Ancina, «Cuneo. Provincia granda», 50 (2001), 2, pp. 32-35.
2
Cfr. M. L. DOGLIO, Su due sonetti di Giovenale Ancina a Carlo Emanuele di Savoia, in Mito e letteratura. Studi offerti a Aulo Greco, Roma 1993 pp. 283-290.
128
ANNALES ORATORII
Per far lume sui contenuti di questi testi, varrà la pena di ricordare sommariamente le vicende biografiche del personaggio.
Giovenale Ancina nasce a Fossano, in Piemonte, il 19 ottobre 1545; dopo
un itinerario di studi che si snoda attraverso Montpellier, Padova e Mondovì, consegue la laurea presso l’università di Torino, dove per un paio di anni
è lettore di medicina.3 Nel 1574, al seguito degli ambasciatori del duca Emanuele Filiberto, si reca a Roma, dove rimane vivamente impressionato dalla
figura di Filippo Neri, di cui presto diventa fervido seguace, e dove riceve
l’ordinazione sacerdotale. Nonostante il carattere forse eccessivamente ingenuo ed entusiasta, Ancina è molto stimato dal Neri, che nel 1586 lo invia a
Napoli, dove stava allora sorgendo la nuova casa Filippina. Al suo rientro a
Roma, dieci anni dopo, iniziano a circolare voci che lo vogliono destinato a
divenire vescovo in una diocesi piemontese. Ancina, come vedremo meglio
più avanti, riuscirà a sviare le offerte fino al 1602, anno in cui è preconizzato vescovo di Saluzzo. Nella diocesi, infestata dall’eresia, esercita un magistero significativo, ancorché breve: il 31 agosto del 1604 muore, in circostanze mai del tutto chiarite (si sospetta di un avvelenamento).4
I testi in esame sono legati alle rocambolesche vicende che si snodarono
attorno alla prima proposta di vescovato rivolta ad Ancina. Questi, in ottemperanza allo spirito di semplicità tipico dell’Oratorio, non gradiva l’eventualità di una simile promozione, e più volte lasciò cadere nel nulla le voci che
ventilavano questa possibilità. Alla fine, però, la minaccia sembrò concretizzarsi in una proposta precisa, e il 28 novembre del 1597 arrivò alla Vallicella un messo con la notizia della nomina. Fortunatamente Giovenale era uscito per una visita alle sette chiese, e il messaggio fu recapitato ai confratelli,
che lo avvertirono subito del pericolo imminente. Non gli restavano che due
alternative: o ricevere la nomina ed essere costretto a obbedire, o fuggire ed
eludere il problema. Il bizzarro sacerdote, peraltro sostenuto dalla Congregazione, scelse la seconda possibilità, e il giorno stesso, procuratosi un cavallo, iniziò una fuga che lo vide errante per l’Umbria e per le Marche fino
a che, quando la minaccia sembrò accantonata dalla curia romana, la Con-
3
M. CHIAUDANO, I lettori dell’Università di Torino ai tempi di Emanuele Filiberto (1566 –
1580), in Studi pubblicati dalla R. Università di Torino nel IV centenario dalla nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 58-59.
4
Esprime alcuni dubbi A. LOVERA DI CASTIGLIONE, Il misterioso avvelenatore del b. Giovenale Ancina. Chi fu?, «Bollettino della società subalpina di storia patria della provincia di Cuneo»,
6 (1934), II, pp. 7 – 30.
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
129
gregazione lo richiamò a Roma. Questi mesi di peregrinazione furono piuttosto significativi nell’itinerario poetico di Ancina, che da queste vicende
trasse ispirazione per comporre alcune delle laudi del Tempio Armonico e i
testi cui si è accennato.5 Il più famoso è, come si è detto, Il pellegrino errante;6 si tratta di una ballata di ottonari con ripresa xx e strofe aaax, per un
totale di cento strofe; come già l’impianto metrico suggerisce, in essa l’autore imita ironicamente lo stile e la lingua di Jacopone da Todi.7 Tale dipendenza, esplicitamente dichiarata ai vv. 91-94,
Jacovon bizoc de Toda,
ca me fa cantar chist’oda,8
è esplicita fin dal ritornello, che parafrasa due noti incipit iacoponici:9
Que farai, ser Cigalone?
Sei venuto al paragone.
Il testo di Ancina mette in scena il conflitto interiore seguito alla nomina
e i rimbrotti che l’anima rivolge a se stessa per la propria ambizione, e ricorda diversi exempla di santi sottrattisi alla carriera ecclesiastica; l’espressionismo linguistico è caricaturale, bizzarro risultato dell’imitazione del-
5
Ad esempio le laudi dedicate alla Madonna di Loreto, Vergin, ben posso dire, Qual ape il favo da gli amati fiori, E pur partir conviemmi, alma Regina, o quelle composte nel soggiorno a San
Severino nelle Marche, sua tappa nella fuga, come Vergin, che luna e sol ed ogni stella, o la lauda per Santa Maria di Forano, Chiaro viso leggiadro, alm’e gentile, o infine la lauda S’io parto,
o Madre, in questa mia partita, che racconta proprio dell’incipiente fuga, e fu scritta il giorno dopo la partenza, quando si trovava al monastero dei Certosini alle Terme. Un’altra lauda relativa a
questi luoghi compare in una seconda antologia nel cui allestimento Ancina ebbe un ruolo decisivo: si tratta di Or eccoti, Laureto, anima mia, pubblicata nelle Nuove laudi ariose della b.ma Vergine, scelte da […] Giovanni Arascione, Roma, Nicolò Muzi, 1600, su cui si veda G. ROSTIROLLA, La musica a Roma…, pp. 74-77 e 97-100.
6
Pubblicato da N. GIGLI (i.e. A. CISTELLINI), Padre Giovenale Ancina, “Pellegrino errante”,
«Memorie oratoriane», 4 (1983), pp. 59-63, da cui sono tratte le citazioni del presente contributo.
A tale studio si rimanda anche per notizie più dettagliate intorno alla fuga di Ancina.
7
Sulla fortuna di Jacopone nella spiritualità oratoriana si veda G. JORI, «Sentenze maravigliose e dolci affetti». Iacopone tra Cinque e Seicento, «Lettere italiane», 1998 (50), II, pp. 506-517.
8
“Jacopone, terziario francescano [bizoc] di Todi, che mi fa cantare quest’ode”.
9
Que farai, fra’ Iacovone? / Èi venuto al paragone e Que farai, Pier da Morrone? / Èi venuto al paragone (IACOPONE DA TODI, Laude, a c. di F. Mancini, Roma-Bari 1974, pp. 146 e
218).
130
ANNALES ORATORII
l’umbro da parte di un piemontese vissuto tra Roma e Napoli.10 Un simile
prodotto non sembra fare attrito con lo stile dell’Ancina, soprattutto se confrontato con alcuni passi dell’epistolario, spesso tendente all’accumulo di immagini e all’impiego di un lessico icastico, sempre illuminato da una certa
ironia;11 tuttavia diversi elementi fanno sospettare che il poemetto così come
lo leggiamo sia esito di un rimaneggiamento. Che il testo non sia di prima
mano lo mostrano innanzi tutto alcune grossolane imprecisioni metriche: Ancina, che fin dalla giovinezza aveva mostrato una perfetta padronanza tanto
della prosodia latina quanto del verso italiano, difficilmente si sarebbe lasciato scappare ipermetrie grossolane come quelle dei vv. 248, lecentiosa co’
guidarai, o 339, Chi non è caballo no’ ce trasga, che sembrano semplicemente spiegabili come accidenti di trascrizione.12 Il testimone che tramanda
Il pellegrino errante, infatti, non è un autografo, ma un fascicolo a stampa
contenuto in un faldone miscellaneo conservato presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma (O.26, ff. 597-600);13 questo è stato catalogato tra le edi10
A titolo di puro esempio: vv. 13, mira quegno es l’embarazzo, 53, nott’e dì se ninse o chioppe (‘nevicò e piovve’), 80, saudo e fermo chiù che polo, 167-170, Frat’Egidio, bo’ bo’ boe, / molto dico e poco foe: / ei fu santo, e tu sei boe / che trai cauzi a l’Aguglione, 189, nudi, crudi e scanzetielli, 207, Pastor Christo ei de sa greglia. Particolarmente rilevanti le forme ‘iperiacoponiche’
in –one ai vv. 210, ma auto sal, forbo e ladrone, 314, navegando en felucone, 322, per salvarse a
piscopone, indotte da esigenze di rima e probabilmente per l’effetto di grottesco accrescitivo che
comportano.
11
Particolarmente rappresentativo il brano in cui ragguaglia l’Oratorio romano della Vallicella circa i propri sodali napoletani, prendendo come spunto le diverse fogge delle loro barbe: «Il p.
Camillo nostro barba dismessa et quasi ad cutim rasa, il che da principio lo rese alquanto ridicolo et a nostri novitij movea riso et maraviglia insieme: deinceps vero nihil, quia ab assuetis non
fit passio. Campanilis cornix… Il padre Talpa quasi raso come me. Il p. Borla instar zoccolantis
rarissimo. Ms. Francesco [Bozzi] di barba simillimo al p. Thomaso suo fratello et hormai anco sì
longa. Il p. Francesco Maria a mezzo a mezzo, come si dice, a scopetta. Ego tantum non. Il p. Mosina non ha barba, huic p. Soto pene in speciem similis. Thomaso Galletti getta un barbone assai
folto e biondo, Aligero pene assimilis. Alii aliter. Barbarum mira varietas! Vos autem quid histic?»
(Frammento non datato di scrittura di Ancina, Archivio della Congregazione dell’Oratorio di Roma, A.I.17, citato da A. CISTELLINI, S. Filippo Neri…, p. 515).
12
L’ipotesi che tali versi imitino l’anisosillabismo di alcune laudi iacoponiche sembra da escludersi, posto che su oltre quattrocento versi le ipermetrie non raggiungono le cinque occorrenze:
non dandosi la possibilità di un ‘sistema’, è quindi evidente il loro carattere accidentale.
Opuscula propria manu scripta vel subscripta a Venerabili Dei Servo Juvenale Ancina episc.
Salutiarum. Cart. misc. XVI-XVII, parzialmente a stampa, 609 ff. (numerazione moderna con molte numerazioni antiche irregolari), in sessanta fascicoli in cui si avvicendano diverse mani, tra cui
quella di Ancina. P. O. KRISTELLER, Iter italicum, II, London-Leiden 1967, p. 130; Ibid., IV, 1992,
pp. 184-185.
13
Le edizioni italiane del XVI secolo. Censimento nazionale, I, Roma 1990, p. 130.
CISTELLINI, San Filippo Neri…, p. 1640. Invece il secondo titolo apposto al poemetto sembra
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
131
zioni italiane del XVI secolo, non riportando indicazioni di luogo o data di
stampa, ma recando nel titolo la data del 1598.14 In realtà che tale pubblicazione sia da ascriversi al secolo successivo è evidente considerando l’intestazione Cantico… composto dal servo di Dio Giovenale Ancina: il titolo di
“servo di Dio” non è pensabile prima dell’apertura del processo di canonizzazione, nel 1624.15 Per scoprire la data di tale testimone è sufficiente un raffronto sommario di esso con la Vita di Giovenale Ancina da Fossano di Carlo Lombardo (Napoli 1656), che reca in appendice il poemetto. L’opuscolo
inserito nella miscellanea Vallicelliana O.26 è un in quarto di quattro carte,
segnato Hh, e sia il formato che la segnatura, la grafica della pagina e la filigrana corrispondono precisamente al fascicolo finale dell’opera del Lombardo.16 Presso la Biblioteca Vallicelliana, infatti, è conservato l’esemplare
di questa biografia da cui è stato asportato il fascicolo contenente il Cantico,
e in cui di conseguenza al fascicolo Gg segue immediatamente quello Ii, contenente l’indice.17 Dunque le nostre conoscenze di tale testo si rifanno esclusivamente ad un esemplare di mezzo secolo posteriore alla morte del presunto autore (che di altre opere ha invece lasciato autografi o edizioni a stamautentico (Nuovo cantico di Giovenale Ancina peccatore): nessuno, se non l’interessato, avrebbe
dato al venerato padre l’epiteto di ‘peccatore’.
Un presunto originale, che sarebbe contenuto nel manoscritto Vallicelliana O.27 (CISTELLINI,
San Filippo Neri…, p. 1226; DAMILANO, Giovenale Ancina musicista filippino, pp. 19-20), non è
rintracciabile. La Vita del Lombardo non è che l’edizione di una biografia composta da Bernardino Scaraggi, che morì prima di poter dare alle stampe il manoscritto (ora conservato presso l’Archivio dei Girolamini di Napoli), approvato dal fratello di Ancina, Giovan Matteo; le notizie ivi
pubblicate sono quindi attestate direttamente, ma spesso sull’operato del protagonista si addensa
una patina oleografica su cui bisogna tarare il credito accordabile. G. ROSTIROLLA, La musica a
Roma…, p. 58; ID., Aspetti di vita musicale religiosa nella chiesa e negli oratori dei Padri Filippini e Gesuiti di Napoli a cavaliere tra Cinque e Seicento, con particolare riguardo alla tradizione laudistica, in ID., O. MISCHIATI, D. ZARDIN, La lauda spirituale…, p. 218.
14
Si tratta dell’esemplare segnato F III 219.
15
Un’altra profezia poetica dell’Ancina sarebbe quella menzionata da G. Mazucchelli (Gli
scrittori d’Italia, 1, II, 1753, p. 182), che ricorda come nei versi che celebrano la morte di Pio V
Ancina avesse predetto la successiva nomina al soglio pontificio di Gregorio XIII; in questo caso,
però, più che di una profezia potrebbe essersi semplicemente trattato di una previsione politicamente prevedibile, soprattutto per chi, come Ancina, attraverso la stretta amicizia col Baronio poteva avere notizie fresche e attendibili su quanto accadeva negli ambienti vaticani.
16
Ad esempio, nel carteggio tra sant’Agostino ed Evodio, si narra di un giovane comparso a
quest’ultimo annunciando l’imminente morte del padre, che accade puntualmente dopo sette giorni (Epist. CLVIII, 10).
17
DAMILANO, Giovenale Ancina…, p. 22; N. GIGLI (i. e. A. CISTELLINI), Francesco di Sales e
Giovenale Ancina, «Memorie oratoriane», 14 (1984), p. 82. Le battute dei due alludono, ovviamente, a Matth. 5, 13-14: Vos estis sal terrae […] vos estis lux mundi.
132
ANNALES ORATORII
pa pubblicate lui vivo), ed inserito nel contesto di una compilazione che talvolta si mostra poco attendibile. Su questa situazione testuale così carente si
innestano alcuni motivi di perplessità. Le ultime quartine del poemetto sono
rivolte a Clemente VIII, per implorare la revoca della nomina; negli ultimi
quattro versi viene profetizzata la sua scomparsa di lì a sette anni:
Outre passa autri sett’anni
loco in pace e for d’affanni,
sin che tu’ alma spieghi i vanni
a l’eterna godezione.
Clemente VIII morirà effettivamente sette anni dopo, nel 1605; Ancina era
già morto da un anno. La veridica premonizione è stata ritenuta una vox profetica di quest’ultimo, di cui negli anni successivi sarebbe incominciato il processo di canonizzazione.18 Prima di ipotizzare un miracolo, però, è prudente
considerare che il numero sette ha un valore simbolico proverbiale, anche in
questo genere di profezie di morte,19 e l’autore potrebbe averlo formulato senza intenzioni precise, tantopiù che era suggerito dai precedenti vv. 363-64, in
cui si ricorda essere il settimo anno di pontificato di Clemente VIII:
Padre santo, ch’ha’ la chiave,
settim’anno entrato have;
ma è possibile che qualcuno sia intervenuto alterando il testo, cosa cui fa pensare anche un altro punto sospetto, in cui si capisce chiaramente come il poemetto, così come si presenta, non può essere stato scritto nel 1598. Si tratta
dei vv. 243-246:
Piscopatol di Salluce
lascia ad autro esperto duce
18
In una lettera al padre Ricci del 27 novembre 1603, Ancina si firma Giovenale, indegno vescovo di Saluzzo, né sal né luce (Roma, Archivio della Congr. dell’Oratorio, B.III.8, 166); CISTELLINI, S. Filippo Neri…, pp. 1638-39. La battuta è riecheggiata anche in un distico che una mano anonima ha apposto a un ritratto di Ancina: Sal sapidum faciens, fax lucens, ipsa liquescunt /
pro grege sic Pastor, sic Juvenalis obiit; DAMILANO, Giovenale Ancina…, pp. 22-23.
19
CISTELLINI, S. Filippo Neri…, p. 1280: Più di tutti mi piacquero i versi fatti ad imitatione di
quelli di fra Jacopone, gravi e sentenziosi et molto a suo proposito (C. Severini ad Ancina, Napoli, 15 maggio 1598, Archivio della Congr. dell’Oratorio di Roma, A.I.35; cfr. anche la lettera di
M. Borelli a Ancina, 19 giugno 1598, Archivio della Congr. dell’Oratorio di Roma, A.I.16).
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
133
ca no sei tu sal né luce
ma sol ombra e cocozzone.
Il senso di questi versi non è pienamente comprensibile se non rifacendosi ad un episodio occorso all’Ancina nel maggio del 1603. Ormai vescovo,
si trovava a Carmagnola dove aveva incontrato il suo amico Francesco di Sales, vescovo di Ginevra. Terminata la funzione, Ancina, complimentandosi
con lui per la sua omelia, gli aveva detto, ammiccando al suo nome: «Tu vere sal es!». Allora il Sales con prontezza, prendendo spunto dal nome della
diocesi dell’amico, cioè Saluzzo, aveva replicato: «Tu immo sal et lux»; e
Ancina: «Ego vero nec sal nec lux».20 Questa arguta trovata fu in seguito ripresa dal vescovo di Saluzzo, che la usò quasi come una specie di motto;21
evidentemente i versi in cui questa viene ricordata sono stati scritti dopo il
1603, o da Ancina, o da un ignoto manipolatore che abbia voluto inserire nel
poemetto un tratto così rappresentativo del suo beniamino e così adatto allo
stile faceto del componimento. Peraltro a questi elementi di dubbio si affiancano prove dell’esistenza, già nel 1598, di un testo che, almeno in parte,
doveva corrispondere a questo: alcuni degli interlocutori epistolari dell’Ancina, infatti, accennano con compiacimento a certi suoi versi iacoponeggianti.22 È quindi più probabile che ci troviamo di fronte a un rimaneggiamento,
più che a un falso vero e proprio; impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, pronunciarsi sull’identità dell’eventuale mistificatore. Gli indiziati
più probabili sarebbero il Lombardo, autore della Vita che riporta in appendice il Cantico, lo Scaraggi, redattore del manoscritto da cui questa è tratta,
e il Brancadoro che sembra avesse redatto una copia dell’originale del poemetto.23
Lasciando in sospeso la controversia, ci occupiamo ora di un altro testo
relativo alla fuga di Ancina; si tratta di un’ode di 204 versi contenuta nel manoscritto Roma, Bibl. Vallicelliana, O.36, ff. 79-84; il codice è una Raccolta
di versi et canzonette spirituali composte da’ primi Padri della Congr.ne dell’Oratorio di Roma et emendate in varij luoghi di propria mano dal Ven. Gio-
20
Mentre in GIGLI, Giovenale Ancina…, p. 57, compare il nome di Luca Brancadoro, in CISan Filippo Neri…, p. 1226 è menzionato il fratello Lucio Brancadoro.
21
Cart., mm. 210 x 150, cc. 115. DAMILANO, Giovenale Ancina…, p. 52; S. F. Neri e il contributo degli Oratoriani alla cultura italiana nei secoli XVI, XVII, XVIII. Mostra bibliografica,
Roma 1950, p. 64; ROSTIROLLA, La musica a Roma…, p. 67.
22
La stessa mano dopo ‘fuga’ annota: dal vescovato.
23
GIGLI, Padre Giovenale Ancina…, p. 50, la ritiene certamente falsa.
STELLINI,
134
ANNALES ORATORII
venale Ancina Prete della stessa Congr.ne et poi Vescovo di Saluzzo.24 Si tratta di un volume miscellaneo, risultante dall’assemblaggio di materiale eterogeneo (come testimonia la discontinua ed incongruente numerazione antica)
di cui risulta però difficile ricostruire l’originaria composizione, dato il drastico restauro cui il materiale è stato sottoposto. Il codice è stato assemblato
sicuramente nei primi anni del XVII secolo e non, come risulta dai cataloghi, nel XVI: lo testimonia l’indicazione vergata al f. 99r: L’autore accomodò e fece cantare la seguente laude il giorno di S. Martino XI Novembre l’anno 1602, cominciato nella città di Fossano nel Duomo l’esercitio spirituale.
L’intitolazione apposta al codice farebbe credere che i testi in esso contenuti, o almeno le correzioni apportate, siano vergati dalla mano di Ancina;
però un confronto con testi sicuramente suoi autografi sembra smentire l’affermazione del titolo.
Il codice è stato compilato da più mani, o meglio, è il risultato dell’assemblaggio di materiali vergati da più mani, mentre sembra invece riconducibile ad un unico redattore la grafia delle correzioni apportate alle diverse
poesie. Le attestazioni certe di scrittura di Ancina, oltre a differire profondamente da quelle delle varie mani che si affiancano nel codice, mostrano caratteristiche assai diverse anche da quelle di chi ha vergato le correzioni. La
scrittura di Ancina è dritta, tondeggiante, dal tratto spesso e molto inchiostrato; è una scrittura facilmente riconoscibile, e mantiene costante la sua fisionomia un po’arretrata sia nelle lettere, sia nelle intestazioni delle dediche
autografe, sia nella stesura di testi poetici, sia nelle postille annotate sui libri. Invece la grafia di chi compila le varianti sull’ode Tu pur m’arda è più
moderna, inclinata, sottile, slanciata; la e lega spesso dall’alto, e talvolta si
riduce quasi al solo tratto della legatura; la p e la f hanno uno svolazzo alla
gamba e la d ha un largo occhiello. Inoltre, al f. 103r, questa mano intitola
una sezione del manoscritto Sonetti del R. P. Giovenale Ancina…; normalmente, la firma autografa di Ancina è sempre accompagnata dall’epiteto
‘peccatore’, mentre qui il titolo di R[everendo] P[adre] sembra dovuto all’iniziativa di un’altra persona. La ‘mano’ anciniana indicata nel titolo del codice, allora, non andrà certamente intesa come la mano fisica che ha redatto
le correzioni; al più potrebbe trattarsi della ‘mano’ autoriale, sia che qualcuno abbia corretto questi testi sotto dettatura dell’Ancina, sia che abbia copiato tali correzioni da scartafacci anciniani ora perduti.
Oltre all’identità del postillatore, è controversa anche la datazione dell’o24
Archivio della Congregazione di Roma, A.I.43.
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
135
de. Nel titolo si trova un’indicazione: Cantico alla Mad. Vergine Beatissima
li 15 Gen. 1598, nel quale narra li disagi della sua fuga per l’inverno a guisa della tempesta nella fuga di Giona; a partire dalle parole sua fuga escluse, una mano più moderna, diversa da quella che annota le varianti, ha cancellato quanto segue la parole fuga, e ha aggiunto: Avendo inteso che si trattava di farlo vescovo si ritirò nel monastero de’ Padri Certosini, dove si serba una bellissima imagine della Madonna cui si va come a refugio.25 Tale
aggiunta ha dato adito a dubbi circa l’autenticità della data:26 la permanenza
presso il monastero dei Certosini infatti riguarda solo i primissimi giorni della fuga, cominciata, come si è detto, a fine novembre del 1597. In realtà è assai più probabile che ad essere spuria sia la glossa seriore, redatta da una mano sicuramente non avallata da Ancina: la grafia, infatti, che compare altre
volte nel manoscritto, e che più volte interviene in altre carte anciniane, in
un documento redige una nota contenente la data del 1607, vergata quindi tre
anni dopo la morte di Ancina.27 I commenti e le note che tale mano appone
sono sempre chiose, didascalie, supposizioni di autografie, informazioni circa i personaggi che vengono nominati, e sembrano voler comporre una sorta di dossier, come testimonia la programmatica intitolazione apposta da questa mano in un’altra carta: Della vita di Giovenale Ancina… parte seconda.28
Se quindi la ‘retrodatazione’ di alcuni mesi è proposta da un revisore decisamente più tardo, la data del 15 gennaio compare nella prima redazione;
inoltre diversi luoghi dell’ode trovano chiarimento solo nell’ipotesi che essa
sia stata scritta attorno a quel periodo. I vv. 19, or volge, o Diva mia, già l’altra luna, e 25-26,
Di venti giorni a pena
un mi diè polso e lena,
presuppongono che i disagi siano iniziati da più giorni; i vv. 13-15,
25
Archivio della Congregazione di Roma, A.I.43.
E l’inverno a San Severino era stato particolarmente rigido, tanto che il fratello gli aveva
inviato la propria pelliccia. GIGLI, Padre Giovenale Ancina…, p 55. Alla Madonna dei Lumi di
San Severino è dedicata anche una lauda del Tempio, Vergin, che luna e sol ed ogni stella.
27
Napoli, Stigliola, 1594. Sui rapporti del Tempio armonico di Ancina con questa fonte, si veda A. MORELLI, L’Oratorio dei Filippini: rapporti tra Roma e Napoli, in La musica a Napoli durante il Seicento. Atti del convegno Internazionale di studi, a c. di D. A. D’ALESSANDRO e A. ZIINO, Roma 1987, pp. 455 – 463.
28
L’amplissima fortuna di questi epiteti è di matrice biblica: Cant. 4, 12: Hortus conclusus soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus.
26
136
ANNALES ORATORII
A’ tuoi bei lumi accesi
non sì tosto m’appresi
ch’aprir le cataratt’al ciel mi festi,
trovano maggior senso se si ipotizza che vi sia un’allusione alla Madonna dei
Lumi venerata a San Severino, dove appunto Giovenale si trova nel gennaio
del ’98;29 infatti la formulazione puntuale della frase sembra riferirsi a un episodio ben preciso, e non alla consueta devozione dell’autore ai ‘lumi’ della
Vergine; del resto, prima della cancellatura, la didascalia apposta all’ode la
riferisce “alla medesima Vergine”, rimandando alla lauda precedente, intitolata “Alla miracolosa Madonna de’ Lumi di Sanseverino”. In effetti i ff. 7888 del manoscritto costituiscono una specie di sezione dedicata alle peripezie della fuga; ora, l’ode in questione si trova dopo una lauda composta a
Sanseverino e prima di una composta tra Sanseverino e Loreto: la sua collocazione nel piccolo canzoniere sembra quindi smentire l’ipotesi che l’ode riguardi i primi giorni della fuga, che si svolgevano ancora negli immediati
paraggi di Roma. Anche i vv. 54-56,
e indarno alto sospiro
a Roma e a te, mia Napoli gentile,
del basso mio covile,
indicano chiaramente che il poeta si trova ben lontano da Roma; una simile
nostalgia non sarebbe comprensibile in un ospite del monastero di S. Maria
degli Angeli presso le Terme di Diocleziano, dove si trovava il monastero dei
Certosini.
Il componimento si apre con una preghiera alla Vergine: “Che solo tu, che
mi illumini il cuore, mi arda e consumi [d’amore], tu di cui adesso sono in
disgrazia”: il poeta, infatti, sta subendo pesanti disagi, nel corso della sua fuga, a causa di un inverno particolarmente rigido, le cui angustie sono rievocate nei primi 56 versi; ai vv. 57-120 il poeta chiede alla Vergine per quale
motivo lei, fonte di ogni dolcezza, lo sottoponga a tanto dolore; nel formulare la richiesta si convince che tale patire è segno di una particolare preferenza che, con profonda saggezza, vuole così sottrarlo al pericolo derivante
29
Per gli epiteti nell’area semantica della luce, della regalità e della fonte, si veda F. FARINA,
Canti poetici mariani della “Raccolta Barbi”, Roma 1997, pp. 105-110.
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
137
da una condizione elevata (evidentemente l’episcopato), e unirlo alle sofferenze di Cristo; nei versi successivi, infatti (vv. 121-76), vengono rievocati,
con una parentesi di condanna del mondo (vv. 129-48), gli episodi dell’infanzia di Gesù e i disagi in cui questa è trascorsa (nascita nella capanna, circoncisione e prefigurazione della Passione, fuga in Egitto e strage degli Innocenti). L’ode si conclude invocando la Vergine affinché le sofferenze del
poeta valgano a meritargli la salvezza eterna.
Mentre l’unico, esiguo punto di contatto con Il pellegrino errante (vv.
392-393) sembra essere la rima gregge: legge dei vv. 149-150, si possono osservare diverse concordanze del testo con alcune laudi del Tempio: i vv. 127128
in poco fieno e vil presepio angusto
pon’il tuo trono augusto
mostrano un’innegabile parentela con i vv. 11-12 della lauda È nato il grand’Iddio:
e il ricco trono augusto
è poco fieno nel presepio angusto;
l’immagine del sangue misto a latte versato nella strage degli Innocenti (v.
171: versa fiume di latte or tinto in sangue) trova un corrispettivo in due laudi sulla circoncisione di Gesù (Alma Vergin gentile, v. 59: del tuo latte omai
sparge in sangue tinto e Ahi, pargoletto infante in cui m’affiso!, vv. 4-5: il
latte mio / misto col sangue tuo versarmi un rio); infine la lunga lauda sull’inondazione del Tevere, Alma Vergin gentile, è tematicamente vicina all’ode: l’idea portante, peraltro già biblica, che il flagello naturale sia uno strumento di espiazione; l’equivalenza posta tra l’incupirsi del clima e il nascondersi del lume emanato dal volto della Vergine (v. 4: del tuo sacro volto ascondi i rai); soprattutto il paradosso del fiume di amarezza che si riversa in un momento in cui il mondo dovrebbe essere lieto per la nascita del Salvatore, espresso in termini molto simili:
Oggi che dolce mele
stillano i cieli al mondo, amaro fele
versasi a Roma sola
(Alma Vergin, vv. 7-9);
138
ANNALES ORATORII
Che fai, rio di dolcezza,
che fai con tant’asprezza?
Or che nel mondo il ciel fassi di mele
tu mi dai tòsco e fele?
(Tu pur m’arda, vv. 61-64).
L’incipit dell’ode riconduce ad un altro testo con sui sicuramente Ancina
ebbe più volte a che fare: si tratta delle Nuove laudi spirituali di Antonio
Francesco detto l’Abbate romano, da cui molto ha attinto l’allestitore del
Tempio armonico.30 A p. 35 di questa raccolta si trova una lauda la cui prima strofa è evidentemente la matrice di quella dell’ode di Ancina:
Tu sol m’arda e consumi
che dentro il cor m’allumi,
Signor, che foco sei cocente e vivo
del cui fervor son privo.
Il testo originario è stato parafrasato da Ancina in chiave mariana; lo stesso stilema, evidentemente caro al poeta, ricompare in una lauda allo Spirito
Santo contenuta nello stesso codice dell’ode (f. 51, strofa 7):
Tu sol m’ardi e consumi
che lo meo cor m’allumi,
e s’egli è immondo,
purgalo, che fia mondo.
Questo riuso disinvolto di materiali poetici rimaneggiati e ‘travestiti’ è una
prassi assai diffusa nella letteratura religiosa, in cui i versi qui pubblicati si
inseriscono a pieno titolo; lo mostrano ancora i tradizionali stilemi laudistici
di cui tutto il testo è intessuto: l’immagine apocalittica della donna vestita di
sole (vv. 3 e 178-79), gli epiteti mariani della pietà (57) e della sapienza (75),
di fons signatus (66) e hortus conclusus (69),31 di candore nivale (107-8) e
30
Donna de Paradiso, v. 116: Figlio, amoroso giglio (in cui l’anafora insistita della parola ‘figlio’ si inserisce acusticamente nel gioco delle rime).
31
Alcuni tra i mille esempi che si potrebbero citare: G. VARANINI – L. BANFI – A. CERUTI BURGIO, Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, I, Firenze 1981, 24, vv. 1 – 2: onne homo ad alta voce / laudi la verace croce; VV. 19 - 20: tutti gridaro ad alta voce / moia ‘l falso, moia ‘l veloce! /
Sbrigatamente sia posto en croce; vol. II, p. 28 vv. 7 – 8: per noi salvare fo posto in croce / en-
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
139
di regalità (111-12),32 la rima, d’archetipo iacoponico, figlio: vermiglio (17980),33 e quella, tipica di Passiones e Lamenta, tra croce e voce (153-54),34
l’invocazione conclusiva affinché la Vergine conduca il poeta in porto
(201).35 Lo stile poetico mostra ovvi debiti con la tradizione lirica, specialmente con Petrarca e Tasso (dai sintagmi come stagion acerba, v. 121, o duro scempio, v. 174, all’immagine della ‘lima del cuore’, v. 92) che non a caso compaiono tra i modelli poetici dichiarati nell’introduzione al Tempio armonico.36 Linguisticamente il componimento è profondamente dissimile dall’espressionismo de Il pellegrino errante, e non si discosta dalla koinè poetica del suo tempo, come del resto le laudi del Tempio; unici tratti da sottolinearsi, l’assenza di anafonesi in componto, confermata dalla rima con pronto (vv.197-98), e la forma del perfetto passorno al v. 50.37
coronato ad alta boce; vv. 55 – 56: tucti gridavo’ ad alta voce / or sia morto e posto in croce;
Laudario di Santa Maria della scala, a c. di R. MANETTI, Firenze 1993, lauda III, vv. 96 – 98: gridando ad alta boce / ti radopiavan sempre il tuo dolore / dicendoti discende dalla croce; ENSELMINO DA MONTEBELLUNA, Pianto della Vergine, vv. 284-286: anzi, cridava tuti ad alta voze / … /
fa’ ch’el sia posto e morto su la croze (A. LINDER, Plainte de la Vierge en vieux venitien, Uppsala 1898, p. 21).
32
L’immagine deriva dalla liturgia: A. PFLIEGER, Liturgicae orationis concordantia verbalia.
Prima pars: Missale Romanum, Romae – Friburgi – Brisgoviae – Basileae 1964, p. 508: concede: ut…ad eternae salutis portum pervenire valeamus; Collectio missarum de Beata Maria Virgine, Città del Vaticano 1987, p. 119: ad portum salutis nos perducat aeternae; ricorre nella poesia
religiosa: VARANINI – BANFI – CERUTI BURGIO, Laude cortonesi, I, p. 6, v. 39: Ave, porto de salute; ENSELMINO DA MONTEBELLUNA, v. 51: ch’al porto de salute zascun mena; v. 1454: che al porto de salù tuti governi (A. LINDER, Plainte de la Vierge…, pp. 4 e 94). Si veda anche L. BARTOLI,
Simbologia mariana, Rovigo 1949, p. 134.
33
“Quanto poi spetta allo stile della poesia volgare, dirò brevemente esservi di tre sorti composizioni: una eccellente, alta, perfetta e rara; un’altra mezzana; la terza dozzinale […]. Or di queste tre suddette sorti di composizioni, la prima di lontano riverisco, l’ammiro e stimo con preziosa gioia e molto più coloro che la posseggono e nella prima classe di tal virtù e d’altre maggiori
anco adornati chiaramente risplendono: com’a dir il Petrarca, il Bembo, Monsignor Della Casa, il
Guidiccione, il Sannazzaro, il Molza, Vittoria Colonna, il Tansillo e ‘l Tasso” (Tempio armonico,
parte di basso, Discorso apologetico).
34
L. SERIANNI, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma 2001, p. 194.
35
Sulla frequenza di questa rima, particolarmente nella poesia popolare, sacra e profana, si
veda Laudario di Santa Maria della scala…, p. 204.
36
“Quanto poi spetta allo stile della poesia volgare, dirò brevemente esservi di tre sorti composizioni: una eccellente, alta, perfetta e rara; un’altra mezzana; la terza dozzinale […]. Or di queste tre suddette sorti di composizioni, la prima di lontano riverisco, l’ammiro e stimo con preziosa gioia e molto più coloro che la posseggono e nella prima classe di tal virtù e d’altre maggiori
anco adornati chiaramente risplendono: com’a dir il Petrarca, il Bembo, Monsignor Della Casa, il
Guidiccione, il Sannazzaro, il Molza, Vittoria Colonna, il Tansillo e ’l Tasso” (Tempio armonico,
parte di basso, Discorso apologetico).
37
L. SERIANNI, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma 2001, p. 194.
140
ANNALES ORATORII
Il secondo testo che viene qui proposto, e che completa il quadro dei componimenti relativi alla peregrinatio del fuggiasco, è contenuto nel codice Roma, Biblioteca Vallicelliana, O.26, f. 117, sotto il titolo di Felice ritorno alla s.ma Madonna de’ lumi, e poco appresso buona licenza per l’ultima partita; il testo è vergato dalla mano di Ancina, che in un secondo momento vi
interviene con alcune modifiche. La composizione di questo testo si colloca
negli ultimi giorni della fuga, come mostrano i vv. 25-28:
Tosto al mio primo nido
tornar conviemmi, e ‘l grido
già di Roma si spande
in queste e in quelle bande.
La poesia, molto più breve della precedente, esprime l’incertezza del fuggiasco che, nell’imminenza del ritorno, teme di ritrovare a Roma la situazione dalla quale era scappato; questo timore, però, si risolve in una scelta di fiduciosa obbedienza e di affidamento alla Vergine, che nella strofa conclusiva è invocata come guida e principio di consiglio.
Un punto di contatto tra le due odi è ravvisabile ai vv. 37-38,
Ma pur venga che vole
di quanto ha sotto il sole
in cui la dichiarazione di obbediente disponibilità a sostenere qualunque disagio sembra accostabile a quella di Tu pur m’arda, vv. 187-96, in cui il poeta invoca su di sé tutti i flagelli naturali come strumento di espiazione.
Anche in questa poesia si riconosce la duplice matrice laudistica (soprattutto nell’ultima strofa) e lirica (per esempio nei sintagmi quasi formulari come aspro martire, v. 40, scorta e duce, v. 46, o in quelli petrarcheschi ai vv.
19, brevi e scarse, o 20, grave dolore, o ancora nella riflessione sulla fugacità del tempo, ai vv. 19-24), e, come nel precedente, non è ravvisabile alcun
tratto linguistico accostabile a Il pellegrino errante. Si osservano invece alcuni punti di contatto con il Tempio armonico, in particolare ai vv. 17-18:
e le tenebre mie
fian sol di mezo die
che, sebbene riformulati con un significato opposto, riecheggiano puntualmente nella lauda Vorrei, Vergine bella, vv. 7-10:
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
141
L’alte tenebre mie
e gran, profond’errori
luce di mezzo die
e rai parean d’ardori.
Nella trascrizione delle odi ho distinto u da v e ho ricondotto all’uso moderno punteggiatura, segni diacritici (e in funzione diacritica è stata ripristinata la i nelle elisioni del tipo –gl’), impiego delle maiuscole e della h, suddivisione di alcune locuzioni, le grafie latineggianti et e –ti- per z. Si è scelto di mettere a testo la lezione successiva agli interventi correttori, relegando in apparato le lezioni della prima stesura, in entrambi i testi: nel secondo,
autografo anciniano sia nella prima redazione che nei ritocchi successivi, la
scelta è più scontata, in quanto evidentemente la volontà definitiva dell’autore è ravvisabile nell’intervento più tardo. Nel caso del primo testo la scelta è più delicata, non dandosi l’autografia; non potendo, allo stato attuale delle conoscenze, stabilire con certezza la responsabilità degli interventi correttori, si è scelto di dare comunque credito alla dichiarazione che intitola il faldone, in cui gli emendamenti sono attribuiti alla paternità anciniana che se,
come si è visto, non può essere quella della stesura materiale, potrebbe comunque essere quella della volontà.
I.
Ode con quartine di endecasillabi e settenari aaBb; rime derivative ai vv.
23-24 (ghiaccio: sghiaccio), 37-38 (affondi: infondi), 53-54 (aspiro: sospiro),
105-106 (scorgo: accorgo), 121-122 (acerba: disacerba); rime ricche ai vv.
29-30 (asconde: feconde), 75-76 (eterna: interna), 91-92 (sublime: lime),
129-130 (mondo: immondo), 131-132 (fregi: regi); 141-142 (fiume: piume).
La facile retorica che informa il testo si affida di frequente ai bisticci, spesso in sede di rima: accesi-appresi (vv. 13-14), ardente-algente (17-18), bruma-pruna (20), segno-sdegno (41-42), angusto-augusto (127-128), scrivoschivo (183-184), gelo-cielo (189-190). Si osserva una vistosa allitterazione
al v. 86: cor cortesi. Molte rime sono consunte dall’uso: belve: selve (47-48),
mele: fele (63-64), terra: guerra (193-194)38, monte: fonte (65-66), sempre:
stempre (83-84), forte: morte (109-110), fregi: regi (131-132), sangue: angue
(171-172), donna: gonna (177-178).
38
Sulla frequenza di questa rima, particolarmente nella poesia popolare, sacra e profana, si veda Laudario di Santa Maria della scala…, p. 204.
142
ANNALES ORATORII
Tu pur m’arda e consumi
che dentro il cor m’allumi,
Vergin, di sol vestita ardent’e vivo
del cui favor son privo.
Ma, oimé, che strano oggetto
mi vien dal tuo conspetto,
che densa neve ognor comparti e fiocchi
ch’il sol m’ingombra e gli occhi?
Qual maraviglia nova
sentir mi fai per prova,
che a’ piè de l’Alpi neva, e d’ogn’intorno
si cuopre il suol adorno?
A’ tuoi bei lumi accesi
non sì tosto m’appresi
ch’aprir le cataratte al ciel mi festi
le nott’e i dì più mesti;
tal che per foco ardente
un pigro verno algente
– or volge, o Diva mia, già l’altra luna –
e bruma dai per pruna.
5
10
15
20
Post’hai l’assedio ad arte,
ristretto in ogni parte
d’acuti sassi, d’aspr’e duro ghiaccio
ond’io non mai mi sghiaccio.
Di venti giorni, a pena
un mi diè polso e lena,
ch’apparve ‘l sol su l’orizonte in fretta;
ma scorse qual saetta,
però ch’i raggi asconde
tra nubi atre e feconde,
ch’al rigracchiar de’ corvi a nova prole
star pront’altrui si dole.
25
30
143
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
Quanta pietà mi prende
di tanti augei ch’offende
sì l’aura, ch’al garrir e al batter d’ale
d’erba pur fil non sale!
Poi par che terr’affondi,
sì larga pioggia infondi,
e ch’orribil diluvio al mondo torni
qual di Noè nei giorni.
35
40
E per tenermi a segno,
ond’io m’adiro e sdegno,
incrudelir mi fai più Borea, e l’Austro
richiudi entro ‘l suo claustro.
Né qui finisce il trebbio,
ché di terror m’annebbio
di fieri lupi ch’odo, ingorde belve
ch’assordano le selve.
Persin dentr’a le mura
passorno; o ria ventura!
Che sol di tal memoria mi sgomento
e nel mio cor pavento.
Ordunque invan aspiro
e indarno alto sospiro
a Roma e a te, mia Napoli gentile,
dal basso mio covile.
Ma dimmi, o Vergin pia,
dimmi, per cortesia:
perché ti mostri a me cotanto cruda,
e di clemenza ignuda?
45
50
55
60
40 qual di Noè nei giorni] qual Noè ebb’a’ suoi giorni
47-48 ingorde belve / ch’assordano le selve] e non in selva / Ma [illeggibile] né belva
59-60 Perché ti mostri a me cotanto cruda / e di clemenza ignuda] fuor del tuo usato stil perché sì cruda / Ti mostri, ond’io m’estruda?
144
ANNALES ORATORII
Che fai, rio di dolcezza,
che fai con tant’asprezza?
Or che pel mondo il ciel fassi di mele
tu mi dai tòsco e fele?
Se sei de l’alto monte
chiaro e segnato fonte,
ond’è ch’a me t’intorbidi e t’agghiacci
e da te sol discacci?
Se sei vago giardino
pien d’ogni fior divino,
ond’è che per me sol ti trovi chiuso
ed io più ognor confuso?
Vacar ciò di mistero
non cred’io di leggiero,
ché pur sei Madre di sapienza eterna
cui sommo amor s’interna.
Tutto è di gran favore
segno, e d’immenso ardore
di mia salute, e son sicuro e certo
che grazia tal non merto,
65
70
75
80
ma ben di mille inferni
tra ghiacci e fochi eterni
degn’è quest’alma mia di penar sempre
sì che nel duol si stempre.
Chi sa se i lacci tesi
– benché da cor cortesi –
scampar potrò con le mie forze frali
cagion de’ miei gran mali?
85
63-64 Or che nel mondo il ciel fassi di mele / tu mi dai tòsco e fele] In tempo che si fanno i
ciel di mele / pel mondo, e tu dai fele?
84 Sì che nel duol si stempre] che viva si distempre
87 potrò] potran
145
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
Chi sa, s’al grave peso
nel fin mi fossi arreso,
per provar dentro a gran città sublime
cura che ‘l cor mi lime?
Che prò, se preso al vischio
corre l’uom sì gran rischio?
Ch’in tropp’erto salir, a cader vassi,
né val ritrarr’ i passi.
Ben più sicuro stato
è ‘n bassa valle o prato:
d’alti monti a la cima è gran contrasto
de’ venti, e duro guasto.
90
95
100
Fuor di periglio a riva
passa la nave, e schiva
scogli ch’in alto mar, spesso, tra l’onde
grave tempesta asconde.
Altri misteri scorgo,
ch’al fin pur me n’accorgo:
di virginal candore è bianca neve
simbol ch’a voi si deve;
tra’ sassi e ‘l ghiaccio forte
fermezz’è sin a morte
nota in servir a voi, mia gran Reina,
cui terra e Ciel s’inchina.
Ma quel ch’ogn’altro avanza
e accresce mia speranza
è ‘l soffrir che mi dai col tuo Bambino,
novo parto divino.
107 candore] purezza
105
110
115
146
ANNALES ORATORII
Ché chi più soffre in vita,
né per goder s’aita,
a l’imagin di lui più si conforma
di cor seguendo l’orma.
120
Aspra stagion acerba
che sol non disacerba
vagir lo fa tremant’, e non in culla
ov’altri si trastulla,
ma ben (gran cosa fue!)
tra un asinello e un bue
in poco fieno e vil presepio angusto
pone ‘l suo trono augusto.
Che dici or, vano mondo,
superbo, avaro e immondo?
A che tante tue pompe e ornati fregi
de’ tuoi signori e regi?
A che tanti tuoi gridi
dagli uni agli altri lidi,
entr’a’ tanti tuoi lussi e vane imprese,
tra guerre e gran contese?
Il Creator non vedi?
O forsi ancor nol credi
fatto per te sì umìl, d’abito incolto?
Ahi, mondo ingrato e stolto!
125
130
135
140
Scorre tartareo fiume
per l’ozïose piume
ove tu giaci e dormi, e poco attendi
al vero Ben, ch’offendi.
Tu in feste, in canti e ’n riso
117 soffre] pate
145
147
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
ti godi il paradiso,
ed ei da prima luce a patir viene
stenti, travagli e pene.
L’ottavo giorno, a legge
per lo suo caro gregge
soggetto, il Pastorel sangue già versa
da carne in dolor mersa.
Così al martir di croce
quel che non forma voce
manda i preludii inanzi, e par che tarde,
tanto dentro amor l’arde.
Poi, per decreto eterno,
a meza notte il verno
teco, e col bon Gioseffo avvien che fugga
ancorché mamma ei sugga.
150
155
160
Dritto in Egitto scende
chi terra e ciel comprende
perché d’Erode il suon, l’armi e le lodi
sentonsi, e mille frodi.
Narri di tal viaggio
chi port’il gran disaggio
poi ch’i Magi, adoratolo, repente
tornaro in Oriente.
Non più udita barbarie
di tal opre nefarie,
versa fiume di latte or tinto in sangue
più che fier orso od angue.
148
159
160
167
165
170
travagli e] ed amare
Gioseffo avvien che fugga] Giosef ratto si fugge
ancor che mamma ei sugga] quel ch’ancor mamma sugge
poi ch’i Magi, adoratolo, repente] da che, adorato i Magi ’l Re possente,
148
ANNALES ORATORII
Tanto furor da l’empio
trabocca in duro scempio
ch’ei manda a fil di spade aspre, taglienti,
migliaia d’Innocenti.
175
Or senti, o vergin Donna
che vesti aurata gonna,
di tanti lumi adorna e ’n grembo hai ’l Figlio
qual fior bianco e vermiglio;
180
senti con puro affetto
spiegarsi il mio concetto:
s’è ver quanto già dissi, e or cant’ e scrivo
non mi tener a schivo.
Co’ tuoi bei primi sguardi
fuoco in me vibra, e dardi,
venti e orribil procelle in terra movi,
nembi e tempeste piovi;
nevi, pruine e gelo
fiocchimi pur dal cielo,
scaglia grandine e folgori e saette,
né alcun più mi ricette.
Tremi sotto la terra,
vengami esilio e guerra
e quel tutto di più ch’Ignazio santo
sì desiò cotanto.
Eccomi, o Vergin, pronto,
e ’l mio voler componto:
fa’ di me quel che sai, quel che tu vuoi
purché mi salvi poi;
186 in me vibra] m’aventa
198 e’l mio voler componto] a ogni tuo grav’affronto
199 fa’ di me] di me fa’
185
190
195
200
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
149
trammi felice al porto,
dolce tu mio conforto;
fa’ ch’io ti serva ognor divoto e pio
sin che mi posi in Dio.
Amen
Note:*
1. Arda e consumi: la dittologia in clausola è piuttosto comune; ad esempio si veda T. Tasso, Rime, 88, 11: perché l’alma ingannata arda e consumi.
2. Allumi: riferito alla Vergine è in RVF 366, 29: ch’allumi questa vita e l’altra adorni; in rima con ‘consumare’ anche in RVF 185, 4-5: ch’ogni cor addolcisce, e ‘l mio consuma: / forma un diadema natural ch’alluma. 9. Qual
maraviglia nova: il verso utilizza in negativo un tipico cliché laudistico: cfr.
J. W. HILL, O che nuovo miracolo!: a new hypothesis about the Aria di Fiorenza, in F. DELLA SETA – F. PIPERNO, In cantu et in sermone: For Nino Pirrotta on his 80th birthday, Firenze 1989, p. 290. 11. Che a’ pié… intorno:
RVF 105, 5: già su per l’Alpi neva d’ogni ‘ntorno. 13-16. A’ tuoi bei lumi…
più mesti: “Non appena mi accostai ai tuoi begli occhi, tu mi facesti aprire
le cataratte del Cielo proprio nel periodo più cupo dell’anno (le notti e i dì
più mesti, complemento di tempo). 17-18. Un pigro verno algente: il sintagma ricompare nel Tempio armonico, Mentre del Capricorno, v. 8: e par che
sgombr’il pigro verno algente; qui è complemento oggetto, come bruma; le
immagini di questi versi sono così disposte in un chiasmo, in cui a bruma si
contrappone pruna, ‘tizzone ardente’. 19. Or volge… luna: ricalca RVF 62,
9: Or volge, signor mio, l’undecimo anno. 25-27. Di venti giorni… in fretta:
203 fa’ ch’io] viva e
*
Nel commento le fonti poetiche sono citate dalle seguenti edizioni: AH = Analecta Hymnica Medii Aevi, Leipzig 1886 – 1915; D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, a c.
di G. Petrocchi, Firenze 1994; V. COLONNA, Rime, a c. di A. Bullock, Roma-Bari 1982; JACOBUS
DE VORAGINE, Legenda aurea, a c. di G. P. Maggioni, Firenze 1998; LH = PL = J. P. MIGNE, Patrologia latina, Paris 1878 – 1974; RVF = F. PETRARCA, Canzoniere. Introduzione di R. Antonelli, saggio di G. Contini, note al testo di D. Ponchiroli, Torino 1992; F. SACCHETTI, Il libro delle rime, a c. di F. Brambilla Ageno, Firenze 1990; L. TANSILLO, Canzoniere, a c. di E. Pèrcopo e T. R.
Toscano, Napoli, Liguori, 1996; T. TASSO, Gerusalemme liberata, a c. di L. Caretti, Milano 1988;
ID., Rime, in ID., Opere, a c. di B. Maier, I-II, Milano 1963; ID., Il Mondo creato, a c. di B. Maier,
Milano 1964.
150
ANNALES ORATORII
il senso è: “Su venti giorni, uno soltanto, per una fugace apparizione del sole, è valso a confortarmi”; il v. 26 ricalca RVF 220, 4: et diè lor polso e lena. 29. Atre e feconde: oscure ed abbondanti. 30-32. Ch’al rigracchiar… si
dole: il senso di questi versi è difficilmente interpretabile; l’unica parafrasi,
peraltro molto faticosa, che se ne può ricavare sembra la seguente: ‘il sole
che, mentre i corvi, che hanno appena avuto nuova prole, gracchiano affamati, è restio (si dole) a sovvenire alle necessità “altrui”’; la strofa successiva lamenta infatti la mancata crescita degli steli a causa del maltempo, per
cui gli augei piangono invano. 32. Altrui si dole: la clausola potrebbe essere di matrice petrarchesca: cfr. RVF 105, 57, Là dove più mi dolse altri si dole, e RVF 141, 4: onde aven ch’ella more, altri si dole. 41. Tenermi a segno:
‘controllarmi’, ‘governarmi’. 42. Ond’io m’adiro e sdegno: cfr. RVF 292, 9:
et io pur vivo, ond’io mi doglio e sdegno. 43-44. Borea, e l’Austro / richiudi: Borea e Austro sono, rispettivamente, il vento del Nord e del Sud; contrariamente a quanto accade solitamente in poesia, qui l’Austro non è enumerato con gli altri venti a raffigurare la piena della tempesta, ma si contrappone come vento ‘buono’ (ma incapace di giovare nella presente circostanza, perché rinchiuso entr’al suo claustro), o quantomeno caldo, ai rigori
dell’inverno. 45. Trebbio: letteralmente significa ‘incrocio’, ‘bivio’, qui evidentemente emblema di difficoltà ed incertezza. 47. Fieri lupi: il sintagma è
quasi formulare, doppiamente consacrato da Par IV 5: di fieri lupi, igualmente temendo, e RVF 27, 10: ch’abbatte i fieri lupi. 51. Che sol di tal memoria mi sgomento: RVF 323, 48: Et sol de la memoria mi sgomento. 60. La
variante scartata, perché sì cruda / ti mostri, ond’io m’estruda? non è di facile interpretazione; il disusato verbo ‘estrudere’, che significa ‘cacciar via,
spingere fuori’ è qui usato riflessivamente, e nel contesto sembrerebbe avere un significato analogo a ‘struggersi’. 61. Che fai, rio di dolcezza: il verso
può essere letto in un’altra accezione, modificando la punteggiatura: il che
avrebbe valore consecutivo e dipenderebbe da cotanto dei versi precedenti:
“ti mostri a me tanto crudele… che rendi amara (rio, sostantivato) la dolcezza”; oppure il che potrebbe essere interpretato come ‘perché’: “perché
rendi amara la dolcezza?”. La scelta a testo sembra però rispettare maggiormente la struttura della strofa e l’anafora con il verso successivo, in cui il che
ha indubbiamente valore pronominale: allora rio non può più essere un complemento oggetto di fai, e sarà da intendere come un epiteto mariano, ‘rio di
dolcezza’: la formulazione può essere accostata a Tasso, Rime, 1356, 5: da
cui discende rio d’alta dolcezza. 74-75. Vacar ciò… di leggiero: “Non ritengo superficialmente che questi avvenimenti siano privi di un misterioso si-
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
151
gnificato”. 78. Immenso ardore: la clausola è formulare, da Bembo a Tasso,
e torna in una delle laudi del Tempio armonico, Cristo al morir tendea, v. 8:
svenarassi per voi d’immenso ardore. 79-80. E son socuro… non merto: la
struttura dei versi è rintracciabile sia nelle Nuove laudi dell’Abbate romano
(Giesù, mio dolc’amor, f. 22, str. 4: ben so di prima gratia esser indegno /
che da lei troppo è lungi ogni mio merto) che nel Tempio armonico (S’in me
potesse morte, vv. 11-12: ben veggio e so che tal grazia non merto: / già son
sicuro e certo; In vita e ‘n morte mia, vv. 9-10: Ben ver è ch’io non merto /
Ciel veder, già son certo). 86. L’attenuazione benché da cor cortesi, un po’
disarmonica nel contesto, è dovuta al fatto che nella contingenza di cui Ancina sta parlando, colui che ‘tende il laccio’ è il papa Clemente VIII e la sua
curia: al poeta preme di distinguere tra la pericolosità della carica episcopale, il ‘laccio teso’, e la buona coscienza di chi gliela propone, il papa, appunto. 87. Forze frali: lo stesso sintagma vagamente ossimorico e allitterante è nella Gerusalemme liberata, XX, 67: tutte le forze frali e tutte l’armi.
89-92. Chi sa… mi lime?: “Chissà [cosa sarebbe accaduto] se avessi accettato il grave incarico e mi fossi sottoposto, a Roma [gran città sublime], ad
una preoccupazione logorante”. 101. Fuor di periglio a riva: la formulazione
del verso ricorda quella di Inf. I 23: uscito fuor del pelago a la riva. 105-111.
In queste strofe l’allocuzione alla Vergine passa dal ‘tu’ al ‘voi’, per poi tornare nei versi successivi al ‘tu’. 107-108. Di virginal candore… simbol: sull’interpretazione della neve come simbolo cristiano di purità, si veda M. C.
BERTOLANI, Il corpo glorioso. Studi sui Trionfi del Petrarca, Roma 2001, pp.
103-120; l’immagine è tradizionalmente applicata alla Vergine (cfr. AH
XXIV, p. 60: Nivis candori similis / virginitatis merito, o i versi di Venanzio
Fortunato, In laudem S. Mariae Virginis: Vellere candidior niveo, rutilantior
aura, PL 88, 284, o ancora Adamo di Persenia, Notae ac fragmenta mariana: columbam rationalem et purissimam, ob divinum animae candorem nive
candidiorem, PL 211, 775). 109-111. Tra’ sassi… gran Reina: la formulazione di questi versi non è chiarissima; sembrano interpretabili in questo modo:
‘Esercitare tra sassi e ghiaccio una fermezza pronta alla morte è un punto di
merito (‘nota’, con valore positivo) nel servizio a Voi’; il valore astratto del
sostantivo ‘nota’ è deducibile dal parallelismo di questa strofa con la precedente, nella quale si trova il corrispettivo ‘simbol’. 112. Cui terra e Ciel s’inchina: locuzione ricorrente nelle laudi del Tempio, sempre in rima con Regina / Reina: Vergin, luce amorosa, v. 28: Vergin cui terra e Ciel’alto s’inchina; Or’eccoti presente, anima mia, v. 6: Vergin sempre, cui terra e Ciel s’inchina; O Vergine Reina, v. 2: Donna cui terra e mar’e ciel s’inchina; Come
152
ANNALES ORATORII
fenice regni, al mondo sola, v. 2: a Dio simil, cui terra e Ciel s’inchina. 11314. Ma quel… speranza: i versi riecheggiano una delle Nuove laudi dell’Abbate romano, Tra ghiaccio e ardente foco, str. 6: ma quel ch’ogn’altro
avanza / di noia, è l’esser fuor d’ogni speranza. 115. È’l soffrir che mi dai
col tuo Bambino: ‘Il fatto che tu mi conceda di partecipare alle sofferenze
del tuo Bambino’. 122. Che sol non disacerba: “non temperata dal sole”. 12527. Ma ben… presepio angusto: la probabile fonte è Tasso, Rime, 1677, 5154: e ‘l parto adora, che promesso fue, / tra l’asinello e ‘l bue, / e vedrai dove un loco angusto il serra / miracolo a’ celesti eguale in terra. 129-30. Il
bisticcio tra mondo e immondo è tradizionale, fin da S. Agostino, Ad fratres
in eremo sermo XXXI, PL 40, 1290, tutto scandito dall’apostrofe O munde
immunde; è diffuso anche nella tradizione poetica (da Sacchetti, O mondo /
immondo / e di ben mondo a Tasso, Le sette giornate del mondo creato, 3°
giorno, v. 73, della vita mortal nel mondo immondo) ed è impiegato in una
celebre lauda filippina, Io ti lascio, o stolto mondo (sulla fortuna di questa
lauda si veda G. ROSTIROLLA, La musica a Roma…, p. 151). 138. Forsi: forma antica per “forse”. 142. Per l’ozïose piume: RVF 9, 1: La gola e ‘l somno et l’otiose piume, ripreso anche ne Il pellegrino errante, v. 59: Gola, sonno, otiose piume. 145-48. Tu in feste, in canti e ‘n riso… stenti, travagli e pene: nella quartina si osserva la struttura chiastica, con il tricolon del v. 145
che si contrappone a quello del v. 148, e i due versi centrali contenenti i predicati. 149-55. L’ottavo giorno, a legge… amor l’arde: l’interpretazione del
sangue versato a causa della circoncisione come figura della Passione è tradizionale: cfr. Legenda aurea, XIII, De circumcisione Domini, 85: hodie enim
sanguinem suum primo pro nobis effundere incepit qui ipsum postmodum
pluries effundere voluit. 152. Da carne in dolor mersa: “dalla sua carne subissata dal dolore”; la precisazione che il sangue sia versato dalla carne non
è, in questo caso, ridondante, ponendo una sottolineatura sull’Incarnazione
di Cristo come origine dei suoi dolori sofferti per l’uomo. 155. Manda i preludii inanzi, e par che tarde: ricorda la situazione di Par. XI 81: corse e, correndo, li parve esser tardo. 158. A meza notte il verno: il verso è mutuato da
RVF 189, 2: per aspro mare, a mezza notte il verno. 159. Teco: dopo l’apostrofe al mondo, l’interlocutrice è tornata ad essere la Vergine. 165-68. Narri di tal viaggio… in Oriente: preterizione: “il viaggio intrapreso dopo che i
Magi, adorato il Bambino, tornarono subito in Oriente, lo racconti chi ne visse le fatiche”. 181. Il sintagma è piuttosto frequente nelle Rime di Tasso, specialmente in clausola; ad esempio si veda 532, v. 12: né sprezza il puro affetto. 186. L’associazione di fuoco e dardi è in Tansillo, I canz. 3, 12, fa’ il
153
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
modo, il foco e i dardi, e in Madr. II 18 3,17: opra tu i dardi e il foco. 192.
Mi ricette: “mi accolga. 195-96. Quel ch’Ignazio santo / sì desiò: il martirio;
si tratta di S. Ignazio di Antiochia (e non S. Ignazio di Loyola, che sarebbe
stato canonizzato solo nel 1609: R. G. VILLOSLADA, Ignazio di Loyola, in Bibliotheca Sanctorum, VII, Roma 1966, p. 698), che in una delle sue famose
lettere ha lasciato parole di caldo desiderio per il martirio cui sarebbe stato
sottoposto (G. BOSIO, Ignazio, vescovo di Antiochia, ibi, pp. 662-663). 198.
E ‘l mio voler componto: “ ed [ecco] la mia volontà disposta al pentimento”.
II.
Ode con strofe di sei settenari aabbcc; rima inclusiva ai vv. 19-20 (ore:
dolore); rima derivativa ai vv. 7-8 (corso: soccorso) e 23-24 (tempo: m’attempo, già presente in un contesto analogo nella lauda del Tempio armonico
Vergin, luce amorosa, vv. 11-12); rima ‘fissa’ ai vv. 43-44 (bella: stella); allitterazione al v. 21: veggio volar.
Dopo lungo viaggio,
scorto dal tuo bel raggio,
eccomi di ritorno
al sacro tempio adorno:
Vergin, a te m’inchino
errante pellegrino.
Ecco finito il corso,
Madre, del tuo soccorso,
per cui prospera via
– felice sorte mia! –
ebbi per terra e mare,
grazie pregiate e care.
Volgi i pietosi lumi
agli empi miei costumi
e nova luce effondi
9 prospera] felice
10 felice] o buona
5
10
15
154
ANNALES ORATORII
al cor, che più si mondi,
e le tenebre mie
fian sol di mezo die.
Già scarse e brevi l’ore
con grave mio dolore
veggio volar, e sento
sol quasi in un momento
stretto ridursi ‘l tempo,
mentr’ognor più m’attempo.
Tosto al mio primo nido
tornar conviemmi, e ‘l grido
già di Roma si spande
in queste e in quelle bande.
Lasso! Che far mi deggio?
Non so qual meglio o peggio.
Di Roma ancor paventa
il cor, che non sia spenta
l’ardente e viva fiamma
ch’in me non lasciò dramma
nel dipartir ch’i’ fei
per tempra ai dolor miei.
Ma pur venga che vole
di quanto ha sotto il sole,
ch’al fin megli’è ubbidire
che lungo, aspro martire
soffrir di propria voglia
ond’altri più si doglia.
Tu, dunque, o Vergin bella
de l’ampio mare stella
42 ond’altri più si doglia] In parte che più doglia
43 bella] pia
44 de l’ampio mare stella] lum’e speranza mia
20
25
30
35
40
155
E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante
non mi sottrar tua luce,
siami tu scorta e duce;
guidami, prego, al porto,
guidami vivo e morto.
45
Amen
Note:
4. Al sacro tempio adorno: Tasso, Rime, 1567, 6: l’una in questo a Dio
sacro adorno tempio. 6. Errante pellegrino: il verso richiama il titolo de Il
pellegrino errante. 13. Volgi i pietosi lumi: l’espressione ricorre più volte all’interno del Tempio armonico: nella lauda Luce de l’alma mia, fidata scorta, v. 13: Volgi i pietosi lumi, occhi divini; Quando rimiro ‘l Ciel cinto di lume, v. 19: volgi i pietosi lumi al ciec’orrore; Al tuo bel tempio santo, v. 5:
volgi i pietosi lumi, anche qui in rima con costumi; S’al tuo felice sguardo,
v. 13: volgi i pietosi lumi; Alma Vergin gentile, v. 37: volgi pietosa i lumi. 15.
Nova luce: immagine ricorrente nel Tempio: Rifondi a l’alma mia, v. 2: nova luce dal Ciel cortese e pia; Ond’è che l’aureo crine, v. 10: Nova luce le
apporta. 29. Lasso! che far mi deggio?: lo stilema petrarchesco (RVF 268, 1:
Che debb’io far, che mi consigli, Amore) è riecheggiato sia nel Tempio armonico (Vag’augelletto, v. 10: lasso, infelice me! Che far mi deggio?), sia
nelle Nuove laudi dell’Abbate romano (f. 4, Fugge dagli occhi’l sonno, str.
3: misero, che far deggio, / poi che di mal in peggio). 32-33. Il cor… viva
fiamma: sembra accostabile a questi versi V. Colonna, Rime, 194, 5-7: Il cor
col santo foco / che serba dentro sé viva ed ardente / fiamma…. 33-34. L’ardente e viva… dramma: lo stilema petrarchesco (RVF 125, 12-13: et non lascia in me dramma / che non sia foco e fiamma) è sfruttato anche nel Tempio armonico: S’al tuo felice sguardo, vv. 15-16: ch’in me non riman dramma / che non sia foco e fiamma. 39-42. Al fin megli’è… si doglia: “in ultima analisi è meglio ubbidire, piuttosto che, di propria iniziativa, sobbarcarsi
una lunga ed amara sofferenza che poi causi più dolore”; altri ha valore impersonale. 43. Vergin bella: il sintagma epitetico, consacrato da RVF 366, ri-
45 tua luce] tu’ aita
46 siami tu scorta e duce] s’io fo da te partita
47 prego] stella
156
ANNALES ORATORII
corre tanto nelle Rime di Tasso quanto nelle laudi del Tempio: Alto principio
e monte, v. 3 (in rima con stella), Luce de l’alma mia, v. 5, Vorrei, Vergine
bella, v. 1 (in rima con stella), Alor ch’io penso a voi, v. 1. 44. De l’ampio
mare stella: l’immagine proviene dall’antico inno Ave, maris stella (AH II,
29), da cui si è ampiamente diffusa nella liturgia e nella poesia sacra, ulteriormente promossa dall’occorrenza in RVF 366, 67: di questo tempestoso
mare stella.
Elisabetta Crema
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
157
CARDINALI E VESCOVI ORATORIANI LUNGO I SECOLI
La storia plurisecolare dell’Oratorio è stata segnata dalla santità, dalla
dottrina, dall’apostolato di uomini degni di essere ricordati, la cui fama - nella cornice della realtà ecclesiastica e il susseguirsi degli eventi - ha superato
confini ristretti per espandersi in molti luoghi e spingersi verso il futuro.
Il presente lavoro prende in esame i membri dell’Oratorio di san Filippo
Neri che sono stati elevati, lungo il corso dei secoli, alla dignità vescovile e
cardinalizia, dando di loro brevi notizie. Una dignità che - è opportuno rilevare - abbisogna della dispensa pontificia, secondo le Costituzioni oratoriane, le quali non consentono ai suoi membri di accettare le dignità ecclesiastiche e che essi, spesso, hanno cercato in vari modi di evitare.
Significativa e degna di ammirazione è la testimonianza del cardinale Cesare Baronio, uno dei primi e più illustri discepoli di san Filippo Neri, il quale, morente, confidò al padre Angelo Saluzzo: «Nessuna cosa affatto, nulla
in questa vita mi ha recato maggior dolore e molestia del cardinalato. Fatelo
sapere a tutti, guardatevi dalle insidie del demonio: solo vero onore è servire Dio con tutta umiltà. Ho vergogna di essere stato fatto cardinale, io che
non sarei stato degno d’esser semplice sacerdote. Cercate Dio, cercate Dio!».
L’Oratorio Filippino ha dato alla Chiesa dodici cardinali, ottantasette vescovi, un patriarca, due nunzi, un legato pontificio, quattro prefetti apostolici di Ceylon, un prefetto del conclave e un inquisitore generale nel Regno di
Portogallo, i quali si sono imposti all’attenzione universale non solo per il luminoso esempio di servizio alla Santa Sede, ma particolarmente per l’umiltà, la pietà e la generosa carità pastorale, sulla scia dell’amabile padre Filippo Neri. Di lui, con la loro testimonianza, hanno riproposto il monito sempre attuale: «Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio e non
contentarsi di una bontà mediocre».
La redazione delle note riguardanti ciascun personaggio permette di avere un’idea, almeno generale, di coloro che, nell’ambito della famiglia filippina, vissero fattivamente lo spirito di servizio, umile e nascosto, proprio dell’Oratorio, a Cristo e alla sua Chiesa.
È auspicabile che la presente ricerca serva di stimolo agli studiosi per ul-
158
ANNALES ORATORII
teriori e più approfondite indagini, allo scopo di pervenire ad una valutazione completa della personalità e dell’azione pastorale dei prelati oratoriani, i
quali, il più delle volte, hanno inciso in modo determinante nelle vicende religiose, sociali e politiche del loro tempo.
CARDINALI
sec. XVI
Baronio Cesare, 1596
Tarugi Francesco Maria, 1596
Visconti Alfonso, 1599
sec. XIX
Caracciolo Filippo Giudice, 1833
Newman John Henry, 1879
Capecelatro Alfonso, 1885
sec. XVII
Giustiniani Orazio, 1645
Colloredo Leandro, 1686
Petrucci Pier Matteo, 1686
sec. XX
Herrero y Espinosa de los Monteros
Sebastián, 1903
Bevilacqua Giulio, 1965
sec. XVIII
Belluga y Moncada Luis, 1719
VESCOVI
sec. XVI
Costa Cesare, 1572
Visconti Alfonso, 1591
Bordini Giovanni Francesco, 1592
Tarugi Francesco Maria, 1592
sec. XVII
Ancina Giovanni Giovenale, 1602
Bozzuto Troiano, 1608
Eustachio Giovan Tommaso, 1612
Lanteri Vincenzo, 1616
Giustiniani Fabiano, 1616
Binago Girolamo, 1637
Panzani Gregorio, 1640
Giustiniani Orazio, 1640
Sperelli Alessandro, 1642
Foppa Giovan Battista, 1643
Crespi de Borja Luis, 1651
Ferruzzo Giovanni Battista, 1655
Cancellotti Cesare, 1658
Monteiro Nicolau, 1670
Bonito Andrea, 1677
Martinelli Francesco, 1680
Muscettola Tiberio, 1680
Guzzoni Tommaso, 1681
Petrucci Pier Matteo, 1681
De Pace Giovan Battista, 1684
Do Sacramento Duarte João, 1685
Cei Giuseppe, 1695
Bijankovic Nikola, 1698
Girgenti Francesco, 1699
sec. XVIII
Dragonetti Giacinto, 1703
Belluga y Moncada Luis, 1705
Conventati Giovanni Battista, 1714
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
Fuster Gaspare, 1714
Marelli Tommaso Maria, 1716
Orsini Mondillo, 1724
Orsi Giovanni Battista, 1725
Ariberti Giovanni Battista, 1728
Colloredo Fabio, 1731
Valguarnera Domenico, 1732
De Oliveira Julio Francisco, 1741
Coppola Giuseppe, 1742
Baratta Giovanni Battista, 1748
Mora Giovanni Francesco, 1748
Maculani Cosmo, 1748
Antinori Antonio, 1754
Caisotti Paolo Maurizio, 1762
Vecchioni Salvatore, 1778
De Melo José Maria, 1787
Do Avelar Gomes Francisco, 1789
De Magistris Simone, 1792
Minutolo Capece Enrico, 1792
Canaveri Giovanni Battista, 1797
Da Cruz Valério José, 1798
sec. XIX
De Azevedo Pegado José, 1801
Pierleoni Florido, 1802
López y García Simón, 1815
Tiberi Francesco Felice, 1818
Mazzoni João, 1818
Coppola Nicola, 1818
Ranaldi Ignazio, 1818
Caracciolo Giudice Filippo, 1820
Colangelo Francesco, 1821
159
García Abella Pablo, 1827
Brandão de Sousa Leonardo, 1832
Xavier Francisco, 1834
De Rosario Vincenzo, 1836
Naselli Pietro, 1838
Mulsuce Gaetano Antonio, 1843
Bettacchini Orazio, 1845
Naselli Giovanni Battista, 1851
Sánchez Cid y Carascal Antonio
María, 1852
Orueta y Castrillón Francisco, 1855
Bolognesi Salvatore, 1871
Acquaviva Giovanni, 1871
Metti Giulio, 1872
Ferrante Aniceto, 1873
Bagshawe Edward Gilpin, 1874
Herrero y Espinosa de los Monteros
Sebastián, 1875
Carrascosa y Carrión Pedro José,
1875
Capecelatro Alfonso, 1880
Jourdan de la Passardière Félix, 1884
De la Llosa Pietro, 1887
Mola Carlo, 1893
sec. XX
Arista Giovanni Battista, 1904
Huix Miralpeix Salvio, 1927
Spülbeck Otto, 1958
Manziana Carlo, 1964
Bevilacqua Giulio, 1965
Tewes Ernst, 1968
ACQUAVIVA Giovanni, nacque a Tricarico il 14 febbraio 1818. Entrato
nell’Oratorio napoletano, fu ordinato sacerdote il 12 marzo 1842. Il 22 dicembre 1871 fu eletto vescovo di Nusco. Il 1° ottobre 1881 divenne assistente
al soglio pontificio. Morì a Napoli il 26 gennaio 1893.
160
ANNALES ORATORII
ANCINA Giovanni Giovenale (beato), nacque a Fossano (Cuneo) il 19
ottobre 1545. Trasferitosi a Roma, il 1° ottobre 1578 entrò nella congregazione dell’Oratorio e il 9 giugno 1582 fu ordinato sacerdote. Inviato alla nascente casa di Napoli (1586), si dedicò alla predicazione, promosse incontri
d’interesse culturale e formativo, fondò l’oratorio dei principi per riportare
un clima cristiano nella società partenopea. Attese alla composizione di poesie e di canzoni musicali a sfondo religioso popolare e pubblicò Il tempio armonico della Beatissima Vergine (1599). Ritornato a Roma nel 1596, Clemente VIII lo nominò vescovo di Saluzzo. Solo il 26 agosto 1602 accettò, a
malincuore, l’elezione, ricevendo la consacrazione alla Vallicella. Il suo breve episcopato fu caratterizzato da innumerevoli opere di pietà e di carità, dirette alla riforma dei costumi del clero e del popolo, all’attuazione delle disposizioni del concilio di Trento, alla fondazione del seminario, all’incremento della pratica dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia. Morì, a seguito di
un sospetto avvelenamento, il 30 agosto 1604. Il suo corpo riposa nella cattedrale di Saluzzo, sotto l’altare a lui dedicato.
ANTINORI Anton Ludovico, nacque all’Aquila il 26 agosto 1704. Coltivò gli studi teologici, storici, archeologici e la poesia. Nel 1739 entrò nella Congregazione oratoriana dell’Aquila e il 19 dicembre dello stesso anno
divenne sacerdote. Si diede alla diligente ricerca di fonti per la storia aquilana ed abruzzese, acquistando in breve tempo gran fama di storico e d’epigrafista. Fu in rapporti epistolari col Muratori, al quale fornì varie iscrizioni
inedite da inserire nei suoi studi. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma (19 giugno 1745), il 21 giugno 1745 fu eletto arcivescovo di Lanciano,
dopo che era stato nominato dal Re di Napoli il 20 maggio precedente. Fu
consacrato a Roma il 27 giugno successivo dal cardinale Acquaviva. Il 22
aprile 1754 fu trasferito alla Chiesa d’Acerenza e di Matera. Governò le diocesi con gran saggezza ed evangelica carità. Il 24 aprile 1758 rinunciò all’ufficio pastorale, a causa di inquietanti scrupoli che affliggevano la sua delicata coscienza, e ritornò in patria dove riprese gli studi prediletti, stimato
«multiplicis litteraturae laude omnibus spectantissimo». Morì il 1° marzo
1778, lasciando una mole enorme di manoscritti, che vertono sugli argomenti
più disparati; tra questi la Vita della b. Cristina di Lucoli (Roma 1740), che
è un modello d’esattezza storica e di semplicità stilistica.
ARIBERTI Giovan Battista, nacque a Cremona il 10 maggio 1686 e divenne sacerdote il 26 dicembre 1710. Dottore in utroque iure alla Sapienza
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
161
di Roma (13 gennaio 1728), entrò nella Congregazione oratoriana di Brescia
l’11 ottobre 1711, dove eccelse per pietà ed eloquenza. Indusse il padre a donare alla nascente Congregazione cremonese il proprio teatro, che fu trasformato in chiesa, dedicata a san Filippo Neri (1714), e l’attiguo palazzo dei
marchesi Ariberti dove, in seguito, padre Giovan Battista divenne il superiore. Recatosi a Roma, preceduto da notevole fama, il 26 gennaio 1728 fu eletto da Benedetto XIII vescovo titolare di Palmyra, ricevendo la consacrazione a Roma dal Papa il 22 febbraio successivo, e il 29 dello stesso mese divenne assistente al soglio pontificio. Fu prefetto del conclave, dal quale uscì
papa Clemente XII, e venne lodato per la vigilanza e l’esattezza e premiato
con la nomina a commendatario dell’abbazia d’Ognissanti. Ritornò a Cremona nel 1740, nel palazzo della famiglia, dove allestì una cospicua biblioteca, ricca di codici preziosi. Morì a Venezia nel 1746.
ARISTA Giovanni Battista (servo di Dio), nacque a Palermo il 2 aprile
1863. Ben presto la famiglia si trasferì ad Acireale, dove divenne sacerdote
filippino il 25 giugno 1888, vescovo ausiliare nel novembre 1904 e vescovo
della diocesi il 20 luglio 1907. Operò in tempi inquieti e difficili a causa del
modernismo, impegnandosi ad essere il vescovo di tutti, per mezzo della carità, soprattutto là dove si soffriva. Fu presente a Torre Archirofi nell’alluvione del 1907; accorse, primo tra i vescovi dell’isola, a Messina per il terremoto del 1908, a Randazzo nel colera del 1910, a Solicchiata durante l’eruzione dell’Etna nel 1911, a Guardia-Mangano nello scontro ferroviario del
1912, a Linera nel terremoto del 1914. Fu anche il vescovo dei giovani per
la passione, tutta filippina, con cui diede impulso al movimento giovanile.
Sostenuto da una particolare devozione all’Eucaristia e alla Madonna, promosse, assieme ad altri confratelli, la nascita della Confederazione oratoriana, l’unione cioè delle congregazioni dell’Oratorio in un corpo giuridico, pur
mantenendo la loro identità e l’originale autonomia. Colpito da grave e dolorosa malattia, sopportata con esemplare forza d’animo, morì in concetto di
santità il 27 settembre 1920. Il suo corpo riposa ad Acireale, nella chiesa dell’Oratorio.
BAGSHAWE Edward Gilpin, nacque a Londra il 12 gennaio 1829. Entrato nell’Oratorio londinese il 24 ottobre 1849, fu ordinato sacerdote il 6
marzo 1852. L’11 agosto 1874 l’arcivescovo di Westminster, Manning, con
l’approvazione unanime dei vescovi inglesi, lo presentò alla congregazione
di Propaganda Fide per la sede vescovile di Nottingham con queste lusin-
162
ANNALES ORATORII
ghiere parole: «Ha circa 46 anni di età. È di salute robusta, è un ecclesiastico veramente degno, di spirito sacerdotale egregiamente animato, di zelo pastorale, sufficientemente dotto e per l’amministrazione di affari sperimentato ed amabile assai, ed è di indole affabile e dignitosa». Il 1° ottobre la Congregazione accolse la proposta, confermata dal papa Pio IX il 10 ottobre successivo. Fu consacrato il 12 novembre seguente dall’arcivescovo di Westminster. Ardente di zelo apostolico in ogni settore della vita religiosa, favorì l’erezione di numerose congregazioni religiose femminili e, nel 1883, fondò il seminario maggiore. Nel 1901, per motivi di salute, diede le dimissioni dall’ufficio pastorale, ritirandosi presso le Suore Blù a Hounslow. Il 27
gennaio 1902 fu eletto vescovo titolare di Hypaepa (Asia I), quindi il 17 gennaio 1904 fu promosso arcivescovo titolare di Seleucia (Isauria). Morì a
Hounslow il 6 febbraio 1915 e il 16 dicembre 1921 ebbe sepoltura definitiva nella cripta della cattedrale di Nottingham.
BARATTA Giovanni Battista, nacque a Fossano il 27 agosto 1691. Fu
ordinato sacerdote il 6 ottobre 1726 e il 9 settembre 1727 entrò nella congregazione dell’Oratorio romano. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma (14 dicembre 1747), il 29 gennaio 1748 fu eletto vescovo di Novara, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Valente Gonzaga il 18 febbraio successivo, insieme alla nomina di assistente al soglio pontificio. Non
arrivò però a Novara, perché morì a Macerata l’11 aprile 1748, durante il
viaggio verso la sede episcopale.
BARONIO Cesare (venerabile), nacque a Sora (Frosinone) il 30 ottobre
1538. Al desiderio del padre di una proficua carriera mondana, Baronio preferì le pratiche di pietà nell’Oratorio e di carità negli ospedali, l’insegnamento
del catechismo e lo studio della storia della Chiesa. Divenuto sacerdote il 27
maggio 1564, fu uno dei primi membri della comunità oratoriana costituitasi a San Giovanni dei Fiorentini, dedicandosi al ministero della predicazione
e delle confessioni. Nel 1576 passò alla Vallicella, dove, per confutare i protestanti, attese alla stesura degli Annales ecclesiastici, in 12 volumi, prima
storia organica e critica della Chiesa dall’anno 1° di Cristo al 1198. Collaborò alla revisione del Martirologio romano, compilò il Tractatus de Monarchia Siciliae, scrisse alcune vite di Santi, qualche trattato di carattere storico-giuridico e un numeroso carteggio. Dopo essere stato inviato, nel 1583,
a Napoli per impedire un movimento ereticale ed essere stato nominato, nel
1595, protonotario apostolico, Clemente VIII, il 5 giugno 1596, lo creò car-
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
163
dinale col titolo dei santi Nereo e Achilleo e nel 1597 Bibliotecario di S.R.C.
Nel conclave del 1605 riuscì a fatica, avendo ricevuto 31 voti, a evitare l’elezione al pontificato. Fu confessore e consigliere politico di Clemente VIII
e lo indusse a patrocinare la riconciliazione di Enrico IV con la Chiesa. Morì santamente il 30 giugno 1607 alla Vallicella e fu sepolto nella cripta sotto
il presbiterio dell’altare maggiore. Viene considerato il padre della storia ecclesiastica moderna.
BELLUGA Y MONCADA Luis, nacque a Motril il 30 novembre 1662.
Dottore in teologia, fondò il 5 settembre 1699 la congregazione dell’Oratorio a Córdoba e nel 1700 quella di Murcia. Proposto dal re Felipe V, il 9 febbraio 1705 fu eletto vescovo di Cartagena e in seguito nominato capitano generale e viceré di Valencia. Fu consacrato nella cattedrale di Córdoba il 19
aprile successivo. Carità e zelo caratterizzarono la sua attività pastorale: istituì quattro ricoveri per i poveri e un monte di pietà, fondò alcuni collegi e
seminari per la formazione della gioventù e gli aspiranti al sacerdozio, promosse gli studi del clero. Immischiato in vicende politiche, il Belluga aderì
nel 1709 alle decisioni del papa Clemente XI e cercò di indurre Felipe V a
desistere dall’atteggiamento antiromano e si prodigò per la pacificazione della nazione, specialmente nel 1712. Il 29 novembre 1719 fu creato cardinale
col titolo di santa Maria in Traspontina. Nel 1723 procurò l’emanazione della bolla Apostolici ministerii, detta «Bolla bellugana», per la riforma della disciplina ecclesiastica. Nel 1724 rinunciò all’ufficio pastorale e si ritirò a Roma, dove divenne protettore, presso la Santa Sede, del regno di Spagna. Si
dedicò anche alla riunione dei copti con Roma. Fu autore di notevoli opere
di carattere giuridico ed ecclesiastico, scrisse dissertazioni in difesa dei diritti della Santa Sede e dell’infallibilità pontificia, due volumi di pastorali,
opuscoli vari e tradusse in arabo trattati per i missionari. Il Belluga, «praelatorum speculum», morì a Roma il 22 febbraio 1743 e fu sepolto alla Vallicella, dinanzi alla cappella di san Carlo, dove fu posta un’epigrafe dettata dal
papa Benedetto XIV.
BETTACCHINI Orazio, nacque a Piosina (Città di Castello) nel 1810.
Oratoriano di Città di Castello, nel 1842 si recò come missionario apostolico a Ceylon. Ebbe l’incarico di riferire alla congregazione di Propaganda Fide circa lo stato della missione oratoriana di Ceylon. Tra dicembre 1842 e
gennaio 1843, egli scrisse tre lettere negative sull’operato degli oratoriani e
sulla situazione della missione. Nel maggio 1843, in altre due lettere, ritras-
164
ANNALES ORATORII
se le informazioni sfavorevoli date precedentemente, confessando di essere
stato tratto in errore. Confermando i molti bisogni della missione e l’opera
preziosa degli oratoriani, propose come nuovo vicario apostolico il padre
Gaetano Antonio Mulsuce. Il 6 maggio 1845 padre Bettacchini, apprezzato
per aver fatto «missioni in vari luoghi con incredibile zelo e con mirabili successi», fu eletto vescovo titolare di Torone (Macedonia) e coadiutore del vicario apostolico di Colombo. Il 17 settembre 1847 fu nominato pro vicario
apostolico per il nord dell’isola, rimanendo anche coadiutore del vicariato
meridionale. Il 28 agosto 1849 fu nominato vicario apostolico di Jaffna, lasciando il vincolo di coadiutore di quello meridionale. Morì, consunto dalle
fatiche apostoliche, il 26 luglio 1857 e fu sepolto nella chiesa di Bolawatte.
Lasciò manoscritta un’opera Histoire du Catholicisme à Ceylon (1852) dove, ricordando l’attività apostolica del padre José Vaz (ora beato), lo definì
«restauratore del cattolicesimo a Ceylon».
BEVILACQUA Giulio, nacque ad Isola della Scala (Verona) il 14 settembre 1881. Perfezionatosi negli studi a Lovanio, tendenti ad un indirizzo
politico-sociale e ad un impegno d’ispirazione cattolico-popolare, nel dicembre 1905 entrò nella Congregazione oratoriana della Pace a Brescia e divenne sacerdote il 13 giugno 1908. Ufficiale degli alpini durante la prima
guerra mondiale, al termine di essa finì in un campo di concentramento, dove fu sostegno e guida dei compagni di prigionia, intrattenendoli in conversazioni spirituali, poi raccolte nel libro La luce nelle tenebre (Milano 1921).
Di ritorno dalla prigionia, eletto preposito della sua Congregazione, iniziò
un’aspra polemica contro il fascismo, che lo costrinse, nel 1928, ad andare
«in esilio» a Roma. Nell’agosto 1932, ritornato a Brescia, riprese l’attività
apostolica e di conferenziere, pur sottoposto alla vigilanza della polizia del
regime. Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio come cappellano in marina. Congedato nell’agosto 1944, assieme al ministero sacerdotale,
unì l’impegno culturale e fondò, con altri, la rivista Humanitas (1946), ispirata ai valori di rinascita morale, intellettuale, religiosa dell’uomo e del lavoro. Nel febbraio 1949, si trasferì alla periferia di Brescia, in una baracca
che serviva da chiesa, trasformata poi in parrocchia e dedicata, nel 1952, a
sant’Antonio, per esercitare l’apostolato tra i poveri e il proletariato. Diede
un contributo notevole, durante il concilio Vaticano II, come membro delle
commissioni per la preparazione e l’attuazione della costituzione sulla Liturgia, frutto della sua lunga attività pastorale, incentrata sul senso cristologico
del ciclo liturgico, culminante nel mistero eucaristico. Si caratterizzò pure per
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
165
una grande apertura al dialogo ecumenico e all’amicizia con i protestanti e
gli atei. Il 25 gennaio 1965 fu nominato da Paolo VI, suo figlio spirituale,
cardinale col titolo di san Girolamo della Carità. Il 15 febbraio successivo fu
ordinato vescovo nella basilica dei Santi Faustino e Giovita in Brescia. Ottenne dal Papa il privilegio di conservare il suo ufficio di parroco, divenendo così il primo cardinale-parroco nella storia della Chiesa. Morì, nella casa
canonica della sua parrocchia, il 6 maggio 1965. Fu sepolto nella cripta dell’altare maggiore della chiesa oratoriana della Pace in Brescia.
BIJANKOVIC Nikola (servo di Dio), nacque a Spalato il 15 agosto
1645. Compiuti gli studi di filosofia e di teologia in Italia, fu ordinato sacerdote a Loreto il 15 giugno 1669. Svolse il primo ministero pastorale come
parroco, poi come penitenziere in cattedrale, confessore di comunità religiose, professore di grammatica e teologia ai chierici. Nel 1676 istituì a Spalato la congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri con lo scopo della predicazione del vangelo e la propagazione della religione cattolica, specialmente nelle regioni sotto il dominio turco. Il 7 novembre 1686 fu nominato
vicario apostolico di Makarska e Scardona, in Dalmazia. Nel 1695 fu eletto
dalla Repubblica Veneta vescovo di Makarska, confermato dal papa Innocenzo XII il 19 dicembre 1698. Nel ministero episcopale, intraprese lunghe
e faticose visite pastorali, instaurò rapporti amichevoli con i Turchi, attuò nella diocesi il rinnovamento voluto dal concilio di Trento, creò nuove parrocchie. Fu non solo un grande evangelizzatore, ma anche attivo nel campo della cultura e nell’ambito socio-caritativo. Morì, in concetto di santità, il 10
agosto 1730 e fu sepolto nel mezzo del coro della cattedrale di Makarska.
BINAGO Girolamo, nacque a Milano nel 1578. Entrato nella Congregazione oratoriana il 18 giugno 1595, si stabilì nel 1620 nell’Oratorio di Napoli. Il 12 gennaio 1637 fu eletto vescovo titolare di Laodicea e ausiliare di
Bologna. Morì a Bologna il 17 ottobre 1643, dopo tre anni d’infermità, e fu
sepolto nella chiesa della Congregazione. Fu uomo di santa vita, dedito allo
studio e alla poesia e assai valente nell’arte oratoria. Lasciò inedito lo scritto: De potestate Constitutionum Congregationis Oratorii.
BOLOGNESI Salvatore, nacque a Venezia il 30 gennaio 1814. Il 4 gennaio 1832 entrò nella Congregazione oratoriana della Fava. Ordinato sacerdote il 17 dicembre 1836, fu sapiente direttore spirituale e consigliere di vasti ceti di persone, esempio di profonda vita interiore. Nel 1863 il patriarca
166
ANNALES ORATORII
Ramazzotti lo scelse suo teologo nel Concilio provinciale; nel 1866 il cardinale Trevisanato lo chiamò al Sinodo diocesano e nel 1869 fu incaricato dell’insegnamento della teologia dogmatica e della storia ecclesiastica ai chierici del seminario, ai quali teneva settimanalmente delle conferenze religiose. Pio IX, il 27 ottobre 1871, lo nominò vescovo di Belluno e Feltre. Ricevette la consacrazione a Venezia il 10 dicembre successivo dal patriarca Trevisanato e il 13 aprile 1893 divenne assistente al soglio pontificio. Visse in
estrema povertà, semplicità e pietà. Sotto il suo impulso ebbero vita e incremento le istituzioni cattoliche raccomandate dai pontefici. Visitò quattro volte tutte le parrocchie, rinvigorendo i fedeli nella fede e spronandoli alla carità operosa verso Dio e il prossimo. Testimoniano la sua attività di pastore i
volumi delle Lettere pastorali, ricche di sapienza cristiana, feconde d’insegnamenti pratici, calde d’amore verso Gesù, la Chiesa, il Papa. Morì piamente a Belluno il 29 gennaio 1899.
BONITO Andrea, nato ad Amalfi nel 1619, entrò nell’Oratorio di Napoli. Versato nelle lettere, negli studi filosofici e teologici, apprezzato per i sermoni, il 14 giugno 1677 fu eletto vescovo di Capaccio, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Alessandro Crescenzi il 20 giugno successivo. Si dedicò alla ricostruzione morale e materiale della diocesi, eresse varie
parrocchie, restaurò la cattedrale e il palazzo vescovile, visitò l’intera diocesi, senza timore delle bande di malviventi che l’infestavano, riuscendo a riscuotere dalle popolazioni le malviste “sovvenzioni” ecclesiastiche. Ammalatosi nel settembre del 1683, si ritirò a Napoli, dove morì il 2 febbraio 1684.
Fu sepolto nella chiesa oratoriana dei Gerolamini.
BORDINI Giovanni Francesco, nacque a Roma circa il 1536. Letterato
ed erudito, conosciuto nel maggio 1558 padre Filippo e l’Oratorio, fu uno dei
primi aggregati nella comunità di San Giovanni dei Fiorentini. Ordinato sacerdote il 1° settembre 1564, fu richiesto da Carlo Borromeo per Milano, ma
non lasciò la Congregazione, essendo egli «forse il più valente prete, che sia
in Roma e la più forte colonna che sia nell’Oratorio». Di carattere duro e ambizioso, dal 1° giugno 1588 al 27 maggio 1589 fece parte della delegazione
guidata in Polonia dal cardinale Ippolito Aldobrandini, suo penitente, il quale, divenuto papa col nome di Clemente VIII, il 17 febbraio 1592 lo nominò
vescovo di Cavaillon. L’11 marzo 1598 fu promosso alla sede arcivescovile
d’Avignone. Fu un appassionato pastore del gregge, che governò attivamente, celebrando più sinodi e impegnandosi per la riforma del clero e del po-
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
167
polo, secondo le disposizioni tridentine. Morì nel gennaio 1609 e fu sepolto
nella cattedrale. Nutrì una profonda devozione verso padre Filippo, di cui
scrisse Philippi Nerii religiosissimi presbyteri vitae compendium (1596), dandone una testimonianza filiale al processo di canonizzazione.
BOZZUTO Troiano (venerabile), nacque a Napoli nel 1558. Frequentò
fin da giovane la nascente Congregazione oratoriana napoletana, dove entrò
il 25 dicembre 1587. Dottore in utroque iure, divenuto sacerdote eccelse soprattutto nella predicazione. Recatosi a Roma nel 1600, fu invitato a tenere
un sermone in San Giovanni in Laterano suscitando l’ammirazione di tutti,
tanto che il papa Clemente VIII volle udirlo nella sua cappella pontificia e
ne restò edificato. Il 17 marzo 1608 fu eletto vescovo di Capri. L’episcopato del Bozzuto fu illustrato da sincero zelo pastorale, che esplicò per mezzo
della predicazione, il ministero della confessione, la visita agli ammalati negli ospedali e l’assistenza dei poveri. Tema prediletto della sua predicazione
fu Gesù Cristo crocefisso, modello e aiuto per quanti sono chiamati a portare la croce quotidiana. Questa non tardò a venire anche per lui, a causa di false accuse e pubblici oltraggi, che gli procurarono enormi amarezze e delusioni e, dopo sedici anni d’episcopato, lo costrinsero a ritornare tra i suoi confratelli, ai quali chiese soltanto di amministrare, un giorno la settimana, la divina parola in chiesa. Morì, in concetto di santità, il 21 novembre 1625, al
termine di un fervoroso sermone in onore di Maria Vergine.
BRANDÃO DE SOUSA Leonardo, nacque a Vinhó de Souto il 12 ottobre 1767. Entrato nell’Oratorio di Braga, divenne sacerdote il 16 marzo 1793,
dedicandosi all’insegnamento della teologia nella casa dell’Oratorio e nelle
missioni popolari in varie parti del territorio portoghese. Fu confessore di D.
Carlota Joaquina e dell’infanta D. Maria da Assunção. Rinunciato all’episcopato nel 1824, nel 1832 fu eletto dal Re vescovo di Pinhel e fu confermato da Gregorio XVI il 17 dicembre del medesimo anno, ricevendo la consacrazione il 10 febbraio 1833. Dopo appena cinque mesi del suo ingresso in
diocesi, nel dicembre 1833, dovette ritirarsi nella sua terra natale, per sfuggire alla persecuzione dei seguaci di D. Pedro, errando per varie città per ben
cinque anni, celebrando l’Eucaristia di nascosto e facendo occultamente qualche ordinazione sacerdotale. Ammalatosi in casa di suo fratello, non poté essere curato dai medici per non essere scoperti. Morì il 19 aprile 1838 e il giorno seguente, di notte, fu sepolto nella chiesa di Várzea.
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ANNALES ORATORII
CAISOTTI Paolo Maurizio, nacque a Torino il 1° dicembre 1726. Dottore in utroque iure (13 agosto 1746) e in teologia (12 giugno 1749), divenne
sacerdote il 5 giugno 1751. Trasferitosi a Roma per perfezionarsi nelle scienze ecclesiastiche, entrò nell’Oratorio romano l’8 maggio 1754. Il re di Sardegna lo nominò, il 10 febbraio 1762, vescovo d’Asti e fu confermato dal papa
Clemente XIII il 19 aprile dello stesso anno, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Acciaiuoli il 23 maggio successivo. L’attività pastorale del
Caisotti fu caratterizzata da una spiccata tendenza al rigorismo che, a volte,
mise in contrasto i prelati di vecchia e di nuova formazione. Nel 1768 compì
la visita pastorale dell’intera diocesi, curò il riordinamento della formazione
ecclesiastica, costruì il nuovo seminario. Egli stesso, per i seminaristi pubblicò anonime Istruzioni alla gioventù ecclesiastica (Torino 1774). Favorì il sorgere d’opere caritatevoli, come la Mendicità istruita nel 1775 e l’’Opera Caisotti nel 1784. Nel 1785 celebrò il sinodo e nel 1786 intraprese la seconda visita pastorale. Morì nel palazzo vescovile, in Asti, l’8 agosto 1786.
CANAVERI Giovanni Battista, nacque a Mari (Albenga) il 25 settembre
1753. Dottore in teologia universa all’università di Torino (23 dicembre 1773),
entrò nell’Oratorio torinese e il 21 settembre 1776 fu ordinato sacerdote. Fu
valente oratore, cultore degli studi teologici e di musica, esaminatore sinodale e confessore della principessa Felicita, figlia del re Carlo Emanuele IV. Proposto dal Re come vescovo di Biella, fu confermato dal papa Pio VI il 24 luglio 1797, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Gerdil il 6 agosto successivo. In teologia fu antigiansenista, in politica avverso al giacobismo, durante la repubblica piemontese (1798-1799) antifrancese. Si impegnò
(dal 1797 al 1804) a conservare il deposito della fede, la disciplina ecclesiastica e l’unità col Papa. In mezzo a tumulti di guerra visitò la diocesi, predicò in vari luoghi, cercò di ravvivare i sentimenti religiosi, provvide alle necessità emergenti. In seguito diventò filonapoleonico e filofrancese, a volte più
fedele a Napoleone che al Papa, tanto che fu definito dai francesi il più valente dei vescovi piemontesi. Il 1° gennaio 1805 si recò a Parigi e un mese
dopo, il 1° febbraio, Pio VII lo nominò vescovo di Vercelli, conservando il vescovado di Biella. Fu membro del consiglio della Grande Limoniseria dell’Impero, cavaliere della Legione d’Onore, Limosiniere di Madama Letizia,
madre dell’Imperatore, barone dell’Impero. Morì il 13 gennaio 1811 e fu sepolto, per sua espressa volontà, a Biella, nel sepolcreto dei vescovi sotto il battistero. Il giudizio degli storici sulla personalità religiosa e soprattutto politica di Canaveri è discorde. Dai più, però, è detto che egli fu «prelato di sin-
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golare virtù, di rara scienza, destro ed accorto nell’amministrazione ed oratore a pochi secondo. Resse con fermezza d’animo la vasta sua Diocesi, promosse i buoni studi e indirizzò a virtù il suo numeroso clero».
CANCELLOTTI Cesare, nacque a San Severino il 26 marzo 1604. Dottore in utroque iure a Macerata, nel 1632 entrò nella Congregazione oratoriana di San Severino, dove si distinse per pietà e dottrina, tanto che il vescovo diocesano lo volle arcidiacono della cattedrale e successivamente vicario generale. Il 1° aprile 1658 fu eletto da Alessandro VII vescovo di Bisceglie, nel regno di Napoli, ricevendo la consacrazione a Roma il 7 aprile
successivo dal cardinale Marco Antonio Franciotti. L’episcopato del Cancellotti si distinse per l’anelito riformatore, alquanto rigorista, come appare dai
decreti del sinodo diocesano del 1659, che tuttavia manifestano il tentativo
di disciplinare la vita del clero diocesano e l’organizzazione ecclesiastica locale. Nello stesso anno pubblicò il decreto d’erezione della prebenda teologale e del seminario diocesano. Il 26 giugno 1662 fu trasferito alla Chiesa di
Montalto, che governò con grande zelo e umiltà. Animato da costanti premure pastorali, celebrò un sinodo anche a Montalto, risolse felicemente un’estenuante controversia giurisdizionale col monastero di Farfa, ristabilì la prebenda teologale e il seminario, condusse una visita pastorale. Morì il 27 giugno 1673 e fu sepolto, secondo la sua disposizione, in un angolo del coro della cattedrale. Lasciò varie opere, soprattutto di diritto canonico.
CAPECELATRO Alfonso, nacque a Marsiglia il 5 febbraio 1824. Entrato nell’Oratorio di Napoli il 1° aprile 1840, il 23 maggio 1847 fu ordinato sacerdote. Uomo di vasta e profonda cultura, ebbe rapporti d’amicizia col
cenacolo intellettuale di Montecassino e con molti dotti del suo tempo. In
campo politico fu favorevole all’unità nazionale, all’intervento dei cattolici
nelle elezioni politiche e alla ricomposizione del dissidio tra Stato e Chiesa
in Italia. Il 15 maggio 1879 fu nominato vicebibliotecario di S.R.C. e il 20
agosto 1880 arcivescovo di Capua, ricevendo la consacrazione a Roma dal
cardinale Raffaele Monaco la Valletta il 28 ottobre successivo. Il 27 luglio
1885 fu creato cardinale col titolo dei santi Nereo e Achilleo. Il 29 aprile 1890
fu nominato Bibliotecario di S.R.C., pur rimanendo vescovo di Capua. Resse la diocesi per trentadue anni, svolgendo un’intensa attività pastorale. Dedicò particolari cure alla formazione culturale del clero, non solo teologica,
ma inserita nella cultura del tempo, per non restare estranea ai problemi della società civile, nella quale deve operare come forza viva e partecipe. Aprì
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ANNALES ORATORII
al pubblico la biblioteca arcivescovile di Capua e quella del seminario. Creò
un importante periodico La Campania sacra; istituì a Capua la scuola di religione per sopperire ai limiti dell’insegnamento religioso praticato nelle
scuole statali. Nel 1887 tenne un sinodo diocesano per meglio conoscere, discutere e risolvere i problemi religiosi e sociali dell’archidiocesi. Creò numerose iniziative a carattere assistenziale e caritativo, come l’istituzione di cucine gratuite durante l’inverno e d’opere intese a proteggere e aiutare i giovani. Nel 1893 scrisse una lettera aperta ai parlamentari italiani, invitandoli
a meditare sui rischi che avrebbe comportato sul piano sociale, morale e religioso, l’approvazione del progetto di legge sul divorzio in discussione alla
Camera. Affrontò i problemi relativi alla questione sociale, vista nei suoi
aspetti religiosi e morali più che politici ed economici, ancor prima della pubblicazione dell’enciclica leonina Rerum novarum (1891). Pubblicò opere d’erudizione, d’apologetica, biografie di santi, pastorali, discorsi, libri di preghiere, lodate anche dal Carducci. Alla morte di Leone XIII, molti cardinali
stranieri, l’imperatore di Germania Guglielmo II e il presidente del Consiglio
italiano Zanardelli auspicarono la sua candidatura al soglio pontificio. Non
vi riuscì per vari motivi, non ultimo l’età avanzata. Morì a Capua il 14 novembre 1912 e fu sepolto, per disposizione testamentaria, nella chiesa del
monastero di Montecassino.
CARACCIOLO GIUDICE Filippo, nacque a Napoli il 27 marzo 1785.
Entrato nell’Oratorio napoletano nel 1802, divenne sacerdote il 18 marzo
1809. Dottore in utroque iure (1816) e in teologia universa all’università di
Napoli (1820), si distinse per dottrina e operosità. Presentato dal re di Sicilia (2 febbraio 1820), il 21 febbraio 1820 Pio VII, dopo le peripezie del periodo napoleonico, lo nominò vescovo di Molfetta, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Lorenzo Litta il 27 febbraio successivo. Il 18 giugno 1824 divenne assistente al soglio pontificio. Nel ministero episcopale
promosse l’esatta osservanza delle regole nel seminario, raccolse in una casa le orfane, fondò un’accademia ecclesiastica per lo sviluppo culturale del
clero, celebrò nel 1829 un sinodo. Gregorio XVI, il 15 aprile 1833, lo trasferì alla sede arcivescovile di Napoli, alla quale si dedicò con amore e generosità, iniziando, a sue spese, il restauro e l’abbellimento della cattedrale,
e prodigandosi per i poveri e i sofferenti, specialmente in occasione del colera che colpì la città. Il 29 luglio 1833 fu creato cardinale col titolo di sant’Agnese fuori le Mura. Morì a Napoli il 29 gennaio 1844 e fu sepolto nella
sagrestia della cattedrale.
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CARRASCOSA Y CARRIÓN Pedro José, nacque a Manzanares il 5 novembre 1823. Dottore in utroque iure all’università di Madrid e licenziato in
teologia universa all’università di Sevilla, nel 1862 entrò nell’Oratorio di Sevilla. Il 23 settembre 1875 fu nominato vescovo di Avila, dopo essere stato
presentato dal Re il 15 settembre precedente. Ricevette la consacrazione a
Madrid il 12 dicembre successivo dal cardinale Giovanni Ignazio Moreno.
Fu eletto anche senatore del Regno, distinguendosi per l’eloquenza elevata e
lungimirante nei dibattiti in cui prese parte, specialmente nella discussione
sul secondo schema per il progetto costituzionale. Rinunciò all’ufficio pastorale nel gennaio 1882. Il 30 marzo successivo fu promosso vescovo titolare di Zoara. Nel 1886 si ritirò dalla vita pubblica e andò a risiedere nella
sua città natale, dove poco dopo morì.
CEI Giuseppe, nacque a Livorno nel 1640. Nel 1670 entrò nella Congregazione oratoriana di Roma. Dottore in utroque iure all’università di Pisa, il 28 novembre 1695 fu nominato vescovo di Cortona, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Bondino Panciatici il 30 novembre successivo. Fu un pastore vigilante e zelante nella cura del gregge, generoso in opere benefiche, dedito a restaurare gli edifici sacri, specie il palazzo vescovile.
Amante della disciplina, cadde talvolta in certi rigori di forma, mitigati dalle premure verso il clero e dall’impegno per l’istruzione di quello più giovane. Portò a termine il seminario, incrementando gli studi sacri e profani, e celebrò nel 1699 il sinodo diocesano, in cui fece vari decreti e costituzioni per
un migliore regolamento della diocesi. Morì il 6 marzo 1704 e fu sepolto nella chiesa dell’Oratorio cortonese.
COLANGELO Francesco, nacque a Napoli il 26 novembre 1769. Entrò
nell’Oratorio napoletano nel 1783, dove si costruì una solida preparazione filosofica e teologica e si dilettò nello studio dei classici latini e dei maggiori
letterati italiani. Il 21 dicembre 1793 divenne sacerdote, dedicandosi alla predicazione. Amico di letterati e uomini di cultura, si attestò, in coerenza con
l’ambiente partenopeo, su posizioni di rigido conservatorismo e di difesa intransigente dei valori della tradizione, in opposizione alla letteratura libertina e alle nuove filosofie d’oltralpe, considerate corruttrici della morale e sovvertitrici dell’ordine politico. Nominato nel 1815 vescovo di Sora dal re Ferdinando I, il Colangelo ricusò la dignità episcopale. Il 27 giugno 1821, pressato dalla Segreteria di Stato vaticana, dovette accettare il vescovado di Castellammare di Stabia e Lettere, ricevendo la consacrazione a Roma dal car-
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ANNALES ORATORII
dinale Bartolomeo Pacca il 29 giugno successivo. Fu scelto a far parte della
commissione deputata per l’esecuzione del concordato del 1818, stipulato fra
la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie. Nel luglio 1824 fu eletto presidente della Pubblica Istruzione e, nel 1833, il re Ferdinando II lo nominò presidente della Commissione amministrativa della stamperia reale. Nella diocesi, per il suo carattere forte e rigoroso, non si acquistò molte simpatie, nonostante avesse avuto sempre a cuore la sua Chiesa e si fosse adoperato per
aprire, nel 1823, un seminario, rifare l’episcopio e dotare la cattedrale di preziosi parati. Ammalatosi di polmonite, fu trasferito nel liceo del Santo Salvatore a Napoli, dove morì il 15 gennaio 1836. Oltre numerose omelie, lettere pastorali, orazioni funebri, scrisse parecchie opere, di cui la più pregevole vide la luce a Napoli nel 1833 Istoria dei filosofi e matematici napoletani, in due volumi, nella quale traccia la storia della cultura napoletana dai
pitagorici fino al sec. XVII.
COLLOREDO Fabio, nacque a Colloredo (Udine) il 15 febbraio 1672.
Dotto, elegante, titolare di un ricco patrimonio, il 16 luglio 1692 entrò nell’Oratorio di Roma, elargendo le rendite ad opere pie e in elemosine e beneficando la Congregazione con ricchi doni di biancheria, libri, oggetti d’arte,
marmi preziosi. Il 7 aprile 1696 fu ordinato sacerdote. Si dedicò alla predicazione, in cui spiegava, in forma semplice e chiara, la Somma di san Tommaso e le opere dei Padri della Chiesa. In contatto con la corte imperiale,
viaggiò molto in Germania. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma (7
novembre 1731), il 19 novembre 1731 fu eletto da Clemente XII arcivescovo di Lucca, ricevendo la consacrazione a Roma, alla Vallicella, il 16 dicembre successivo dal cardinale Porzia. Il 24 dicembre seguente divenne assistente al soglio pontificio. Si dimostrò vero pastore, sollecito dei bisogni
spirituali e materiali della sua gente, andando incontro ogni settimana ai bisogni di circa 300 poveri. Fece la visita pastorale (1734) e tenne un sinodo
(1736). Infermatosi nel 1741, contrariamente al desiderio di ritirarsi, rimase
a Lucca dove morì il 15 novembre 1742.
COLLOREDO Leandro, nacque a Colloredo (Udine) il 9 ottobre 1639.
Profondamente religioso, il 3 gennaio 1657 entrò nella Congregazione oratoriana di Roma, dove, nel 1663, fu ordinato sacerdote. Svolse vari incarichi,
fra cui quello di bibliotecario, che gli permise di tessere diverse amicizie, in
particolare col celebre Mabillon. Innocenzo XI lo nominò esaminatore dei
vescovi e consultore dell’Indice (1682) e, dopo avere ripetutamente rifiutato
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l’episcopato, il 2 settembre 1686 fu creato cardinale col titolo di san Pietro
in Montorio. Ebbe la stima incondizionata del Papa che, il 28 febbraio 1688,
lo nominò Penitenziere Maggiore e lo volle al suo letto di morte, stimandolo un santo. Fece parte di varie Congregazioni vaticane (Propaganda Fide,
Concilio di Trento, Affari dei Vescovi, Segnatura, Visita) e fu considerato un
religioso esemplare, dotato di dottrina, di umiltà, di carità verso il prossimo.
Molto si adoperò per evitare il pericolo gallicano. Compilò, assieme al cardinale Pietro Ottoboni, la messa e l’ufficio per la Traslazione della Santa Casa di Loreto. Partecipò a tre conclavi. Morì, in concetto di santità, l’11 giugno 1709 e fu sepolto alla Vallicella sotto il presbiterio, su cui figura il suo
stemma.
CONVENTATI Giovanni Battista, nacque a Monte Granaro il 18 ottobre 1667. Entrò nella Congregazione oratoriana romana il 26 novembre 1688.
Dottore alla Sapienza di Roma (10 gennaio 1714), il 26 febbraio 1714 fu eletto arcivescovo di Ragusa (Dubrovnik in Dalmazia), ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 4 marzo successivo e il 24
seguente fu insignito del pallio. Il 3 luglio 1720 fu trasferito alla sede vescovile di Terracina e quindi primo vescovo di Terracina, Priverno e Sezze
dal 1725 al 1726, divenendo anche assistente al soglio pontificio (6 marzo
1725). Rinunciò all’ufficio pastorale il 27 novembre 1726. Morì nel 1739.
COPPOLA Giuseppe, nacque a Napoli il 21 agosto 1698. Divenuto sacerdote il 27 settembre 1721, entrò nell’Oratorio napoletano. Dottore in teologia, fu presentato dal re di Napoli (17 aprile 1742) ed eletto da Benedetto
XIV vescovo dell’Aquila il 25 maggio 1742, ricevendo la consacrazione a
Roma dal cardinale Acquaviva il 26 maggio seguente. Dotto e dedito agli studi, fondò l’accademia di storia ecclesiastica. Predilesse il seminario, dove
istituì nuove cattedre di filosofia e teologia e aprì la scuola del canto gregoriano, secondo le norme del concilio di Trento. Nel 1748 fece venire a L’Aquila il frate Leonardo da Porto Maurizio (futuro santo) per predicare un corso di missioni alla città. Il 1° dicembre 1749, ammalatosi a causa della rigidità del clima aquilano, fu trasferito a Castellammare di Stabia. Compì due
volte la visita pastorale della diocesi, celebrò un sinodo diocesano e si adoperò per l’erezione del seminario. Promosse la devozione a san Filippo Neri, dedicandogli un altare con l’immagine nella cattedrale di Castellammare,
che fece ingrandire, modificandone l’abside. Fu un vescovo vigilante, fermo
di carattere, affabile, amante della povertà, prodigo verso i bisognosi. Pub-
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blicò alcune opere religiose e poetiche. Morì l’8 agosto 1767 a Casamicciola (Ischia), dove risiedeva per cure termali, e fu sepolto nella chiesa di Sant’Antonio di quella città..
COPPOLA Nicola, nacque a Napoli il 20 gennaio 1758. Entrato nell’Oratorio napoletano il 7 dicembre 1772 e asceso al sacerdozio il 23 dicembre
1780, si dedicò alla predicazione, al ministero della confessione e all’assistenza spirituale dei condannati a morte. Dottore in teologia all’università di
Napoli, fu presentato dal re delle Due Sicilie (20 marzo 1818) e il 25 maggio
1818 fu eletto da Pio VII arcivescovo di Bari, ricevendo la consacrazione a
Roma dal cardinale Bartolomeo Pacca il 31 maggio successivo. Nel 1820, a
causa di sconvolgimenti politici, si ritirò a Napoli, dove, nel 1821, fece parte
della Commissione di Scrutinio destinata ad esaminare la condotta degli ecclesiastici. Non incontrò le simpatie del clero per aver chiuso il seminario, anche se poi lo riaprì migliorandone le strutture, e per aver sospeso alcuni esagerati privilegi riservati al capitolo della cattedrale. A causa della avversa salute, il 17 novembre 1823 fu trasferito a Nola. All’aggravarsi dell’infermità,
rientrò a Napoli, nella casa dell’Oratorio, dove morì il 14 aprile 1828.
COSTA Cesare, di nobile famiglia originaria d’Assisi, nacque a Macerata nel 1530. Appassionato cultore degli studi classici e della lingua greca e insigne giurista, fece parte dei «correctores romani» per la pubblicazione del
Decretum Gratiani. Entrato in familiarità con padre Filippo, aderì alla Congregazione oratoriana, recandosi a Napoli, dove scrisse la sua opera più importante Variarum ambiguitatum iuris libri tres (Napoli 1573). Il 19 novembre 1572 fu nominato vescovo di Capua. Celebrò vari sinodi, curò la spiritualità nei monasteri e nel seminario, fondò una biblioteca, promosse l’insegnamento del catechismo, aiutò i poveri. Il 22 giugno 1585 Sisto V lo nominò nunzio a Venezia, dove incrementò la collaborazione tra la Serenissima e
la Santa Sede. Richiamato a Roma il 16 novembre 1587, rientrò nella sua diocesi. Morì a Napoli il 2 febbraio 1602 e fu sepolto nella cattedrale di Capua.
CRESPI DE BORJA Luis, nacque a Valencia il 2 maggio 1607. Asceso
al sacerdozio nel 1631, si dedicò alla predicazione in chiesa e nelle pubbliche piazze, non trascurando l’insegnamento nella università. Recatosi due
volte a Roma con l’incarico di dirimere alcune questioni sorte nella Chiesa
di Valencia, frequentò la Vallicella e conobbe l’Oratorio di san Filippo Neri.
Ritornato in patria fondò a Valencia, nel 1645, la Congregazione oratoriana,
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con la collaborazione d’altri zelanti sacerdoti, i quali iniziarono gli esercizi
propri dell’istituto, unitamente ad opere caritative, specialmente quando la
peste colpì la città di Valencia nel 1647. Il re Felipe IV, l’8 maggio 1651, lo
nominò vescovo d’Orihuela, confermato dal Papa il 28 ottobre successivo.
Fu consacrato nella cattedrale di Valencia. Governò la diocesi con dedizione
e amore, acquistandosi la benevolenza di tutti, tanto da essere considerato come un padre. Il 2 settembre 1658 fu trasferito a Plasencia, dove visse povero, dando tutto quello che aveva in opere di beneficenza, impegnato a ravvivare la fede e la testimonianza cristiana per mezzo delle missioni popolari. Il
re Felipe IV lo inviò come ambasciatore a Roma, per implorare dal Papa la
proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Alessandro
VII lo accolse con particolare benevolenza e, dopo maturo esame da parte
della congregazione del S. Uffizio, confermò, con la bolla Sollecitudo omnium Ecclesiarum, la dottrina dei romani pontefici circa la Vergine Immacolata. Ritornato in diocesi, sua prima cura fu di fondare un seminario per gli
aspiranti al sacerdozio; ma, ormai consunto dalle fatiche, il 19 aprile 1663
morì. Solenni funerali furono celebrati a Madrid e in altre città della Spagna,
lodato per la santità della vita, l’attività pastorale, la dottrina e gli scritti. Fu
sepolto nella chiesa della Congregazione oratoriana a Valencia.
DA CRUZ VALÉRIO José, nacque a Covilhã il 19 dicembre 1749. Entrato nell’Oratorio di Lisbona, divenne sacerdote il 10 marzo 1781. Il 13 giugno 1798 fu presentato dalla Regina per il vescovado di Portalegre e fu confermato da Pio VI il 14 novembre successivo, ricevendo la consacrazione il
24 febbraio 1799 a Lisbona nella chiesa reale di Nostra Signora delle Necessità. Si dedicò principalmente alla preghiera e allo studio. Visitò la diocesi, arricchì la biblioteca del palazzo vescovile di numerose opere di Santi
Padri, fece ampliare l’ospedale e fondere una campana per la pubblica piazza, elargì cospicue elemosine ai poveri, distribuì pane in abbondanza agli
operai durante la chiusura di una fabbrica di tessuti. Morì il 17 luglio 1826.
DE AZEVEDO PEGADO José, nacque a Lisbona nel 1751 e divenne
sacerdote il 9 agosto 1778. Oratoriano di Lisbona, fu esaminatore sinodale,
censore dei libri, giudice del tribunale ecclesiastico, professore di grammatica, filosofia, teologia e diritto, parroco. Presentato dal principe di Basilia, fu
nominato da Pio VII vescovo d’Angra (Isole Azzorre nell’Oceano Atlantico)
il 20 luglio 1801, ricevendo la consacrazione il 13 novembre successivo. Dedicò il ministero episcopale alla riforma morale del clero, principalmente dei
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religiosi che attraversavano un periodo di deplorevole decadenza. Severo nel
correggere gli abusi, incontrò l’odio di coloro che non sopportavano la sua
rigorosa disciplina. Nel luglio 1810, amareggiato per questa situazione, si ritirò in un convento della città di Ponta Delgada, dove morì il 19 giugno 1812.
DE LA LLOSA Pietro, nacque a Sucre il 7 agosto 1829. Entrò nella Congregazione oratoriana di Sucre, dove l’11 luglio 1852 fu ordinato sacerdote.
Dottore in diritto civile e in teologia universa all’università di Sucre (4 maggio 1852), ricoprì vari incarichi nella diocesi platense. Fu rettore del collegio del seminario di Sucre, decano della metropolitana di La Plata, vicario
capitolare e per molti anni preposito dell’Oratorio. Il 14 novembre 1887 fu
nominato vescovo di La Plata (Bolivia), ricevendo la consacrazione a La Plata il 20 maggio 1888. Morì il 2 agosto 1897.
DE MAGISTRIS Simone, nacque a Sezze il 28 febbraio 1728. Venuto a
Roma, il 22 novembre 1760 entrò nella congregazione romana dell’Oratorio.
Ricevuta l’ordinazione sacerdotale il 18 dicembre 1762, continuò ad applicarsi allo studio delle antichità ecclesiastiche, curando in particolare il campo della filologia biblica e delle lingue orientali e dedicandosi alla edizione
d’antiche fonti sacre, secondo l’impostazione del celebre confratello Giuseppe Bianchini, alla cui morte riprese la pubblicazione, nel 1772, delle versioni greche del libro di Daniele. Agli inizi del pontificato di Pio VI confermò
la sua scelta rigorosamente romana e filocuriale, distinguendosi come avversario delle tendenze e simpatie giansenisteggianti, anche d’alcuni suoi confratelli. Tenuto in grande considerazione dal pontefice, fu chiamato a presiedere la congregazione incaricata della revisione dei libri liturgici delle Chiese Orientali e il 27 febbraio 1792 fu nominato vescovo titolare di Cirene in
Libia, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Francesco Saverio de
Zelada il 14 marzo successivo. Il 18 giugno dello stesso anno divenne assistente al soglio pontificio. Proseguì la sua attività d’erudito editore di testi e
fonti di storia sacra, inserendosi nella ripresa del culto e degli studi sui martiri. Durante la giacobina Repubblica romana propugnò l’obbedienza assoluta dovuta ad ogni decisione pontificia e l’infallibilità papale. Nel 1793 gli
venne assegnata la direzione della tipografia poliglotta di Propaganda Fide,
che tenne fino alla morte, avvenuta a Roma il 6 ottobre 1802. Nel 1805 la
sua preziosa e ricca biblioteca venne posta in vendita. Nella biblioteca Vallicelliana a Roma si conservano, inediti, tre suoi grossi volumi manoscritti di
Sermoni per le feste di santi e altre ricorrenze.
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DE MELO José Maria, nacque a Lumiar il 10 settembre 1756. Dottore
in diritto canonico all’università di Coimbra (24 ottobre 1776), il 29 giugno
1777 entrò nell’Oratorio di Lisbona e il 23 settembre 1780 fu ordinato sacerdote. Presentato dalla Regina (16 giugno 1787), il 23 aprile 1787 fu nominato vescovo d’Algarve, ricevendo la consacrazione a Lisbona nella chiesa di Nostra Signora delle Necessità il 3 giugno successivo. Dedicò la sua
opera soprattutto al seminario. Nominato confessore della regina D. Maria I,
il 16 gennaio 1789 si dimise dall’ufficio pastorale, pur conservando il titolo
di vescovo di Algarve, e passò a corte, dove fu nominato presidente della
giunta per la disciplina degli ordini religiosi e socio dell’accademia reale delle scienze. Il 25 gennaio 1791 fu nominato Inquisitore generale del Regno.
Nel 1808, in occasione dell’occupazione francese, fece parte della delegazione recatasi in Francia a rendere omaggio a Napoleone I, tenuta in prigionia per sei anni a Bordéus. Il 4 maggio 1814 rientrò nella sua antica diocesi
d’Algarve. Morì a Lisbona il 9 gennaio 1818.
DE OLIVEIRA Julio Francisco, nacque a Lisbona nel 1693. Entrato nella Congregazione oratoriana di Lisbona il 16 luglio 1707, divenne sacerdote
il 28 marzo 1716. Insegnò filosofia, teologia e morale, fu censore del S. Ufficio (1728) ed esaminatore dell’ordine militare (1731); fece parte, nel 1736,
dei cinquanta accademici dell’Accademia Reale di Storia ed ebbe l’incarico
di scrivere la vita di D. João I. Presentato dal Re prima per il vescovado di
Funchal, poi per quello di Viseu, fu confermato da Benedetto XIV il 2 gennaio 1741, ricevendo la consacrazione a Lisbona il 5 marzo successivo. Fu
un pastore zelante, dedito ad opere di religione e di carità. Curò la formazione spirituale dei chierici e dei sacerdoti, promosse l’istruzione catechistica, visitò i carcerati e gli ammalati, portando personalmente il viatico agli infermi, incrementò la devozione alla Vergine Maria. Fece due visite pastorali
(1744 e 1747) e celebrò due sinodi (1745 e 1748). Diffuse la devozione a san
Filippo Neri. Nel 1758, a sue spese, fece restaurare e ampliare l’ospedale.
Morì, ricco di meriti, il 26 dicembre 1765.
DE PACE Giovan Battista, nacque a Napoli nel 1627. Dottore in utroque iure, entrò nell’Oratorio napoletano, impegnandosi nella predicazione ed
in opere di carità. Il 16 maggio 1684 fu eletto da Innocenzo XI vescovo di
Capaccio, ricevendo la consacrazione a Roma, alla Vallicella, dal cardinale
Alessandro Crescenzi l’11 giugno successivo. Si distinse per il grande amore che nutrì per gli indigenti e per gli umili, e morì poverissimo, dopo aver
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elargito le sue limitate risorse ai più bisognosi. Morì a Napoli, dove si trovava per curare i suoi mali, il 20 novembre 1698.
DE ROSARIO Vincenzo, dell’Oratorio di Goa. Il 23 dicembre 1836 fu
eletto vescovo titolare di Taumaco (Tessalia I) e vicario apostolico di Ceylon, ricevendo la consacrazione a Verapoli nel dicembre 1838. Morì a Colombo il 29 aprile 1842.
DO AVELAR GOMES Francisco, nacque a Calhandriz il 17 gennaio
1739. Entrato nell’Oratorio di Lisbona il 17 settembre 1757 e ordinato sacerdote il 26 febbraio 1763, ebbe la cattedra di retorica, filosofia, morale e
sacra scrittura. Nel 1784 risiedette per quattro anni a Roma presso il nunzio
Rannuzi, di cui era confessore. Ritornato in patria, il 3 febbraio 1789 fu nominato dalla Regina vescovo d’Algarve e confermato da Pio VI il 30 marzo
successivo. Ricevette la consacrazione nella chiesa della Congregazione il 26
aprile seguente. Entrato in diocesi, il 26 maggio, fece la visita pastorale con
grande zelo e pietà, promuovendo opere religiose e sociali. Negli anni 1794
e 1795 fece una seconda visita pastorale, iniziando la costruzione della chiesa d’Aljezur e dell’ospedale della Misericordia a Faro. Fece, inoltre, una terza visita pastorale. Il suo fu un episcopato eminentemente pastorale, dedito
alla formazione del clero e del popolo, al decoro del culto divino e al miglioramento dei costumi, al progresso delle realtà pubbliche, specie dell’agricoltura e delle arti. Una delle sue principali cure fu il soccorso dei poveri, degli orfani e degli abbandonati. Nel 1814 il principe Reggente gli conferì, per i suoi grandissimi meriti, il titolo di arcivescovo. Morì a Faro il 15 dicembre 1816, ricco di virtù e di benemerenze. Il suo biografo scrisse che padre Francisco fu un padre amato, un pastore fervoroso, un maestro illuminato e uno dei più illustri vescovi portoghesi.
DO SACRAMENTO DUARTE João (venerabile), nacque a Lisbona il 3
ottobre 1630, dove fu sagrestano, nel 1659, della cappella reale e nello stesso
anno, il 7 giugno, divenne sacerdote. Entrato nell’Oratorio di Lisbona, ebbe
per direttore spirituale padre Bartolomeu do Quental, il quale nutriva il desiderio di evangelizzare la regione di Pernambuco, colonizzata per 24 anni dall’occupazione olandese. Nel 1662, padre Do Sacramento partì missionario per
il Brasile, assieme al padre João Rodrigues Vitória. S’installò a Santo Amaro,
in pieno bosco, vicino ad Olinda, dove iniziò a predicare le missioni per la catechizzazione degli Indi. Fondò la Congregazione oratoriana di Pernambuco,
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approvata da Clemente X il 17 luglio 1671 col breve Ad pastoralis dignitatis
fastigium. Il 12 maggio 1674 la congregazione di Propaganda Fide nominò
padre Do Sacramento primo prefetto delle Missioni oratoriane in Brasile, concedendogli ampie facoltà nel territorio. Il 10 settembre 1685 fu eletto vescovo d’Olinda, nello stato di Pernambuco, con la bolla d’Innocenzo XI Gratiae
divinae praemium. Non ricevette la consacrazione episcopale, perché la bolla
pontificia arrivò proprio il giorno della sua morte, avvenuta il 10 gennaio
1686, a causa dell’assistenza agli ammalati di un male contagioso che colpì
Pernambuco, provocando una grande strage. Fu sepolto a Recife, nella chiesa oratoriana della Madre di Dio, che egli aveva fatto costruire nel 1679. Nel
famoso libro Nova Lusitania fu chiamato «apostolo del Brasile».
DRAGONETTI Giacinto, nacque all’Aquila nel 1667. Entrato nella
Congregazione oratoriana della sua città, divenne sacerdote il 4 giugno 1689.
Dottore in filosofia e teologia, il 5 marzo 1703 fu eletto vescovo di Nusco.
L’11 settembre 1724 fu trasferito alla sede vescovile di Marsi. Si dedicò al
ministero pastorale con zelo e bontà. Fu pure un vescovo studioso e scrittore, che – per umiltà – non pubblicò mai nulla. Morì all’Aquila il 20 dicembre 1730 e fu sepolto nella cappella gentilizia della famiglia, nella chiesa di
san Bernardino da Siena.
EUSTACHIO Giovan Tommaso (venerabile), nacque a S. Bartolomeo
sul Volturno il 7 marzo 1575. All’età di 18 anni venne a Napoli, dove il 10
ottobre 1592 fu accolto nella Congregazione oratoriana. Fu ordinato sacerdote il 27 marzo 1599. Contro voglia e con grande dolore, il 9 gennaio 1612
fu eletto vescovo di Larino, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Roberto Bellarmino il 15 gennaio successivo. Il suo episcopato fu eminentemente riformatore. Celebrò un sinodo nel 1616, riaprì il seminario e lo
provvide di dotti e pii maestri, si adoperò per la riforma del clero e dei costumi del popolo. A causa della malferma salute, il 10 novembre 1616 rinunziò all’ufficio pastorale e, dopo la permanenza di qualche mese a Roma,
nel 1617 ritornò nella sua Congregazione di Napoli, vivendo come un semplice prete, dedito alla predicazione dei sermoni ai nobili e al popolo, ammirato per la santità della vita. Morì il 1° gennaio 1641. Lasciò, edite ed inedite, alcune operette ascetiche.
FERRANTE Aniceto, nato ad Atina (Frosinone) il 28 settembre 1823,
entrò nell’Oratorio di Napoli il 28 agosto 1840. Fu ordinato sacerdote il 29
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ANNALES ORATORII
maggio 1847. Prefetto dei novizi per molti anni, confessore e predicatore ricercato, il 21 marzo 1873 fu eletto vescovo di Gallipoli, dove fece il possibile «per condurre la vita a modo di Filippino», governando da buon pastore la sua Chiesa, in povertà, umiltà e carità. Nel 1879 si ritirò, sofferente, ad
Avito, ove continuò a dedicarsi all’attività di scrittore fecondo ed elegante,
lasciando una produzione di una trentina di volumi, fra cui numerose biografie di santi. Apprezzato dai letterati Pellico e Tommaseo e dai papi Pio IX
e Leone XIII per la sua spiritualità e le doti pastorali, si spense piamente il
19 gennaio 1883.
FERRUZZO Giovanni Battista, nacque a Messina. Licenziato in utroque iure e dottore in teologia, entrò nell’Oratorio messinese e divenne sacerdote il 7 marzo 1626. Ricoprì la carica di amministratore dell’ospedale degli italiani a Madrid e vi fondò, nel 1646, una Escuela de Cristo. Fu eletto
da Alessandro VII vescovo di Trivento il 14 gennaio 1655, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Giulio Sacchetti il 20 giugno successivo. Di
lui si sa solo che ottenne per la cattedrale la reliquia del cranio di san Valentino martire. Morì nell’agosto 1658.
FOPPA Giovan Battista, nacque a Roma nel 1603 ed entrò nell’Oratorio romano il 14 settembre 1622. Il 18 marzo 1643 fu eletto arcivescovo di
Benevento, dove propagandò il culto a san Filippo Neri, dedicandogli una
cappella in episcopio e facendolo eleggere protettore della città. Pastore zelante, governò la diocesi per oltre un trentennio, promuovendo la vita cristiana con l’esempio e la parola. Il 22 giugno 1643 fu insignito del pallio.
Morì il 16 dicembre 1673. Scrisse un commentario ai Morali di san Gregorio Magno, la cui prima parte (l’unica prodotta) fu edita a Roma nel 1673.
FUSTER Gaspare, nacque ad Albocácer (Spagna) nel 1652. Oratoriano
di Valencia, conseguì il dottorato in teologia all’università valentina (8 settembre 1673), dove in seguito fu professore. Divenuto sacerdote l’8 giugno
1675, fu beneficiario nella parrocchia di San Juan del Mercado e rettore del
Colegio de la Ciudad. Presentato dal re di Spagna (27 agosto 1714), il 4 ottobre 1714 fu eletto arcivescovo di Sassari, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 25 novembre successivo e il 7 dicembre seguente fu insignito del pallio. Di lui non si hanno molte notizie, perché
fu costretto a vivere a lungo lontano dalla sua sede. Nel 1717 si rifiutò di cantare in cattedrale il Te Deum per la conquista della Sardegna fatta da Filippo
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IV. Per questo fu allontanato dal regno ed ebbe sequestrate le rendite. Ritiratosi a Bonifacio, in Corsica, rientrò solo dopo la caduta della dominazione
austriaca, quando il regno di Sardegna passò a Vittorio Emanuele II di Savoia, ma morì poco dopo, il 28 agosto 1720, e fu sepolto in cattedrale. Durante il suo episcopato fu inaugurata, nel 1715, la grande facciata della cattedrale.
GARCÍA ABELLA Pablo, nacque a Madrid il 5 marzo 1776. Divenuto
sacerdote l’8 marzo 1800, nel 1803 entrò nell’Oratorio di Madrid, addottorandosi in teologia universa ad Almagro (10 settembre 1803). Il 9 giugno
1808, a causa dell’invasione della Spagna da parte delle truppe di Napoleone, fu deportato in Francia con altri confratelli, fino al 1814. Il 17 settembre
1827 fu eletto vescovo titolare di Tiberiopoli (Frigia Pacaziana II) e ausiliare di Toledo, ricevendo la consacrazione a Madrid, nella chiesa di san Filippo Neri, dal cardinale Pietro Inguanzo Rivero il 9 dicembre successivo. Presentato dal Re (18 dicembre 1832), il 15 aprile 1833 fu promosso vescovo
residenziale di Calahorra e La Calzada. La sua ferma difesa dei diritti della
Chiesa e le proteste presentate alla regina Isabel II contro la riforma del clero, la vendita dei beni ecclesiastici e la soppressione degli ordini religiosi, gli
costò la degradazione civile e l’esilio a Mallorca da parte del governo liberal-massonico, che lo tenne in questo stato, esiliato in varie città della Spagna, fino al 1844. Presentato dalla Regina (2 gennaio 1848), il 17 gennaio
1848 Pio IX lo elevò alla sede arcivescovile di Valencia, insignendolo del
pallio. Tanto crebbe il suo prestigio, che fu nominato membro della commissione per la stipulazione del Concordato del 1850. Egli, tra l’altro, si adoperò affinché un regolamento del 1852 contemplasse espressamente la restaurazione delle congregazioni dell’Oratorio in Spagna. Fu un pastore solerte del bene spirituale del suo popolo e del clero, ai quali predicò personalmente nei periodi di avvento e di quaresima, visitò personalmente tutte le
parrocchie, spronò i suoi diocesani alla preghiera e alla carità, specialmente
nel 1854, quando il colera, le inondazioni e un terremoto colpirono il territorio di Valencia. La salute, precaria negli ultimi anni, lo portò, dopo breve
infermità, alla morte avvenuta il 6 agosto 1860. Fu sepolto nella cappella dell’Immacolata Concezione della cattedrale di Valencia, dove fu posta un’iscrizione latina.
GIRGENTI Francesco, nacque a Palermo il 20 maggio 1639. Entrato
nella Congregazione oratoriana palermitana, divenne sacerdote il 29 marzo
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ANNALES ORATORII
1664. Dottore in utroque iure e in teologia, fu consultore e censore del S. Ufficio in Sicilia (1684) e vicario generale a Palermo (1695). Presentato dal re
Carlo II, l’11 aprile 1699 fu eletto vescovo di Patti da Innocenzo XII, ricevendo la consacrazione a Roma dal vescovo di Melfi il 12 aprile seguente.
Nel breve periodo del suo servizio pastorale si distinse per la carità verso i
poveri, gli sconsolati e i derelitti. Per beneficare i bisognosi esaurì più volte
i redditi dell’abbondante patrimonio della mensa vescovile, prelevò denaro a
mutuo per sollevare la miseria, si privò della biancheria e delle vesti per coprire gli ignudi. Protesse gli studi e gli studiosi, aprendo nuove scuole e ampliando il seminario. Morì di morte repentina il 25 settembre 1701 e fu sepolto in cattedrale.
GIUSTINIANI Fabiano, nacque a Terraferma (Genova) il 20 settembre
1578 da nobile famiglia. D’ingegno vivace, studiò brillantemente filosofia,
teologia, aritmetica, astronomia, disegno e pittura. Entrò nell’Oratorio di Roma l’11 gennaio 1597 e il 14 maggio 1606 divenne sacerdote. Si dedicò ad
opere di carità e alla predicazione dei sermoni, su argomenti tratti dalla Bibbia e dalla Patristica. Organizzò la biblioteca Vallicelliana, dotandola di un
catalogo in due volumi, per autore e per materia. Paolo V, il 13 giugno 1616,
lo nominò vescovo di Ajaccio. Intraprese un’intensa opera di riforma di usi
e costumi, istituì il seminario, aprì un collegio per la gioventù, celebrò un sinodo, restaurò, a proprie spese, la cattedrale e l’episcopio. Lasciò varie opere, edite ed inedite, di carattere scritturistico e bibliografico. Morì il 5 gennaio 1627 e fu sepolto nella cattedrale di Ajaccio.
GIUSTINIANI Orazio, nacque da famiglia genovese nell’isola di Chio
il 28 febbraio 1580. Nel 1604, recatosi a Roma, conobbe l’Oratorio dove entrò, assieme al fratello Giuliano, il 30 agosto 1614. Urbano VIII lo nominò
consultore del S. Ufficio (1630) e custode della Biblioteca vaticana. Il 13 settembre 1640 fu eletto vescovo di Montalto nel Piceno. Innocenzo X, il 16
gennaio 1645, lo trasferì – sembra per ragioni di salute – a Nocera Umbra
dove, il 7 luglio successivo, fondò la Congregazione oratoriana nella chiesa
di San Bernardo. Il 6 marzo 1645 fu creato cardinale col titolo di sant’Onofrio al Gianicolo. Il 25 settembre 1646 rinunciò all’ufficio pastorale, al quale si era dedicato con grande impegno, curando soprattutto l’istruzione religiosa del popolo e quella liturgica del clero, essendo stato nominato Bibliotecario di S. R. C. e Penitenziere Maggiore. Fu dotato di singolare bontà, dottrina e pietà, tanto che molti lo ritenevano degno successore di Innocenzo X
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nel papato. Se ne avvantaggiò il Papa, per le sue qualità e conoscenze, nelle
vicende della Chiesa greca e della Chiesa di Chio, con gli Orientali dissidenti
e, nel 1635, inviandolo ad Ancona per dirimere la questione dei tre prelati, i
quali rivendicavano, ognuno, la dignità patriarcale di Costantinopoli. Diede
alla luce parecchie opere, fra cui gli Acta sacri oecumenici Concilii Florentini; altre si trovano manoscritte nella biblioteca Vallicelliana di Roma. Nel
1646, a sue spese, fece erigere a Carbognano una chiesa dedicata a san Filippo Neri. Morì a Roma il 20 luglio 1649 e volle essere sepolto alla Vallicella.
GUZZONI Tommaso, nacque a Benevento nel 1632. Entrato nella Congregazione oratoriana di Perugia il 13 maggio 1653, divenne sacerdote il 18
settembre 1655. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma, fu «ottimo
soggetto nel sermoneggiare e fervoroso nell’osservanza dell’Istituto e perciò
stimato nella discreta diretione delle anime, da tutta la città». Ebbe rapporti
di spiritualità con la cortonese Lucia Tartaglini, fondatrice del Conservatorio
delle zitelle perugine, morta in concetto di santità. Il 13 gennaio 1681 fu eletto vescovo di Sora, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Alessandro Crescenzi il 26 gennaio successivo. Nel ministero episcopale brillò
per la pietà e per l’amore verso il prossimo. Diede alle stampe la vita del cardinale Baronio, in latino, e lasciò, manoscritta, quella di san Filippo Neri,
stampata postuma nel Bollando. Il 5 dicembre 1702 rinunciò all’ufficio pastorale. Morì a Roma l’8 novembre 1704.
HERRERO Y ESPINOSA DE LOS MONTEROS Sebastián, nacque a
Jerez de la Frontera (Cádiz) il 20 gennaio 1822. Dottore in utroque iure all’università di Siviglia, dopo una giovinezza laboriosa, nel 1856, entrò nell’Oratorio di Siviglia. Ordinato sacerdote nel 1860, si dedicò alla predicazione, alla direzione delle anime, all’assistenza dei condannati a morte e al
ripristino della Congregazione oratoriana di Cádiz. Nel 1861 fu nominato rettore del seminario di Cádiz, nel 1864 canonico della Collegiale di Jerez de
la Frontera, nel 1866 vicario generale di Cádiz e nel 1868 arciprete della cattedrale. Stimato per la sua cultura e integrità morale, fu proposto dal Re (23
gennaio 1875) e confermato da Pio IX, il 15 settembre 1875, vescovo di
Cuenca, ricevendo la consacrazione a Cádiz il 30 novembre successivo. Un
anno dopo, il 18 dicembre 1876, fu trasferito a Vitoria, dove costruì il seminario, lavorò instancabilmente per risolvere in termini pacifici le aspre contese politiche dei suoi diocesani e restituì ai gesuiti il santuario ignaziano di
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Manresa. Nel giugno 1880 rinunciò all’ufficio pastorale per motivi di salute.
Ristabilitosi, il 27 marzo 1882 fu nominato vescovo di Oviedo e il 15 marzo 1883 fu trasferito a Cordoba, dove fece la visita pastorale alla diocesi, partecipò al concilio provinciale e al congresso eucaristico nazionale e fu eletto
senatore, distinguendosi per la difesa dell’istruzione religiosa. Il 24 marzo
1898 fu promosso arcivescovo di Valencia. Il 22 giugno 1903 fu creato cardinale, col titolo dei santi Bonifacio ed Alessio. Fu un pastore infaticabile,
che si servì delle sue qualità pastorali e letterarie per la crescita spirituale e
umana dei suoi diocesani, in tutti i luoghi dove fu chiamato ad operare. Morì a Valencia il 9 dicembre 1903, dopo aver partecipato, pur malato, al conclave dal quale uscì Pio X. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Valencia, nella cappella dell’Immacolata Concezione.
HUIX MIRALPEIX Salvio (servo di Dio, martire), nacque a Santa Margarita de Vellors (Gerona) il 22 dicembre 1877. Ordinato sacerdote nella diocesi di Vic il 19 settembre 1903, entrò quattro anni dopo nella congregazione dell’Oratorio di quella città. Per vent’anni si dedicò ad un intenso apostolato: predicazione, confessione e direzione spirituale, pubblicazione d’articoli giornalistici, insegnamento in seminario, promozione d’associazioni
femminili, specialmente delle congregazioni mariane. Era preposito dell’Oratorio di Vic quando, il 15 febbraio 1927, fu nominato vescovo titolare di
Salimbria e amministratore apostolico di Ibiza. La vita religiosa ebbe da lui
uno straordinario impulso; gli obiettivi principali furono il seminario, il clero, l’azione cattolica, gli esercizi spirituali, il culto all’Eucaristia e alla Vergine Maria. Fece il primo sinodo, eresse varie parrocchie, pubblicò il catechismo diocesano in lingua catalana. Il 24 gennaio 1935 fu promosso alla
diocesi di Lérida, dove profuse la sua ansia apostolica a favore della gioventù
e diede notevole incremento al catechismo, all’azione cattolica e alla celebre
accademia mariana. Durante la rivoluzione, il 21 luglio 1936, i rossi assalirono il palazzo episcopale ed egli il 23 successivo, dopo aver messo in salvo i familiari e i servitori, si presentò spontaneamente ad un corpo di guardia, dichiarando il suo ufficio di pastore della città. In carcere, con gli altri
prigionieri, ci fu una vera gara di solidarietà e di spirito evangelico, culminati nella comunione – che doveva servire da viatico – distribuita clandestinamente dal vescovo tra la commozione generale. Il 5 agosto 1936, alle ore
4.30 del mattino, furono condotti al cimitero per la fucilazione. Monsignor
Huix impartì a tutti l’assoluzione e chiese di essere sacrificato per ultimo per
benedire i suoi compagni di martirio. Al momento dell’arresto consegnò la
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croce pettorale ad un conoscente, perché fosse fatta pervenire al Papa, assicurandolo della sua fedeltà alla Chiesa, per la quale offrì la vita.
JOURDAN DE LA PASSARDIÈRE Félix, nacque a Granville (Coutances) il 21 marzo 1841. Il 10 giugno 1865 fu ordinato sacerdote e nel 1868
entrò nell’Oratorio di Roma, per fondare, nel 1877, quello di Draguignan. Sacerdote pio, dall’eloquenza spontanea e calorosa, si dedicò alla predicazione
delle missioni in Francia, Italia, Spagna, Austria e Polonia. Istituì l’ Opera
della Gioventù e la Cappella oratoriana, con lo scopo di condurre alla fede
la classe intellettuale e quella popolare. Il 3 ottobre 1884 fu eletto vescovo
titolare di Roséa e ausiliare di Grenoble, ricevendo la consacrazione il 12 ottobre successivo. Il 13 novembre 1885 fu trasferito come ausiliare a Lione,
poi a Tunisi, quindi, dal 1893 al 1908, a Rouen, infine divenne ausiliare di
Parigi. Nel 1910 rinunciò all’ufficio pastorale e si ritirò a Granville, dove morì il 12 marzo 1913.
LANTERI Vincenzo, nacque a Ventimiglia. Entrò nell’Oratorio romano
il 17 maggio 1597, con destinazione alla casa di Napoli, allora dipendente da
Roma. Dottore in filosofia e teologia, il 18 maggio 1616 fu eletto arcivescovo di Ragusa (Dubrovnik in Dalmazia), insignito del pallio. Il 19 giugno 1628
fu trasferito da Urbano VIII alla Chiesa di Veroli. Disimpegnò con molta lode il ministero pastorale, celebrando nel 1630 il sinodo diocesano e dotando
la cattedrale di due nuove cappelle e di un artistico pulpito ligneo. Restaurò
il palazzo episcopale, dove eresse una cappella dedicata a san Filippo Neri.
Fu particolarmente devoto di santa Francesca Romana, ponendo nel 1632 la
prima pietra di una chiesa a lei dedicata. Provvide a regolare e a disciplinare in maniera più rigorosa la vita delle monache e del monastero delle Benedettine. Donò alla biblioteca Vallicelliana il codice B. 32 del sec. XI, insigne monumento paleografico della città di Veroli. Qui morì il 3 ottobre 1649
e fu sepolto in cattedrale.
LÓPEZ Y GARCÍA Simón, nacque a Nerpio (Murcia) l’11 aprile 1744.
Dottore in teologia, entrò nella Congregazione oratoriana di Murcia, dove si
dedicò all’assistenza dei bisognosi e alla traduzione in castigliano d’opere
d’autori religiosi di quel tempo. Amico del beato Diego José de Cádiz, assistette nel 1804, a Cartagena, gli appestati con pericolo della sua vita. Nominato membro del senato di Cádiz, si distinse nella difesa dei diritti della Chiesa e contro le riforme liberali. Il re Fernando VII lo preconizzò, nel 1814, ve-
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scovo di Panamá, però il 18 dicembre 1815 fu eletto vescovo d’Orihuela, ricevendo la consacrazione a Valencia il 5 maggio 1816. Essendosi rifiutato di
sottomettersi alla costituzione, durante il triennio liberale, fu allontanato dalla Penisola. Si stabilì a Roma, dove Pio VII lo nominò prelato domestico, assistente al soglio pontificio e nobile romano. Nel 1823 ritornò in diocesi. Leone XII, il 27 settembre 1824, lo promosse alla sede arcivescovile di Valencia, insignito del pallio. Nonostante l’età avanzata, compì la visita pastorale
alla diocesi e, di frequente, per mezzo di lettere pastorali, mise in guardia i
suoi diocesani dai pericoli delle idee laiciste, allora imperanti, esortandoli a
compiere fedelmente i doveri cristiani. Nel 1824 creò la Giunta della Fede,
per salvaguardare l’ortodossia contro gli eccessi e le contestazioni. Fu protettore dell’ospedale generale, del seminario conciliare, dell’università letteraria, della casa della misericordia e della beneficenza, dei conventi dei religiosi agostiniani e francescani. Completò, a sue spese, il restauro nella cattedrale, ed edificò il convento delle carmelitane e il collegio dei sacerdoti
missionari di san Vincenzo de Paoli. Morì, carico d’anni e di fatiche, il 3 settembre 1831. Fu sepolto in cattedrale, nell’attuale cappella di san José.
MACULANI PERBENEDETTI Cosmo, nacque a Camerino il 12 novembre 1702. Entrato nell’Oratorio camerinese, divenne sacerdote il 21 dicembre 1726, distinguendosi come predicatore e confessore. Dottore in teologia alla Sapienza di Roma (16 aprile 1748), il 6 maggio 1748 fu eletto vescovo di Terni, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Guadagni il
12 maggio successivo. Morì il 6 ottobre 1767.
MANZIANA Carlo, nacque ad Urago Mella (Brescia) il 26 luglio 1902.
Amico sin dalla giovinezza di Giovanni Battista Montini, il 20 novembre
1923 entrò nell’Oratorio della Pace di Brescia, divenendo sacerdote il 2 gennaio 1927. Fu docente di religione nei licei bresciani, fine cultore di belle
arti e musica, ispiratore e sostenitore della resistenza al fascismo. Per la sua
attività, fu arrestato il 6 gennaio 1944 e tradotto nel campo di concentramento di Dachau, in Germania, tra gli internati politici, dove coltivò amicizie con cattolici, ortodossi e protestanti. Nel campo di concentramento diede testimonianza di fede e di coraggio, attuando alla lettera quanto ebbe a
dire: «Nei lager vinse l’amore». Il suo fragile fisico sopravvisse alle pesanti sevizie e alla dura detenzione. Liberato dalle forze americane il 29 aprile
1945, rimase in loco, dove si prodigò per il sostegno morale e materiale dei
confratelli e dei compagni di prigionia. Rientrato in Italia, proseguì la mis-
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sione d’educatore, specie fra i giovani studenti e gli intellettuali. Nominato
da Paolo VI vescovo di Crema il 6 gennaio 1964 e ordinato il 2 febbraio
dello stesso anno, s’impegnò con totale dedizione e amore alla vita pastorale della diocesi e nella collaborazione alla riforma liturgica nazionale, iniziata col concilio Vaticano II. Nel settembre 1981 rinunziò all’ufficio pastorale ritornando a Brescia, dove poté ancora svolgere quasi fino alla fine,
il suo ministero spirituale e culturale. Morì il 2 giugno 1997, lasciando il ricordo di un appassionato amore a Cristo e alla Chiesa. Fu sepolto nella cattedrale di Crema.
MARELLI Tommaso Maria, nacque a Robassomero (Torino) il 23 luglio 1673. Entrato nell’Oratorio di Roma il 16 agosto 1692, divenne sacerdote il 21 dicembre 1697. Dottore in teologia a Urbino (2 settembre 1716),
il 7 dicembre 1716 fu eletto da Clemente XI arcivescovo d’Urbino, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Sebastiano A. Tanario il 21 dicembre successivo, insignito del pallio. Il 23 febbraio 1739 fu trasferito alla
Chiesa d’Imola. Il suo ministero episcopale fu un esempio luminoso ed edificante di vita apostolica. Visitò più volte le diocesi, consacrò varie chiese,
sopì antiche controversie, convocò il sinodo diocesano. Rimangono, splendido documento del suo zelo, gli Atti della Sacra Visita Pastorale, singolare
«per ampia erudizione, per copia di documenti, per zelo indefesso e per disciplina di sacri canoni». Morì il 9 febbraio 1752.
MARTINELLI Francesco, nacque a Palermo da nobile famiglia. Dottore in diritto canonico e civile, in gioventù fu avvocato e giudice. Entrato nell’Oratorio palermitano, divenne sacerdote e nel 1677 vicario generale di Palermo. Presentato dal re Carlo II di Spagna (26 marzo 1679), fu eletto da Innocenzo XI vescovo di Patti il 22 gennaio 1680. Appena arrivato in diocesi
cominciò la costruzione della chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti, officiata dalla confraternita dei Bianchi, che aveva lo scopo di cooperare alla salvezza spirituale dei condannati a morte. Gettò le basi per l’erezione della congregazione dell’Oratorio. Morì, dopo un anno appena di vescovado, il 3 aprile 1681, lasciando erede di tutti i suoi beni patrimoniali la nascente Congregazione oratoriana.
MAZZONI João, si recò in Brasile al seguito della famiglia reale, come
confessore della infanta D. Mariana, presso la corte di Rio de Janeiro. Oratoriano di Bahia, il 13 maggio 1818 fu eletto dal re João VI arcivescovo di
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São Salvador da Bahia, ma egli ricusò la dignità episcopale, a causa dell’età
avanzata e di mali fisici.
METTI Giulio, nacque a Firenze il 9 luglio 1816. D’umile origine, entrò
nella Congregazione oratoriana di Firenze nel 1834 e fu ordinato sacerdote
il 25 maggio 1839. Uomo d’elevato ingegno e di buona cultura, divenne l’anima della vita oratoriana in quella città. Nel 1848 gli fu affidato la direzione dell’Oratorio e il 4 settembre 1867 l’ufficio di preposito. Per le sue qualità e meriti divenne l’esponente più autorevole della sua Congregazione, alla quale prestò grandissimi servigi soprattutto nei tempi difficili della soppressione e dell’incameramento dei beni. Fu in relazione con uomini insigni
del suo tempo, che gli tributarono, col calore dell’amicizia, l’omaggio d’alti
riconoscimenti. Toccò a lui il privilegio di accogliere per la prima volta in
Firenze, il 14 dicembre 1865, don Bosco, col quale era in corrispondenza epistolare, e di presentarlo alla città. Collaborò a periodici e lasciò varie pubblicazioni: scritti d’occasione, drammi sacri per i giovani, versi, traduzioni,
biografie. Il 29 luglio 1872 fu eletto vescovo di Livorno, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Camillo di Pietro. Sempre un po’ cagionevole di salute, dopo appena due anni, il 4 settembre 1874, morì, compianto
da tutti.
MINUTOLO CAPECE Enrico, nacque a Napoli il 20 gennaio 1745. Entrato nell’Oratorio napoletano, fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1768. Dottore in teologia universa all’università di Napoli (31 maggio 1792), fu presentato dal re Ferdinando, il 13 giugno 1792, come vescovo di Mileto. Pio
VI lo nominò il 18 giugno successivo, ricevendo la consacrazione a Roma
dal cardinale Corsini il 24 seguente. Ebbe dal Papa l’espresso mandato di occuparsi della ricostruzione della cattedrale, dell’episcopio, del seminario e del
monte di pietà. Il decennio francese lo costrinse a restare fuori sede, mentre
Mileto divenne campo di battaglia e quartiere dei francesi. Ritornato nel
1813, si dedicò alla ricostruzione morale e materiale della diocesi, eresse
nuove parrocchie, ripristinò gli ospedali, fu prodigo verso i poveri, consacrò
la cattedrale, visitò personalmente la diocesi. Morì a Mileto il 6 maggio 1824
e fu tumulato nella cattedrale.
MOLA Carlo, nacque a Napoli il 30 agosto 1832 e divenne sacerdote nell’Oratorio napoletano il 20 dicembre 1856. Laureato in lettere e scienze filosofiche, il 12 giugno 1893 fu eletto vescovo di Foggia, ricevendo la con-
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sacrazione a Roma dal cardinale Lucido Maria Parrocchi il 18 giugno successivo. Nel ministero pastorale mostrò predilezione per i poveri, gli ammalati e i detenuti. Ebbe a cura il seminario, si occupò dell’aggiornamento culturale dei sacerdoti, fece restaurare e riaprire al culto varie chiese. Nel 1898
invitò a Foggia le suore Marcelline per l’educazione della gioventù femminile. Nel 1909, per ragioni di età e di semicecità, rinunciò all’ufficio pastorale e il 29 aprile dello stesso anno fu trasferito alla Chiesa titolare di Sasima (Cappadocia). Morì a Napoli, dove si era ritirato, l’8 gennaio 1914. Lasciò vari scritti di carattere pastorale; tra questi sono ricordati La vita del sacerdote nei nostri tempi e una Vita della Madonna.
MONTEIRO Nicolau, nacque a Porto il 6 dicembre 1581. Dottore in diritto canonico e vicario generale di Coimbra, nel 1644 ebbe l’incarico di presentare al papa Innocenzo X, per conto di D. João IV, lo stato della Chiesa
portoghese, implorando la nomina dei vescovi in Portogallo. D. João IV lo
nominò maestro del principe D. Alfonso e dell’infante D. Pedro e per due
volte vescovo, prima a Portolegre poi a Guarda, ma non ebbe la conferma
pontificia. Nel 1659 fu uno dei primi congregati, della Congregazione di Lisbona, con il padre Bartolomeu de Quental, fondatore dell’Oratorio in Portogallo. Il 15 dicembre 1670 Clemente X confermò la nomina a vescovo di
Porto, fatta da D. Pedro. Ricevette la consacrazione a Lisbona, nella chiesa
della Congregazione, il 31 maggio 1671 dal nunzio Francesco Ravizza. Il suo
episcopato brillò per la grande carità verso i poveri, che ogni giorno accorrevano alla porta del palazzo vescovile, e nel soccorrere le famiglie bisognose
e vergognose. Lasciò alla Santa Casa della Misericordia di Porto un legato
per l’assistenza degli ammalati durante la convalescenza. Morì, a 91 anni d’età, il 20 dicembre 1672, in concetto di santità.
MORA Giovanni Francesco, patrizio veneto, nacque a Venezia l’8 agosto 1706 e divenne sacerdote il 20 dicembre 1738. Oratoriano di Napoli e
dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma, il 19 febbraio 1748 fu eletto
vescovo titolare di Famagosta (Isola di Cipro) da Benedetto XIV, ricevendo
la consacrazione a Roma dal vescovo di Novara il 17 marzo successivo. Clemente XIII, il 2 ottobre 1758, lo promosse vescovo residenziale di Adria. Visitò più volte la diocesi, si dedicò con particolare cura alla riforma del clero,
difese strenuamente i diritti della sua Chiesa, fece ampliare il palazzo vescovile, beneficò la cattedrale donandole suppellettili e istituendovi tre mansionerie perpetue. Caduto infermo, lasciò per testamento ogni suo avere, tran-
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ANNALES ORATORII
ne alcuni legati, al seminario. Morì ad Adria il 15 gennaio 1766 e fu sepolto
nel presbiterio della cattedrale.
MULSUCE Gaetano Antonio, dell’Oratorio di Goa. Il 24 maggio 1843
fu eletto vescovo titolare d’Usula (Bizacem) e vicario apostolico di Ceylon,
con decreto della congregazione di Propaganda Fide, approvato da Gregorio
XVI. Ricevette la consacrazione a Pondicherry il 24 settembre dello stesso
anno. Morì il 25 gennaio 1857.
MUSCETTOLA Tiberio, nacque a Napoli nel 1637. Membro dell’Oratorio napoletano, il 13 maggio 1680 fu eletto vescovo di Manfredonia. Ricevette la consacrazione a Roma dal cardinale Vincenzo Maria Orsini il 19
maggio successivo e il 27 maggio dello stesso mese fu insignito del pallio.
Rinunciò all’ufficio pastorale il 25 febbraio 1708. Diede alle stampe varie
opere, fra cui i Discorsi morali (Venezia 1670).
NASELLI Giovanni Battista, nacque a Napoli il 25 giugno 1786. Dottore in teologia universa, entrò nell’Oratorio di Palermo, dove divenne sacerdote il 23 dicembre 1809. Presentato dal re di Sicilia (20 giugno 1850), il
17 febbraio 1851 fu eletto vescovo di Noto, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Antonio Francesco Orioli il 21 aprile successivo. Il 27 giugno 1853, presentato dal re di Sicilia il 26 maggio precedente, fu trasferito
alla Chiesa arcivescovile di Palermo e insignito del pallio. Morì il 3 maggio
1870.
NASELLI Pietro, nacque a Palermo nel 1782. Entrato nell’Oratorio di
Palermo, divenne sacerdote il 19 dicembre 1807. Presentato dal re di Sicilia
(3 luglio 1837), il 15 febbraio 1838 fu nominato vescovo di Piazza Armerina, ricevendo la consacrazione a Monreale. Il 13 luglio 1840 fu trasferito, col
titolo d’arcivescovo, alla Chiesa di Nicosia. Sebbene insignito di titoli e incarichi prestigiosi: Principe di Aragona, Grande di Spagna, Cappellano Maggiore di Sua Maestà, Gran Priore del Real Ordine Costantiniano, visse sempre umile, pio, fedele ai suoi doveri di oratoriano e di vescovo. Morì a Napoli il 16 dicembre 1862.
NEWMAN John Henry (venerabile), nacque a Londra il 21 febbraio
1801. Educato nella religione anglicana, a 15 anni ebbe una prima conversione spirituale. Compiuti brillantemente gli studi all’università d’Oxford, nel
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
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1824 divenne sacerdote nella Chiesa anglicana e, nel 1828, gli fu affidata la
parrocchia di St. Mary. Nel 1833 fondò con alcuni amici il Movimento di Oxford, dove lo studio dei Padri della Chiesa e della storia del cristianesimo lo
portò «guidato per mano di Dio» alla convinzione che la Chiesa cattolica romana era «l’unico gregge di Cristo». Dopo una lunga lotta interiore, il 9 ottobre 1845 fu accolto nella Chiesa cattolica e il 26 maggio 1847 fu ordinato
sacerdote a Roma. Tornato in patria, fondò a Birminghan l’Oratorio di san
Filippo Neri, trovando in esso quelle caratteristiche di gioia, di libertà interiore, di carità che aveva sempre cercato. Lavorò instancabilmente per i poveri, scrisse innumerevoli lettere e libri, soffrì moltissimo per incomprensioni, sospetti, opposizioni. Il 12 maggio 1879 Leone XIII lo creò cardinale. Visse ancora undici anni, umile e nascosto, nell’Oratorio di Birminghan, nella
revisione dei suoi scritti – fra cui la celebre Apologia pro vita sua – in continua preghiera, nell’attesa dell’ultima chiamata di Dio, che venne l’11 agosto 1890, giorno in cui passò «dalle ombre e dalle immagini alla Verità».
ORSI Giovanni Battista, nacque a Forlì nel 1668 e divenne prete dell’Oratorio forlivese il 26 dicembre 1711. Addottorato in utroque iure a Parma (1689), il 21 marzo 1725 fu eletto vescovo di Cesena, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 25 aprile successivo. In
precedenza (29 marzo), divenne assistente al soglio pontificio. Attuò con coraggio e fermezza varie opere di carattere spirituale e umanitario, ottenne dal
Papa che l’università cesenate potesse laureare in teologia, soppresse la compagnia del rosario dandone la chiesa ai domenicani e il convento di Casacarello donando i beni al seminario, fece rimettere al suo posto, nella cappella
del Sacramento in cattedrale, l’immagine della Madonna del Popolo, entrò in
possesso dell’ospedale di San Tobia e lo assegnò al seminario, celebrò il sinodo (1728). Rimasto cieco, il 15 novembre 1734 rinunciò all’ufficio pastorale. Morì qualche anno dopo e fu sepolto in Cesena, nella chiesa dei Minimi di san Francesco di Paola.
ORSINI Mondillo, nacque a Solofra (Salerno) il 22 luglio 1690, dai duchi di Gravina, feudatari di Solofra. Divenuto sacerdote il 24 giugno 1713,
entrò nella congregazione dell’Oratorio di Napoli, dove si conquistò la stima
di tutti per l’affabilità del carattere e l’esemplarità della vita. Laureatosi in
utroque iure a Roma, il 26 giugno 1724 fu eletto arcivescovo titolare di Corinto, ricevendo la consacrazione a Roma dal papa Benedetto XIII, di cui era
nipote. Il 23 settembre successivo divenne assistente al soglio pontificio e fu
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ANNALES ORATORII
insignito del pallio. Il 20 novembre 1724 fu trasferito alla Chiesa residenziale
di Melfi e Rapolla. Visitò tutta intera la diocesi, dotandola di saggi decreti
per incrementare la vita cristiana. A Melfi restaurò il palazzo vescovile, a Rapolla portò a termine la fabbrica della cattedrale e riaprì il seminario. L’8 marzo 1728 fu nominato arcivescovo di Capua. Il 23 marzo 1729 fu promosso
patriarca di Costantinopoli, pur rimanendo vescovo di Capua. Il 19 dicembre
1743 diede le dimissioni dall’ufficio pastorale. Fu un pastore prudente, caritatevole e zelante. Morì a Napoli nel gennaio 1750.
ORUETA Y CASTRILLÓN Francisco, nato a Lima il 4 ottobre 1804,
divenne dottore in diritto canonico all’università San Marco di Lima il 21 ottobre 1827 e sacerdote l’11 ottobre 1829. Ricoprì l’incarico di cappellano, di
vicario e di segretario di camera. In seguito entrò nell’Oratorio di Lima. Il
28 settembre 1855 fu eletto da Pio IX vescovo titolare di Ege, ricevendo la
consacrazione a Lima il 23 dicembre successivo. Presentato dal presidente
della repubblica peruviana (11 agosto 1859), il 26 settembre 1859 fu eletto
vescovo residenziale di Trujillo. Il 21 maggio 1873 fu promosso arcivescovo di Lima ed insignito del pallio. Nel ministero episcopale si conquistò l’amore dei suoi diocesani, dimostrando rara saggezza e profonda dottrina, tanto da essere considerato il primo fra i vescovi del Sud America. Morì nell’ottobre 1886.
PANZANI Gregorio, nacque a Roma il 16 ottobre 1592, oriundo d’Arezzo. Entrato nella congregazione romana dell’Oratorio il 7 marzo 1625, divenne sacerdote nel 1626. Dottore in utroque iure, nel novembre 1629 fu inviato da Urbano VIII in missione in Inghilterra, presso la regina Enrichetta
Maria di Borbone. Più volte designato alla dignità vescovile, il 13 agosto
1640 fu eletto arcivescovo di Mileto. Visitò tutta la diocesi, riedificò il palazzo vescovile distrutto dal terremoto, come pure quello di Monteleone e la
chiesa di Sant’Agnese, fondò il monte di pietà, eresse un nuovo vicariato,
una collegiata e varie parrocchie, tenne una decina di sinodi, difese l’immunità ecclesiastica dagli attacchi dei marchesi d’Arena e di san Giorgio-Polistena. Morì il 25 giugno 1660, lasciando oltre un migliaio tra libri e manoscritti, che formarono il primo nucleo della biblioteca Alessandrina di Roma.
PETRUCCI Pier Matteo, nacque a Jesi il 20 maggio 1636. Dottore in
utroque iure, il 2 febbraio 1661 entrò nella Congregazione oratoriana jesina,
dove il 14 marzo successivo ricevette l’ordinazione sacerdotale. Si dedicò ad
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
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un intenso apostolato come predicatore, catechista, direttore spirituale e allo
studio della teologia, della Sacra Scrittura, delle lingue e alla lettura degli autori spirituali che meglio rispondevano alle sue tendenze mistiche. Innocenzo XI lo nominò il 14 aprile 1681 vescovo di Jesi, ricevendo la consacrazione a Roma, alla Vallicella, dal cardinale Alessandro Cybo il 20 aprile successivo. Dedicò l’attività episcopale alla predicazione, alle visite pastorali,
alla celebrazione di due sinodi, dando l’esempio di una vita umile e povera,
sollecito verso i bisogni del popolo e la riforma del clero. Il 2 settembre 1686
fu nominato da Innocenzo XI cardinale col titolo di san Marcello. Incorso,
disgraziatamente, nelle erronee dottrine del Quietismo, nel 1687 fu processato e le sue opere condannate (1688). Egli si sottomise pienamente e ritrattò tutto, conducendo in seguito una vita austera e santa, guidato dal preposito romano padre Francesco Marchesi. Nell’agosto 1694 fu nominato visitatore nella diocesi di San Severino. A causa delle precarie condizioni di salute, nel 1695 si stabilì a Roma, chiamato a far parte di varie Congregazioni
vaticane, compresa quella dell’Indice. Il 21 gennaio 1696 rinunciò definitivamente all’ufficio pastorale. Diede alle stampe molte opere religiose, poesie sacre e una raccolta di lettere pastorali. Morì il 5 luglio 1701, mentre era
in visita a Montefalco, di cui era abate commendatario, e venne sepolto presso la tomba di santa Chiara, dove fu posto un epitaffio che lo definisce «ornatissimo di pietà e di dottrina».
PIERLEONI Florido, nacque a Città di Castello il 28 gennaio 1742. Entrato nell’Oratorio tifernate, divenne sacerdote il 20 settembre 1766. Si dedicò all’insegnamento della filosofia e della teologia ai giovani e alla predicazione. Dottore in teologia (15 settembre 1802), il 20 settembre 1802 accettò, per obbedienza, la nomina a vescovo d’Acquapendente, ricevendo la
consacrazione a Roma dal cardinale Giulio Maria della Somaglia il 26 settembre successivo e divenendo il giorno seguente assistente al soglio pontificio. Lo zelo profuso in quei tristissimi anni e la fedeltà al Papa gli procurarono l’amarezza di essere deportato in Francia. Dopo quattro anni, passata
la bufera, ritornò nella sua diocesi dove, oltre l’impegno pastorale, rinnovò
la cattedrale ed edificò un ampio seminario. Morì, compianto da tutti, il 29
dicembre 1829. Diede alle stampe opere di carattere religioso, fra cui le due
lettere pastorali inviate ai sacerdoti durante il periodo francese. Fu anche, dal
4 giugno 1787, postulatore della causa di canonizzazione della serva di Dio
(ora santa) Veronica Giuliani.
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ANNALES ORATORII
RANALDI Ignazio, nacque a Macerata il 27 marzo 1772. Illustre per nobiltà e dottrina, il 23 luglio 1793 entrò nell’Oratorio di Roma , divenendo sacerdote il 19 dicembre 1795. Rimasto fedele alla Chiesa durante la persecuzione napoleonica, dopo ripetuti rifiuti, il 25 maggio 1818 accettò da Pio VII
il vescovado di Ripatransone, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Alessandro Mattei il 31 maggio successivo. Il 23 agosto 1819 fu trasferito all’arcivescovado d’Urbino e insignito del pallio. Leone XII, il 21 aprile 1826, lo nominò visitatore apostolico nel regno di Sardegna, con l’incarico di riordinare le diocesi, e delegato in Corsica per urgenti affari ecclesiastici. Fu un pastore pio, umile, zelante, preoccupato soprattutto della riforma
del clero e di rimettere in vigore la disciplina ecclesiastica, amante del seminario e dei suoi chierici. Ottenne anche il ripristino della Università degli
Studi. Un morbo violento, causato dalle fatiche e dalle sofferenze morali, lo
sorprese a Sassari, dove morì il 2 gennaio 1827, lasciando «una fama immortale di sé». La morte addolorò molto il Papa, che attendeva il suo ritorno a Roma per crearlo cardinale. Fu sepolto nella cattedrale di Urbino, davanti all’altare della Vergine della Misericordia.
SÁNCHEZ-CID Y CARRASCAL Antonio María, nacque a Fregenal
de la Sierra (Badajoz) il 15 gennaio 1789. Dottore in filosofia e teologia all’università di Sevilla e sacerdote nel 1812, il 26 aprile 1813 entrò nella Congregazione oratoriana di Sevilla. Presentato dalla Regina (5 agosto 1852), il
27 settembre 1852 fu eletto vescovo di Coria. Amò grandemente la sua Congregazione, adoperandosi con tutte le forze per la sua restaurazione. In essa,
anche da vescovo, trascorse vari momenti con i confratelli, che spronava a
vivere «uniti, in pace e in carità» e ottenne uno di loro, che visse come familiare con lui nel palazzo episcopale. Nel 1854 fondò il bollettino ecclesiastico ufficiale della diocesi. Dal 13 settembre 1857 risiedette stabilmente nell’Oratorio di Sevilla, a causa di una gravosa infermità. Morì il 14 febbraio
1858 e fu sepolto nella chiesa della Congregazione.
SPERELLI Alessandro, nacque ad Assisi. Dottore in utroque iure, entrò
nell’Oratorio di Perugia, dove manifestò ottime qualità nel sermoneggiare e
grande generosità. Il 28 aprile 1642 fu eletto vescovo titolare d’Orthosias in
Caria. Ricevette l’ordinazione a Roma il 4 maggio successivo dal cardinale
Giulio Sacchetti, del quale divenne consultore. Il 14 marzo 1644 fu promosso vescovo residenziale di Gubbio, dove eresse la Congregazione oratoriana
e consacrò la nuova cattedrale. Dal 24 ottobre 1652 al novembre 1653 fu nun-
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
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zio nel Regno di Napoli. Il 23 marzo 1656 divenne assistente al soglio pontificio. Morì il 19 gennaio 1672. Insigne pastore, lasciò un grato ricordo per
lo zelo apostolico, testimoniato da varie istituzioni, da lui promosse. Rimangono anche suoi scritti su argomenti morali, liturgici e pastorali. L’Ughelli lo
definì «vir morum probitate, doctrina et eruditione celebris».
SPÜLBECK OTTO, nacque ad Aachen l’8 gennaio 1904. Entrato nell’Oratorio di Lipsia, divenne sacerdote il 5 aprile 1930. Il 28 giugno fu eletto vescovo titolare di Cristopoli, ricevendo la consacrazione il 25 luglio successivo.
Il 20 giugno 1958 fu nominato vescovo residenziale di Meissen. Si dedicò alla cura delle vocazioni sacerdotali, alla costruzione di nuove chiese e all’istruzione degli studenti, che incontravano grosse difficoltà frapposte dal regime comunista. Organizzò la resistenza nelle valli alpine, mantenendosi vicino a migliaia dei suoi giovani. Dedicò molta parte delle cure pastorali agli universitari e ai laureati. Fu membro della Commissione speciale per la riforma dei libri
liturgici, istituita dopo il concilio Vaticano II. Morì il 21 giugno 1970.
TARUGI Francesco Maria (venerabile), nacque a Montepulciano (Siena)
il 25 agosto 1525 da nobile famiglia. Dottore in lettere, legge e scienze, nel
1565 entrò nell’Oratorio romano, divenendo sacerdote nel 1571. Fu stimato
per la sua eloquenza nel predicare (dux verbi), per lo spirito missionario, per
le opere di carità e per l’organizzazione della Congregazione oratoriana. Nel
1586 fondò la casa di Napoli, che governò come rettore fino al 1592. Arcivescovo d’Avignone (9 dicembre 1592) e poi di Siena (15 settembre 1597), si
distinse come pastore pio, zelante e saggio riformatore, secondo lo spirito del
concilio di Trento. Il 5 giugno 1596 fu creato cardinale da Clemente VIII col
titolo di san Bartolomeo all’Isola. Morì alla Vallicella l’11 giugno 1608 e fu
sepolto nella cripta, sotto il presbiterio dell’altare maggiore.
TEWES Ernst, nacque ad Essen il 4 dicembre 1908. Ordinato sacerdote
il 16 febbraio 1934, fino al 1939 esercitò il ministero come cappellano a Dusselford. Nel 1939 entrò nell’Oratorio di Lipsia. Dal 1940 al 1945 prestò servizio come cappellano militare, poi per quattro anni fu prigioniero dei russi,
catturato al fronte, ove svolgeva opera d’assistenza spirituale fra le truppe tedesche. Il 1° maggio 1950 fu inviato a fondare l’Oratorio filippino a Monaco, dove per molti anni fu parroco della chiesa di San Lorenzo, canonico coadiutore del capitolo metropolitano e incaricato della cura d’anime nella curia diocesana. Il 3 luglio 1968 fu nominato da Paolo VI vescovo titolare e au-
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ANNALES ORATORII
siliare di Monaco e Frisinga, ricevendo la consacrazione il 24 settembre successivo. Morì il 16 gennaio 1998.
TIBERI Francesco Felice, nacque a Vasto (Chieti) il 19 ottobre 1763.
Dottore in teologia e in utroque iure all’università di Napoli (3 febbraio
1798), fu ordinato sacerdote il 23 dicembre 1786 ed entrò nella congregazione romana dell’Oratorio il 2 luglio 1806. Fu oratore sacro e fecondo cultore della poesia italiana e latina. Presentato dal re di Sicilia (20 marzo 1818),
il 6 aprile 1818 fu eletto vescovo di Valva e Sulmona, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Alessandro Mattei il 12 aprile successivo. La
sua opera più importante fu l’apertura, nel 1824, del seminario, per il quale
scrisse il libro delle Regole e delle Preghiere, dotandolo di una ricchissima
biblioteca. Regolò la disciplina degli ecclesiastici e dei religiosi, promosse
varie manifestazioni liturgiche e il culto dei santi, istituì in tutte le chiese parrocchiali le Quarantore e le Confraternite, ottenne che la cattedrale di san
Panfilo fosse onorata col titolo di basilica minore. Fu legato da filiale amicizia col Re di Napoli e col papa Pio VII. Morì il 22 aprile 1829. Una epigrafe, posta nell’atrio del vescovado, ne celebra le virtù e i meriti.
VALGUARNERA Domenico, nacque a Palermo il 3 novembre 1697. Entrato nell’Oratorio palermitano, divenne sacerdote il 20 ottobre 1720. Dottore in teologia alla Sapienza di Roma (15 novembre 1722), il 17 novembre
1732, presentato dal Re di Sicilia (13 agosto 1732), fu eletto vescovo di Cefalù, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Francesco Barberini il
7 dicembre successivo. Morì il 2 maggio 1751.
VECCHIONI Salvatore, nacque a Napoli il 31 dicembre 1739 e divenne sacerdote il 18 dicembre 1762. Oratoriano di Napoli e dottore in utroque
iure all’università partenopea (12 novembre 1778), si dedicò alla direzione
spirituale e alla predicazione, specialmente del catechismo. Il 14 dicembre
1778 fu eletto vescovo d’Anglona-Tursi, ricevendo la consacrazione a Roma
dal cardinale Conti il 20 dicembre successivo. Resse per 40 anni la diocesi
in tempi difficilissimi. Sotto di lui il monastero di Carbone passò alla giurisdizione vescovile, essendo stati tolti nel 1783 i Commendatari. Morì il 28
ottobre 1818.
VISCONTI Alfonso, nobile milanese, venne a Roma nel 1573 al seguito
del cardinale Carlo Borromeo. Penitente di padre Filippo, nel 1575 fu ordi-
G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli
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nato sacerdote e, pur essendo prelato, nel 1577, ottenne di entrare nella comunità oratoriana di Roma. Padre Filippo non gli permise di lasciare l’abito
prelatizio, prevedendo per lui alti compiti da parte della Santa Sede. Nel 1581
ebbe dal papa Gregorio XIII l’incarico di varie missioni diplomatiche a Malta, in Spagna, in Portogallo e a Vienna. L’8 febbraio 1591 fu eletto vescovo
residenziale di Cervia e il 3 marzo 1599 fu creato da Clemente VIII cardinale col titolo di san Giovanni a Porta Latina. Il 10 settembre 1601 fu trasferito alla Chiesa di Spoleto e il 23 ottobre 1606 fu inviato come legato nelle
Marche, in Umbria e in Polonia. Fu anche consigliere del duca di Transilvania e Valacchia nella guerra contro i Turchi e di Rodolfo II a Praga. Morì a
Macerata il 19 settembre 1608. Fu sepolto nella basilica di Loreto.
XAVIER Francisco, dell’Oratorio di Lisbona. Fu ordinato sacerdote il 31
maggio 1806. Nel 1812 si recò missionario a Ceylon, entrò nella Congregazione oratoriana di Goa e divenne il superiore della missione ceylonese, iniziata nel 1696 dal padre José Vaz. Il 3 dicembre 1834 fu eletto vescovo titolare di Taumaco e primo vicario apostolico di Ceylon, ma ciò non ebbe attuazione per la sua morte avvenuta, ancora prima della nomina, l’11 gennaio
1834.
Gontranno Tesserin, C.O.
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A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
201
EL PADRE DR. DN. TEODOMIRO IGNACIO DÍAZ DE LA VEGA
(1736-1805) DE LA CONGREGACIÓN DEL ORATORIO
DE SEVILLA Y LAS CONGREGACIONES DEL ORATORIO
EN ESPAÑA EN LA SEGUNDA MITAD DEL SIGLO XVIII
El 30 de julio de 2003 se cumplieron CCLXVII años del nacimiento del
Padre Dr. Dn. Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega -el Padre Vega para sus
contemporáneos1. Aunque no se trata de un aniversario en cifras redondas,
para resaltar con él algún acontecimiento memorable, nos sirve de recordatorio de uno de los sacerdotes más notables del Oratorio en España, y para
hacer alguna consideración sobre la historia externa de las Congregaciones
del Oratorio en los años de la madurez personal y apostólica del Padre Vega,
que corresponden a la segunda mitad del siglo XVIII, y en la cual las Congregaciones no pueden sustraerse a la situación general de la sociedad y de
la Iglesia en España, que seguirá evolucionando en la centuria siguiente. Y
por otra parte, en no pocas ocasiones ha podido parecer que nuestras congregaciones jurídicamente independientes y autónomas, se han fundado, han
vivido y han desaparecido ajenas unas a otras, desconociéndose mutuamente, cuando la realidad de las fuentes y de la historia demuestra todo lo contrario, unidas por íntimas relaciones y también por los acontecimientos externos en muchos casos. Queremos resaltar las tradiciones y las actividades
apostólicas filipenses que confluyen en la vida del Padre Vega en la segunda mitad del siglo XVIII, especialmente en Andalucía.
Cuando el joven Teodomiro entra en la Congregación de Sevilla en 1754,
se hallan fundadas en España 23 congregaciones2; de ellas 13 en capitales de
provincia que son sedes episcopales y ocho en zonas rurales, grandes pue-
1
Lucas de Tomás y Asensio: Breve noticia de la exemplar vida del varón Apostólico P. D. Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega... Sevilla 1809.
2
Valencia, Villena (Alicante), Madrid, Soria, Granada, Cádiz, Barcelona, Zaragoza, Ciudad de
Palma de Mallorca, Villa de Ezcaray (La Rioja), Carcabuey (Córdoba), Cifuentes (Guadalajara),
Medina de Pomar (Burgos), Murcia, Molina de Aragón (Guadalajara), Baeza (Jaén), Cuenca, Málaga, Baza (Granada).
202
ANNALES ORATORII
blos, alguno de los cuales es también cabecera de diócesis. En Andalucía había 9 Congregaciones3, si bien alguna como la de Carcabuey no pasó de ser
un intento.4
Como puede apreciarse, algunas Congregaciones eran de reciente creación
y otras, las fundadas a finales del siglo anterior, ya estaban consolidadas. Las
Congregaciones fueron creciendo como uvas de un mismo racimo, si nos atenemos a la dependencia fundacional. Así la Congregación de Valencia autóctona, creó las de Madrid, Cádiz, y Villena. La de Madrid la de Alcalá de Henares, Ezcaray y Medina de Pomar (Burgos). Granada: Sevilla y Baza. Córdoba: Carcabuey y Murcia. Baeza autóctona, Málaga. Sevilla: Écija. La de Cádiz fundó, tal vez, la de San Roque en el Campo de Gibraltar. Todas ellas lo
fueron con la correspondiente autorización de las autoridades locales, y estaban sometidas a la autoridad del Ordinario del lugar, aunque tuvieran la aprobación de la Santa Sede mediante el correspondiente decreto, o “Decretum
Laudis”. Y se regían interiormente por las Instituta5 aprobadas para la Congregación de Roma, con las adaptaciones necesarias al lugar y al tiempo.
No se ha conservado la documentación de todas y cada una de las Congregaciones, o es, más bien, escasa. Ni tampoco todas han publicado su “historia”. Si la de Barcelona por José de C. Laplana6. Para Valencia nos servimos de Vicente Eximeno7; la documentación de Madrid se encuentra en el
AHN.8 Para Cádiz9; para Ezcaray.10 Medina de Poma11 Granada.12 Sevilla.13
3
Baza (Granada) 1714, Granada 1671, Cádiz 1672, Carcabuey 1695, Sevilla 1698, Córdoba
1699, Baeza 1702, Málaga 1742, y Écija (Sevilla), que promoverá el Padre Vega.
4
Razón de la Congregación y escuela de XP nuestro Redentor fundada en esta [villa] de Carcabuey año de mil i seiscientos i setenta y uno...Libro 1671. También Narciso Caracuel: Aproximación a la Escuela de Cristo de Carcabuey a través de sus dos libros de actas en “Carcabuey”
periódico local nn. 18 junio de 1988; 19 julio 1988; 22 octubre de 1988; 23 noviembre 1988; 26
febrero 1989. Y Madoz. Diccionario... Voz CARCABUEY.
5
Instituta Congregationis Oratorii Sanctae Mariae in Vallicella de Urbe. A B. Philippo Nerio
Fundatae. Romae, MDCXII.
6
L’Oratori de Sant Felip Neri i el seu patrimoni artistic i monumental. Abadía de Montserrat,
1978.
7
Escritores del Reino de Valencia. Valencia 1747-1749; También de José Rodríguez: Biblioteca valentina. Valencia 1747; E. Olmos Canalda: Los Prelados valentinos. Madrid 1948; Pascual
Esclapes: Resumen historial de la fundación i antigüedad de la ciudad de Valencia... Valencia
1738; Sanchis y Sivera, J. La Parroquia de Santo Tomás de Valencia. Valencia 1913.
8
AHN. Sec. Clero.
9
Antón P.: La Iglesia gaditana en el siglo XVIII .Cádiz 1994; Belda Carreras, J.: Las Cortes
de Cádiz en el Oratorio de San Felipe Neri. Notas históricas. Madrid 1912; Casanova y Padrón,
S.: El Oratorio de San Felipe Nneri, Palacio de las Cortes en 1812. Cádiz 1917; Castro, A. de.:
Manual del viajero en Cádiz. Cádiz 1859; Cobos Ruiz, de Adana, J.: El clero del siglo XVII. Es-
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
203
Baza.14 Carcabuey15 Murcia16 Baeza17 Málaga18 Córdoba19, Écija20, San Roque21. Para la de Palma de Mallorca22. La documentación de Cifuentes,(hoy
Ermita del Beato), algo en la Parroquia y en el Arch. dioc. de Sigüenza; y Motudio de una visita secreta a la ciudad de Córdoba. Córdoba 1970; Edictos en los que se relacionan los libros y papeles prohibidos por la Inquisición en los Amos 1776 a 1806. Colección Fraile vol. 855. Págs 2-36; Espinosa de Godos, E.: Cádiz lonja europea en el siglo XVIII. Población
y sociedad. Sevilla 1984; Guía de Cádiz para el año 1811... el estado eclesiástico. Colec. Fraile
vol. 868;Morgado García A.: El clero gaditano a fines del antiguo régimen. Estudio de las órdenes sacerdotales (1700-1834); Id.: El estamento eclesiástico en la diócesis de Cádiz.( 15.07.03)
10
José García de San Lorenzo Mártir: Ezcaray. Su historia.
11
García Saínz de Baranda: Medina de Pomar como lugar arqueológico y centro turístico de
las Merindades de Castilla la Vieja. Burgos 1966; Inocencio Cadiñanos: Frías y Medina de Pomar. Burgos . Instituto Fernan González 1978.
12
M. Lafuente Alcántara: Historia de Granada., Granada 1846; F. Hurtado de Mendoza: Fundación y Crónica de la fundación de la Congregación de San Felipe Neri en la ciudad de Granada. Madrid 1698. El antiguo archivo de la Congregación se encuentra hoy en poder de los Padres Pasionistas que adquirieron la casa y la iglesia. Han publicado varios datos en lo que ellos
llaman Crónica doméstica.
13
Lucas de Tomás y Asensio: Breve noticia de la exemplar vida del varón apostólico P. D. Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega...Sevilla 1809; C. Fernández Cabello: El Oratorio de San Felipe Neri de Sevilla...Sevilla 1894; M. Martín Riego: El Oratorio de San Felipe Neri de Sevilla
(1698-1893, en Isidorianum Vol. 7 (1998) 483-545. Conserva la Congregación parte de su importante archivo, citado en las publicaciones como AGOSFNS. También Blanco White: Autobiografía, publicada por la Universidad de Sevilla 1975.
14
Luis Magaña Visbal: Baza histórica. Edición preparada e ilustrada por Antonio García-Paredes Muñoz. T.II. p. 539 ss.; A. García Paredes Muñoz- F.J. Fernández Segura: Baza. Guía. Historia y Monumentos.
15
Ver nota 4.
16
Idea de los Exercicios del Oratorio fundado por San Felipe Neri... Murcia 1795 (sólo por
lo que se refiere a Murcia); J. González Huarquez: El obispado de Cartagena. 4 vols. Cartagena
1882; Marciano, J.: Memorias históricas... T. 5 p. 497; Censo de Aranda en el obispado de Cartagena en el sexenio revolucionario (1868-1874).
17
T. de Cozar Martínez: Noticias y documentos para la historia de Baeza. Jaén 1884: La cuestión de los Seminarios de la diócesis de Jaén, por un amante de la institución. Madrid 1899; Rafael Rodriguez-Moñino Soriano: Aproximación a la historia eclesiástica de la ciudad de Baeza
(Jaén), del esplendor renacentista al barroco y la crisis liberal del XIX. ; R. Rodríguez-Moñino
Soriano: Archivos en la ciudad de Baeza y catálogos para su historia eclesiástica .V. de la Fuente: Historia de las Universidades...T. III. Madrid 1887 p. 178. J. Rodríguez Molina: Historia de
Baeza. 1985.
18
J.V. Zamora: Memorias de la Congregación de los Presbíteros seculares del Oratorio de
San Felipe Neri de la ciudad de Málaga. Manuscrito de 1784. Copia del siglo XIX de la Biblioteca del obispado de Málaga; Mª Soledad Santos Arrebola: La Málaga ilustrada y los filipenses.
Málaga 1990; Anales Malagueños... de Díaz de Escobar: 23 de nov. de 174o y 15 de en. De 1743.;
A. Rubio-Argüelles: Pequeña historia de Málaga del siglo XVIII. Málaga 1951. ;Oración Panegírica... el día 18 de diciembre de este año 1787 en la iglesia de San Felipe Neri a ... la Concepción Inmaculada. Dixo el P.D. Jose de Rute y Peñuela; Sermón que en las solemnes honras... por
204
ANNALES ORATORII
lina de Aragón23 (hoy parroquia) se encuentran en el Arch. Dioc. de Sigüenza; la de Alcalá de Henares, parte en su archivo, muy diezmado, y parte en
páginas de historias locales. La de Cuenca fue fundada en 1738, y de ella nos
informa M. López24. La de Vich en 1723 creada por la de Barcelona.
las almas que murieron en la enfermedad epidémica que padeció esta ciudad... dixo en 14 de febrero de este año de 1804 el P. D. José de Rute y Peñuela...; Sermón de la Concepción...dixo en
la catedral de Málaga en este año de 1815 D. José de Rute y Peñuela Prepósito de los Presbíteros seculares del Oratorio de esta ciudad; J. Aguilar [ et al.] : Pinturas murales y elementos pétreos del Instituto Vicente de Espinel de Málaga.; Oración fúnebre que dixo el P.D. Juan José Soriano, Prepósito de la Congregación del Oratorio de la ciudad de Málaga en las honras... de D.
Cristobal Manuel de Roxas y Saldoval el día 18 de agosto de este año de 1747; Oración fúnebre
en las honras que celebró la Congregación de sacerdotes del Oratorio de San Felipe Neri de Málaga el día 13 de Agosto de este año de 1794, por la buena memoria del Padre D. Juan José Soriano y Guzmán... el P. José de Rute y Peñuela.
19
J. Gómez Bravo: Catálogo de los obispos de Córdoba y breve historia de su Iglesia Catedral y obispado. Reimpresión de la primera parte e i presión de la segunda. Córdoba 1778. J. Anguita González: La desamortización eclesiástica en la ciudad de Córdoba (1836-1845). Córdoba
1984 ; Prodigios obrados por...San Felipe Neri en tiempos de terremotos, recogidos de diferentes
relaciones auténticas...Córdoba 1804. ; P. del Busto: Oración panegírica... en la solemne fiesta
con que la... ciudad de Córdoba celebró el triduo... que la Congregación del Oratorio hizo en la
dedicación de su nuevo templo...Córdoba 1720; Idem: Oración panegírica de San Felipe Neri...
en la fiesta de su Oratorio de la ... ciudad de Córdoba; J. Moreno Manzano: Contribución al estudio del barroco en Córdoba en BRAC nº 97 (1977) 31-56 + 6 lám.
R. Ramírez de Arellano: Inventario monumental y artístico de la provincia de Córdoba, con
notas de José Valverde Madrid. Córdoba 1982; Idem: Paseos por Córdoba, o sea Apuntes para su
historia. Prólogo de Miguel Salcedo Hierro. Córdoba 1973.
20
J. Méndez Varo: La iglesia de San Felipe Neri de Écija. Sevilla 1993; María L. Candau Chacón: Iglesia y sociedad en la Campiña Sevillana . La Vicaría de Écija (1697-1723); J. Valenzuela Candelario: Pobreza y asistencia benéfica, el Hospital de San Sebastián de Écija. 1996; Inventario artístico de Sevilla y su provincia. Vol I Partidos judiciales de...Écija...; J.M. Gómez [et al.]:
Écija en la Edad Contemporánea .Écija 2000.
21
P. Antón Solé: La Iglesia gaditana en el siglo XVIII. Cádiz 1994; R. Caldelas López: La Parroquia de Gibraltar en San Roque. También Lucas de Tomás: o.c. habla de las misiones predicadas por el Padre Teodomiro en el Campo de San Roque. El P. Cayetano o.c. de l,.os intentos del
Padre Alonso y Elena por restaurar el Oraotio de Gibraltar en 1855, al comienzo del Vicariato
Apostólico del Ilmo. Sr. Dn. Juan Escandela p. 72.
22
M. Vallori: La Congregació de l’Oratori a la Ciutat de Palma. Palma 2000; Idem: L’Església de Sant Felip Neri de Palma, Palma 2003.
23
Dice el Padre Laplana que en 1866, el Padre prepósito de Barcelona Padre Pere Miàs, el entusiasmo restauracionista de la congregación le impulsaba a acudir con otros dos sacerdotes a la
recuperación de la Congregación de Molina de Aragón que se había extinguido. (o.c. p. 254)
24
Memorias históricas de Cuenca y su obispado. Madrid 1948 y 1953.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
205
I
LA SUPRESIÓN DE LA COMPAÑÍA DE JESÚS
Así las cosas, el primer acontecimiento de alcance que afectará a las Congregaciones del Oratorio en España, en la segunda mitad del siglo XVIII será la supresión de la Compañía de Jesús, por el Rey Carlos III, en la noche
del 2-3 de abril de 176725. En virtud del R. D., 2.700 Jesuitas salieron de los
reinos de la Península, dejando casas, colegios e iglesias en el estado en que
se encontraban dicho día aciago para la Compañía. Algunos años después, el
papa Clemente XIV, acosado por los gobiernos regalistas de distintos países
europeos, firmaría el breve de supresión total la Orden. Ya las luchas ideológicas del siglo estaban planteadas en toda su crudeza: la filosofía de la ilustración, el enciclopedismo, josefismo, febronianismo, etc. se abrían camino
en la sociedad civil y también en sectores de la Iglesia. La expulsión de los
jesuitas había dejado abandonados muchos campos y actividades que tanto
el gobierno de Carlos III, como la Iglesia deseaban recuperar, sobre todo en
el campo de la enseñanza, tanto edificios como clientela y de la atención religiosa del pueblo. De alguna manera las Congregaciones del Oratorio en España, van a recoger parte de esta herencia, lo cual dejaría su impronta tanto en la vida interna, como en la consideración pública de la institución filipense. Por un lado, dice el Padre Laplana, que “cuando la Compañía de Jesús fue suprimida muchos de los fieles tradicionalmente vinculados a los jesuitas, pasaron al Oratorio, y en él se encontraron como en casa”26. Y por
otro, en Madrid, el Rey Carlos III decidió entregar a los Padres del Oratorio, que tenían su sede en la Plaza del Ángel, la casa y la iglesia de los jesuitas titulada de San Francisco de Borja, ubicada en la calle Bordadores,
tránsito que hoy conserva el nombre de San Felipe Neri. A ella se trasladaron los filipenses, con la obligación expresa de guardar el cuerpo del Santo
Duque de Gandía, como lo hicieron mientras las circunstancias políticas lo
permitieron27.
También el Oratorio de Alcalá se vio relacionado con la expulsión de los
jesuitas por lo que se refiere a determinadas fundaciones piadosas, que tenía
25
E. Giménez López: Y en el tercero perecerán. Gloria, caída y exilio de los jesuitas españoles en el siglo XVIII...Alicante 2002.
26
o.c. p. 133.
27
Encargo recibido con gusto, dadas las relacione mantenidas entre San Felipe Neri y Borja
en los años que coincidieron en Roma. Luis Coloma: Historia de las Sagradas Reliquias de San
Francisco de Borja. 1903.
206
ANNALES ORATORII
que cumplir anualmente el Colegio Máximo de la Compañía de la universidad cisneriana, con la Congregación: ahora correspondería a la Real Hacienda pagar las temporalidades, que antes pagaban los jesuitas28. Además acudió a la compra de los libros puestos en venta y que habían pertenecido a la
Biblioteca del Colegio Máximo complutense.
El Padre Vega tenía treinta y un años cuando los jesuitas fueron expulsados de España; él se había educado con ellos en el Colegio de San Hermenegildo de su ciudad, y entre los Padres de la Compañía había tenido su director espiritual; llevaba, apenas, seis años de sacerdote, dedicado a la predicación y al confesionario, joven sacerdote entre los jóvenes estudiantes sevillanos. Pronto se echó de ver el vacío dejado por los ignacianos por lo que
a los Ejercicios Espirituales se refiere, pues ninguna de las congregaciones
religiosas con casa en la capital hispalense se dedicaba a este ministerio, y
este fue el camino tomado por el Padre Vega con la fundación de la Casa de
Ejercicios Espirituales, obra que hizo suya, no por unanimidad, la mayor parte de la comunidad filipense, al parecer. Los cristianos piadosos de Sevilla
vieron así continuada la obra de los jesuitas, aunque no a su mismo nivel29,
cuando ya reinaba en España Carlos IV.
Sobre el Padre Vega han escrito, el ya citado Padre Lucas30, el Padre Cayetano Fernández Cabello31, y otros indirectamente como Marín Riego32,
Blanco White en su autobiografía33; y luego otros al tratar la historia de Sevilla34 , o el tema de la desamortización de las Órdenes Religiosas, en el siglo XIX.35 Antes de tomar la decisión de la obra de la Casa de Ejercicios, el
Padre Vega se informó del funcionamiento de otras casas del Oratorio, y llegó a la conclusión, con sus datos que “muchas congregaciones del Oratorio
28
Fundación de don Juan Pérez Merino Capitán General y Gobernador del nuevo Reino de
León en México
29
Blanco White, o.c.
30
citado en nota 1.
31
C.Fernández Cabello: Historia de la Congregación del Oratorio de Sevilla y su Biblioteca
Oratoriana...También : Avella Chafer, F.: El Padre Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega. Contribución al estudio de la oratoria sagrada en Sevilla durante el siglo XVIII, en Archivo Hispalense nº 172 (1973) 1-18.
32
El Oratorio de San Felipe Neri de Sevilla (1698-1893), en Isidorianum nº. 7 (1998) 483545.
33
Moreno Alonso, M.: Blanco White. Una obsesión de España. Sevilla 1998; Blanco White:
Autobiografía .Edición, traducción, ilustración y notas de Antonio garnica. Sevilla 1988.
34
Aguilar Piñal, F.: Historia de Sevilla en el siglo XVIII.
35
López Martínez, A.: La economía de las órdenes religiosas en el Antiguo Régimen. Sus propiedades y rentas en el reino de Sevilla. Sevilla 1992.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
207
de dentro y fuera de España se habían decidido por abrirse a la práctica de
los Ejercicios Espirituales en sus casas e iglesias”; camino emprendido ya
con anterioridad por la Congregación de Málaga36. Por lo que hace a Alcalá,
en efecto, siempre recibió “ejercitantes”, pero en número reducido, en una
zona de la residencia destinada a ello y con un Padre dedicado a esta tarea,
pero no fue su opera prima. Así, de alguna forma se va a considerar a los filipenses como muy emparentados espiritualmente con los jesuitas.
La obra del Padre Vega fue bien recibida por la autoridad diocesana y por
los fieles educados por los hijos de San Ignacio. Carlos IV la tomó bajo su
protección, pero con muchas limitaciones, hasta quedar sólo en una cuestión
de mínimos, y más política que de alguna eficacia37. Por otro lado fue criticada por la parte de la sociedad ilustrada de Sevilla, enemiga de los religiosos expulsados que rechazaban sus métodos ascéticos, morales y su enseñanza teológica. Pero fueron muchos los frutos espirituales que el pueblo, la
juventud y la Iglesia de Sevilla sacaron de la Casa de Ejercicios del Oratorio creada en la ciudad.
Estas circunstancias, que hicieron ver a los filipenses como continuadores
de los jesuitas, dieron lugar a algunas consecuencias, que se irían manifestando, a medida que la ideología liberal se fuera apoderando de la clase política española. Por un lado hay que señalar que en una época de revisión ideológica, como era la segunda mitad del siglo XVIII, algunas congregaciones
habían comenzado un camino equilibrado de renovación, como la de Barcelona, siguiendo las orientaciones de obispos más avanzados, como José Climent, pero sin duda ninguna ortodoxos y fieles a la Santa Iglesia. Igual se
puede decir de una parte de la congregación de Valencia, en la que el Padre
Tomás V. Tosca proponía un nuevo método para el estudio de la Filosofía en
las Universidades38, o en la de Alcalá de Henares, cuya biblioteca se completaba con tratados teológicos, morales y de Derecho de los autores más
avanzados introducidos incluso después en los Seminarios, a los que se les
puede considerar jansenistas o filojansenistas. Igual sucedió en Sevilla: el Padre Vega y el Padre Amorico son los mejores representantes de las corrientes conservadora y renovadora que los Oratorios vivieron en su seno39.
36
Optó más por hacer un Centro de Estudios. Cf. o. c.
ADT (Archivo Diocesano de Toledo) Documentos relativos al Padre Vega.
38
Carta de Don Gregorio Mayans y Siscar al Padre Doctor Don Vicente de Calatayud del
Oratorio de Valencia. 1760.
39
Nos gustaría saber cual fue el desenlace final de la relación el P. Amorico con la Congregación de Sevilla.
37
208
ANNALES ORATORII
A este capítulo hay que añadir la relación de las Congregaciones con la
devoción ascendente al Sagrado Corazón de Jesús, introducida en el Oratorio, por un lado como devoción auspiciada por Roma, y por otro como algo
jesuítico y español mediante el Padre Bernardo Hoyos40 y otros promotores
jesuitas, los Padres Cardaveraz41 y Calatayud42. En el siglo XVIII esta devoción contaba con el apoyo de la Santa Sede, pero no tenía una extensión universal; Clemente XIII había autorizado su culto, y en España los filipenses
de Cádiz habían sido pioneros en introducirla43. Pío VI defendió esta devoción contra los jansenistas del Sínodo de Pistoya, en la Bula “Auctorem fidei” de 1794. El Padre Lucas dedica varias páginas a resaltar la devoción y
la predicación del Padre Vega del Corazón de Jesús, y que fue una de las circunstancias que más contribuyeron a las relaciones constantes con el Oratorio de San Felipe Neri de la ciudad gaditana, donde predicó varios años esta
fiesta litúrgica. Comenta el Padre Lucas que el Padre Teodomiro “procuró
inspirar a los fieles la mas fervorosa devoción a este Corazón Sagrado, repartió muchos libros, estampas y medallas... hizo colocar esta santa efigie
en las puertas del tabernáculo y sagrario de la iglesia, también sobre la cúpula de la capilla de ejercitantes, y en cuantas partes veía que podía tener
adoración”.
Otras Congregaciones, como la de Madrid, Málaga, y Alcalá de Henares
también, acogieron este culto. Gran gozo sintió el P. Vega cuando la citada
Bula papal fue convertida por Carlos IV en ley del reino, quedando libre de
todos los ataques públicos que jansenistas y antijesuitas pudieran hacer.
No fue sólo el Padre Vega el que sufrió esta persecución, también el fundador de la Congregación de Cuenca D. Isidoro Carvajal y Lancaster, luego
obispo conquense, por protestar contra las regalías de Carlos III, en carta privada al confesor regio P. Joaquín de Eleta. El Padre Vega estuvo en Cuenca
y predicó el día de San Felipe Neri en el Oratorio44.
40
1711-1735. Primer apóstol del culto público al S. Corazón de Jesús en España.
1703-1770. Compañero del P. B. Hoyos.
42
1689-1773. Propagandista de la devoción al S. Corazón de Jesús en las misiones populares.
43
En Cádiz la fiesta del Corazón de Jesús se celebraba en el Oratorio de San Felipe. Aquí se
había establecido la Asociación del S. C. apoyada por el prelado en 1736, y en la que trabajaba el
Padre Pedro Francisco Calderón del Oratorio de Cádiz y predicador de cierto renombre, haciendo
al mismo tiempo una obra de espiritualidad interior y práctica benéfica (cfr. Augusto Conte Lacave: Cádiz del setecientos. Cádiz 1978 pp. 155-162).
44
R. García Villoslada. Historia de la Iglesia en España T.IV 237 ss. BAC.1979.
En el manuscrito del sermón pone la fecha de 1756, pero debe ser errónea, pues ese año el Padre Vega tenía veinte no cumplidos, es el año 1757 cuando entra en los filipenses de Sevilla.
41
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
209
Otra consecuencia, digna de tenerse en cuenta, se pondrá de manifiesto
años más tarde, cuando las Congregaciones de San Felipe Neri tendrán que
hacer frente a los sucesivos decretos de supresión de las órdenes religiosas,
entonces tendrán que defender su diocesaneidad y secularidad ante la ley. No
resultó fácil convencer a los sucesivos gobiernos liberales de Isabel II de que
las Congregaciones del Oratorio de presbíteros seculares de San Felipe Neri
eran eso, seculares, sujetas al Ordinario, independientes unas de otras, no sujetas a votos religiosos, ni a superiores provinciales ni generales. La lucha
será larga, hasta 1851, y muchas casas desaparecerán ante la indefensión que
padecen. Pero esto será ya objeto de otro estudio.
II
EL ORATORIO Y LA INQUISICIÓN ESPAÑOLA
En la segunda mitad del siglo XVIII la Inquisición Española sigue vigente, pero con una presencia en la vida política y religiosa de distinto signo y
con otro vigor que anteriormente tuvo. Hay nuevos elementos heterodoxos y
nuevos materiales sobre los que se preocupa ahora. Ya no son procesos por
judaismo, islamismo o protestantismo; ahora, como entonces, se censuran libros y publicaciones, pero especialmente los que apoyan la revolución francesa; algunas beatas son condenadas por brujería y hechicería; se procesa también a algún filósofo por ateísmo. Y hay algunos procesos notables como los
realizados contra Pablo de Olavide, Jovellanos45, Urquijo46, etc. Sólo cuatro
personas fueron condenadas a la hoguera entre 1758 y 1808. Durante este
tiempo se levantaron voces pidiendo la supresión del Tribunal de la Inquisición, pero Carlos IV le mantuvo, utilizándolo como un elemento antirrevolucionario. En 1808 el rey José abolió en Santo Tribunal por decreto, las Cortes de Cádiz en 1813 por considerarlo incompatible con la nueva constitución
del Reino de España47. La presencia del Padre Vega y de otros miembros del
Oratorio español en este Tribunal y en esta polémica es muy notable.
El Padre Lucas dedica varias páginas a la relación que tuvo el Padre Vega con el Tribunal de la Inquisición de Sevilla y con la Suprema de España.
Fue funcionario como calificador durante más cuarenta años, y como tal su
45
Gaspar Melchor de Jovellanos (1744-1811).
Mariano Luis de Urquijo (1768-1817).
47
DHEE. voz Inquisición.
46
210
ANNALES ORATORII
misión era, entre otras, intervenir con el juez y el notario en la declaración
de los testigos, lo que suponía una garantía para el reo. Estos funcionarios
gozaron de gran autoridad48 En el último tercio del siglo, una preocupación
permanente de este alto tribunal estuvo relacionada con la vigilancia de la
entrada de libros prohibidos y no censurados por los puertos de Andalucía,
especialmente por el de Cádiz y Sevilla. Cádiz contaba con una buena población no católica, dedicada al comercio marítimo, que leía sin preocupación todo tipo de publicaciones de sus países de origen. La autoridad civil y
eclesiástica estaban muy al tanto de las fronteras, tanto del norte como del
sur, con el fin de evitar en lo posible la entrada de obras de ideología política o religiosa de carácter revolucionario y heterodoxo, considerando lo que
estaba sucediendo al otro lado de los Pirineos, y en Inglaterra y Holanda.
Desconocemos casi todo lo que se refiere a la intervención del Padre Vega como calificador de la Inquisición de Sevilla. Su citado biógrafo nos habla de su intervención en algunos procesos inquisitoriales que acabaron con
la condena de dos mujeres acusadas de hechicería y brujería, y muy veladamente de la intervención del Padre Vega en el proceso o autillo contra el Asistente Pablo de Olavide. Seguimos en este delicado asunto a F. Aguilar Piñal49
y a M. Defourneaux50: Las reformas propuestas por Olavide y las que comenzó a realizar chocaron con la mentalidad y las costumbres de las autoridades locales, de la aristocracia, y de la religiosidad de gremios y cofradías.
La religiosidad sevillana se vio atacada cuando el Asistente pidió su cooperación económica para llevar a cabo las reformas sociales que pretendía.
Igualmente fue atacado por el apoyo prestado al teatro51, a los artistas, y a
ese sector de la sociedad hispalense que podemos llamar ilustrada. Olavide
fue encarcelado durante 1776 y 1777. En 1778 en un auto se le declaró hereje, infame, y miembro podrido de la Religión. Tal declaración ha sido considerada “como un ejemplo más de la intransigencia religiosa de los padres
espirituales de la Sevilla dieciochesca”. Entre ellos el Padre Vega. Creemos
que el siguiente párrafo del Padre Lucas se refiere a Olavide: “Fue – el Padre Vega – uno de los primeros que penetró y descubrió la mala doctrine en
punto de fe de uno de los principales personajes de Sevilla. No le detuvo el
48
A. Álvarez Morales: Inquisición e Ilustración 1700-1834. Madrid 1982. P. 60.
Sevilla en el sigo XVIII. Sevilla 1982 pp. 355 ss.
50
Pablo de Olavide, el afrancesado.
51
P. Barrera y Bolaños: “La labor teatral en Sevilla del peruano Pablo de Olavide” en Andalucía y América en el siglo XVIII. Vol II. Sevilla 1985.
49
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
211
verlo en uno de los primeros puestos de la Ciudad para dejar de manifestar
al Tribunal su dictamen, examinar por comisión de este sus cosas, y dar su
calificación que después vio confirmada por sentencia pública contra él la
Suprema Inquisición, con admiración de todo el reino.”
Pero no debió de ser esta la opinión unánime del Oratorio sevillano, pues
en la opinión opuesta encontramos al Padre Domingo Amorico. El padre Cayetano había hecho la presentación del Padre Amorico de la Congregación de
Sevilla, al tiempo que Olavide tomaba posesión de su cargo de Asistente y Superintendente con plenos poderes para las reformas en Sevilla y en Sierra Morena. El caso es que el rey Carlos III, directamente por medio de Olavide, había pedido al Padre Castaño Prepósito algo así como la exclaustración del Padre Amorico, que gozaba de fama de excelente matemático, para que le ayudase en sus proyectos, y principalmente en la obra del hospital para pobres
que pensaba levantar, y que atrajo sobre Don Pablo a tantos enemigos. La salida del Padre Amorico fue del todo legal52. Amorico vivió con el Asistente
en los Reales Alcázares al menos dos años, considerado como comensal habitual. Compartía con Olavide la idea de hacer de Sevilla una ciudad nueva
material e intelectualmente. Amorico fue uno de los testigos que declaró a favor de Olavide en el proceso inquisitorial, sobre la rectitud que el Asistente
trató de imponer en todas las ramas de la administración, lo cual le creó enemigos. Amorico rechazó también la acusación de falta de religiosidad, defendiendo que era buen religioso observante de los preceptos de la Iglesia, aunque no se entregase a las innumerables devociones populares sevillanas. Las
criticas a la oratoria sagrada del Asistentes eran justas porque había muchos
predicadores detestables y los censuraba con franqueza. Los juicios del Padre
Vega y del Padre Amorico sobre Olavide son irreconciliables: la Inquisición
de Sevilla ve en el Asistente un enemigo que quiere dar superioridad al poder
civil sobre el eclesiástico; el Padre Vega era opuesto a los proyectos de Olavide sobre el Teatro, sobre la reforma de los estudios universitarios, sobre las
reformas sociales, etc. El apoyo de Olavide al teatro fue eficaz y consiguió
abrir uno nuevo; se ocupó también de las diversiones públicas, de los bailes
y del “seminario de comediantes”. El Alcázar se convirtió en un lugar de animadas reuniones, con lo más selecto de la población. El espíritu de la Ilustración arrastraba a buena parte de la juventud que el Padre Vega consiguió dirigir todavía algunos años, pasado el “temporal” de Olavide.
52
Congregación celebrada por la comunidad en 1 de junio de 1768. AGOSFNS., citada por el
P. Cayetano.
212
ANNALES ORATORII
La unión del Padre Vega al Tribunal de la Inquisición de Sevilla le llevó
a tomar parte, pocos años después, en otro proceso sonado, en 1781, cuya
víctima fue la beata María de los Dolores, conocida como la “beata ciega”,
acusada de herejía y condenada a la hoguera. El historiador F. Aguilar Piñal
encontró una relación bastante completa del caso, por lo que ha podido reconstruirse en gran parte la personalidad de esta señora y su proceso. Pasó
dos años en las cárceles de la Inquisición en Triana, y parece ser que sólo al
final, el Padre Vega pudo obtener la confesión y la abjuración de la reo. Fue
ejecutada el 24 de agosto de 1781 y arrojada a la hoguera después de ajusticiada.53
Aunque los hechos siguientes sobrepasen la vida del Padre Vega,(+1805)
hemos de decir también que la postura de los miembros más destacados del
Oratorio en España fue partidaria de la permanencia del Tribunal de la Inquisición en los años siguientes. El Padre Simón López del Oratorio de Murcia54 participó como diputado por Murcia en las Cortes de Cádiz. Conocidas
son las circunstancias históricas que dieron lugar a la convocatoria de las
Cortes extraordinarias en Cádiz en 1810. Parte de los debates de esta asamblea se celebraron en la iglesia del Oratorio de Cádiz, cedida por los Padres
de aquella congregación, simpatizantes con el espíritu liberal que animaba a
los diputados55. La residencia de los Padres dio acogida al filipense López,
mientras otros buscaban alojamiento en otros conventos. El diario de las Cortes recoge las intervenciones del Padre López oponiéndose rotundamente a
la tolerancia con el Teatro. Contra el teatro, argumentaba, estaban no sólo los
autores paganos desde Platón a Ovidio sino los Padres de la Iglesia, los teólogos, predicadores, etc56. En las Cortes de debatió el tema del Tribunal de
la Inquisición, si debía mantenerse o abolirse. Aquí intervino también el Padre filipense de Murcia Simón López, defendiendo la permanencia del San53
Tratado de la vida y hechos de María de los Dolores, llamada comunmente la Beata, natural de la ciudad de Sevilla, y del exemplar castigo que se executó en ella el 24 de agosto de 1781
por el Santo Tribunal por hereje, apóstata, iludente, ilusa, faxelante, finjidora de rebelaciones(sic)
negativa y pertinaz, y de su milagrosa conversión a la hora de su muerte. 46 fols. En el fondo
Saavedra de la Facultad de Teología de la cartuja, en Granada, lib. 1º).
54
Doctor por la universidad de Baeza, fue luego obispo de Orihuela en 1816 y de Valencia
1824-1831.
55
R. Solís: El Cádiz de las Cortes. La vida en la ciudad en los años de 1810 a 1813. Cádiz
1987.
56
S. López: Colección de discursos en las Cortes generales Extraordinarias de Don Simón
López presbítero y diputado por el Reino de Murcia. Cádiz. Imp. Gómez de Requena 1813. Col.
Fraile. Vol. 147.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
213
to Tribunal por los beneficios que aportaba a la sociedad, y por que las Cortes no tenían poder alguno para suprimir una institución de la Iglesia. Las
discusiones fueron largas y al final por mayoría de votos fue abolida. El Padre López siguió peleando por su restauración todavía muchos años, después
del retorno de Fernando VII.57
III
REPERCUSIÓN DE LA REVOLUCIÓN FRANCESA
EN LOS ORATORIOS DE ESPAÑA
España estaba ligada a la monarquía francesa por los llamados “Pactos de
Familia” establecidos por las dos ramas de la dinastía borbónica, ya desde
los tiempos de Felipe V. Los acontecimientos revolucionarios que conmovieron a todas las naciones en 1789, movieron a España a mostrarse hostil a
la Revolución, luego, según los acontecimientos trató de mantenerse neutral
y al final entró en guerra con la Convención, entre tanto que Luis XVI era
decapitado en 1793.
Las primeras medidas tomadas en España para hacer frente a la ideología
revolucionaria, fue la de impedir su propagación por los territorios españoles, a cuyo empeño podía cooperar también la Inquisición, sobre todo en lo
que se refiere a impedir la entrada de libros y folletos revolucionarios. El Gobierno y la Santa Inquisición estuvieron de acuerdo en interponer estos controles y censurar y recoger cuanto material entrase por las fronteras o puertos españoles, según lo establecido por el Inquisidor General Rubín de Ceballos. Otras medidas fueron suprimir las Academias de francés y la salida
de estudiantes españoles a Francia, constatando ya que muchos intelectuales
estaban afectados por las nuevas ideas. El Padre Vega vivió esta política en
su centro, porque como dice el Padre Lucas su biógrafo, fue calificador del
Tribunal de Sevilla, aunque es un tema poco estudiado, y ocupó más de cuarenta años de su vida. No se ha investigado suficientemente la presencia del
Padre Vega en los papeles de la Inquisición.
La significación religiosa y política del Padre Vega, movió al arzobispo
57
Ver: J. Caro Baroja, El Señor Inquisidor. Madrid 1994. Sobre las intervenciones de S. López en las Cortes de Cádiz: Colección de discursos en las Cortes Generales Extraordinarias de
Don Simón López, presbítero y diputado por el Reino de Murcia. Cádíz. Imp. Gómez de Requena 1813. Col. FRAILE. Vol. 147.
214
ANNALES ORATORII
hispalense a encargarle el elogio fúnebre del monarca francés, en las exequias
que se celebraron en Sevilla el 8 de junio de 1793; sermón que se imprimió.
Está clara su oposición a la ideología revolucionaria, por su espíritu irreligioso y la falta de moralidad en los principios que la guiaban. Ya en la Cuaresma de 1798 se dirigía a todos los españoles avisándoles de los peligros exteriores y de la infiltración de las ideas revolucionarias entre las clases intelectuales y políticas de la nación; de los peligros que suponían para la fe, la
religión, la libertad y las costumbres españolas. Insistía en lo que él conocía
muy bien, en la lectura de libros y folletos introducidos clandestinamente. A
la altura de 1798 sus avisos eran proféticos y cumplidos pocos años después,
cuando Napoleón dispuso a su antojo de los reyes de España y quiso hacer
lo mismo con el pueblo. No fue fácil, como vemos, el diálogo del Padre Vega con la sociedad sevillana de su tiempo. Pero además, ahora tenía contra
él al sector oficial, que a toda costa quería mantener en vigor el Tratado de
San Ildefonso firmado con el Directorio en 1796, la entrada de España como
aliada de Francia en la batalla de Trafalgar. De aquí la intervención del Consulado francés en Sevilla y de la Embajada en Madrid, y de las notas cruzadas con Manuel Godoy para vigilar al predicador de Sevilla58. Estas son materias de investigación que anuncia el Padre Lucas, pero que hasta el presente
no han sido estudiadas con profundidad. El Padre Vega tomó también conciencia del desvío de tantos jóvenes sevillanos, que ahora se mostraban habidos de la nueva literatura francesa y organizaban reuniones literarias sobre
las nuevas ideas. Jóvenes como Blanco White, Arjona, Lista, etc. que en 1793
fundaron la Academia de Letras Humanas de Sevilla de talante liberal y enciclopedista. Si al Padre Vega le preocupaba la juventud sevillana en general
de una manera especial se deja sentir su sentimiento por los sacerdotes jóvenes atraídos por las nuevas ideologías59. La caridad sacerdotal del Padre Teodomiro aparece en las páginas del Padre Lucas, ya tantas veces citado60.
En 1790 la Asamblea Nacional decretó que todos los eclesiásticos fran-
58
Francisco Avellá Cháfer lo califica de sermón antifrancés e inoportuno, dadas las relaciones políticas que tenía en ese año el Reino de España con la República francesa. Cfr: El clero francés emigrado en Sevilla... Archivo Hispalense 46-47 (1967) p. 17.
59
Pp. 160-165. En el Sermón de N. P. S. Phelipe... que predicó en la Congregación de Cuenca el año 1756(¿), el Padre Vega manifiesta su profundo sentir por la alta dignidad del sacerdote
y del sacerdocio. Cf. Institución Colombina. Biblioteca Arzobispal. Sevilla Sig. 61/203.
60
cfr. F. Martí Gilabert: La Iglesia en España durante la Revolución Francesa. Pamplona
1971; L. Sierra: La inmigración del clero francés en España (1791-1800). Estado de la Cuestión,
en Hispania 28(1968) 393-421.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
215
ceses jurasen la Constitución Civil del Clero, muchos no aceptaron y prefirieron el destierro. Así comenzaron a llegar a España en 1791 muchos sacerdotes no juramentados, condenados a la pena de destierro y deportación.
Entraron por cualquier frontera o puerto, de cualquier edad y rango, hasta un
total que se calcula en 6322, de los cuales 5.888 sacerdotes y 434 religiosos.
La autoridad real dio algunas disposiciones para hacer frente a las urgencias
que planteaba esta inmigración: recomendaba a los obispos que acogieran a
los clérigos en conventos, que les diesen algún empleo para que no estuviesen ociosos y pudiesen subsistir sin ser una carga para el Estado. La acogida por parte del clero y del pueblo cristiano fue muy cordial y generosa61; los
párrocos de pueblos grandes acogieron al menos a uno de aquellos en su compañía ofreciéndole al menos el estipendio de la misa. Fijándonos en aquellas
diócesis en las que estaba establecida la Congregación del Oratorio señalaremos que en Valencia fueron acogidos 700, de los cuales 200 mantenía el
palacio arzobispal; en Barcelona fueron recibidos 311, en Cádiz 23, en Toledo 810, en Córdoba 18, en Cuenca 118, en Granada 121, en Guadix 8, en
Jaén 78, en Málaga 40, en Mallorca 113, en Sevilla 63, en Sigüenza 42.
En Alcalá de Henares había 139 en 1796, de los cuales más de 24 venían
a decir misa al Oratorio diariamente por espacio e más de tres años, 17921795 y dos de ellos eran comensales habituales de la casa. La Comunidad les
atendió caritativamente, a pesar del coste económico que suponía. En compensación se les pidió que dejaran para la sacristía tres estipendios al mes62.
También tenemos noticias documentadas de la acogida que prestaron los Padres de la Congregación de Palma a estos refugiados63. Lo mismo podemos
decir de la Congregación de Málaga: el 23 de enero de 1793 llegaron al puerto 34 sacerdotes, de los cuales 24 se quedaron a residir en un primer momento en el Oratorio malagueño, luego de modo permanente se encontraron
allí don Juan Marín, don Guillermo Reinaud y don Esteban Rinand Vicario
General, todos de Languedoc. Fueron así acogidos por la comunidad y el prepósito Padre J. Rute y Peñuela64. De este tema se ha ocupara para la archidiócesis de Sevilla Avellá Cháfer, el cual no cita en ningún caso la casa de
61
Acuerdo de 29 de diciembre de 1795.
información que agradecemos al P. Marcos Vallori, historiador de la Congregación e Palma
63
Cfr. Memoria de la Congregación de presbíteros seculares del Oratorio de San Felipe Neri de la ciudad de Málaga , copia de 1888. p. 120.
64
F. Avellá Cháfer: El clero francés emigrado en Sevilla durante la Revolución, en Archivo
Hispalense 46-47 (1967) 101-146.
62
216
ANNALES ORATORII
los filipenses como acogedora de algún sacerdote emigrado65. El tema de los
sacerdotes emigrados no se resolvería hasta la firma del concordato de 1801
entre Napoleón y el Papa Pío VII. El Padre Vega murió en 1805, pero la dinámica de los acontecimientos bélicos y políticos siguió afectando a las Congregaciones. En 1808 comenzaron las tropas francesas a entrar en España y
los miembros de las distintas congregaciones se posicionaron con libertad ante los acontecimientos. Así del Oratorio salieron sacerdotes guerrilleros66, patriotas67, otros fueron más timoratos y colaboracionistas por evitar mayores
males a la propia casa; otros fueron deportados a Francia68. Muchas iglesias
y casas del Oratorio fueron ocupadas por las tropas francesas, saqueadas y
robadas sus alhajas ¿Hubo con las congregaciones represalias por la acogida
prestada a los sacerdotes emigrados en España años anteriores? Nos falta documentación en estos momentos para afirmarlo con rotundidad.
IV
EL PADRE TEODOMIRO DÍAZ DE LA VEGA
Y LAS CONGREGACIONES DE ANDALUCÍA
Como hemos indicado anteriormente, fueron nueve las congregaciones establecidas en Andalucía, geográficamente en todas las provincias, salvo Huelva y Almería, si bien Huelva pertenecía eclesiásticamente a la gran archidiócesis de Sevilla. En la segunda mitad del siglo XVIII subsistían todas,
aunque con distinto grado de actividad.
Dice el Padre Lucas que “a la muerte del Padre Vega todas las congregaciones del Oratorio, aunque independientes por su instituto unas de las
otras, hicieron tanto aprecio del mérito y virtud del Padre, que apenas hay
alguna que no le consultase y muchas siguieron con él una continua correspondencia”. Correspondencia, decimos nosotros, que nos gustaría encontrar
en los archivos de las congregaciones. “La de Málaga le veneró siempre como un modelo de santidad, y cuando a su Prepósito se le participó su muerte escribió que la noticia de ella había sacado las lágrimas de todos los in-
65
En el Oratorio de Barcelona. Cfr Laplana o.c.
Alcalá de Henares cfr. Diario de un patriota complutense en la Guerra de la Independencia. 1894.
67
Los padres de la Congregación de Madrid. Cfr. Historia del clero español.
68
Cf. Historia de las Diócesis españolas 10 Bac. P. 284.
66
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
217
dividuos de aquella casa, que jamas dejaría de sentir su falta” Las de Granada, Córdoba, Cádiz y Valencia, admiraron siempre su celo, su sabiduría,
su santidad”.
El Padre Vega conoció las raíces granadinas de su congregación hispalense, destacando dos tradiciones importantes de aquella institución: los filipenses de Granada siempre se habían distinguido por ser unos excelentes misioneros populares, no sólo en la capital sino por los pueblos de la archidiócesis. Otra tradición granadina fue la devoción a la Virgen de los Dolores,
impulsada en Andalucía desde la primera fundación filipense, luego por la de
Baza y Córdoba. Hablando de las devociones marianas de Sevilla en el siglo
de las Luces dice Martín Riego que “la devoción mariana es la piedad popular sevillana por excelencia” y en particular a la Inmaculada, a la Divina
Pastora y al Rosario69 y no menciona la devoción de los sevillanos a la Virgen de los Dolores que desde la fundación recibía culto en su iglesia de María Santísima de los Dolores y congregación del Oratorio del glorioso Patriarca San Felipe Neri70. Contemporánea del Padre Vega fue la construcción
de la iglesia del Oratorio de Granada. En la Congregación granadina aprendió el Padre Vega el espíritu de misionero apostólico que cultivó en Sevilla,
pues se desplazaba Cádiz, Río Tinto, San Roque y a otros pueblos y lugares
a dar misiones.
Recuerda el Padre Cayetano en su Historia del Oratorio de Sevilla, que el
Padre Navascués fue a la Congregación de Cádiz, a los pocos días de llegar
a Sevilla, tratando de encontrar apoyo y consuelo y que “allí hallaron mayores desapegos y desengaños”. La historia nos dice las dificultades por las
que atravesaba el Oratorio gaditano por los años 1697, pues aunque fundado
en 1671, sólo en 1701 habían podido comenzar a construir su casa e iglesia.
Pero estos inicios no fueron obstáculo para que durante la vida del Padre Vega las relaciones entre ambas comunidades fueran continuas y fraternas: muchas veces predicó en el Oratorio de Cádiz el Padre Vega, como ya hemos
comentado; otras veces con motivo de la construcción de la Santa Cueva, que
edificaba Don José Sáenz de Santa María Marqués de Valde-Íñigo, se hizo
69
Cf. Septenario Doloroso ejercicio útil y breve de los principales dolores de María Santísima nuestra Señora. Sácalo a luz y lo consagra a María Santisima en su milagrosa imagen de los
Dolores que se veneraba titular en la iglesia del Oratorio y Congregación del Glorioso Patriarca S. Felipe Neri de Sevilla un presbítero de dicha congregación. Reimpresión del año 1889. Sevilla.- Imp. Colón.
70
Cf. Historia de las diócesis españolas 10 BAC. P. 661.
218
ANNALES ORATORII
también presente en esta capital andaluza; y otras con motivo de apoyar la
creación de un Centro de Enseñanza, siguiendo la inspiración ilustrada de la
sociedad gaditana y los proyectos de pastoral del señor obispo Dn. Francisco Javier de Utrera. Enb el último decenio del siglo XVII, el Oratorio de Cádiz se convirtió en el centro de las conferencias morales destinadas a la formación de los eclesiásticos gaditanos a cargo de la congregación filipense.71
En este campo pastoral el Padre Vega realizaba también tareas que los obispos habían encomendado encarecidamente a los filipenses de Cádiz, como
era ocuparse de la asistencia religiosa y de la formación cristiana de los soldados de las guarniciones de la plaza. El padre Lucas recuerda la presencia
del Padre Vega entre los soldados en el último sitio de Gibraltar. A este propósito dice el Padre Lucas: “Para que conozcamos la intensidad de su celo,
basta decir que hallándose en el Campo de San Roque, durante el último sitio de Gibraltar a donde había ido por ciertos fines piadosos, se consagró a
asistir y auxiliar a los heridos; predicó a la Plana Mayor antes de verificarse
el asalto de los empalletados72, los animó a morir por su rey y Patria, y aún
los hubiera seguido a la empresa para animarlos más, a no habérselo impedido el General, temiendo el riesgo a que se exponía el Padre.” 73 Pero sin
duda ninguna lo que más unió a las congregaciones de Andalucía fue la epidemia de peste que se declaró en Cádiz en 1800 y luego se extendió por toda Andalucía, por Málaga y Sevilla, causando innumerables víctimas, entre
ellas el propio Padre Teodomiro.
Posteriormente comprobaremos del mismo modo el aprecio de la Congregación de Sevilla por la de Cádiz cuando el Prepósito de Sevilla D. Alonso Elena en 1859 intente restaurar aquella enviando dos sacerdotes de Sevilla. Pero esto cae ya fuera de los límites de nuestro marco histórico en este
trabajo.
La noticia de la muerte del Padre Vega se comunicó al Prepósito de la
71
Especie de colchón que con la ropa de los marineros se formaba en el constado de las embarcaciones antes de entrar en combate.
72
No olvidemos que los Padres de Cádiz, con toda probabilidad habían abierto una casa en
San Roque. Se refiere el P. Lucas al cuarto sitio de Gibraltar que tuvo lugar en 1782, sin que las
tropas mandadas por el duque de Crillón lograran tomar el Peñón.
73
Viva Jesús. Oratorio Sacro de la vida del hombre y su reparación que se ha de cantar en
la iglesia de María Santisima de los Dolores, Congregación del Patriarcha San Phelipe Neri desta ciudad de Córdoba, en la tarde del día 19 de marzo en que se celebra la festividad de los Dolores de esta Señora Titular y Patrona de dicha congregación, este año de 1723. Puesto en comento músico por el Licdo. D. Pedro Rabassa Maestro de Capilla de la Santa Iglesia Metopolitana de la ciudad de Valencia... Impreso en Córdoba en casa de Esteban Cabrera...
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
219
Congregación de Málaga, que lo era el Padre José de Rute Peñuela. Encontramos también aquí motivos para relacionar la personalidad del Padre Teodomiro con la comunidad malagueña. El Padre Cristóbal de Rojas y Sandoval restaurador de la comunidad había fallecido en 1757 y pronunció su oración fúnebre el Padre filipense de Málaga Dn. Juan José Soriano. El Padre
Soriano gobernó la comunidad hasta 1794, en sus honras fúnebres predicó el
Padre José de Rute que vivió hasta 1822. Ambos Padres malagueños realizan los mejores proyecto de su Oratorio, respondiendo a las directrices pastorales, primero del Cardenal Molina obispo de Málaga y sus sucesores. Los
Padres de Málaga fundaron una Casa de Ejercicios y otra de Estudios públicos, tal vez una facultad de Teología, para lo que consiguió una Bula pontificia de Benedicto XIV, con intención de elevar el nivel cultural de los eclesiásticos malagueños. A lo largo de la segunda mitad del siglo XVIII, Málaga sufrió varios ataques epidémicos que costaron muchas vidas: tanto en
1755 con el tabardillo, como en 1800 y 1804 con la fiebre amarilla, los padres filipenses se entregaron desinteresadamente a prestar ayuda a los afectados, en cuya obra se contagiaron también y murieron víctimas del servicio
generoso y caritativo. Por todas las víctimas ofreció la congregación a la ciudad de Málaga múltiples misas y sufragios, con presencia del obispo y de las
autoridades civiles y militares. Compartieron con el Padre Vega la práctica
de la Escuela de Cristo, instalada en la propia iglesia, aunque en capilla propia, y crearon el Oratorio Seglar; fueron los malagueños propulsores también
de la devoción al Sgdo Corazón de Jesús, como lo fue siempre el Padre Vega. Tanto en Sevilla como en Málaga aparece la solicitud pastoral de la Iglesia por lo que se refiere a la atención particular a los encarcelados y condenados a muerte. Consta que el Padre Vega en Sevilla practicaba este apostolado, tratando de acercar a Dios a los habían de ser ajusticiados, en Málaga
los Padres de San Felipe atendían a los piratas apresados y condenados a la
última pena, en muchos casos extranjeros, a los que se trataba de preparar
para el bautismo y el arrepentimiento si no eran cristianos, o a la abjuración
de sus errores si eran herejes.
Según Díaz de Escovar (sic), el Padre José de Rute Peñuela predicó un
sermón el día 28 de marzo de 1772 por la tarde junto a la horca de unos ajusticiados, sobre la educación de los hijos.
El Padre Juan Álvarez, según el mismo Díaz de Escovar, predicó un sermón el 6 de julio de 1782, con motivo de la ejecución de varios piratas.
El 6 de junio de 1782 fueron ahorcados los piratas Ams Fisson dinamarqués, Juan Guzmán americano y Jaime Rodi... En la capilla se hicieron ca-
220
ANNALES ORATORII
tólicos. Junto a la horca predicó una plática el Padre Juan Alvarez de la congregación del Oratorio.
En la misma residencia y casa de Málaga ya el Padre Cristóbal de Rojas
había dispuestos determinados aposentos para dedicar parte de la vivienda a
Casa de Ejercicios, especialmente para sacerdotes, pues era una de las primeras intenciones del Cardenal Molina cuando promovió la fundación malagueña. Los filipenses fueron en buena medida confesores y directores espirituales del clero. Otros Padres malagueños contemporáneos del Padre Vega
fueron el P. Nicolás de Arjona, Senior de la Comunidad en 1794 y el P. Manuel Casamayor, Secretario en la misma fecha.
La comunicación de la muerte del Padre Vega a la Congregación de Córdoba, fundada en 1699, y de la que conocemos hasta ahora pocos documentos, pone de manifiesto los temas más importantes de la tradición cordobesa
filipenese. Su fundador Don Luis Belluga y Moncada había sido estudiante
en Sevilla, donde alcanzó el doctorado en Teología luego fue canónigo de
Córdoba y alcanzó el obispado de Cartagena y el cardinalato. Desde las más
altas instancias del Estado promovió los planes para la reforma del clero en
tiempos de Felipe V, con la Bula “Apostolici ministerii” (1723) de Inocencio
XIII, confirmada por Benedicto XIII en 1724. Si nos fijamos detenidamente
en los planes de reforma del cardenal veremos plasmados estos en muchas
de las realizaciones pastorales de las congregaciones del Oratorio en la segunda mitad del siglo XVIII, (el cardenal murió en 1743). El impulso dado
por Don Luis Belluga a la práctica de los Ejercicios Espirituales y a la formación del clero lo hemos visto de una manera destacada realizado por el
Padre Vega en Sevilla y los la Congregación de Málaga; el problema del clero joven educado en los seminarios y en las universidades, contagiado de janenismo y secularismo, sobre todo en las facultades de Derecho canónico y
civil; el tema de la predicación y de las misiones populares, etc. etc. El Oratorio de Córdoba que el Padre Vega conoció se distinguió también por su sensibilidad hacia la música oratoriana, pues en su iglesia se representaban distintos Oratorio musicales de los compuestos en Valencia74. ¿La composición
de Oratorios musicales fue una reacción contra el auge del teatro profano75?
Siguiendo la tradición que venía del Oratorio de Granada, Don Luis Belluga
fomentó la devoción a la Virgen de los Dolores, que continuó en la comuni-
74
María T. Ferrer Ballester: El Oratorio barroco español: aportación de nuevas fuentes. Cf.
Revista de Musicología V. XVI 1993 nº 5P.[9] ss.
75
J. Rodríguez Molina: Historia de Baeza. P 225 s.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
221
dad de los filipenses de Sevilla y también en la de Baza. Incluso esta advocación fue la titular de la iglesia del Oratorio en Sevilla, para algunos historiadores. Por otra parte podemos decir que si el Padre Vega buscaba modelos de arquitectura para la construcción de su Casa de Ejercicios bien podía
inspirarse en las de Granada, Cádiz y Córdoba. Sea lo que fuere sobre este
tema hay que constatar que la casa de Sevilla tal como fue levantada en la
collación o barrio de Santa Catalina vino a chocar con los planes urbanísticos de Pablo de Olavide y acabó por desaparecer, aunque concurrieran también otras circunstancias históricas.
El Padre Vega conoció también el desarrollo de la Congregación de Baeza (Jaén) en la primera mitad del siglo XVIII: el Obispo de Jaén D. Fernando Andrade y Castro, procedente de la diócesis de Palermo, donde conoció
a los filipenes, fundó en el mismo Oratorio el Seminario Diocesano, o Colegio mayor, con aprobación del Papa Alejandro VII76. Luego el Obispo de Jaén
Don Manuel Isidro de Orozco puso como Rector al Padre Cristóbal de Rojas que lo fue durante cuatro años, y según las crónicas los mejores espiritual e intelectualmente de la institución. Ya hemos hablado de la ayuda prestada por la Congregación de Baeza a la de Málaga para su reorganización.
La historia de la Congregación de Baeza recoge la fama de estos filipenses
como misioneros apostólicos por todas las ciudades y pueblos de la diócesis
de Jaén y otras provincias.
De qué modo la experiencia de vida filipense biatiense pudo informar la
vida sacerdotal y la obra del Padre Vega, es un tema que necesitaría mayor
investigación. En líneas generales se puede decir que la tradición filipense de
la Congregación de Baeza resaltaba el espíritu de San Juan de Ávila, a quien
se llama “predicador insigne de la Palabra de Dios”; y con eso el servicio
a los sacerdotes y a la predicación misional. A esta constante tradición sacerdotal avilista se unía ahora, en la primera mitad del siglo XVIII los planes reformistas del clero impulsados por Don Luis Belluga y Moncada, filipense de Córdoba y obispo de Cartagena, recogidos por la Iglesia en la Bula Apostolici Ministerii de 1723, promulgada por Inocencio XIII y conformada por Benedicto XIII al año siguiente, como ya dijimos: formación de los
sacerdotes, la pastoral y la predicación y enseñanza del catecismo era lo que
más se urgía al clero, especialmente al parroquial. La Congregación baeziense se había dedicado a la educación de la juventud especialmente en el
76
Contaba la Cong. de Baeza con 9 sacerdotes y 4 legos o.c. p. 242.
222
ANNALES ORATORII
Seminario Mayor del Santo Reino, y a la juventud universitaria de Baeza77,
apostolado o ministerio que vemos luego también en el Padre Vega con la juventud sevillana. En relación con Don Pablo de Olavide hay que decir que
esta Congregación de la Alta Andalucía admiraba la obra de repoblación y
creación de nuevos pueblos llevada a cabo por Don Pablo; en Baeza vivió su
familia y allí murió el mismo Olavide en 1803. Pensemos también que esta
tradición filipense del Alto Guadalquivir pasó a la Baja Andalucía a través
de la congregación de Málaga desde 1743.
El Padre Vega murió el 6 de diciembre de 1805 antes que comenzase la
invasión francesa en España y en Andalucía, con la interminable serie de calamidades de todo orden. Me reitero en mi apreciación primera y creo que el
padre Teodomiro es el más alto representante del Oratorio en España durante la segunda mitad del siglo XVIII.
EPÍLOGO
La vida de las Congregaciones en la segunda mitad del siglo XVIII fue
magnífica, la de mayor esplendor y extensión, contribuyó a que tanto la Iglesia de España, como la sociedad civil y el pueblo cristiano tomaran conciencia de la identidad propia de estas comunidades, tanto de una forma individual, local, como de una forma colectiva. Es admirable el servicio prestado
a las diócesis por las congregaciones del Oratorio, y por otra parte hay que
reconocer el aprecio que el episcopado español mostró a la institución,
abriendo la diócesis a sucesivas fundaciones. Se puede decir que el episcopado español del siglo XVIII fue el primer valedor de los filipenses para sus
programas de reforma del clero y del pueblo considerándolos diocesanos sin
ninguna distinción. A muchos obispos el Oratorio español les debe eterna gratitud. Sus intervenciones en la vida interna de las comunidades fue además
positiva, en todos los casos que conocemos en España.
El Padre Vega fallecido santamente en 1805 no pudo ver las consecuencias de la Guerra de la Independencia entre 1808 y 1814. Pudieron mantenerse florecientes varias comunidades de filipenses hasta la muerte del rey
Fernando VII en 1833. Pero después, los gobiernos liberales de Isabel II y
77
J. Sánchez Rubio: Juicio imparcial y comentarios sobre el concordato de 1851. Madrid
1853. También: Historia Contemporánea del clero español correspondiente a 1851 y 1852. Madrid 1853.
A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ...
223
los sucesivos decretos de supresión de las ordenes religiosas y la desamortización eclesiástica, obligó a los Oratorios a defender sus derechos y su propia personalidad en el seno e la Iglesia, hasta la firma del nuevo concordato entre la Reina Católica y el papa Pío IX en 185178. Pero, en el entretanto,
muchas comunidades se extinguieron y sus bienes parason a manos de la iglesia diocesana, de particulares y del Estado. De las que sobrevivieron, unas
encontraron los medios jurídicos para burlar la ley y siempre permanecieron
y otras que han llegado a nuestros días pudieron recuperar sus bienes y comenzar de nuevo, cumpliendo las exigencias establecidas en los acuerdos entre la Iglesia y el gobierno de España.
Ángel Alba, C.O.
78
J. Sánchez Rubio: Juicio imparcial y comentarios sobre el concordato de 1851. Madrid
1853. También: Historia Contemporánea del clero español correspondiente a 1851 y 1852. Madrid 1853.
F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ...
225
ANTONIO GAUDÍ, EL ARQUITECTO DE DIOS,
Y EL ORATORIO DE SAN FELIPE NERI
En Gracia, dónde Antonio Gaudí vivió durante veinte años, y en sus alrededores se encuentra la mayor parte de la obra más esplendorosa del arquitecto de Dios (la Casa Vicens, primera casa construida por él; la Casa Milà
o “Pedrera”; el Parque Güell; la Sagrada Familia). No nos debe extrañar,
pues, que como vecino de Gracia visitase de vez en cuando nuestro Oratorio
de Gracia, más teniendo en cuenta su amor por la liturgia y también por la
música1 En este punto de contacto con el Oratorio de Gracia debemos mencionar que seguramente se estableció con su amigo y discípulo Francesc Berenguer, autor de los dos altares del crucero de nuestra iglesia, dedicados al
Sagrado Corazón de Jesús i a San Felipe Neri, como también la reconstrucción del altar mayor, destruido por el saqueo que sufrió la iglesia en la llamada Semana Trágica (julio de 1909); desgraciadamente las obras del maestro Berenguer se perdieron en gran parte durante la guerra civil (1936-1939)2.
Desde 1906 hasta poco antes de su muerte la parroquia de Gaudí, vecino
1
Atestiguan que tenía “oído profesional”, lo que se pudo comprobar cuando, a las cinco de la
madrugada, dicen, escuchaba las pruebas que se hacían con las campanas de la Sagrada Familia y
comparaba su sonido con el sonido de las campanas de otras iglesias: “…Gaudí, desde su casa del
Parque Güell, después de haber tocado la campana tubular unos minutos antes para conocer el
sonido, escuchó cuando tocaron todas y observó que el sonido que se compenetraba más era el
de la Concepción. Entonces comparó todos los detalles referentes a las dos campanas, como distancias a la casa de Gaudí (2.300 metros a la Concepción y 2.000 metros a la Sagrada Familia),
peso y otras circunstancias, y encontró que el peso de la de la Concepción era doble del de la Sagrada Familia y los efectos iguales, ésto que supone muchas y mejores condiciones vibratorias en
la forma tubular”. Cf. Martinell, C., Gaudí i la Sagrada Família. Aymà, Editores, Barcelona, 1996
2
Colás. F., L’Oratori de Sant Felip Neri de Gracia. Cent anys de vida, Barcelona, 1996. Francesc Berenguer parece que fue el hombre que más conoció Gaudí y vivió intensamente la etapa
en Gracia del maestro; también colaboraba con otro arquitecto, Miquel Pasqual. Con éste trabajaba por las mañanas, y por la tarde iba al obrador del templo de la Sagrada Familia. Pasqual y Berenguer construyeron en 1895 el templo-santuario de San José de la Muntanya. Además de esta
obra, también hay que destacar como obras importantes de Berenguer: la capilla del Santísimo de
la parroquia de San Juan Bautista de Gracia, que algunos atribuyen al mismo Gaudí; la sede del
Centro Moral e Instructivo de Gracia; casas particulares como: los números 13, 15 77 y 237 de la
calle Gran de Gracia o bien los números 92 y 94 de la Rambla de Catalunya, entre otros.
226
ANNALES ORATORII
de Gracia del Parque Güell, fue el templo de san Juan Bautista (plaza de la
Virreina). El arquitecto, que dormía de un tirón toda la noche3, se levantaba
a las siete de la mañana y en ayunas iba a dicha iglesia. Mn. Vendrell, presbítero beneficiado de esta parroquia dirá de la conducta religiosa de Antonio
Gaudí en aquellos años: “No he encontrado jamás un hombre tan piadoso,
tan fiel a su parroquia y tan humilde. Nos edificaba, él a nosotros, con su
actitud. Siempre salíamos ganando, con su presencia. Era una alma enamorada de Dios. Me sentía pequeño ante su grandeza y su modestia. Durante
veinte años le administré cada día la Sagrada Comunión”. Gracias a su religiosidad, ascetismo y a los estudios constantes de la liturgia4, sabía y sentía lo que es la parroquia para un feligrés.
Gracia, podemos afirmar que tuvo la buena suerte de presenciar la transformación física y espiritual del gran arquitecto Antonio Gaudí i Cornet. Las
calles silenciosas de la parroquia de San Juan Bautista fueron en aquellos
años testigo de la metamorfosis del arquitecto. En la época que comenzó a
vivir con los suyos en el Parque Güell, conservaba todavía el aire de su antigua elegancia y de su ser señor en el vestir. Su ascetismo ni era total ni acentuado como lo fue años más tarde. No había renunciado a las pompas mundanas ni al comercio de los hombres. Por las noches, por ejemplo, se retiraba a su hotel con una tartana. Pero, Gracia vio como lentamente fue renunciando a todo bien terrenal para mayor gloria de Dios.
Muchos vecinos fueron testigos de cómo se desprendía de todo para darlo todo. Quizá tenía presente aquello de San Agustín: “Dónde no hay caridad
no puede haber justicia”. Lo regalaba todo. Estaba tan convencido de no tener un no para nadie, que hasta para ahorrar retrasarse en sus cuentas, entregó la administración y el cuidado de su dinero a una persona de confianza,
pidiéndole él el dinero necesario para comprar el periódico de la tarde, La
3
“...puedo citar, por ejemplo, que su almohada, en vez de lana, la tenía rellena en la parte fibrosa de unas pequeñas calabazas, obtenidas luego de dejarlas secar, las cuales aprovechaba para diferentes usos y que para descansar la cabeza nada tenían de blandas. Otras veces ponía estas plantas fibrosas dentro de los zapatos, descansando en ellas los pies, suprimiendo los calcetines, cosa que, según él pretendía, era para avivar la circulación defectuosa de la sangre. Pero
por esos detalles y otras observaciones hechas por mí, me hace pensar en que podían servirle de
cilicio usándolas por espíritu de penitencia”. (Gaudí cristiano, Conferencias pronunciadas por
Mosén Gil Parés, Subdirector de la Asociación de Devotos de San José, capilla del temple de la
Sagrada Familia).
4
Las obras más queridas por Gaudí y de las que frecuentemente hacía referencia en sus conversaciones eran: Anné liturgique, de Dom Gueranger; Eucologi; Missal quotidiภy últimamente
no se separaba del Misale Romanum de Desclée en la edición de bolsillo.
F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ...
227
Veu de Catalunya, así como para poder coger el tranvía. Seis meses antes de
su muerte, había renunciado a vivir en la casa del Parque Güell y se había
mal instalado en el obrador del templo de la Sagrada Familia.
Siguiendo el principio de causalidad, según el cual todo efecto tiene su
causa, esta metamorfosis tuvo sus causas. En primer lugar, la muerte de su
padre, el señor Francesc Gaudí, antiguo calderero de Riudoms, que había
contagiado a su hijo su amor por la forma, por la creación5. Por otra parte, el
contacto cotidiano con las cosas de Dios como arquitecto de la Sagrada Familia y de otras obras siempre impregnadas de presencia religiosa. En resumidas cuentas todo hizo crecer en él el fervor religioso y el misticismo, que,
al intuirlo y comprenderlo, nos puede ayudar a penetrar en el corazón de su
obra6.
Sin embargo, debemos decir que las noticias que se pueden recoger sobre
el carácter de Gaudí son contradictorias. Mientras algunos lo tachan de genio presto e irascible, otros hablan de su amabilidad y del interés con que escuchaba a la gente y se preocupaba por sus problemas. Con su modestia buscaba la compañía de los demás, más que su amistad, ya que según él es muy
difícil de encontrar. Siempre defendía a sus amigos, más si no estaban presentes, con más fuerza que si se hubiese defendido a sí mismo. Si se encontraban enfermos, no dejaba pasar un día sin visitarlos. Se dice que no conocía el rencor, y parece cierto. Son muchas las amistades que cultivó alrededor de la parroquia de San Juan y en el barrio de Gracia7.
La gran oportunidad de su vida se le presentó cuando Antonio Gaudí tenía treinta y un años8. En Barcelona se había iniciado la construcción de un
gran templo, el de la Sagrada Familia. Fue una idea de la asociación de De5
“Yo tengo esta calidad de ver el espacio, porque soy hijo, nieto y bisnieto de caldereros. Mi
padre era calderero; el abuelo, también; el bisabuelo, también; en casa de mi madre eran caldereros; mi abuelo era botero (que es lo mismo que calderero); un abuelo materno era marinero, que
también son personas de espacio y de situación. Todas estas generaciones de personas de espacio,
dan una preparación. El calderero es un hombre que de una plancha plana da un volumen. Antes
de comenzar el trabajo tiene que haber visto el espacio. Todos los grandes artistas del Renacimiento florentino eran cinceladores, que también crean volúmenes de un plano; aunque los cinceladores no se separan mucho de las dos dimensiones. Los caldereros abrazan las tres, y ésto crea,
inconscientemente, un dominio del espacio que no todos poseen”. Cf. Martinell, C., Gaudí i la Sagrada Família. Aymà, Editores. Barcelona 1951.
6
Un buen amigo, un tal Ràfols, decía: “Gaudí, visto fuera de la fe, quedará siempre incomprensible. Será quizá un aspecto de su obra que el incrédulo amará, pero no su síntesis”.
7
Llopis, A., Gaudí en la villa de Gracia; en el Album historico y gráfico de Gracia. Barcelona, 1950.
8
Mir, J., Antoni Gaudí, arquitecto. Barcelona 1977.
228
ANNALES ORATORII
votos de San José9, fundada el 1886 por el librero Josep M. Bocabella i Verdaguer. Esta obra había sido iniciada por otro, el arquitecto diocesano Francisco de Paula del Villar Lozano, pero éste no se puso de acuerdo con los
promotores y abandonó el proyecto. Entonces alguien pensó en aquel arquitecto joven, lleno de ideas nuevas, y le encargaron su realización.
Es casi imposible encontrar en toda la historia del arte un paralelismo con
la construcción de esta iglesia. “Al hablar de un artista, lo normal es citar
una obra a modo de culminación; en Gaudí ésto resulta imposible, ya que la
Sagrada Familia, su obra maestra, le habría de ocupar durante toda su vida”10. Ni él mismo había pensado en ello, cuando en noviembre de 1883
aceptó la dirección de las obras
Por aquellos tiempos, Gaudí no tenía muy arraigada su fe, pero parece que
la responsabilidad que le habían conferido causó un gran impacto en su espíritu y enseguida se hizo el propósito de dedicarse plenamente y trabajar con
todos los sentidos para ampliar y mejorar el proyecto inicial.
Como arquitecto responsable que era, se planteó a fondo los temas religiosos, evangélicos y litúrgicos que tenían que ser la base de la idea. Concibió el templo como un lugar dónde el hombre acude a ponerse en contacto
con Dios por medio de los sacramentos y de la oración y se propuso que la
obra respondiese a esta noble finalidad.
Quiso penetrar al máximo en el sentido de las funciones litúrgicas para
que el temple fuese una gran plasmación. Es lógico, pues, que en un espíritu sensible como el suyo, estas meditaciones se transformasen en la semilla
de una fe y de una austeridad que ya tenían que durar toda su vida.
Así, si por una parte, con un estudio consciente y una inspiración genial
supo dar grandiosidad a su obra, también, por otra, tuvo compensación con
el alcance, debido a ella, de unas virtudes que tenían que enaltecer su gran
personalidad.
Él solía decir que todo en aquel templo dedicado a la Sagrada Familia era
providencial y debemos creer que fue esta misma providencia que le orientó
el espíritu por los caminos de la fe.
En cuanto a la espiritualidad de Gaudí, ¿hay alguien que pueda pensar si conoce con un poco de detalle su obra - que todo lo que allí se contempla,
cautivado no sólo per la grandiosidad sino por la gran cantidad de detalles
9
Esta asociación, des de 1867 publicaba una revista titulada El Propagador de la Devoción de
San José, que, con el título de Temple todavía es publica bimensualmente.
10
Camprubí, F., Die Kirche der Heiligen Familie in Barcelona. Munich 1959.
F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ...
229
que hay llenos de sentido, ha sido todo ello elaborado sólo por un pensamiento frío para intentar realizar una obra vistosa o que se ha fijado en qué
es lo que puede provocar admiración para con su obra? No eran éstos los criterios y las aspiraciones de Gaudí. Sin una contemplación profunda y habitual de los misterios de la fe, ni la fachada del Nacimiento, ni ninguna otra,
no habrían llegado a ser concebidas tal como él las quiso y a nosotros nos
conmueven11.
Y también es lógico pensar que buscase un lugar apto donde vivir la liturgia y su relación con Dios. De todos es sabido que Gaudí alimentaba y celebraba su fe en el Oratorio de San Felipe Neri de Barcelona. Sabemos que
iba, a pie y puntualmente todas las tardes, cuando salía del trabajo en su Catedral de los Pobres —así llamaba él al templo de la Sagrada Familia—, a
hacer la visita por la tarde al Oratorio, “a decir unas palabras a María”12 y
sin duda también a ver a su director espiritual y confesor, el P. Mas. Y sin
duda: así como los “felipenses” de Gracia influyeron, años más tarde” en la
vida espiritual de otro gran hombre de la Iglesia como fue el Dr. Pere Tarrés;
los del Oratorio de Barcelona lo hicieron con la de Gaudí.
Es más, todos aprobaron la mayoría de noticias que se publicaron a raíz
de la muerte de Gaudí, al hacernos sabedores de que la muerte lo sorprendió,
al ser atropellado por un tranvía y sin que nadie lo reconociese, mientras hacía el trayecto de la Sagrada Familia al Oratorio de Barcelona, un lunes de
junio de 192613.
Son muchos los testigos sobre la presencia de Gaudí en el Oratorio de Barcelona. Así en unos apuntes del P. Comas Mundet se encuentra esta noticia:
“El arquitecto Sr. Gaudí, el pintor Sr. Graner, acompañados del Sr. Francisco Figueras, P. Prepósito y P. Sacristán han visitado la Iglesia y determinado colocar dos grandes lienzos pintados por el Sr. Graner. Sustituirán el pintado del presbiterio sobre la sillería. Los asuntos eran: Oración de Cristo en
el Huerto de Getsemaní y Sinite parvulos venire ad me”14.
Sin embargo, el testigo más apreciado es ver el retrato “del más ilustre y
más venerable barbudo que se podía encontrar en el Oratorio todos los días
11
Carles, R. M., Cap a la beatificació de Gaudí. BAB 138 (juliol-agost 1998).
Pujols, F., La visió artística i religiosa de Gaudí. Barcelona 1968. P. 13. Consta también por
testigos presenciales que Gaudí acudía diariamente al atardecer San Felipe Neri a la oración y a
las letanías y los viernes al via crucis, cf. Piera, V., La liturgia en las casas de San Felipe Neri;
en “Revista Litúrgica” 10 (1948), p. 78.
13
Cf., por ejemplo, “Vida cristiana” 12 (1925-1926) pp. 329-330.
14
ACOB, Apunts del P. F. Comas Mundet (1896-1912), 12 de enero de 1909.
12
230
ANNALES ORATORII
en la función vespertina”15, en la fisonomía del San Felipe Neri de los dos
cuadros que J. Llimona pintó y que, todavía hoy, los podemos contemplar,
restaurados, a lado y lado del crucero de la iglesia del Oratorio. Los padres
del Oratorio encargaron al pintor J. Llimona dos cuadros sobre San Felipe
Neri: uno, en éxtasis, celebrando la misa, y otro, con los chicos y jóvenes en
el Gianicolo de Roma. Al pintor, parece ser - y podemos dar por cierto, dada la amistad existente entre ambos artistas16 - no se le ocurrió mejor idea
que plasmar el rostro del arquitecto17 amigo y admirado en la persona del
santo patrón del Oratorio
Teniendo presente esta relación y la influencia de San Felipe Neri en su
vida, no nos ha de extrañar que el mismo Gaudí dejara establecido que el
Santo romano tenía que estar presente en su obra arquitectónica más importante e incluso dónde tenía que ser colocada.
Ferran Colás Peiró C.O.
15
Laplana, J. de C., L’Oratori de Sant Felip Neri de Barcelona i el seu patrimoni artístic i
monumental. Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1978. p. 286.
16
Martinell, C., Gaudí, su vida, su teoría, su obra. Barcelona 1967. pp. 57-59.
17
Cuando Llimona pinto las telas de San Felipe Neri, Gaudí contaba con cincuenta años de
edad; con todo, si son dignos de fiabilidad los retratos y las caricaturas que le hizo Ricard Opisso en el 1894 i en el 1900, el arquitecto ya tenia la barba blanca que lo caracterizaba, con la que
el parecido con el Santo en esos cuadros se confirma.
A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ...
231
EL BEATO MANUEL TORRÓ I GARCÍA (1902-1936),
MÁRTIR, DEL ORATORIO PARVO DE VALENCIA
Los mártires en la Iglesia de Valencia
La Iglesia valentina está edificada, como tantas otras Iglesias particulares,
sobre un fundamento martirial: se trata del testimonio del diácono Vicente,
ministro de la Iglesia de Zaragoza, que, llevado a Valencia, soportó durísimas torturas hasta morir el año 304, durante la persecución de Diocleciano.
La confesión de fe de Vicente —de la que se cumple el XVII centenario en
2004— fue tan célebre que el protomártir de Valencia se convirtió muy pronto en “gran mártir” de toda la cristiandad, venerado de Oriente a Occidente.
Su sangre derramada ha sido en Valencia, según el conocido adagio de
Tertuliano, semilla de nuevos cristianos, es más, de gran número de santos y
santas y, entre ellos, de abundantes mártires a lo largo de la historia, por ejemplo, bajo domino musulmán o en las misiones en las Indias. Sobre todos destacan, sin embargo, los testigos de la fe martirizados durante los últimos años
de la II República española (1936-1939). Esta persecución, por su magnitud
y también a veces por su crueldad, bien puede ser comparada con las más terribles de la antigüedad pagana.
El papa Juan Pablo II beatificó en Roma, el 11 de marzo de 2001, a un total de 233 mártires que en aquellas difíciles circunstancias dieron el supremo
testimonio; la gran mayoría eran valencianos o se encontraban desarrollando
sus respectivos ministerios o actividades apostólicas en estas tierras. Nos encontramos ante una beatificación especialmente significativa, por varias razones. Primeramente, es la más numerosa de la historia. En segundo lugar, ha
tenido lugar al inicio del III Milenio de la era cristiana, como recordando, en
clave de superación y de esperanza, todas las persecuciones, guerras y atrocidades que han ensangrentado el pasado s. XX. Por último, se trata de la primera vez que las diferentes vocaciones y carismas eclesiales han quedado unidos en el martirio común: junto a muchas religiosas y religiosos han sido beatificados miembros del clero secular y laicos de ambos sexos. Su conmemoración litúrgica conjunta ha sido fijada el día 22 de septiembre.
232
ANNALES ORATORII
Raíces locales y oratorianas
Entre estos nuevos beatos figura el bienaventurado Manuel Torró i Garcia, que fue Hermano del Oratorio Parvo de San Felipe Neri, de Valencia.
Nació el 2 de julio de 1902 en Ontinyent, municipio de la comarca valenciana de la Vall d’Albaida, donde recibió los sacramentos, estudió las primeras letras y ejerció posteriormente una gran actividad apostólica.
Dicha comarca se ha caracterizado históricamente por la religiosidad de
sus habitantes. De hecho, bastantes de los mártires ahora beatificados eran
naturales de ella. También fueron oriundos de la misma algunos de los miembros de la Congregación del Oratorio de Valencia, fundada en 1645 y cuya
influencia se extendía a todo el Reino. Citemos solamente a dos de los Padres más insignes. Uno de los oratorianos de la primera generación fue el P.
Gaspar Blai Arbuixech (1624-1670). Nacido, como el beato Manuel Torró,
en Ontinyent, fue profesor y vicerrector de la Universidad de Valencia —donde era considerado “padre y maestro de la juventud”— y notable predicador
en lengua vernácula. Modelo de virtudes, destacó también como propagador
de la doctrina inmaculista, muy característica de la Congregación valentina
—a los esfuerzos de los Padres se debe, en parte, el Breve del papa Alejandro VII Sollicitudo omnium Ecclesiarum, de 1661, uno de los antecedentes
de la definición dogmática de 1854—, y la tradicional devoción de Ontinyent
a la Purísima Concepción, de la que participó vivamente nuestro beato, le debe mucho.
A finales de siglo vio la luz en la villa de Albaida otro ilustre miembro de
la Congregación, el P. Vicent Calatayud (1693-1771), pavorde de la Catedral
metropolitana y también profesor de la Universidad de Valencia, donde fue
el principal representante de la teología tomista de la época. El P. Calatayud
nunca abandonó sus vínculos familiares y espirituales con Albaida. La tradición filipense constituye, pues, una de las raíces espirituales que, en aquel
entorno local y a través de la sucesión de las generaciones, nutrieron la fe del
beato Manuel Torró.
Hermano del Oratorio y apóstol seglar
Aunque la Congregación de Valencia desapareció en 1837, a consecuencia de los decretos desamortizadores, el Oratorio Parvo de San Felipe Neri,
por un cuidado especial de la Providencia, ha continuado existiendo ininterrumpidamente hasta hoy: los Hermanos —y también las Hermanas, esta-
A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ...
233
blecidas en el s. XVIII— han seguido reuniéndose, a imitación del Oratorio
romano, para los ejercicios de piedad (oración en común, veneración de la
Virgen María bajo la advocación particular “de la Luz”) y de misericordia
(atención a los enfermos y ancianos). El beato Manuel Torró, que fue miembro de otras asociaciones laicales como la Acción Católica y la Adoración
Nocturna, conoció a los Hermanos durante su época de estudiante de perito
aparejador en Valencia y entró a formar parte del Oratorio Parvo, establecido entonces en el Hospital: allí ejerció la caridad siguiendo el ejemplo de N.P.
san Felipe y de sus compañeros e hijos espirituales.
En 1926 contrajo matrimonio con Rosario Romero Almenar; tuvieron un
hijo, que falleció prematuramente. Los diez años siguientes vivió con espíritu evangélico su condición de esposo y de aparejador en Ontinyent. Los testigos del proceso de beatificación afirman que Manuel Torró era educado, trabajador, fiel cumplidor de sus deberes. Bondadoso y pacífico de carácter, supo permanecer humilde y amable, servicial y caritativo. Ayudaba cuanto podía en las actividades de la Iglesia (por ejemplo, en la enseñanza del Catecismo), pero no dudó en trabajar por el bien de la sociedad (colaboró en algunas ocasiones con el Sindicato obrero católico). Su intensa actividad apostólica surgía de una profunda vida de piedad: participaba en la Misa y comulgaba diariamente, rezaba el Rosario en familia.
La precipitación de los acontecimientos políticos hizo que en 1936 estallara la revolución, que conllevaba la persecución religiosa. Todas las iglesias y ermitas de Ontinyent fueron saqueadas, profanadas, quemadas y destruidas, a veces por completo. La imagen patronal de la Purísima Concepción, que había sido remodelada a instancias del P. Arbuixech, antes citado,
fue deshecha. Doce presbíteros, hijos de Ontinyent o que ejercían su ministerio en esta ciudad, fueron asesinados junto con noventa seglares, en su mayoría cristianos militantes. Entre estos se encontraba el beato Manuel Torró.
Persecución y martirio
En la última vigilia de la Adoración Nocturna antes de la revolución, un
alguacil enviado por el alcalde pidió la lista de los adoradores a Manuel Torró, que era el Presidente. Este lo notificó a los reunidos y la mayoría dieron
el nombre. Todos serían asesinados. Aquella misma noche, el beato ofreció
su vida en defensa de la fe.
Comenzada la revolución, no quiso esconderse, sino que recogió los objetos religiosos de su parroquia, la de San Carlos, y guardó con él el Santísi-
234
ANNALES ORATORII
mo Sacramento. Todos los domingos por la mañana, reuniendo a su esposa,
sus padres y sus tres hermanos, leía la Misa del día y al final comulgaban todos. En aquellos días amargos mantuvo el ánimo sereno, confiando su vida
en las manos de Dios. Afirmaba que, si le perseguían, era solamente por su
condición de católico, pues nunca había intervenido en política. La víspera
de su tránsito, rezó el Rosario con su esposa, y le dijo que tenían una oportunidad única para pedir al Señor la gracia del martirio.
A las doce de la noche del 20 de septiembre fue detenido. Se puso el mejor traje que tenía y que su mujer acababa de limpiar; cuando ésta le dijo:
“Con lo que me ha costado limpiarlo”, le contestó él: “a donde voy debo ir
bien limpio”. Seguidamente la invitó a perdonar a todos como él los perdonaba, la animó para que estuviese contenta y le dio un beso de despedida.
En el trayecto hacia el lugar de la ejecución, que tuvo lugar en el término de Benissoda, dió unos cigarrillos a uno de los que habían ido a por él, lo
abrazó y le dijo que estaba muy contento; aquel hombre no los pudo fumar
y días después los devolvió a la viuda. Antes de morir junto con otros detenidos, y tras los atropellos, insultos y blasfemias de los asesinos, pidió a éstos que les dejasen cantar la Salve y que les disparasen de frente, pues, decía, los católicos mueren de cara. Hacia las dos de la madrugada del día 21
entregaba su espíritu. Después del fusilamiento se encontraron unos rosarios
en tierra, ensangrentados. Su cuerpo fue echado en una fosa común, sin caja
o ataúd, tal como él había deseado.
*
*
*
Manuel Torró unió una vida de sencillez evangélica, orientada según su
específica vocación laical, a una muerte martirial ofrecida por amor a Dios y
a los hombres: encarnó, pues, los más altos ideales que N.P. san Felipe proponía a los seglares. Ojalá que el ejemplo de nuestro beato brille para todos
con luz potente y su amable intercesión se experimente cada vez más cercana por los miembros del Oratorio secular y de la entera familia filipense.
August Monzon i Arazo
A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ...
235
Bibliografía sumaria
Cárcel Ortí, Vicente / Fita Revert, Ramón, Mártires valencianos del siglo XX,
Edicep, Valencia, 1998.
Delegación Diocesana para las Causas de los Santos de la Archidiócesis de
Valencia, Manuel Torró García, Valencia, 1999. (Recoge fundamentalmente los datos de la Positio).
Llin Chàfer, Arturo, Modelos de vida cristiana. Semblanzas biográficas de la
Iglesia de Valencia, Edicep, Valencia, 1999.
L’Osservatore Romano, La beatificazione dei 233 martiri della persecuzione
contro la Chiesa nella Spagna repubblicana, suplemento para el 11 de
marzo de 2001. (Incluye: homilía de Juan Pablo II; alocución a los peregrinos; elenco de los 233 mártires).
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
237
PADRE LUIGI PICCARDINI (1812-1893).
UN APOSTOLO DELLA DEVOZIONE ALLA MADONNA
1. La Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello, fucina di santi
e di dotti
La Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello1 fu fondata dal padre
Cristoforo Cherubini. Mentre questi si trovava a Roma, e stava pregando nella basilica vaticana sulla tomba di san Pietro, sentì l’impulso di tornare a Città di Castello e di fondare presso la chiesa dedicata al principe degli apostoli la Congregazione dell’Oratorio. Ottenuto l’assenso del vescovo, ebbe l’approvazione pontificia col breve Ex quo Divina Majestas del 7 gennaio 1622.
Il breve fu pubblicato il 22 luglio dello stesso anno, ed il 18 ottobre seguente fu aperta la Congregazione dell’Oratorio presso la chiesa di San Pietro della Scatorbia. La prima comunità oratoriana tifernate era composta dai sacerdoti Cristoforo Cherubini, Niccolò Manassei, Lorenzo Guerrini, Onofrio
Onofri, Domenico Leomazzi e dal chierico Vincenzo Restori.
L’antica chiesa di san Pietro, secondo la leggenda fu eretta sul luogo dove si trovava il carcere in cui fu imprigionato san Crescenziano, soldato romano evangelizzatore dell’Alta Valle del Tevere, martire a Pieve de’ Saddi
nell’anno 3032. Dopo essere stata priorato dei monaci camaldolesi di Borgo
Sansepolcro, la chiesa divenne beneficio semplice ammensato al seminario
vescovile. Con una transazione i padri dell’Oratorio vennero in possesso di
questo luogo, pagando un canone annuo al seminario. Grazie alla traslazione di numeose preziose reliquie ed a numerose opere d’arte, la chiesa divenne ben presto, assieme all’annesso convento, uno dei più importanti luoghi
1
Notizie sulla Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello si trovano in A. CERTINI, Origine delle chiese e monisteri di Città di Castello, 1726, ms in Archivi Storici Diocesani di Città
di Castello (ASDCC), Archivio Capitolare; G. MANCINI, Istruzione storico-pittorica per visitare le
chiese e i palazzi di Città di Castello, Perugia 1832, I; G. MUZI, Memorie ecclesiastiche di Città
di Castello, Città di Castello 1842-1843, V, pp. 22-26; E. CIFERRI, Luigi Piccardini e il suo tempo, Città di Castello 1993, pp. 58-70 e passim.
2
A. CERTINI, Vita di san Crescenziano, Foligno 1709.
238
ANNALES ORATORII
di fede e di cultura della diocesi. Anche l’oratorio degli Angeli, annesso alla
chiesa, era uno scrigno di opere d’arte.
Nei secoli la Congregazione tifernate ebbe fra i suoi membri numerosi personaggi illustri per santità e dottrina. Padre Pietro Paolo Guazzini, figlio del
famoso giurista Sebastiano, divenne notissimo per aver pubblicato un Tractatus moralis ad defensam animarum advocatorum, iudicum et reorum, dato alle stampe a Venezia nel 1650, quasi a complemento spirituale dell’opera più
famosa del padre, Ad defensam reorum. Rimase famoso per una sua predicazione a Roma nella chiesa della Vallicella, per il grande afflusso di gente che
vi concorse3. Padre Stefano Cappelletti invece rimase celebre per la sua devozione alla Madonna di Belvedere, e per la sua generosià verso i poveri. Morì nel 1784 in concetto di santità. Padre Domenico Agatoni, laureato in teologia presso l’Università Gregoriana, fu preposto dell’Oratorio e direttore spirituale richiestissimo, morto anch’egli in gran concetto di santità nel 1805. Molti dei confessori di santa Veronica Giuliani appartennero alla Congregazione
dell’Oratorio: fra questi si ricordano Francesco Maria Ripa, Tommaso Bandinelli, Girolamo Bastianelli, Ubaldo Antonio Cappelletti, Vincenzo Segapeli,
Raniero Maria Guelfi, Valerio Canauli ed il padre Caromi4.
Il personaggio più insigne per santità legato all’Oratorio tifernate, fu la
Serva di Dio Sulpizia Lazzari (1648-1717)5, una nobile dama, che, messasi
sotto la direzione spirituale dei Filippini e oblata a San Filippo Neri, ebbe
esperienze mistiche straordinarie. Dopo la sua morte le furono trovati nel
cuore segni ritenuti miracolosi, per un fenomeno di stigmatizzazione plastica simile a quello verificatesi in santa Veronica Giuliani e nella beata Florida Cevoli, sue contemporanee. La Lazzari morì nel 1717 e fu sepolta con
grande onore presso l’altar maggiore della chiesa di San Pietro. Di lei fu compilato il processo di beatificazione, che si trova ancor oggi nell’archivio vescovile di Città di Castello, perché nonostante il suo felice esito, non poté
trovar seguito a Roma per mancanza di un finanziatore.
Degni di un ricordo particolare sono anche: il padre Cesare Moretti (17731844)6, insigne predicatore, notissimo per la sua bontà; Giovanni Battista Ri3
E. CIFERRI, Tifernati illustri, Città di Castello 2000-2001, I, pp.132-136.
Si veda in proposito: L. IRIARTE, I confessori di santa Veronica Giuliani, in “L’Italia Francescana” , LXIV, 4, pp. 389-416.
5
F. M. GALLUZZI, Vita della Serva di Dio Sulpizia Lazzari, vergine secolare di Città di Castello, Roma 1730; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit., I pp. 146-149.
6
A. BELLI, Per la morte del padre Cesare Moretti preposto della Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello, Città di Castello 1844; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit., II pp. 182-186.
4
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
239
gucci (1806-1847)7, scrittore, sacerdote, fondatore della locale Cassa di Risparmio, precursore della moderna speleologia, che volle entrare nella congregazione in punto di morte; mons. Florido Pierleoni (1742-1829)8, vescovo di Acquapendente e mons. Orazio Bettacchini (1810-1857)9, vescovo titolare di Torone e primo vicario apostolico di Jaffna nell’isola di Ceylon.
2. Luigi Piccardini
Luigi Piccardini10 nacque il 5 novembre 1812 da una famiglia di contadini al Palazzone della Villa dei Piotti, nelle campagne di Città di Castello. Dopo gli studi nel seminario vescovile, nel 1836 fu ordinato sacerdote dal vescovo Giovanni Muzi. Nel 1837 entrò nella Congregazione dell’Oratorio di
San Filippo Neri di Città di Castello, nella quale svolse un multiforme apostolato. Fu fra l’altro confortatore dei condannati a morte, promotore del culto del Cuore Immacolato di Maria ed assistente spirituale nelle scuole. Nel
1847 seguì, in qualità di segretario, l’amico e confratello oratoriano Orazio
Bettacchini, divenuto vescovo nell’isola di Ceylon, in un viaggio per l’Italia
e l’Europa, durante il quale a Parigi si consacrò al Cuore Immacolato di Ma-
7
P. TOMMASINI MATTIUCCI, Commemorazione di Giovanni Battista Rigucci, Città di Castello
1896; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit, II pp. 187-195.
8
G. MUZI, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, cit., V p. 227.
9
A. BELLI, Elogio biografico di mons. Orazio Bettacchini, Città di Castello 1868; E. CIFERRI,
Tifernati illustri, cit., I pp. 42-46; N. M. SAVERIMUTTU, The life and times of Orazio Bettacchini,
the first Vicar Apostolic of Jaffna, Ceylon (1810-1857), Roma 1980; E. CIFERRI, Luigi Piccardini
e il suo tempo, cit., passim; E. CIFERRI, La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di
Spoleto nell’epistolario di Orazio Bettacchini, in “Spoletium”, XLI, 40, 1999, pp. 46-48; E. CIFERRI, La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri e la Biblioteca Federiciana di Fano
nell’epistolario di Orazio Bettacchini, in “Nuovi Studi Fanesi”, XV, 2001, pp. 45-50.
10
Su Padre Luigi Piccadini si veda: E. CANCELLIERI, Necrologia del fondatore del Santuario
di Canoscio Padre Luigi Piccardini e del zelante suo cooperatore Don Francesco arciprete Volpi, Umbertide 1893; G. BONGINI, Cenni del defunto Padre Luigi Piccardini recitati prima della
sua tumulazione nel cimitero di San Secondo il dì 15 febbraio 1893, s. n. t.; A. GIANNINI, Padre
Luigi Piccardini, Selci 1955; L. GIACCHI, Padre Luigi Piccardini apostolo e profeta della devozione al Cuore Immacolato di Maria, Città di Castello 1988; E. CIFERRI, Luigi Piccardini e il suo
tempo, op. cit.; E. CIFERRI, Padre Luigi Piccardini e il Santuario di Canoscio, in “La Madonna di
Canoscio” anno LVIII n. 1, gennaio/marzo 1993, pp. 16-17; G. TESSERIN, Sulle orme di Filippo
Neri, santi di ieri e di oggi, Chioggia 1994, pp. 128-130; E. CIFERRI, Tifernati Illustri, cit., I, pp.
177-181; E. CIFERRI, Luigi Piccardini, santo a furor di popolo, in “L’altrapagina” anno XVIII n.
1, gennaio 2001, p. 45; E. CIFERRI, Contatti con il Montefeltro nella corrispondenza di padre Luigi Piccardini, in “Studi montefeltrani”, 22, 2001, pp. 101-108.
240
ANNALES ORATORII
ria e prese speciali facoltà per la diffusione di quella devozione11. L’attività
che però lo contraddistinse sempre, fu quella di predicatore. Come predicatore egli fu in gran parte d’Italia, acclamato ed osannato dalle folle.
Durante una di queste predicazioni, il 15 agosto 1854, sul colle di Canoscio a sud di Città di Castello, in occasione della festa della Madonna Assunta, ebbe l’ispirazione di chiedere che si facesse una chiesa più degna per
contenere la bella immagine venerata in quel luogo. L’opera, per la generosità dei presenti e delle generazioni a venire, prese pian piano corpo, fino a
diventare l’attuale santuario-basilica. Fatti prodigiosi si raccontarono su di
lui, ed uno in particolare, legato alla predicazione del luglio 1852 nella chiesa tifernate della Madonna delle Grazie, ne tramandò la fama come quella di
una sorta di “mago della pioggia”12.
Morì sul far della sera del 13 febbraio 1893, venerato dal popolo come un
santo, ed il suo corpo, dapprima deposto nel cimitero di San Secondo, venne
traslato nel 1895 presso il Santuario di Canoscio con grande solennità e concorso di popolo. Nel 1955 l’allora vescovo di Città di Castello Filippo Maria
Cipriani volle aprire un processo informativo per la sua beatificazione.
3. La devozione mariana del Piccardini
Scrivere in poche righe della devozione mariana del Piccardini è come
cercare di racchiudere i raggi fulgenti del sole in una campana di vetro: non
si potranno mai trovare parole sufficienti per descrivere il fuoco ardente di
questo apostolo di Maria. Tutta la sua vita appare donata a Cristo per mezzo
di Maria, ella é presenza costante e vivificante in ogni atto, anche minimo
del Piccardini. Già nel 1843 scrisse:
“Al Cuor di Maria…Oh! A quel dolcissimo Cuore, Cuore amabile, pietoso e caro tanto che proprio innamora, e tutti consola i suoi devoti… Eh! Sì,
o carissimi, a quell’immacolato e santissimo Cuore della pietosa madre di
tutti i fedeli, conviene oggimai ricorrere per ottenere copiose grazie dal Cielo. Per la tenera e potente intercessione di quel Cuore augusto, Iddio miseri-
11
Il Piccardini ottenne da mons. Desgenettes, parroco di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi, le facoltà di aggregare all’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, avente sede in
quella chiesa, le confraternite del Cuore Immacolato di Maria presenti nel centro e nel nord Italia
che ne avessero fatto richiesta.
12
La “pioggia prodigiosa” del 1852 riempì le pagine dei giornali dell’epoca, fra i quali “L’Osservatore Romano” del 23 luglio 1852 ed il “Vero amico” di Bologna del 21 luglio 1852.
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
241
cordioso, conforme prega la Chiesa pe’ suoi ministri, concede presidio all’umana fragilità, conforto alla debolezza de’ giusti, che Elgi per cotal mezzo
rafforza nel bene, e gli franca da nuove cadute: e a’ peccatori elargisce pietoso la grazia efficace a risorgere dal miserevole stato de’ lor peccati, e ralluminati e contriti ricondursi a Lui, che è Padre buono a tutti, e tutti vuol salvi per sua bontà. Dappoiché il Divino Figliuolo Cristo Gesù, che è vero autore e arbitro assoluto di tutte le grazie, con troppa abbondanza aprì ai dì nostri il Cuore Santissimo di Sua Madre Maria, e col fatto già disse a tutti: «Da
ora innanzi chi vuol mie grazie picchi a questa porta, ricorra a questo Cuore, tutto simile al mio, ne implori il patrocinio, ne invochi la tenera commiserazione, e sarà appien soddisfatto, ché voglio io così a gloria di mia Madre, e salvezza di voi, che fratelli mi siete per mio amore. » Oh! Consolatevi dunque o giusti, ché Gesù vi dona ogni bene pel Cuor di Maria. E i poveri peccatori? Ah! Voi anzi rallegratevi, e fate cuore o traviati figliuoli di sì
buon Padre; perché Gesù specialmente per voi aprì a grazie e misericordia il
Cuor di Maria…” 13
Questa devozione mariana venne confermata e rafforzata durante il viaggio a Parigi del 1847. Mentre l’amico Bettacchini si recò a Londra in incognito per questioni riguardanti la sua missione a Ceylon, il Piccardini rimase a Parigi, dove si consacrò al Cuore Immacolato di Maria nella chiesa di
Santa Maria delle Vittorie, celebre centro di diffusione di questa devozione.
Lasciò scritto un memoriale in proposito:
“Nel giorno 27 luglio 1847, ultimo degli undici giorni nei quali, con singolare gioia dell’anima e del cuore, rimasi a Parigi davanti all’altare del Santissimo e Immacolato Cuore della Madre di Dio, nella chiesa delle Vittorie,
prostrato a pregare più fervidamente la stessa Vergine, dietro ispirazione della stessa tenerissima madre mia, mi sono obbligato con voto perpetuo di propagare con tutte le forze e in tutti i modi possibili, fino alla morte, e di raccomandare e promuovere ovunque, a ogni ceto di fedeli, un culto speciale al
Santissimo e Immacolato Cuore della medesima Vergine madre, per la conversione dei peccatori, come da più anni con proposito già facevo, con l’aggiunta di questa condizione: anche se, per adempiere questo grande voto, mi
dovesse sopraggiungere una grandissima persecuzione e anche la morte, cioè
il martirio. Magari lo volesse Dio e la Santissima Madre mia Immacolata ma13
L’originale manoscritto di questo discorso si trova, assieme a molti altri scritti del Piccardini, in ASDCC, Archivio Vescovile, Cartelle Piccardini (3261, 3262, 3263, 3264, 3265, 3266, 3267,
3271, 3272, 3273, 3295, 3296).
242
ANNALES ORATORII
dre di Dio!. Espressamente promisi, anche con voto, che a qualunque categoria di persone mi avverrà di fare almeno tre discorsi, ne farò uno, o in uno
almeno farò menzione su detta devozione all’Immacolato Cuore della Beata
Vergine Maria, specialmente se al medesimo gruppo di persone mi accada di
parlare la prima volta. Dopo il mio ritorno in patria, nel primo discorso familiare, tenuto, come al solito, in questa nostra chiesa, ho dato notizia del voto fatto, come sopra, in relazione alla stessa devozione del Santissimo Cuore. In seguito, fra le più sante vergini di Cristo chiuse in monastero, promossi
come una specie di apostolato per una facile diffusione della devozione all’Immacolato Cuore della Madre di Dio per la conversione dei peccatori, suggerendo alle medesime di emettere il voto perpetuo, di recitare l’antifona Sub
tuum praesidium, l’Ave Maria con l’orazione di S. Bernardo Memorare Sanctissima Virgo; inoltre di raccomandare, con particolare insistenza, come ultima salutare esortazione, la devozione santissima del Cuore della Beata Vergine Maria a chiunque si troverà presente alle ultime ore della vita di ciascuna medesima vergine. Anch’io nel mio voto emesso a Parigi inclusi queste due cose: cioè promisi che le avrei fatte, in parte con espresse parole (come ultima raccomandazione), parte aggiunsi il 16 gennaio dell’anno 1850. Io
Luigi Piccardini.”14
Un uomo con tali intenzioni nel cuore, non poteva non rivelarsi in pratica un vero apostolo di Maria, come fu il Piccardini.
Tali intenzioni crebbero e si rafforzarono nel tempo: nello stesso pro memoria, il padre le riconfermò nel 1872 e nel 188015.
4. Il Santuario di Canoscio
Narrano le antiche cronache16, che nel 1348, anno in cui la peste flagellava l’Italia, un certo Vanne di Jacopo da Canoscio legò in testamento quaran14
Il testo originale, in latino, si trova in L. PICCARDINI, Documenta Vitae Spiritualis, Città di
Castello 1955, pp. 35-37.
15
L. PICCARDINI, cit., pp. 38-39. Nel 1854 (op. cit, pp. 12-13), scrisse: “Sempre ricorderò l’otto dicembre 1854 per la speciale grazia ottenuta dall’Immacolata Madre di Dio, cioè di essere andato a Roma, ed essere stato presente alla solenne definizione dell’Immacolata Concezione della
Beata Vergine Maria. Questa definizione avevo desiderata ardentissimamente e di essa spesse volte per cinque anni ho parlato al popolo in diversi luoghi. Perciò nel tempiodi San Pietro ricevetti
grande consolazione e letizia dalla Beata Vergine Immacolata. Di questa solennità e letizia ho parlato spesso agli altri fedeli”.
16
Si veda fra l’altro E. BIAMONTI RAIMONDI, Canoscio, Città di Castello 1938; A. ASCANI, Canoscio, Città di Castello 1974.
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
243
ta soldi di denari, perché si dipingesse una maestà con l’immagine della Beata Vergine nel castello di Canoscio. Tale immagine viene comunemente identificata con quella della Madonna del Transito, raffigurante la Vergine distesa al momento del transito, circondata dai dodici apostoli. Di squisita fattura, attribuita ad un pittore di scuola senese, l’immagine si attirò nei secoli la
fama di portentosa nel liberare dall’epilessia. Ricorrevano ad essa da numerosi luoghi di Umbria e Toscana, donando gioielli e denaro, grazie al quale
nel 1406 fu costruita una bella chiesa, affidata alle cure dell’arciprete della
vicina pieve dei Santi Cosma e Damiano. Fin dai tempi antichi si usava celebrare due feste in onore della Vergine del Transito: la prima per l’Assunzione di Maria il quindici agosto, e la seconda nella domenica in albis.
La chiesetta eretta nel 1406, seppur bella, era assai piccola ed incapace a
contenere i devoti che vi accorrevano da ogni parte. Ampliata alla metà del
Seicento, fu ristrutturata nel 1844.
Quando il Piccardini giunse a Canoscio, per predicarvi nella festa dell’Assunta, il 15 agosto 1854, trovò la chiesa piena di gente all’inverosimile.
Questa la testimonianza che egli rese ad un contemporaneo:
“Subito entrai in chiesa a salutare quella cara immagine che per la prima
volta vedevo. Mi rapivano, è vero, i giulivi cantici dei pastori e delle semplici zitelle; mi rapiva la pompa dei sacri apparati che erano del maggiore
sfoggio, ma sopra ogni altra cosa mi rapiva la soavità del S. Volto di Maria
del Transito! Quegli occhi atteggiati a dolce sonno, quelle labbra di porpora,
tutto il profilo di quel volto, mi entusiasmarono e mi portarono col pensiero
su nell’Empireo ai pié della Madre di Dio. Naturalmente me ne venne un confronto. Colassù circondata dall’immensità dei Cieli, quaggiù recinta dalle anguste muraglie di una piccola chiesa. Colassù dovunque attorniata d’oro e
d’argento, quaggiù dalla nuda sabbia di rozze pareti. Oh! Dov’era il decoro
della mia Madonna? E poi era tanto bella! Sì, sì, erano da bandirsi nuove e
più generose offerte, era da predicarsi l’erezione di un nuovo tempio, più bello, più splendido, più grande, secondo la maestà di Maria, e foggiato anche
ai modelli che offriva la civiltà del secolo. Tal pensiero improvviso mi s’affacciò alla mente, né potendo frenarlo, mi proposi manifestarlo nella predica che stava per cominciare. Immensa essendo la folla dei popoli da tutte le
parti accorsi, il pulpito si dové innalzare nel piazzale dinanzi la chiesa. Salii,
e tutto infervorato nel mio pensiero cominciai di slancio a parlarne ai devoti. Provai qual tesoro era per essi la candida effigie di Maria, e che bisognava mostrarsi non degeneri dagli avi, ma operar molto a gloria della Vergine.
Dissi che le grazie sparse da Maria sopra i suoi figli meritavano maggior ri-
244
ANNALES ORATORII
compensa. E qual era quel popolo, anzi quella piccola borgata, cui non fosse conta per esperienza l’efficacia del suo patrocinio? Qual mai epilettico era
a Lei ricorso e ne era partito sconsolato? Deh! Per amor della loro Madre,
pensassero a rifabbricare un novello tempio, dessero cominciamento alle offerte, si sforzassero più del possibile, ché la Provvidenza li avrebbe aiutati.
Io stesso col mio benché piccolo obolo vi avrei concorso, io stesso avrei aiutato a lavorare di buona lena; purché si ponessero all’opera, ché infallibilmente riuscirebbero17”.
Non aveva ancora terminato il suo discorso, che un tale di Castiglion Fiorentino gettò sul pulpito mezzo francescone, mentre la folla, commossa, proruppe in alte grida ed esclamazioni, promettendo di voler contribuire all’impresa. Per la festa della domenica in albis del 1855, il Piccardini tornò a Canoscio, presentando al popolo accorso un primo abbozzo di disegno della nuova chiesa. Sarebbe stata quella la prima chiesa al mondo dedicata all’Immacolata dopo la proclamazione del dogma da parte di Pio IX. Il vescovo di Città di Castello Letterio Turchi costituì un’apposita commissione per dirigere i
lavori della “Fabbrica di Canoscio”, nella quale il vescovo figurava per presidente, ed il Piccardini per promotore. Con una apposita notificazione emanata in data 25 giugno 1855 il presule raccomandava l’ardita impresa alla generosità dei fedeli. I lavori proseguirono a fasi alternate, l’entusiasmo popolare fu grande, ma quello del clero a volte mancò: fatto sta che più volte il
clero secolare, fra cui lo stesso arciprete di Canoscio, giunsero a qualificare
il Piccardini esaltato o pazzo, e a chiedere al vescovo di interrompere l’ardita impresa per non far debiti. Ma Padre Luigi volle sempre continuare, nonostante tutto, confidando nella sua Madonna. Fatti che hanno del prodigioso
vengono narrati dalle cronache: buoi che non ce la fanno e vengono aiutati
dalla sola pressione del bastone o dell’ombrello dell’oratoriano a salire per il
ripido pendio dove si trova la nuova chiesa, muratori caduti da altezze incredibili e rimasti prodigiosamente illesi, oblazioni che arrivavano all’ultimo minuto quando nessuno più sperava di poter proseguire nei lavori.
È in questo frattempo che si collocano le vicende della soppressione della Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello: per l’estensione delle
leggi piemontesi sulla soppressione degli ordini religiosi, nel luglio 1861 i
Padri Filippini dovettero lasciare la loro bellissima chiesa, ricca di opere
d’arte e di splendidi arredi sacri. Il Piccardini, eletto nell’ultimo capitolo
adunatosi preposito in perpetuo fino alla ricostituzione della Congregazio17
G. L. , Un viaggio al Monte di Canoscio, Città di Castello 1888, pp. 9-11.
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
245
ne, si trasferì con i suoi confratelli presso il nuovo santuario.
La nuova chiesa fu consacrata l’8 settembre 1878 dal cardinale Raffaele
Monaco La Valletta, inviato da Leone XIII, quel Gioacchino Pecci che, già
arcivescovo di Perugia, amico del Piccardini, proprio perché eletto papa, non
poté mantenere la promessa di venire a Canoscio a consacrare il nuovo tempio. Mandò col cardinale la Cappella Sistina ad eseguire quelle che all’epoca furon chiamate “musiche di paradiso”. Il santuario fu dedicato alla Vergine Immacolata Assunta in Cielo.
Nel gennaio 1888 il Piccardini assieme all’arciprete di Canoscio ebbero
un’udienza dal papa Leone XIII allo scopo di chiedere al pontefice l’incoronazione della taumaturga immagine della Madonna del Transito. Il Capitolo
di San Pietro, interpellato dal pontefice, accolse benevolmente la richiesta,
con decreto del 15 agosto 188818. Il 16 settembre avvenne la solenne cerimonia, officiata dal cardinale Serafino Vannutelli. Il concorso di gente fu tanto, che il Piccardini ebbe a dire: “Stavolta la Madonna ha predicato per me!”
Un solo grande desiderio del Padre non poté trovare attuazione: quello di
vedere ricostituita presso il santuario di Canoscio la Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello. Il Piccardini desiderò ardentemente questo, ma le
molte richieste fatte da lui stesso, trovarono ostacoli insormontabili soprattutto da parte del clero secolare, oramai indisposto a cedere la cura del santuario ai religiosi19. Il Padre se ne rammaricò sempre, ed operò tutto quello
che poté a questo scopo, fino alla morte20.
Per completezza si deve dire che il Piccardini non fu benemerito solo del
santuario di Canoscio, ma anche di altre chiese specialmente dedicate alla devozione mariana, quali il santuario della Madonna delle Grazie, per il quale
18
Santuario di Canoscio. Le feste solenni per la consacrazione del nuovo tempio nel settembre 1878 e per la solenne incoronazione della Taumaturga Immagine nel settembre 1888. Memorie, Città di Castello 1888.
19
Un tentativo per la verità fu fatto, anche se incontrò molte opposizioni, per opera del venerabile Carlo Liviero, vescovo di Città di Castello dal 1910 al 1932, che affidò il santuario agli
Oblati di Padova nella persona del padre Giovanni Battista Bussoni. L’esperimento non ebbe i risultati sperati, e dopo qualche tempo il clero secolare tornò ad occuparsi di santuario e parrocchia.
Il santuario sopravvisse anche ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che lo devastarono. L’otto settembre 1998 papa Giovanni Paolo II lo ha insignito del titolo di basilica minore.
20
Prova ne fu, oltre gli accenni nelle lettere di risposta che rimangono fra le carte del padre,
il fatto che numerosi arredi appartenuti alla Congregazione dell’Oratorio passarono al santuario di
Canoscio, sfuggendo Dio sa come alle grinfie dell’amministrazione pubblica, che destinò il rimanente patrimonio artistico alla pincacoteca ed alla biblioteca comunale. A Canoscio furono portati i reliquiari dei santi Alberto, Brizio e compagni martiri, di santa Candida martire, e numerosi altri. Fra le reliquie giunse presso il santuario mariano anche una scarpa di san Filippo Neri.
246
ANNALES ORATORII
promosse lavori di restauro ed un nuovo altare, sul quale volle mettere un
cuore d’argento con dentro tutti i nomi degli offerenti, il piccolo santuario
della Madonna di Corlo presso Montone, della costruzione del quale fu promotore, e la cappella della Madonna della Speranza nella chiesa della Santissima Annunziata di Lerchi, per la quale ottenne l’altare privilegiato quotidiano. Un segno speciale della sua devozione mariana fu l’immagine dei Sacri Cuori, da lui commissionata al pittore Vincenzo Barboni, e posta dapprima nella chiesa dei filippini, fu donata dal Piccardini nel 1890 alla cattedrale, dove ancor oggi riscuote una speciale venerazione da parte dei fedeli.
5. Padre Piccardini predicatore
Col titolo di missionario apostolico, il Piccardini percorse gran parte dell’Italia centrale, chiamato ovunque a predicare, per feste locali, per la quaresima, per il mese di maggio. Rimangono ancora fra le sue carte molti inviti
che riceveva anche dall’Italia settentrionale. Di certo fu a predicare a Perugia, Camaldoli, Firenze, Pisa, Carrara, Foligno, Roma, Pistoia, Terni, Arezzo, Bologna, Castiglion Fiorentino, Bagnorea, Subiaco, Livorno, Urbania,
Todi, Orvieto, ed in molti altri luoghi. Spesso riceveva inviti dai vescovi per
gli esercizi al clero. Un esempio degli argomenti da lui trattati, lo possiamo
leggere nel programma del ciclo di predicazioni tenuto a Pisa nel 1866, rinvenuto manoscritto fra le carte del Padre: “Mese mariano in Pisa, 186621.
6. Padre Piccardini scrittore
Un aspetto poco noto del Piccardini sono i suoi numerosi scritti. Oltre alle prediche, delle quali solo alcune furono stese per intero, mentre per la maggior parte delle altre il sacro oratore si limitò a semplici appunti, vi sono le
lettere ed alcuni volumi editi quando egli era ancora in vita.
21
Purtroppo non viene specificato, come in altri casi, in quale chiesa si tenne il corso di predicazioni. L’importanza del predicatore e l’analogia con altre città può far tuttavia supporre che Piccardini predicasse in cattedrale, o in un’altra chiesa di primaria importanza. Prima conferenza, 30
aprile. Introduzione. La vera divozione a Maria è vero amore riverente come a Madre di Dio; tenero e grato come a madre nostra: l’uno e l’altro operativo. Seconda conferenza, 1° maggio. Maria
Madre di Dio. Terza conferenza, 2 maggio. Maria madre nostra. 3 maggio. Trionfo di Gesù Cristo
per la Croce. Il suo Regno Divino, regno di amore che santifica in terra e glorifica in Cielo. 4. La
Chiesa regno di Gesù Cristo, è la incarnazione permanente del Figliuol di Dio. 5. La Chiesa è una
come uno è Dio, una la persona divina in Gesù Cristo. 6. Discorso intermedio, perché festa. La eternità a cui dobbiamo tutti andare come a vera nostra Patria: le due eternità, le due famiglie, etc. 7. Si
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
247
In realtà di libri veri e propri egli ne scrisse solo uno, le Memorie sopra
la prodigiosa immagine della Madonna delle Grazie, principale patrona dei
tifernati, stampato a Città di Castello presso la tipografia Lapi nel 1886. Si
tratta di una pregevole opera storica, nella quale il Piccardini, devoto di Maria, si rivela anche attentissimo storico, ripercorrendo i numerosi scoprimenti della sacra immagine della Madonna delle Grazie, con un certosino lavoro d’archivio. La sua attenzione per le scienze storiche, che da giovane gli rimanevano ostiche, si rivelò sempre più col passare degli anni: egli amava dire che “in storia non si improvvisa”. Sul medesimo soggetto il Piccardini aveva pubblicato nel 1875 un opuscolo dal titolo Della immagine di Maria Santissima delle Grazie di Città di Castello: piccole notizie pel popolo pubblicate a cura della Società per gli interessi cattolici della medesima città. Questo opuscolo, a differenza del primo, ha un carattere divulgativo.
Padre Piccardini scrisse anche un Manuale pei devoti del Cuor di Maria,
opera della quale non sono riuscito a reperire nemmeno una copia.
Del Piccardini si conserva anche una simpatica composizione poetica,
scritta in occasione della prima fotografia fatta alla sua cara Madonna di Canoscio.
7. Fama di santità
Padre Piccardini godette di grande fama di santità sia da vivo che dopo la
sua morte. Certamente fu uomo del suo tempo, legato politicamente al goritornò alla Chiesa, e se ne mostrò le altre note di santità e di cattolicità e apostolicità che sole colla unità si trovano nella Chiesa Romana, la vera istituita da Gesù Cristo. 8. Si cominciò a trattare
della Carità Teologica, che è come l’anima, lo spirito della Chiesa, la ragione formale della nostra
figliuolanza con Dio. Si spiegò il massimo e primo precetto dell’amore di Dio, e si notò che senza
l’amor di Dio è impossibile avere la Gloria in Cielo, né la pace e la felicità possibile in terra. 9. Si
trattò dei motivi di amar Dio: Dio sommo bene, e sommamente amante. 10. I caratteri o gli effetti
del vero amor di Dio. 11. L’amore al prossimo. Si spiegò il precetto: “Secundum autem, simile…”.
12. I doveri della Carità in famiglia. 13. Doveri della Carità da famiglia a famiglia, etc. 14. La carità ed i respettivi doveri verso gli nemici. 15. La Confessione, il Sacramento. 16. L’esame. 17. L’accusa dei peccati, confessione particolare. 18. La confessione generale. 19. La contrizione. 20. Lo
Spirito di Dio e lo spirito del mondo (era la Pentecoste). 22. Le due Bandiere. 23. La morte dolce e
preziosa dei giusti, che portano la Bandiera di Gesù Cristo. 24. Maria Santissima mediatrice e avvocata, Auxilium Christianorum. 25. La vera e la falsa divozione alla Madonna. 26. La divozione
al Cuor di Maria, refugio dei peccatori: opera di misericordia e provvidenza divina nel secolo decimonono. 27. La Santissima Eucaristia, istituzione: Gesù dimorante con noi, etc. 28. Gesù nel Sacrificio della Santa Messa. 29. Gesù nella SS. Comunione. 30. Gesù tradito in tutti i principali disegni dell’amore del Santissimo Sacramento: l’amico tradito. 31. Comunione generale la mattina,
sera vacanza. 1° giugno. Avvertimenti cattolici, etc. 3. Ultimi ricordi, etc. Benedizione papale.
248
ANNALES ORATORII
verno pontificio. Da giovane, l’amico Bettacchini gli rimproverava scherzosamente un certo attaccamento al denaro. Egli fu un amministratore oculato,
ma col tempo finì col gettarsi anima e corpo nell’impresa della costruzione
del santuario di Canoscio, tanto da sollevare critiche per quel suo ottimismo
nella Provvidenza da parte di alcuni membri del clero locale, invidiosi dei suoi
successi. Per questo suo scopo, predicava quale missionario apostolico in molte località d’Italia, raccogliendo così offerte per la costruzione del sontuoso
tempio, al cui fine versava anche tutto quanto riceveva come compenso.
La sua fama di santità fu così grande in vita, da attrarre folle enormi alle
sue predicazioni. Alcune di queste fecero grande scalpore, per quei prodigi
che egli prometteva e puntualmente si avveravano, quali quelli meteorologici. Si racconta di varie “piogge prodigiose” da lui invocate, la più nota delle
quali avvenne in tempo di grande siccità nel 1852, dopo che il Piccardini ne
aveva puntualmente predetto il giorno e l’ora, contro ogni previsione. Un episodio simile si verificò durante la costruzione del santuario di Canoscio, ed
un altro ancora durante una predicazione nel 189022, ambedue ben documentati dalla stampa dell’epoca e da numerosi testimoni.
Innumerevoli furono gli incarichi affidatigli dal Pecci allorquando era arcivescovo di Perugia, e dal altri vescovi italiani. Per il Pecci fu anche convisitatore nel Conservatorio delle Orfane di Foligno, dove fu chiamato a riportare pace e tranquillità fra le religiose, divise da rivalità e scandali, ottenendo risultati insperati.
Pur dovendo subire terribili persecuzioni da parte della stampa anticlericale e dei massoni locali, egli riuscì a conquistarsi col tempo la stima di tutti, tanto che dopo la sua morte, avvenuta nel 1893, quando si pensò di traslarne la
salma dal cimitero di San Secondo dove era stata tumulata, fino al santuario di
Canoscio, il comune volle mettere il carro funebre per la cerimonia, svoltasi
nel settembre 1895, con grande concorso di popolo. Tutti coloro che intervennero, lo fecero convinti di venerare le spoglie di un santo23. Del resto Leone
XIII aveva detto al vescovo di Città di Castello: “Quel povero Piccardini eh!…
E’ morto!… Quegli era realmente un apostolo, un vero uomo di Dio!”
Collocato presso il monumento all’Immacolata, opera dello scultore
Gaetano Bonanni di Carrara, il sepolcro del Piccardini è da sempre meta
dei visitatori di Canoscio, che non mancano di sostare a leggere la bella
22
Atti del processo di beatificazione di Luigi Piccardini, in ASDCC, Archivio Capitolare, 1116.
Padre Luigi Piccardini, numero unico, Città di Castello 15 settembre 1895. Al Padre Piccardini fu intitolata anche una via, in località Fabbrecce, non lontana da Canoscio.
23
E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ...
249
epigrafe postavi dall’abate Giovanni Battista Storti, amico del Padre.
Nel 1935 il vescovo Filippo Maria Cipriani fece eseguire una prima ricognizione dei resti mortali, che furono posti in una nuova elegante urna dorata. Nel 1938 venne posto sulla tomba un busto bronzeo, opera dello scultore
tifernate Romolo Bartolini24. Nel 1955 lo stesso vescovo aprì, con editto del
26 novembre 195525, il processo informativo diocesano per la beatificazione
del Servo di Dio Luigi Piccardini, e scrisse nella sua lettera pastorale L’anno mariano di Canoscio:
“Vi è anche un’altra bella realizzazione in vista, tanto vicina alla storia del
Santuario, e tanto auspicata dai fedeli di Canoscio: la progressiva valorizzazione pubblica e solenne della figura gigantesca (rimasta troppo tempo nell’ombra!) dell’ideatore e costruttore del Santuario: il Padre Luigi Piccardini!
In questo anno, primo centenario della costruzione del Santuario, il Padre
Luigi Piccardini uscirà, redivivo, dal suo sepolcro, per parlarci dell’opera sua,
come nessun altro riuscirebbe a fare… Chi sa che la Madonna, nel suo primo centenario di Canoscio, non ci renda possibile dielevare al Cielo, insieme alla bella cupola progettata, la figura di un nuovo santo da venerarsi un
giorno entro le stesse mura del Santuario da lui costruito!”26
Si cominciarono a raccogliere le testimonianze, si distribuirono immagini con preghiere per ottenere grazie per l’intercessione del Servo di Dio, ma
tutto si interruppe con la morte del vescovo Cipriani, avvenuta nell’ottobre
1956. Agli anni ’50 risale anche la guarigione prodigiosa di un fanciullo, attribuita all’intercessione del Piccardini.
Nel 1992, in occasione dell’imminente centenario della morte del Padre,
l’allora rettore del santuario di Canoscio, mons. Luigi Robellini, mi chiese di
scrivere un’accurata biografia del Servo di Dio, che vide la luce per i festeggiamenti del 1993, a chiusura dei quali il vescovo diocesano Pellegrino Tomaso Ronchi celebrò una messa sulla tomba del Piccardini. Da allora tutto tace,
ma una ripresa del processo è auspicata da molti, anche perché nel cuore dei
suoi concittadini e dei tanti che vanno a Canoscio, il Piccardini è già santo.
Elvio Ciferri
24
E. GIOVAGNOLI, Padre Piccardini e l’avvenire di Canoscio in “La Madonna di Canoscio, settembre 1838 pp. 2-4; E. GIOVAGNOLI, La rievocazione di Padre Piccardini fondatore del bel Santuario, in “La Madonna di Canoscio”, gennaio-aprile 1939; L. PEDRAZZA, Il monumento sepolcrale
di Padre Piccardini, in “La Madonna di Canoscio”, febbraio 1951, p. 4.
25
In Bollettino diocesano, Diocesi di Città di Castello, 1955.
26
F. M. CIPRIANI, L’Anno Mariano di Canoscio, in “Bollettino diocesano”, Diocesi di Città di
Castello, 1955.
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
251
Il P. EDOARDO BOUVIER, DELL’ORATORIO DI GENOVA
Il 7 luglio 2003 il Santo Padre ha riconosciuto un miracolo ottenuto per
l’intercessione del Beato Don Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera
della Divina Provvidenza. In occasione della ormai prossima canonizzazione del grande sacerdote tortonese, sembra essere opportuno far emergere dall’immeritato oblio la figura di un padre filippino, che fu con lui in rapporto
e da lui ricevette significativi attestati di stima: il Padre Edoardo Bouvier,
dell’Oratorio di Genova1.
La vocazione
Poco sappiamo della sua infanzia e giovinezza e in quali circostanze si sia
trasferito nel capoluogo ligure, venendo da Torino, dove era nato nel 1867;
“rimasto orfano d’entrambi i genitori in età giovanissima, si trovò capo di
numerosa famiglia”2 e compiuti studi di diritto commerciale3 divenne impiegato della Navigazione Generale Italiana, di cui fu uno dei vice-segretari.
Maturata la vocazione sacerdotale lasciò l’impiego e dopo circa un anno,
il 19 maggio1894, fu ordinato sacerdote, celebrando la prima Messa nella Basilica di San Siro il giorno seguente.4
Il suo apostolato si svolse nel centro della città di Genova, prima nel quar-
1
Un caloroso ringraziamento è dovuto a Don Flavio Peloso, Postulatore Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, per la solerzia e l’accuratezza della documentazione fornita sui rapporti tra Don Orione e i Padri della Congregazione dell’Oratorio di Genova e per il permesso accordatomi di pubblicarne degli estratti. Sono poi profondamente riconoscente al carissimo Padre Edoardo A. Cerrato, Procuratore Generale della Confederazione dell’Oratorio, per avere reso disponibili i documenti conservati presso l’archivio della Procura. Un grazie infine a Padre Luciano Acquadro, archivista dell’Oratorio di Biella, che si è mostrato come sempre amico, e
al quale devo l’accesso alle notizie conservate presso la sua Congregazione.
2
Il Padre Edoardo Bouvier d.O., in Il Cittadino (Genova 18 agosto 1926) n° 196, p.4.
3
cfr. ibid. Si dice che frequentò l’Università di Genova, ma non risulta abbia conseguito la
Laurea.
4
In quell’occasione amministrò la prima comunione ad una sua sorella. Si noti che la Congregazione dell’Oratorio di Genova sorge nel territorio della parrocchia di San Siro.
252
ANNALES ORATORII
tiere di Castelletto, presso la Chiesetta-Santuario di Gesù Nazareno, poi, dal
1900, come Cappellano dell’Ordine di Malta, che officiava allora il Battistero della Cattedrale di San Lorenzo, noto all’epoca col titolo di Santa Maria
della Vittoria.
Le scarse notizie su questo periodo permettono tuttavia di farci un idea
dell’uomo: sacerdote serio e zelante, attento alla dimensione spirituale e apostolica, particolarmente impegnato nella predicazione5.
Mancano documenti precisi di come, dopo 12 anni di vita nel clero diocesano, in Don Edoardo sia maturato il desiderio di entrare tra i Filippini.
Una tradizione conservata nella Congregazione di Biella, dice che egli avrebbe voluto rivolgersi a un istituto religioso di vita contemplativa, ma che venne indirizzato alla Congregazione dell’Oratorio dall’allora Arcivescovo di
Genova, Mons. Edoardo Pulciano.
Pur non avendo potuto trovare prova documentaria, questa notizia sembra
plausibile: innanzitutto il ricordo di Padre Edoardo che lì fece il suo noviziato e la presenza nella Congregazione biellese del fratello di lui, Giuseppe,
entrato come fratello laico nel 1908 e morto nel 1952, fa presumere che notizie significative possano essersi conservate oralmente; inoltre una tale ricostruzione è perfettamente consona alla situazione della Congregazione genovese e del documentato interesse che Mons. Pulciano6 manifestò per essa.
Per meglio capire la vicenda del Bouvier è quindi necessario evidenziare
la situazione della Congregazione dell’Oratorio di Genova, che agli inizi del
XX secolo si trovava in profonda crisi.
L’incameramento dei beni da parte dello stato nel 1867, se non aveva portato alla fine della vita comunitaria7, l’aveva però resa fragile sotto diversi
aspetti.
5
Ad esempio nel maggio 1907, alla vigilia del suo ingresso in Congregazione, predicò le missioni all’isola di Capraia, allora facente parte dell’archidiocesi di Genova (Cfr lettera a Adele Rivet del 23 maggio 1907, in Archivio dell’Oratorio di Genova [d’ora in poi abbreviato AOG], Epistolario Bouvier). Le lettere alla cugina Adele Rivet, conservate presso AOG, pur trattando principalmente di questioni di coscienza della giovane o dando notizie sulla famiglia, talvolta permettono di conoscere qualcosa dell’attività del Bouvier e dei suoi intimi sentimenti.
6
Mons. Edoardo Pulciano, arcivescovo di Genova dal 1902 al 1911, “crebbe alla scuola di
quel santo figlio dell’Oratorio che fu il P. Carpignano” e “celebrò la prima Messa il 23 maggio
[1875] nella Chiesa di san Filippo” di Torino (Ludovico GAVOTTI, In morte di Mons. Pulciano,
in Rivista Diocesana Genovese (Genova 1912) p. 5).
7
I Padri poterono ricominciare ad officiare la Chiesa già nel 1868, ma un piccolo gruppo aveva continuato la vita comunitaria anche durante il periodo di chiusura della Chiesa (cfr. Antonio
BOGGIANO PICO, Memoria. Sulla vertenza tra la Congregazione dei R.R.P.P.dell’Oratorio di
Genova e il Comune di Genova, 1938, dattiloscritto conservato in AOG – Casa.
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
253
In particolare era venuto meno il tipico apostolato filippino dell’Oratorio,
per il quale non si avevano più spazi; la sistemazione dei Padri nei locali lasciati in uso era molto disagevole e precaria, in quanto di fatto lasciata all’arbitrio del Municipio; l’ingresso di nuovi membri si era interrotto e la Congregazione sembrava destinata ad estinguersi alla fine dell’Ottocento8.
L’arrivo negli anni Novanta di nuove vocazioni non aveva interrotto lo
stato di crisi della Congregazione, sia per una lite giudiziaria con il Comune
che aveva portato allo sfratto e alla dispersione della comunità9, mettendone
a rischio la sopravvivenza, sia per le tensioni tra i membri della comunità
stessa, profondamente divisi tra di loro, nonostante il loro numero esiguo10.
Sembra difficile che in simili circostanze l’ambiente filippino potesse in
se stesso essere molto attraente né risulta una qualche relazione del Bouvier
con i Padri nei primi anni del suo sacerdozio: l’Arcivescovo di Genova,
Mons. Pulciano, invece, conosceva e amava l’Oratorio filippino e il suo spirito, essendo cresciuto a Torino all’ombra della locale Congregazione, tra i
preti di Sant’Eusebio11.
Evidentemente Mons. Pulciano riconobbe nei desiderata del Bouvier gli
elementi di una vocazione, quella filippina, che egli apprezzava. Lasciando
quindi impregiudicata la questione se don Bouvier inclinasse per una vita più
contemplativa, è sommamente probabile che sia stato l’Arcivescovo ad indirizzarlo all’Oratorio. In questo modo Mons. Pulciano otteneva anche due risultati a lui convenienti: Don Edoardo, per la stabilità propria dei Filippini,
non avrebbe lasciato Genova, e il Vescovo, sia pure ormai indirettamente, non
avrebbe perso la collaborazione pastorale di quello che stimava essere uno
8
In occasione della morte del padre Antonio Cima (1892) un necrologio commentava: “forse
colla sua dipartita dovrà spegnersi il genovese oratorio già albergo di eletti ingegni e giardino di
più elette virtù” (G.B.R., Necrologio di p. Antonio Cima, in La Settimana Religiosa (Genova 1892)
pp. 359 – 360). Due anni prima la Congregazione era detta “piccola e cadente” (Necrologio del
Padre Giambattista Brignole, in La Settimana Religiosa (Genova 1890) p.225.
9
cfr. A. BOGGIANO PICO, o.c.,p. 7-8.
10
Rimanevano cinque padri, ma la vita comunitaria lasciava a desiderare, soprattutto per le
divergenze e i contrasti, anche caratteriali, dei diversi membri. Le notizie su questo periodo sono ricavate soprattutto dai Diari, principalmente quello del 1902, di Arturo Coletti, allora membro della Congregazione, che sono conservati presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile
di Genova.
11
Fu ascritto al “clero di Sant’Eusebio” il 5 novembre 1872 (L. Gavotti, o.c,. p.18). Si trattava di una comunità di chierici, che pur rimanendo diocesani, vivevano a stretto contatto con i Filippini di Torino.; il nome era infatti quello della parrocchia unita all’Oratorio.
254
ANNALES ORATORII
“dei suoi migliori sacerdoti” 12; inoltre l’ingresso di una persona capace e fidata nella turbolenta Congregazione genovese dava speranza di porre efficace rimedio alle difficili condizioni di essa.
Corretta o meno che sia questa ricostruzione, è comunque certo che nel
1907 vi era completo accordo tra il vescovo e il suo prete circa l’indirizzo da
dare alla sua vita sacerdotale.
Rimaneva il problema di garantire al Bouvier una adeguata formazione
oratoriana, cosa che la Congregazione genovese, per i motivi esposti, non era
ovviamente in grado di assicurare; si chiese quindi la collaborazione della
Congregazione di Biella13 che accettò di accogliere il Bouvier, in vista della
sua aggregazione alla Congregazione genovese. Don Edoardo si trovava a
Biella già all’inizio del mese di novembre del 190714 e “avendo fatto bene il
suo mese di prova”15 fu ammesso al noviziato.
Nella Congregazione di Genova
Dopo l’ultima annotazione del 25 gennaio 190816, nella quale si concedeva la qualifica di “triennale”, non si parla più del padre Edoardo Bouvier a
Biella. Pochi mesi dopo quella data si trasferì definitivamente nella Congregazione genovese17, di cui il 2 giugno 1909 risulta eletto Preposito18, carica
12
Così nei verbali della Congregazione di Biella si riferisce la presentazione fatta da Mons.
Pulciano (Decreti di Congregazione dal 1884 al 1924, 19 agosto 1907, p.232, in Archivio dell’Oratorio di Biella [d’ora in poi citato AOB]).
13
Sarebbe naturale pensare che Mons. Pulciano si rivolgesse alla Congregazione di Torino,
che certo doveva conoscere meglio, piuttosto che a quella di Biella. Certo è che nello stesso 1907
l’Arcivescovo si era già rivolto alla Congregazione biellese pregandola “di inviare un soggetto a
Genova per riordinare colà la Congregazione dei Filippini” Decreti…cit., 20 febbraio 1907, p.
226). Fu mandato il padre Zumaglini, “per riattivare in quei padri lo spirito dell’istituto” (ibid, 2
marzo, p. 226), e si fermò alcuni giorni a Genova (cfr. ibid. 2 marzo, pp. 226-27 e 20 marzo, p.
228). La richiesta di Monsignor Pulciano fu discussa nella Congregazione Generale a Biella nell’agosto del 1907 (cfr. ibid. 19 agosto, p. 232)
14
ibid. 16 novembre 1907, p. 235.
15
ibid. 30 novembre 1907, p. 236.
16
Della stima e dell’affetto che il Padre Bouvier ebbe per i Padri biellesi è testimone il fatto
che indirizzò a quella Congregazione suo fratello Giuseppe, che entrò quale fratello laico nello
stesso anno 1908 nel quale Edoardo aveva concluso la sua formazione presso i padri di Biella (cfr.
ibid., 4 settembre 1908, p. 246).
17
Questo dovette avvenire tra l’aprile e il maggio del 1908 (cfr. lettera a Adele Rivet del 17
febbraio 1908 in AOG- Epistolario Bouvier).
18
Congregazione dell’Oratorio di Genova, Libro verbali [dal 1909 al 1996], 2 giugno 1909,
p.1 [d’ora in poi semplicemente abbreviato Verbali] in AOG. Mons. Pulciano risulta essere pre-
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
255
a cui fu rieletto ogni triennio, fino alla morte sopravvenuta nel 1926.
Questa elezione segnò l’inizio di una ripresa della Congregazione genovese, che riportata a più regolare osservanza delle Costituzioni, affronta con
rinnovato vigore questioni apostoliche e logistiche fino ad allora trascurate.
Il libro dei verbali riporta con relativa abbondanza le iniziative materiali e
spirituali intraprese dall’Oratorio di Genova tra il 1909 e il 191819; propriamente non si può attribuire tout court ognuna di queste iniziative al Bouvier:
ma la differenza col periodo precedente e con quello successivo alla sua morte e il fatto che spetta al Preposito preparare l’ordine del giorno delle riunioni di Congregazione danno sufficiente garanzia per attribuirgli se non le singole proposte, il nuovo dinamismo da cui fu animato l’Oratorio genovese.
In due fatti, in particolare, è impossibile non riconoscere il decisivo impulso del Preposito: il ripristino dell’Oratorio Secolare, soprattutto nella sezione giovanile, e la consacrazione al Sacro Cuore della Congregazione, avvenuta il 7 giugno 191820.
Questo atto è innanzitutto conforme alla devozione personale del padre
Edoardo, come testimoniato da un epistolario spirituale conservato presso
l’Archivio della Congregazione di Genova21; inoltre è da notarsi che la Congregazione di Biella, dove il Bouvier aveva ricevuto la sua formazione, celebrava (e tuttora celebra) con grande solennità il triduo del Sacro Cuore,
espressione della misericordia divina, che deve guidare una comunità sacerdotale profondamente impegnata nella celebrazione del sacramento della Riconciliazione.
Per quanto riguarda l’apostolato oratoriano, si noti invece che una delle
prime decisioni assunte dopo l’elezione del Bouvier, nel 1909, fu “ridurre la
cantina in una sala di ricreazione per i ragazzi dell’Oratorio” 22. Il 14 dicembre dello stesso anno si approvò la spesa per l’acquisto “di un cinematograsente a questa elezione come Visitatore Apostolico della congregazione. Il P. Bouvier venne eletto al terzo scrutinio.
19
I lavori riguardano sia la casa che la chiesa. Interessante, come segno di apertura alle innovazioni tecnologiche la delibera del 28 febbraio 1910 (Verbali, p. 11) di installare in casa un telefono. Le annotazioni sul libro dei Verbali cessano dal gennaio 1919 senza che sia possibile darne
plausibile spiegazione.
20
Verbali 3 giugno 1918, p. 23.
21
I riferimenti al S. Cuore di Gesù sono frequenti nelle lettere inviate alla cugina Adele Rivet, conservate presso AOG. Anche nel testamento, datato 17 dicembre 1915, egli raccomanda la
sua anima “alla misericordia infinita del S. C. di Gesù” (Testamento Olografo in AOG - Padri - p.
Bouvier).
22
Verbali, 13 agosto 1909. Il 31 agosto si approva la spesa per abbassare il suolo della sala di
ricreazione (id.).
256
ANNALES ORATORII
fo per la ricreazione dei ragazzi” 23. Nel luglio 1910 si inaugura “una biblioteca circolante annessa all’Oratorio piccolo” 24.
Tutto questo conferma che, “per quanto il ministero suo si svolgesse fra
ogni ceto, amò e predilesse singolarmente i giovani, ed ebbe il vanto di riaprire e far singolarmente prosperare l’Oratorio secolare, travolto dalla bufera del 1866 colla Congregazione filippina” 25.
Il numero dei componenti di quest’ultima rimase invece sempre esiguo:
l’uscita del Padre Sanguineti26 e la morte del Padre Cereseto27 non furono
compensate da nuovi ingressi28 e questa fragilità della Congregazione si manifestò pienamente dopo la morte del Bouvier, particolarmente negli anni ’30.
Il libro dei verbali nulla permette di arguire circa i rapporti interni nella comunità; una nota conservata presso l’archivio della Procura generale ci dà notizia di problemi di disciplina da parte del Padre Mattia Federici29, uomo di
notevoli capacità intellettuali, ma di tendenze moderniste e piuttosto indipendente nell’organizzazione della vita; per questo fu necessario ricorrere, in anno imprecisato, all’Arcivescovo di Genova30 per una ammonizione canonica.
Nel 1917 si ebbe invece una nuova convenzione col Comune circa la chie23
ibid, 14 dicembre 1908, p. 7.
ibid. luglio 1910, p. 13.
25
Il Padre Edoardo Bouvier d.O., cit.
26
Verbali, 12 gennaio 196, p. 20.
27
Il decesso avvenne il 28 dicembre 1920, ma la sua salute era già da tempo compromessa e
già nel giugno del 1918 risultava “quasi sempre assente” (Verbali, 3 giugno 1918, p. 22).
28
Due sacerdoti furono ammessi alla prima probazione, rispettivamente nel 1913 (Verbali, 3
novembre p. 17) e nel 1915 (ibid. 20 novembre, p. 20) ma evidentemente non perseverarono non
essendoci altra notizia circa la loro permanenza in Congregazione.
29
Sulla vita e l’opera del Padre Mattia Federici è stato recentemente pubblicato un articolo
(LORENZO BEDESCHI, Il biblista costretto allo pseudonimo, in Vita Pastorale (marzo 2001) n° 3, pp.
96-99, alquanto impreciso nel ricostruire le difficoltà dello stesso nella vita in Congregazione e i
motivi che portarono alla sua uscita.
30
Presso l’archivio dell’oratorio di Genova non risulta traccia di questa ammonizione. Di essa si parla in un Pro-memoria datato 4 novembre 1934, firmato dall’allora preposito Padre Andrea
Lertora (in Archivio della Procura Generale della Confederazione dell’Oratorio [d’ora in poi abbreviato APG], Genova I), ma di fatto redatto dal Padre Lorenzo Michelini; si dice testualmente
del Federici: “I RR. PP. Buvier (sic!) e Soracco, ora defunti, lo tollerarono sempre pro bono pacis
e per carità, però provvidero a farlo ammonire dall’Ordinario, sebbene con esito negativo”. Il fatto dell’ammonizione per aver frequentato assiduamente una sala di lettura, giudicata disdicevole
al carattere sacerdotale del Federici, senza però nessun riferimento né al tempo in cui avvenne né
alla persona del Padre Bouvier, venne confermato dal Vicario generale di Genova al Padre Carlo
Naldi in occasione della visita canonica da questi effettuata il 15 febbraio 1935 (P. Carlo Naldi,
Relazione sulla S. Visita Apostolica alla Congregazione dell’Oratorio di Genova, a data 15 febbraio 1935, in APG, Genova I).
24
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
257
sa e i locali di abitazione, convenzione, indubbiamente favorevole ai Padri, che
normalizzava le relazioni col Municipio dopo le dispute di inizio secolo31.
Nel 1918 il Padre Bouvier, partecipò alla riunione dei Prepositi delle Congregazioni italiane, tenutasi a Roma il 20 novembre presso la S. Congregazione dei Religiosi. Nella congregazione generale in cui si discusse tale partecipazione “si deliberò di mantenersi contrari al progetto di unione” che sarebbe stato presentato da “un nucleo di Case Filippine d’Italia, capitanata da
Monsignor Arista, vescovo di Acireale” 32.
Tale atteggiamento non deve fare pensare a una opposizione preconcetta
alla collaborazione tra le diverse case, ma al desiderio di garantirne l’autonomia primigenia. Infatti la Congregazione di Genova, che già aveva sperimentato nella persona del Bouvier, nel tempo del suo noviziato, l’importanza della collaborazione tra le diverse Congregazioni ,fu tra quelle che si resero disponibili ad aiutare la Congregazione romana. Non risulta inoltre alcuna opposizione alla decisione che “conservando ogni Congregazione la propria autonomia, sia designato un Padre della casa di Roma, con incarico di ricevere
i quesiti e le questioni che le diverse Congregazioni desiderano risolte presso
i Dicasteri ecclesiastici, mediante un fraterno interessamento” 33.
Non venendo accolto il progetto Arista, “venne invece approvata all’unanimità la proposta del Preposito di Genova di una Adunanza triennale di tutti i Prepositi delle Congregazioni d’Italia in S. Maria in Vallicella – Roma,
per prendere fra di loro gli accordi che potessero occorrere pel ben dell’Istituto Filippino in generale come pure delle singole case, potendosi pur fare in
tale occasione la relazione alla S. Congregazione dei religiosi”.34
La scelta della Congregazione genovese, senz’altro conservatrice e negativa verso progetti di unione, potrebbe apparire infeconda e segno di un’incapacità nel valutare le nuove condizioni in cui nel XX secolo si è trovato a
vivere l’Oratorio.
Gli elementi emersi35 mostrano invece come nella dialettica delle vi31
Tale convenzione, pur superata dalle vicende del concordato e dalle successive restituzioni,
rimane tutt’oggi la base del rapporto tra la Congregazione e il comune di Genova circa la gestione della chiesa, che continua ad essere proprietà di quest’ultimo.
32
Verbali, 14 settembre 1918, p. 25. Circa la riunione cfr. EDOARDO ALDO CERRATO, S. Filippo Neri. La sua opera e la sua eredità, Pavia 2002, p.201. I documenti relativi in APG – Congressus Generales.
33
Verbali, 24 novembre 1918, p. 27.
34
ibid., p. 27-28.
35
Per meglio comprendere le fasi della costituzione dell’Istituto sarebbe interessante un’analoga ricerca negli archivi delle Congregazioni che si opposero al progetto Arista, per verificare se
258
ANNALES ORATORII
cende che hanno portato alla formazione dell’Istituto Filippino (ora Confederazione dell’Oratorio) questo atteggiamento restio abbia contributo
alla riflessione e alla ricerca di un maggior equilibrio tra le apparentemente contrastanti necessità della collaborazione e della salvaguardia dell’autonomia, equilibrio che si deve riconoscere essersi magistralmente
realizzato nell’opera del Padre Arcadio Larraona, con gli Statuti Generali del 1943.
In occasione del viaggio a Roma il Bouvier ebbe anche incontri con dei
canonisti36 circa un contenzioso con la Curia di Genova: infatti, in seguito alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico fu tolta alla Congregazione la direzione del Conservatorio delle Figlie della Misericordia, note come
Suore Filippine37. Nonostante la reazione dei Padri38, poco venne mutato dell’originario progetto di trasformazione e di fatto l’istituto delle Suore venne
staccato da ogni rapporto giuridico con la Congregazione, lasciando ad essa
solo il diritto di incamerarne i beni, in caso di estinzione, conforme alla volontà del fondatore39.
Padre Bouvier e Don Orione
L’intensa attività del padre Bouvier quale superiore della comunità filippina, non lo allontanò però dall’abituale missione confessore di religiose e di
anche in altre le motivazioni del diniego si mescolino a sentimenti di apertura alla collaborazione, come a Genova, o si tratti di una chiusura totale. Tale ricerca illuminerebbe forse anche sulle
difficoltà pratiche ad accettare le forme di collaborazione stabilite, che continuano in alcune Congregazioni in questi 60 anni di unione.
36
Si trattava di del Padre Enrico Quatroccolo e dell’Avvocato D’Alessandri (cfr, Verbali, 30
novembre 1918, p. 29).
37
Le Figlie di N.S. della Misericordia furono fondata dal Padre Antonio Maria Salata dell’Oratorio di Genova nel 1705 per l’istruzione della gioventù femminile povera e da lui talmente impregnate dello spirito dell’Oratorio da essere popolarmente chiamate “le Filippine”. Nel suo testamento il Salata dava precise disposizioni circa la competenza dei Padri per la direzione spirituale e il controllo amministrativo del nuovo istituto. Cfr. Simonetta ROSSI, Antonio Maria Salata, fondatore delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, in CLAUDIO PAOLOCCI (a cura di),
La Congregazione di S. Filippo Neri. Per una storia della sua presenza a Genova, Quaderni Franzoniani, Genova 1997, n° 2
38
In AOG, cit., pp. 23-30 passim, si conservano varie deliberazioni dei Padri circa il contenzioso che sorse con la Curia arcivescovile di Genova, ma nulla circa il modo in cui esso venne risolto.
39
Questa regolamentazione giuridica dei rapporti tra i due istituti, nonostante la trasformazione delle suore Filippine in un istituto religioso con voti, avvenuta nel 1958-59, è tuttora vigente.
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
259
predicatore40. In particolare sappiamo che fu più volte a predicare a san Bernardino di Tortona41 ai membri della Piccola Opera della Divina Provvidenza, con tale soddisfazione del beato Don Orione, che in un’occasione questi
ebbe a spostare la data del corso di esercizi pur di averlo presente.
I rapporti tra i due avevano avuto probabilmente inizio, verso il 1912, a
motivo di una giovane signorina genovese, Giuseppina Valdettaro42, che divenne collaboratrice di Don Orione nella fondazione del ramo femminile della sua opera e che si trovava sotto la guida spirituale del Padre Bouvier; se,
forse, non vi fu immediatamente piena comprensione di cosa comportasse la
vocazione orionina43, tuttavia la stima che Ddon Orione maturò nei confronti del filippino genovese fu senza riserve, se così poteva scrivere alla Valdettaro:
Lei dica al suo Direttore di spirito che veda un po’ lui se Vostra Signoria
non debba essere una piccola pietra di quel povero Istituto del quale le parlai…
Ma ella stia pienamente al suo Direttore; poiché nulla voglio di ciò che
non è da Dio, e per me sono lietissimo tanto sia sì come sia no44
La Valdettaro effettivamente collaborò con Don Orione, divenne una della prime Piccole Suore Missionarie della Carità, dove “per un decennio fungerà da Superiora Generale” 45.
I rapporti del Padre Bouvier con Don Orione non si fermarono solo alla
questione della Valdettaro: presso l’Archivio Don Orione, che conserva i documenti della Piccola Opera della Divina Provvidenza, si trovano alcune let40
Oltre ai corsi di esercizi tenuti per gli Orionini e di cui si riferirà sotto, siamo informati, sia
pure in maniera discontinua, della sua attività di predicatore tanto da avvisi pubblicati sulla Settimana religiosa quanto dal citato epistolario con la cugina Adele Rivet.
41
Così, ad esempio, nel luglio 1917 (P. Bouvier a Don Sterpi, 21 luglio 1917 in Archivio Don
Orione [d’ora in poi abbreviato ADO]).
42
cfr. ANTONIO LANZA (a cura di), Una famiglia a lungo desiderata. La fondazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità, Messaggi di Don Orione, Quaderno 89°, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona - Roma 1995. Fino dal primo incontro con la Valdettaro don Orione infatti “aveva pensato che un apporto femminile qualificato per l’impresa che da tempo meditava, poteva essergli fornito da quella giovane che aspirava alla vita religiosa, ma fino ad allora
più di una circostanza aveva congiurato contro le sue aspettative” (ibid. p.58).
43
Secondo il Lanza (o.c., p. 159, n. 133) il Bouvier, “ uomo veramente di Dio … non aveva
avuto modo di conoscere a fondo il carisma orinino e pertanto non potè guidare con sicurezza e
fermezza la sua figlia spirituale nelle difficoltà che incontrerà per adeguarsi allo spirito di umiltà
e semplicità orionina” .
44
Don Orione, lettera del 14 aprile 1914, riportata in Antonio LANZA, o.c., p. 61.
45
ibid. p. 70.
260
ANNALES ORATORII
tere di Padre Bouvier a Don Orione e a Don Sterpi46, diretto collaboratore di
questi. Si tratta di biglietti brevi, che non toccano argomenti di coscienza, ma
piuttosto casi concreti di carità, soprattutto giovanetti che il Filippino genovese raccomanda perché siano accolti negli istituti della Piccola Opera della
Divina Provvidenza.
Gli accenni a questioni più delicate rimandano ai colloqui personali, che
risultano avvenuti più volte, anche presso la dimora dei Filippini di Genova47.
Di questa breve corrispondenza48, piace riportare per il suo carattere fresco e spontaneo il ringraziamento per un piccolo dono offerto da Don Orione al P. Bouvier e alla sua comunità.
Reverendissimo, Carissimo d. Orione,
Quasi non bastassero tutte le attenzioni di cui volle colmarmi in occasione dei Santi Esercizi, ricevo ancora un bel canestro di frutta stupende (!), colle quali vuole deliziarmi anche qui in Genova. Non so come ringraziarla per tanta bontà, come attestare la mia riconoscenza. Lascio al Signore di ripagarla di tutto, ed intanto continuo ad abusare di
quella stessa bontà…
E al termine nel post scriptum
Devo ringraziarla per le belle pere anche a nome dei miei RR. Padri
che la ossequiano49.
Più interessanti risultano invece gli accenni al nostro Oratoriano negli
scritti di Don Orione, cenni brevi, ma che testimoniano una grande stima di
lui. Alla Valdettaro scrive il 21 gennaio 1916: “Faccia tranquilla ciò che il
Padre filippino dice” 50; in una lettera del 21 gennaio 1917 afferma: “Se P.
Bouvier conosce personalmente il ragazzo, lo accetto senz’altro” 51.
46
Si tratta precisamente 9 brevi lettere e un biglietto indirizzati a Don Orione tra il 1 luglio
1916 e il 30 settembre 1922; di due cartoline postali indirizzate a Don Carlo Sterpi e di tre biglietti
il cui destinatario, un ecclesiastico, non è possibile identificare.
47
Cfr. lettera del Bouvier al “veneratissimo Don Orione” del 24 luglio 1916 (in ADO ): “Una
sua visita però sarà sempre per me un gran regalo, che oso appena sperare, anzitutto perché ho
tanto piacere di parlare con Lei, poi perché La sentirei volentieri anche a riguardo a quella figliuola, di cui c’interessiamo…” E il primo agosto successivo: “Se ritorna a Roma presto, passando da Genova, e si può fermare qualche ora favorisca avvertirmi del giorno e dell’ora, affinché possa trovarmi in casa o, s’Ella lo preferisce, venirle a parlare alla stazione”.
48
Non ci sono purtroppo conservate lettere di Don Orione al Padre Bouvier.
49
Lettera del Padre Bouvier a Don Orione del 10 settembre 1919 (in ADO).
50
Epistolario di Don Luigi Orione, 65, 117 in ADO.
51
ibid. 65, 119.
M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova
261
Di capitale interesse è soprattutto il ritratto che don Orione ne fa, essendogli stato richiesto di segnalare a Roma qualche sacerdote da prendere in
considerazione per la nomina a vescovo.
“Qui [a Campocroce] il padre Bouvier fa molto bene…
Molto distinto per pietà, dottrina, amministrazione, prudenza e predicazione sacra…
Di questi uomini che conoscono bene il mondo, che non hanno mai
cercato che Gesù Cristo e le anime, anche messi al governo di qualche
Diocesi, mi pare di poter dire nel Signore che servirebbero la Chiesa
di Dio “non in sermone tantum”, sed et in virtute et in Spiritu Sancto,
et in plenitudine multa…52”
Ed ancora:
“Dopo la morte di mgr. Arista, sarebbe l’unico vescovo filippino in Italia53”.
Gli ultimi anni
La proposta di Don Orione non ebbe seguito e il Padre Bouvier non lasciò la sua Congregazione di Genova, proseguendo la sua ordinaria attività;
siamo però meno informati sugli anni successivi al 1918, mancando ogni annotazione nel Libro dei verbali della Congregazione.
In questo periodo emerge unicamente la celebrazione nel 1922 di un solenne ottavario per il terzo centenario della canonizzazione di san Filippo; il
programma ricco di celebrazioni liturgiche e di conferenze54 è segno sicuro
della vitalità dell’Oratorio genovese e della fecondità dell’apostolato del suo
Preposito.
È questa l’unica nota significativa nella vita della Congregazione negli anni ’20; una malattia cardiaca55, portò il Padre a una morte prematura, a soli
52
ibid. 83, 124.
ibid. 87, 23.
54
Cfr. il programma in La Settimana Religiosa (Genova 1922) p. 158.
Interessante lo sfogo del Bouvier alla cugina Adele Rivet: “Le nostre Feste pel Centenario di
S. Filippo … riuscirono assai bene, quantunque abbia avuto a tribolare per i predicatori, che mi
mancavano in ogni istante… Fortuna che qualche buon Sacerdote, veramente eroico, supplì meravigliosamente e Monsig. Pini che venne proprio gli ultimi giorni fece prediche stupende” (lettera del 2 agosto 1922 in AOG - epistolario Bouvier).
55
Il 21 gennaio 1926 il Bouvier scrive alla cugina Adele di essere “quasi sempre ammalato
pel mio indebolimento di cuore. Basta un po’ di fatica, o qualche cibo che non possa ben digerire che subito faccio ricaduta (!)” (AOG - epistolario Bouvier)
53
262
ANNALES ORATORII
cinquantanove anni di età, il 15 agosto 1926; il decesso avvenne in San Lorenzo della Costa56, una frazione di Santa Margherita Ligure, dove si trovava come ospite presso una famiglia amica, “dove aveva cercato lenimento ad
un male, che inesorabilmente lo minava” 57.
I funerali si tennero nello stesso paese il giorno 17 agosto a Genova nella chiesa di San Filippo il giorno successivo: qui intervenne Don Orione58 la
cui presenza alle esequie costituisce, al di là della retorica dei necrologi, che
sottolineano comunque “il gran concorso” 59 dei partecipanti, il più bell’elogio funebre che il padre Bouvier ricevette e forse la miglior chiave di giudizio sulla sua nascosta, ma feconda vita sacerdotale.
Mauro De Gioia, C.O.
56
In questo paese della riviera il Padre trascorreva da anni le sue vacanze, come testimoniano numerose lettere da lì inviate alla cugina Adele.
57
Il Padre Edoardo Bouvier d.O, in Il Cittadino, cit.
58
Lettera di Don Luigi Orione a Don Pensa (ADO 20, 164): “È morto ieri P. Bouvier e i funerali, ai quali andrò, saranno forse mercoledì. Dillo a Don Sterpi, e pregate per l’anima di lui”.
59
Don Edoardo Bouvier dei Filippini in La Settimana Religiosa (Genova 1926) p. 405.
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
263
EL VENERABLE PADRE LUIS FELIPE NERI DE ALFARO
Muy escasas son las noticías biográficas que disponemos para formar una
completa semblanza dal venerable P. Luis Pelipe Neri de Alfaro1 que abarque todas las épocas de su vida a través de 67 años que vivió en la Nueva
España durante el siglo XVIII, en el apogeo del barroco con sus deslumbrantes retablos dorados de pilastras estípites balbasianos, con sus tesoros traídos de oriente por la nao de China cargada de sedas, marfíles y porcelanas,
con sus palacios en cuyas fachadas se ostentaban orgullosamente blasones
nobiliarios, y a la vez se proclamaba el Patronato da la Sma.Virgen de Guadalupe sobre la Ciudad de México (27-04-1737), para ser apaciguada la nefasta peste del matlazahuatl que diezmaba la población de la capital del Virreinato y de otras ciudades aledañas; extendido también nueve años después
sobre el Reino de la Nueva España. Siglo de epopeyas misioneras de los colegios de Propaganda Fidei como el de Fray Antonio Margil de Jesús, misionero andariego en las vastas soledades de Texas, y el del P. Eusebio Francisco Kino apóstol infatigable de las Californias, Sonora y Arizona. Dentro
1
Veanse: AVILA BLANCAS, Luis, Las Casas de Ejercicios Espirituales de Encierro en los Oratorios de San Felipe Neri de México, siglos XVIII, XIX y XX, en “Segundo Encuentro Nacional de
Historia Oratoriana”, México, 1986; CARPIO, Juan, Apuntes Históricos y Estadísticos del Santuario de Atotonilco. Noviembre 28 de1882, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986; DE SANTIAGO SILVA, José, Presencia espiritual de Luis Felipe Neri de Alfaro
en el Arte del Santuario da Atotonilco, Guanajuato”, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986; DE SANTIAGO SILVA, José – RAZO OLIVA, Juan Diego, Atotonilco
Visión mística y libertaria, Gobierno del Estado de Guanajuato, 1985; Id., Atotonilco, Artistas de
Guanajuato, 1996; DIAZ Y DE OVANDO, Clementina, La poesía del Padre Luis Felipe Neri de Alfaro, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana” México, 1986; DIAZ DE GAMARRA
Y DAVALOS, Juan Benito, El Sacerdote Fiel y Según el Corazón de Dios. Elogio Fúnebre, Imprenta de la Biblioteca del Lic. D. Joseph de Jáuregui, México, 1776; PORTILLO, Ildefonso, Breves apuntes de la vida del Siervo de Dios Luis Felipe Neri de Alfaro, Herrero Hermanos Sucesores, México, 1912; RUIZ VALENZUELA, Antonio, Noticia Histórica de la Causa de Beatificación del Venerable Padre Alfaro, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986; TAPIA
TOVAR, Reynaldo, El Ven. P. Luis Felipe Neri de Alfaro y el Oratorio de San Miguel de Allende,
Gto. en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986.
264
ANNALES ORATORII
de este marco del siglo XVIII se ubica la humilde figura del P. Alfaro desde
su celda del Santuario de Atotonilco.
La escasez de noticias biográficas del P. Alfaro se debe en parte por haber mandado recoger toda clase de noticias inéditas o impresas referentes al
P.Alfaro el primer Obispo de León, Gto., Dr. José María de Jesús Díaz da Sollano y Dávalos en 1869, para incluirlas en el legajo - solicitando ante la Santa Sede poder iniciar el Proceso de Beatifícación - quedando como fuente
principal de información el Elogio Fúnebre que pronunció el P. Dr. Juan Benito Díaz de Gamarra en el Santuario de Atotonilco a los treinta días del fallecimiento del P. Alfaro, que por haberlo hecho ante un auditorio que había
conocido y tratado al Padre, es un documento de valor verídico íncalculable.
En este breve trabajo sobre el P. Alfaro podemos hacer cuatro apartados:
l. Semblanza, 2. Santuario y Casa de Ejercisios, 3. Poesía, 4. Estado actual
del Proceso de Beatificación.
SEMBLANZA
Nacido y criado en el seno de una noble y rica familia avecindada en la
Ciudad de México capital del reino de la Nueva España, fue llevado a la pila bautismal del Sagrario Metropolitano el 4 de septiembre del año del Señor
de 1709, por sus padres el Capitán D. Estéban de Alfaro y D. María Velásquez y Castilla, y padrino D. Ambrosio Uribe y Larrea, recibiendo el nombre de Luis Felipe Neri: Luis por haber nacido el 25 de agosto, festividad de
San Luis Rey de Francia, y Felipe Neri por devoción de sus progenitores al
glorioso fundador de la Congregación del Oratorio de Roma. El haber sido
bautizado diez días después del nacimiento nos hace pensar que se debió al
estado delicado de salud, pues se acostumbraba entonces hacerlo de inmediato. No se sabe que la señora D.María Velásquez haya tenido otros hijos2.
Los padres de Luis Felipe se dedicaron a impartir a su hijo desde su más
tierna infancia los só1idos cimientos de la fe cristiana inculcándole el santo
temor de Dios y aborrecimiento al pecado mortal. D. María le leía diariamente vida de santos y sobre todo la Pasión de Cristo Ntro Señor produciéndole tal impresión que quedaría para siempre grabada en su mente y corazón en forma indeleble, cuyo resultado de esta formación sería la tempra2
“Libro de Baptismos de Españoles de esta Santa Yglesia Catedral de Mexico que empieza
desde 1° de abril de 1709 en adelante”, No. 35, Foia 59, vuelta.
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
265
na práctica de la mortificación corporal usando ásperas camisas debajo de su
fina ropa, propia de su clase social, como posteriormente, siendo sacerdote,
se cubriría el cuerpo debajo de la sotana con cilicios. Guardando siempre asi
gran respeto y amor a sus padres mandó pintar sus retratos en las jambas de
entrada al camarín de la capilla del Rosario del Santuario de Atotonilco, ante cuyas efigies se descubría la cabeza y de rodillas besaba sus manos.
Llegado a una edad adecuada y bajo la piadosa tutela de sus padres, ingresó al Seminario del Arzobispado da México para cursar latín, Filosofía y
Teología, y a la Real y Pontificia Universidad de México donde se graduó de
bachiller en Teología. Corría el año de 1729, y Luis Felipe contaba con veinte años de edad y era el momento de tomar una decisión respecto al futuro
de su vida cuando determina seguir el ejemplo del santo de su nombre Felipe Neri que siendo joven como él, viviendo al lado de su tío Rómulo Neri,
rico comerciante de San Germán, población entre Roma y Nápoles, renuncia
a la vida placentera que le brindaba y a la.herencia que le prometía por carecer de descendencia y parte para Roma pobre y desconocido; así también,
nuestro Luis Felipe renuncia a las comodidades de su rica casa paterna y a
la probable posesión de cargos civiles o dignidades eclesiásticas reservada
solamente para peninsulares o criollos con limpieza de sangre; y se dirige a
la Villa de San Míguel el Grande (hoy de Allende, Gto.), para pretender ingresar a la Congregación del Oratorio en la que fue recibido el 26 de mayo
de 1730, festividad de San Felipe Neri, superando con humildad las pruebas
inherentes al noviciado y permaneciendo siempre unido a ella basta el fin de
su vida, a la que llamaba “mi Madre, mi amada y venerable Congregación”.
El Oratorio de San Felipe Neri al que se había sentido llamado a pertenecer, se fundó en la Villa de San Miguel el Grande, en el Obispado de Valladolid (hoy Morelia), por el Br. Juan Antonio Pérez de Espinosa en 1712, y a
la sazón gozaba de fama por su “obsevancia y literatura”: esto es de observar fielmente los estatutos del Oratorio Romano, fundado por San Felipe Neri, y dedicarse a la educación de la juventud por medio del Colegio de San
Francisco de Sales que regentaban sus miembros.
Ya en el Oratorio sanmigueleño se dedicó de lleno a la oración y a la mortificación “edificando con sus ejemplos y virtudes a la Villa de San Miguel
el Grande” - nos refiere el Dr. Gamarra en el Elogio Fúnebre - además de estudiar a fondo la Teología Moral llegando a escribir un extracto de la voluminosa obra de los Salmantinos para estar apto a las confesiones y dirección
espiritual cuando se le confiriese el orden sacerdotal. Como en la Congrega-
266
ANNALES ORATORII
ción del Oratorio no obligan los votos religiosos de pobreza, castidad y obediencia (sólo el celibato por ser sacerdotes), el P. Luis Felipe pudo disponer
de sus bienes patrimoniales construyendo una hermosa capilla dedicada a
Ntra. Sra. de la Salud ante cuya imagen quedaba a tal grado arrobado que sus
confesores le prohibieron contemplarla, ubicada en medio de la residencia de
los padres y el Colegio de San Francisco de Sales. Ya de sacerdote, adelantándose a lo que habría de conseguir por medio de la Casa de Ejercicios Espirituales de Atotonilco, funda en el templo de San Rafael Arcángel de la misma población la Santa Escuela de Cristo, cuyo fin es formar seglares en el
“cumplimiento de los preceptos y consejos evangélicos del divino Maestro
Cristo, caminando a la perfección con enmienda de vida, penitencia y contrición de los pecados, mortificación de los sentidos, oración, frecuencia de
sacramentos y obras de caridad.” 3 (Const., cap. 1.). Todo esto muy de acuerdo con el espíritu del P. Luis Felipe que buscaba la forma de combatir la superficialidad del pueblo creyente de aquella época. Tal institución la fundó
también en las ciudades do León y Sta. Fé de Guanajuato.
SANTUARIO Y CASA DE EJERCICIOS DE ATOTONILCO
San Miguel el Grande, ciudad que en el siglo XVIII había alcanzado gran
renombre por su crecimiento económico basado en sus industrias y haciendas, y en donde el P. Luis Felipe había ingresado al Oratorio buscando su
propia perfección espiritual y el crecimiento de la población en su fé y buenas costumbres. Sucedió que habiendo llegado a sus oídos que en un lugar
distante de San Miguel dos leguas y media (14 Kms.), camino a la Congregación de Ntra.Sra. de los Dolores (hoy Cd. de Dolores, Hidalgo, Gto.), llamado Atotonilco (que quiere decir “Lugar de agua caliente”: de atl, agua, tonil, caliente, y co, lugar) se prestaba a homicidios y asaltos por parte de grupos marginados y a faltas a la moral por aquelles que iban a disfrutar de las
aguas termales del lugar, le hizo tomar la decisión, casi por inspiración divina, de convertirlo en sitio de oración y penitencia. Por lo tanto, hubo de conseguir primero el permiso del Oratorio sin dejar de pertenecer a él, luego la
licencia del párroco y Ayuntamiento de San Miguel, y la del Obispado de Mi3
Constituciones de la Congregación y Escuela de Cristo Señor Nuestro, fundada bajo la protección de María Santisima Señora Nuestra y del glorioso San Felipe Neri, en el Hospital de los
Italianos de Madrid, Villa y Corte de Madrid, 1653, p. 75.
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
267
choacán y Gobierno Virreinal, y por supuesto de la Corona española. Todo
lo cual sin duda lo consiguió con gran trabajo y penalidades. Luego procedió a la compra del lugar perteneciente al hacendado D. Ignacio García pagándolo con su propio dinero. El producto de la hacienda le ayudaría en algo a la construcción de las capillas.
El 3 de mayo de 1740, se bendijo y colocó la primera piedra del Santuario llegando a concluirse la construcción ocho años después bandiciéndola el
Párroco de San Miguel el 20 de julio, celebrando la misa y predicando el P.
Martín Zamudio y el P. Antonio Ramos de Castilla respectivamente, siendo
los dos del Oratorio, habiendo sido colocada la imagen de Jesús Nazareno
ese mismo día enel altar mayor.
De inmediato, después, se puso manos a la obra en la construcción de las
capillas anexas de Ntra. Sra. de Loreto, del Santo Cenáculo y de la Soledad
entre 1748 y 1759. Poco descansó el P. Alfaro, pues el 24 de diciembre de
este año trazaba la planta y comenzaba los cimientos de la capilla de Belén,
y para el mes de abril del año siguiente los de la capilla del Santo Sepulcro,
habiendo hecho la bendición de ambas el 18 de marzo de 1763, víspera de la
festividad del Sr. San José. La prolongación y ampliación de la capilla del
Sto. Sepulcro con el título del Calvario se verificó entre los años de ‘64 a ‘66
coincidiendo en este año con la conclusión de la Capilla del Rosario y su camarín en 1766.
En los veintisiete años que el P. Luis Felipe Neri de Alfaro permaneció en
Atotonilco, además de su actividad constructora y decorativa del Santuario,
se ocupó en escribir algunas obra piadosas en prosa y en verso que fueron
publicadas por él mismo, y otras después de su muerte, permaneciendo algunas inéditas que pasaron a formar parte del “Summarium” integrado por el
obispo Díaz de Sollano que envió a Roma. Las que conocemos con ampulosos títulos gongorianos publicadas en México son las siguientes: 1.“Reyno
piadosísimo….”: novena a Ntra. Sra. del Refugio, 1751; 2. “A la mas hermosa y salutifera Flor de los Campos…”: novena a Jesús Nazareno, 1752; 3.
“Las doce puertas abiertas de la celestial Sion…”: docenario a Jesús Nazareno y a María Nazarena, 1765; 4. “Guirnalda de Flores…”: novena a Ntra.
Sra. de la Salud, 1765; 5. “Cadena de Oro…”: meditaciones sobre la Pasión
de Cristo en verso, 1766; 6. “Camino Doloroso…”, dispuesta en verso para
acompañar a Ntra Sra. de los Dolores del Calvario al Cenáculo, reimpreso en
1773. 7. “Refrigerio de enfermos y ancianos…” obra para confortar a enfer-
268
ANNALES ORATORII
mos y ancianos, reimpresa en 1775; 8. “Sendero del cielo…”, obra dedicada
al Sagrado Corazón de Jesús Nazareno, reimpresa en 1778; 9. “Método Breve y utilísimo para rezar el Santo Viacrucis…”: lo sacó a luz pública el Dr.
Juan Benito Díaz de Gamarra, en 1778. En todas esta obras se nota la gran
madurez espiritual y riqueza lírica del P. Alfaro.
La estructura arquitectónica del Santuario es muy sencilla pues consta de
una sola nave con seis bóvedas de arista, muros de diez metros de altura aproximadamente, siete retablos neoclásicos y uno barroco, y seis capillas cuyas
entradas dan hacia el Santuario. El altar mayor, la capilla del Rosario y la de
Loreto tienen sus propios camarines. El Santuario carece de crucero y cúpula, y la que ostenta de forma esférica pertenece al camarín del Altar Mayor;
mientras que en la Capilla del Calvario la cúpula con tambor octagonal descansa sobre al crucero. La torre de tres cuerpos que no queda al paño del muro exterior, nos indica hasta donde llegaba al principio el Santuario antes de
construirse las capillas del Sto. Sepulcro y de Belén, por lo que tuvo que añadirse otro tramo del coro. Las otras dos torres no pertenecen al tiempo del P.
Alfaro. La fachada del Santuario se muestra totalmente exenta de ornato, y
só1o tiene una ventana rectangular sobre el arco mixtilíneo de la puerta de
entrada.
El conjunto de capillas que rodean al templo principal o Santuario obedece a una idea maestra dal P. Alfaro: ubicar al ejercitante en los lugares donde nació, vivió, padeció y murió Ntro. Señor Jesucristo para consumar la redención y salvación del género humano, sirviendo el Santuario de recinto para que los ejercitantes oyeran misa, rezaran, escucharan la predicación, y tomaran parte en las prácticas propias de la Casa de Ejercicios instituidas por
el P. Alfaro. Esta es la razón de las capillas de Belén, de Loreto, (ciudad de
Italia donde fue trasladada la Casa de Nazareth en el siglo XIII), del Cenáculo, del Calvario, del Sto. Sepulcro, de la Soledad y de Pentecostés en el camarín del Altar Mayor. La Capilla del Rosario se debe a la devoción especial
del P.Alfaro, conmemorando el triunfo del cristianismo en la batalla de Lepanto sobre el islamismo, por el rezo del Sto. Rosario en el s. XVI.
La decoración del interior del Santuario en muros y bóvedas se debe al
deseo del P. Alfaro de ilustrar con pinturas al temple y cartelas alusivas en
verso, los temas propios de los Ejercicios espirituales que San Ignacio de Loyola (1491-1556) compuso en forma de lecturas y meditaciones sobre las verdades eternas contenidas en las Sagradas Escrituras, para que el creyente de
cualquier estado y condición trate de hacerlos, sea “o para enmendar la vida
mala, o mejorar la buena que tenía”, como advierte el P. Pedro Rivadeneira,
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
269
biógrafo del santo. Como por su estrechez y pobreza la Casa de Ejercicios
de Atotonilco que apenas podía albergar entro 40 a 60 personas dedicadas en
ocho días a la oración, meditación y penitencia, no pudiendo el P. Alfaro decorar sus muros y dependencias - como lo habían hecho los PP.del Oratorio
de México en la Casa de Ejercicios de Encierro para Hombres anexa al templo de la Profesa valiéndose de los mejores pintores del s.XVIII, como Víllalpando, Cabrera, Alcíbar, Islas, y otros - logró plasmar en el Santuario los
grandes temas de los Ejercicios de San Ignacio como el Ultimo Fin del Hombre; Muerte, Juicio, Infierno y Gloria; Muerte del Justo y del Pecador; las Penas del Infierno y la Gloria de los Bienaventurados; y sobre todo el tema más
querido del P.Alfaro: la Pasión y Muerte de Jesucristo nuestro Redentor. Todo esto lo llegó a lograr mediante el pincel de Miguel Antonio Martínez de
Pocasangre, pintor desconocido hasta la fecha, de méritos indiscutibles, que
dejó una obra pictórica barroca, asombro de los visitantes, desde la entrada
del santuario en los paneles del cancel de madera, en que están pintados abades, santos y santas, pasajes bíblicos y alegorias de la purificación del corazón, aunque estas pinturas sufrieron repintes posteriores de J. Ma. Baraja, así
como otras más.
OBRA POETICA DEL P. ALFARO
No podemos dejar de referirnos, aunque sea brevemente, sobre la obra poética del P. Alfaro producto genuino de su intenso amor de Dios, de Jesús y
María y de las almas. “No hay en la poesía del P. Alfaro - dice la Dra. Clementina Díaz y de Ovando - hondos problemas teológicos o filosóficos, ni
graves asuntos políticos como en el combativo fray Luis de León; sino solamente la deliciosa divulgación de enseñanzas, dogmas y prácticas de vida
cristiana”: todo lo cual quedó escrito en novenas y en las paredes y bóvedas
del Santuario de Atotonilco, pues su poesía es expresión de su vida y del inmenso amor que profesaba a Cristo y a la Sma.Virgen, haciendo uso de octavas, décimas y sonetos. Vayan de ejemplo los siguientes:
Dos coronas te ofrecen dos señores
mira, alma, con cuidado, a cual te inclinas;
si a la que el mundo ofrece que es de flores,
o a la que Cristo ofrece que es de espinas:
la de flores remata en sinsabores,
270
ANNALES ORATORII
la de espinas en glorias peregrinas:
escoge pues la de mayor nobleza,
que es la que carga Cristo en su cabeza.
Las décimas que siguen nos recuerdan el himno Akathistos bizantino:
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
Virgen y Preñada.
Doncella Parida.
de Dios Poseida.
de Dios más Amada.
Madre Inmaculada.
por quien mi alma pena.
Lus clara y serena.
que Dios nos envía.
mil veces María.
Ave gratia plena.
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
AVE
AVE,
AVE,
AVE,
AVE,
Refugio sagrado.
Libro misterioso.
Bálsamo precioso.
Ciprés encumbredo.
Alcázar adornado.
que al dragón refrena.
graciosa morena.
en quien Dios se gloría.
graciosa María.
Ave gratia plena.
La mejor de sus composiciones poéticas es el siguiente soneto:
¡Pasto y Pastor! ¡Qué raro ofrecimiento
el cielo te presenta, oh peregrino!
¡Pasto y Pastor! dichoso tu destino
si sabes apreciar tal llamamiento.
Pasto y Pastor a un tiempo: ¡qué portento!
Divino el Pasto, si el Pastor divino.
Con tal Pastor, ¿quién perderá el camino?
Con el Pasto tal, ¿quién perderá el aliento?
Mi Pasto y mi Pastor sois, Jesús mío:
que así vuestra palabra me lo advierte,
reprendiendo mi loco desvarío,
y anunciándome en todo feliz suerte.
Sois mi Pastor, no temo ya extravío.
Sois mi Pasto: no temo ya la muerte.
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
271
No debemos pensar que el P. Alfaro, por haber tenido que dirigir primero
la construcción del Santuario junto con las capillas y luego la decoración con
las cartelas alusivas en verso, haya descuidado sus deberes como sacerdote
y director de la Casa de Ejercicios Espirituales donde se retiraban al rededor
de sesanta personas casi siempre pobres, con el minimo de comodidades, para tratar sobre su conversión y salvación durante ocho días atendiéndolas personalmente; sino por el contrario su vida diaria dedicada a la oración y penitencia se distribuía - según lo refiere el Dr. Gamarra en el Elogio Fúnebre
- de la forma siguiente: “Pasaba la mayor parte de la noche en oración mental para prepararse a la celebración de la Misa (durmiendo los últimos años
de su vida en un ataúd que llamaba festivamente ‘chalupas’); por la mañana
confesaba, celebraba la Misa y terminando practicaba con los fieles la Visita de los Cinco Altares continuando con una exhortación de aborrecimiento
de los vicios y cumplimiento de los Consejos evangé1icos. Así hasta las 11
de la mañana cuando se ponía a rezar el Oficio divino de rodillas ante el Sagrario, repasaba el estudio de Moral practicaba algún trabajo manual como
hacer flores artificiales, como San Pablo Apóstol que confeccionaba tiendas
de campaña (Hch.18,3); en seguida se rezaba el Via-Crucis que é1 mismo había compuesto, seguía el examen de conciencia y se terminaba con alabanzas a Ntro. Divino Redentor, sacadas de las Escrituras sin faltar el Angelus.
Después pasaba al Refectorio para servir personalmente la mesa a los Ejercitantes, reservándose para sí un poco de alimento que por lo general mexclaba con algún líquido amargo. Por la tarde a las 4 p.m., se visitaba al Smo.
Sacramento haciendo uso del devocionario compuesto por él mismo, pidiendo a Ntro.Señor por las necesidades de la Sta. Iglesìa. Y a las 7 p.m., se rezaba al Sto. Rosario de 15 misterios seguido de una explicación de las declaraciones del Catecismo de Ripalda, concluyendo con un Responso por los
difuntos de ese día”.
Debemos añadir las prácticas penitenciales y flagelaciones que se imponía a sí mismo - conforme a las palabras da San Pablo: “Castigo mi cuerpo
y lo esclavizo, no sea que habiendo predicado a otros, venga yo a ser reprobado” (Gal. 9,27) - en tiempo de Cuaresma y Semana Santa y en particular
el Viernes Santo, cuando con una soga al cuello, corona de espinas en la cabeza y cargando una pesada cruz de mezquite, se hacía caer tres veces recordando lo que “su Jesús había hecho por é1”, en una solemne procesión.
Por fin, tras de haber sufrido penosas y langas enfemedades con ejemplar resignación, diciendo: “Hágase en todo, y por todo la santísma Voluntad de
Dios; más es lo que merezco, menos es lo que padezco”, así confiado en la
272
ANNALES ORATORII
Misericordia de Dios entregó plácidamente su alma a Ntro. Señor el 22 de
marzo de 1776, a las 6 de la mañana, mientras pronunciaba el nombre de Jesús. Luego se extendió la noticia de su fallecimiento acudiendo cientos de
personas de todas las clases sociales a venerar su cadaver siendo sepultado
en el muro del presbiterio del altar mayor del Santuario de Atotonilco, donde permanecen sus restos, y cuya fama de santidad continúa viva y es el imán
para las miles de personas que acuden anualmente a tomar los Ejercicios Espirituales en el Santuario de Atotonilco, Gto. Las solemnes Honras Fúnebres
se celebraron al mes de su fallecimiento en el Santuario, predicando el Elogio Fúnebre el Dr. Juan Benito Díaz da Gamarra ante un gran auditorio4
CAUSA DE BEATIFICACION DEL VEN. PADRE
1. - El Dr. y Mtro. D. José María de Jesús Días de Sollano y Dávalos
(1820-1881) - primer Obispo de la Diócesis de León, Gto., dentro de cuya
jurisdicción quedaba el Santuario de Atotonilco, que conocía por ser originario y vecino de la ciudad de San Miguel de Allende, y sabía de la fama de
santidad del P. Alfaro - se movió a introducir la Causa de Beatificación en
Roma valiéndose del Dr. D. Ignacio Montes de Oca y Obregón entonces Párroco de Santa Fe de Guanajuato, llevando consigo el “Summarium” o legajo compuesto por los manuscritos, testimonios de los Padres del Oratorio de
San Miguel, e impresos del Ven. Padre Alfaro. Se inició entonces el Proceso
de Beatificación en 1869, reinando el Papa Pio IX.
2. - El Sr. Obispo de la Diócesis de León, Dr. Emeterio Valverde y Tellez,
(1864-1948), interesado por el Proceso envía a Roma al Pbro. D. José Mercadillo Miranda, Párroco de San Miguel de Allende, en 1948, a investigar el
estado del Proceso regresando con la buena noticia de que se encontraba en
el lugar indicado desde Pio IX.
3. - Cuando es creada la nueva Diócesis de Celaya con parroquias de las
diócesis de Morelia y León, el Santuario de Atotonilco pasa a pertenecer a
Celaya, por lo que el nuevo Obispo D. Victorino Alvarez Tena deseando darle impulso al Proceso nombra como Promotor de la causa a Mons. José Mercadillo Miranda y como Miembros de la Comisión de Historia al Pbro. Mtro.
4
DIAZ
DE
GAMARRA Y DAVALOS, J.B., El sacerdote fiel…, cit., p. III.
L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro
273
Silvino Robles Gutiérrez de León, Gto., al R. P. José Bautista del Oratorio
de San Miguel y al Sr. Antonio Ruiz Valenzuela de la misma ciudad, por oficio del 6 de marzo de 1976. Como ya han fallecido el Sr.Obispo y los dos
sacerdotes el único viviente es el Sr.Valenzuela.
Al terminar esta breve semblanza del P. Alfaro me parece que debemos
recordar que la santidad siendo obra del Espíritu de Dios en las almas que
docilmente siguen sus inspiraciones por el camino que tenga a bién llevarlas,
como puede ser el camino de la cruz hacia la inmolación del Calvario; el P.
Alfaro comprendía muy bién que las maceraciones corporales no tenían valor en sí mismas, por eso todas las unía a los sufrimientos de Cristo en su
Sma.Pasión, según aquello de San Pablo: “Puesto que no me he preciado de
saber otra cosa entre vosotros, sino a Jesucristo y este crucificado” (2
Cor.2.2), cuya imagen quiso contemplar, como buen enamorado, por los lugares principales del Santuario en los distintos pasajes de la Pasión y Muerte del Salvador.
Por eso desde niño sabiendo que la ascesis, dentro del cristianismo no es
más que un medio para evitar los tropiezos que la carne puede ofrecer, recordando “que los que son de Cristo - dice San Pablo - tienen crucificada su
carne con los vicios y pasiones” (Gal.5.24), quiso seguirlo con su propia cruz
de ayunos y flagelaciones correspondiendo a la invitación del mismo Jesús
cuando dijo: “si alguno quiere venir en pos de mí, niéguese a sí mismo, tome su cruz y sígame” (Mt.16,24), a tal grado de generosidad que sus penitencias son comparables a las de un San Pedro de Alcántara (1499-1562), que
con las suyas asombró a la España del siglo XVI, como acá a México el P.
Alfaro en el s.XVIII.
Luis Avila Blancas, C.O.

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