113/114 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 113-114 Anno XVII (nuova serie) n. 113-114 settembre-dicembre 2011 Abduction – Riprenditi la vita ................................................................ 46 Bimestrale di cultura cinematografica Alba del Pianeta delle scimmie ............................................................. 29 Edito dal Centro Studi Cinematografici Avventure di Tin Tin e i segreti dell’unicorno ......................................... 28 Baciato dalla fortuna ............................................................................. 55 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Bad Teacher: una cattiva maestra ......................................................... 20 Benvenuti a Cedar Rapids .................................................................... 38 Box Office 3D ........................................................................................ 50 Captain America – Il primo vendicatore ................................................ 26 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Carnage ................................................................................................ 2 Come ammazzare il capo….e vivere felice ........................................... 51 Conspirator (The) .................................................................................. 36 Contagion .............................................................................................. 14 Dangerous Method (A) .......................................................................... 18 Debito (Il) .............................................................................................. 21 Drive ...................................................................................................... 41 Faccio un salto all’Avana ....................................................................... 17 Four Lions ............................................................................................. 10 Giallo/Argento ....................................................................................... 43 Harry Potter e I doni della morte – Seconda parte ............................... 7 Horror Movie ......................................................................................... 54 Io sono Li .............................................................................................. 53 Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Jane Eyre .............................................................................................. 11 Johnny English – La rinascita ............................................................... 23 Melancholia ........................................................................................... 39 Misura del confine (La) ......................................................................... 48 Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Maria Cristina Caponi Luca Caruso Tiziano Costantini Marianna Dell’Aquila Simone Emiliani Diego Mondella Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Silvia Preziosi Tiziana Vox Next Three Days (The) .......................................................................... 9 Pelle che abito (La) ............................................................................... 24 Pinguini di Mr. Popper (I) ....................................................................... 52 Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Priest ..................................................................................................... 4 Puffi 3D (I) ............................................................................................. 16 Senza arte né parte .............................................................................. 30 Separazione (Una) ................................................................................ 44 Student Services ................................................................................... 12 Terraferma ............................................................................................. 42 This Must Be the Place ......................................................................... 34 Tomboy ................................................................................................. 31 Tourneè ................................................................................................. 13 Transformes 3 ....................................................................................... 3 Tutta colpa della musica ........................................................................ 57 Ultimo terrestre (L’) ................................................................................ 56 Venere nera .......................................................................................... 33 Villaggio di cartone (Il) .......................................................................... 47 World Invasion ...................................................................................... 6 Tutto Festival – Pesaro Film Festival 2011 ....................................... 59 Tutto Festival – Venezia Film Festival 2011 ...................................... 61 Film Tutti i film della stagione CARNAGE (Carnage) Francia/Germania/Polonia, 2011 Regia: Roman Polanski Produzione: Saïd Ben Saïd per SBS Productions/Constantin Film Produktion/SPI Poland Distribuzione: Medusa Prima:(Roma 16-9-2011; Milano 16-9-2011) Soggetto: tratto dall’ omonima pièce teatrale di Yasmina Reza Sceneggiatura: Roman Polanski, Yasmina Reza Direttore della fotografia: Pawel Edelman Montaggio: Hervé de Luze Musiche: Alexandre Desplat Scenografia: Dean Tavoularis Costumi: Milena Canonero Co-produttori: Oliver Berben, Martin Moszkowicz n un parco di New York due ragazzini si azzuffano: uno dei due sferra all’altro una bastonata in faccia che gli spacca due denti e gli ferisce un labbro. Qualche giorno dopo, Nancy e Alan Cowan, genitori del feritore, coppia altolocata appartenente all’establishment della città (lui è un grosso avvocato delle multinazionali farmaceutiche), fanno visita a Penelope e Michael Longstreet, genitori del ferito: lo scopo è quello di rasserenare gli animi di adulti e ragazzi per ripristinare un rapporto civile tra tutti e di preparare un incontro tra i due figli affinchè “depongano le armi” e riprendano, senza revanscismi, la loro amicizia. I Longstreet sono una coppia ben diversa: lui venditore di articoli per la casa I Direttori di produzione: Frédéric Blum, Vincent Lefeuvre Casting: Fiona Weir Aiuti regista: Mareike Engelhardt, Sophie Le Guénédal, Ralph Remstedt, Caroline Veyssière Arredatore: Franckie Diago Effetti speciali trucco: Alexis Kinebanyan Acconciature: Laurent Bozzi Supervisore effetti visivi: Mikael Tanguy Interpreti: Jodie Foster (Penelope Longstreet), Kate Winslet (Nancy Cowan), Christoph Waltz (Alan Cowan), John C. Reilly (Michael Longstreet), Eliot Berger (Ethan), Elvis Polanski Durata: 79’ Metri:2200 e attrezzi vari, lei insegnante, scrittrice impegnata nelle associazioni di sostegno per i profughi del Darfour e in varie altre iniziative del genere, hanno per primi sollecitato l’incontro con l’altra coppia. In realtà nulla va per come era stato preparato e auspicato: la rissa tra i due ragazzini passa presto in secondo piano o, quantomeno, serve unicamente a far risaltare la terribile diversità non solo tra le coppie ma anche tra i singoli quattro; si incendia presto un carosello di accuse, disprezzo, offese, derisioni, isterie e rivendicazioni che portano tutti a mostrarsi per quello che sono, chiusi nel loro egoismo, incuranti e sordi alle parole dell’altro. L’avvocato Cowan dedica tutto il tempo al suo cellulare attraverso cui sta risolvendo un guaio in cui si è messa una so- cietà farmaceutica da lui assistita; Nancy, sempre più indispettita per l’indifferenza del marito sgretola il suo perbenismo a montare nei confronti di lui e dell’altra coppia una rabbia senza fine; per Penelope, l’ottusa convinzione della superiorità dei propri interessi sociali e culturali si manifesta presto in un disprezzo violento per i Cowan e per il marito, per il quale esprime una disistima senza precedenti; questi, in parte complessato dalla semplicità della propria vita senza ambizioni e senza profonde letture, fa la sua parte nello schernire e oltraggiare gli altri, mostrandosi superiore al buonismo imperante (non ha pensato due volte a liberarsi giù per le fogne del criceto amatissimo dalla figlia). Il diapason è raggiunto soprattutto in due momenti: Nancy, al culmine del malore vomita il vomitabile sui rari libri d’arte di Penelope e successivamente getta il telefonino del marito nell’acqua di un vaso di fiori che distruggerà poi alla fine sbattendoli violentemente sul tavolo. Tutto finisce senza una risoluzione, come era cominciato. olanski era nel suo esilio parigino da cui praticamente non poteva muoversi a causa delle sue vicende giudiziarie ancora in bilico; ha voluto mettere mano all’opera teatrale di Yasmina Reza che l’aveva molto intrigato e che gli ha così permesso di girare “da fermo”. Ha, cioè, diretto nel chiuso di una stanza (cosa che aveva già fatto in passato e più di una volta) ciò che lui di solito gira in esterni e interni di maggiore respiro, usando la macchina da presa con la maestria di inquadrature e sequenze che conosciamo da sempre. Abbiamo, così, ancora una volta un prodigio che solo il P 2 Film cinema, il buon cinema, il cinema ben fatto sa fare: la storia non si immiserisce ma si esalta, si dilata nel salotto dei Longstreet, peraltro piuttosto ingombro di oggetti (come se Polanski l’avesse fatto apposta a rendere la cosa più complicata), enfatizza ed esaspera i fendenti che i quattro protagonisti si appioppano senza pietà utilizzando la leggerezza dell’ironia, la violenza della provocazione, il peso del dramma. E se girare in un ambiente chiuso ha sempre costituito una speciale forza seduttiva per ogni regista che vi si è applicato, che ha visto così elevati a potenza incubi e frenesie, fallimenti, ansie e passio- Tutti i film della stagione ni (Hitchcock e Lumet insegnano) non sempre i lavori realizzati sono risultati di prima grandezza. Polanski va oltre, dà lezione di alta scuola, diverte e si diverte, tiene avvinti con le sue virate in grottesco che lacerano e svergognano la convenzionalità borghese in una soluzione che comprende la tragedia, la commedia, la crudeltà e la parodia. Asseconda il regista un quartetto di attori sublimi che si starebbe a guardare per ore nel continuo e inesauribile svelarsi della loro violenza e intolleranza, del loro vuoto morale e intellettuale: un gioco al massacro che non mette in ludibrio solo i loro personaggi ma una società intera, ormai sfatta e priva di futuro perchè da tempo in preda a pulsioni, avidità e obiettivi completamente avulsi e lontani dalla vita di esseri umani. Emblematiche le due inquadrature finali: nella prima vediamo il famoso criceto che tranquillo e sereno mangiucchia in un prato, forse lo stesso teatro della rissa; nella seconda i due ragazzi, incuranti e indifferenti ai piani degli adulti, hanno già ricucito la loro amicizia e sono intenti ai loro giochi come se nulla fosse accaduto. Fabrizio Moresco TRANSFORMERS 3 (Transformers: Dark of the Moon) Stati Uniti, 2011 Trucco: Jacenda Burkett, Vivian Guzman, Elizabeth Hoel, AnnMaree Hurley, Kathy Jeung, Vicki Vacca, Jonah Levy Acconciature: Matthew Petty, Emilie Cockels Supervisore effetti speciali: John Frazier Supervisori effetti visivi: Scott Farrar (ILM), Samir Hoon (Prana Studio), Scott Squires (Legend 3D) Coordinatori effetti visivi: Ryan Delaney (Prime Focus Film), Evan Fulton (Method Studios), Michelle Ledesma (Digital Domain), Lee Briggs, Rachel Galbraith, Bhavini Ashwinkumar Shah, K. Marie Walters, Jeff Winkle Supervisore costumi: Lisa Lovaas Supervisore animazione: Cedric Lo Interpreti: Shia LaBeouf (Sam Witwicky), Josh Duhamel (Lennox), John Turturro (Simmons), Tyrese Gibson (Epps), Rosie Huntington-Whiteley (Carly Spencer), Patrick Dempsey (Dylan), Rich Hutchman (ingengnere), Frances McDormand (Marissa Faireborn), Kevin Dunn (Ron Witwicky), John Malkovich (Bruce Brazos), Julie White (Judy Witwicky), Ken Jeong (Jerry Wang), Glenn Morshower (generale Morshower), Lester Speight (Eddie), Buzz Aldrin (Buzz Aldrin), Bill O’Reilly (Bill O’Reilly), Ravil Isyanov (Voshkod), Dustin Dennard (tenente), Markiss McFadden (‘Baby Face’), Nick Bickle (Chapman), Ajay James (Atroui), Brett Lynch (Phelps), Chris a. Robinson (Bruno), Scott C. Roe (Nelson), James D. Weston II (Tuens), Brian Call (Taggart), Aaron Garrido (Mongo), Mikal Vega (Hooch), Kenny Sheard (Marc L), Alan Tudyk Durata: 157’ Metri: 4300 Regia: Michael Bay Produzione: Ian Bryce, Tom DeSanto, Lorenzo di Bonaventura, Michelle McGonagle, Don Murphy per Paramount Pictures/Hasbro/Di Bonaventura Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 8-6-2011; Milano 8-6-2011) Soggetto: basato sui Transformers Action Figures della Hasbro Sceneggiatura: Ehren Kruger Direttore della fotografia: Amir M. Mokri Montaggio: William Goldenberg, Joel Negron, Roger Barton Musiche: Steve Jablonsky Scenografia: Nigel Phelps Costumi: Deborah Lynn Scott Produttori esecutivi: Michael Bay, Brian Goldner, Steven Spielberg, Mark Vahradian Produttori associati: Matthew Cohan, Michael Kase, Linda Pianigiani Co-produttori: Kenny Bates, Allegra Clegg Direttore di produzione: Allegra Clegg Casting: Denise Chamian Aiuti regista: Steve Battaglia, Kevin Berlandi, Randin Brown, Eugene Davis, K.C. Hodenfield, Brian Relyea, Andy Spellman, Simon Warnock Operatori: Lucas Bielan, Brooks P. Guyer, Jacques Jouffret Operatore Steadicam: Jacques Jouffret Art directors: Benjamin Edelberg, Kevin Ishioka Supervisore art director: Richard L. Johnson Arredatore: Jennifer Williams ravamo una razza pacifica di esseri meccanici intelligenti. Ma poi venne la guerra, tra gli Autobot, che combattevano per la libertà, e i Decepticon, che sognavano la tirannia. Inferiori per numero e mezzi, la nostra sconfitta era pressoché certa. Ma nei giorni finali della guerra, una nave Autobot lasciò la battaglia. Trasportava un carico segreto, che avrebbe cambiato il destino del nostro pianeta. Una missione disperata, un’estrema speranza, che svanì...”. La nave si schiantò infatti sulla luna, e partì la cor- “E sa americana alla conquista del satellite. Su di esso gli astronauti americani ritrovarono quei reperti, ma li tennero segreti. Negli anni seguenti, gli Autobot hanno aiutato gli umani a impedire che si facessero del male tra di loro, lavorando in squadre segrete a varie missioni intorno al globo, cercando tracce del ritorno del loro nemico, i Decepticon. Optimus parla con il direttore dell’intelligence nazionale: nel vano di salvataggio dei reperti secretati v’era una tecnologia che avrebbe fatto vincere la guerra agli Autobot. È indispensabile trovarla pri3 ma che i Decepticon ne scoprano la posizione. Gli Autobot vanno sulla luna, trovano quel che cercano e tornano sulla terra, riportando in vita Sentinel. Sam vive nella casa della bellissima fidanzata Carly e trova lavoro grazie al capo di lei, Dylan. In ufficio viene riconosciuto da un collega, Jerry, che gli passa del materiale segreto per salvare gli alieni buoni. Jerry viene quindi ucciso da un mostro Decepticon, che ha il compito di eliminare tutti gli uomini informati delle missioni, e che poi distrugge l’ufficio. Ma perché adesso i Decepticon uc- Film cidono gli uomini? Gli Autobot informano l’intelligence che se i nemici entrano in possesso del ponte spaziale da loro progettato, sarà la fine del mondo. I Decepticon nascondono intanto qualcosa sul lato oscuro della luna. Sentinel tradisce e distrugge Autobot, uomini e mezzi, poi ruba i 5 pilastri che si trovano sulla terra. Li attiva e così inizia il trasporto spazio temporale dalla luna alla terra di una moltitudine di Decepticon. Sentinel lotta con Optimus, che sostiene che ormai i loro alleati sono gli umani. Sentinel vuole invece allearsi coi Decepticon, l’unico modo per ricostruire il loro pianeta, accusando che prima erano ‘dei’, ora sono solo ‘macchine’. Carly viene presa in ostaggio da Dylan, che impone a Sam di fare la spia degli Autobot, affibbiandogli un bracciale trasmittente. Solo così Carly si salverà. Deve rintracciare Optimus, essendo l’unico umano di cui si fida, per carpirgli tattiche e strategie. I Decepticon pongono agli uomini una condizione non negoziabile: l’esilio degli Autobot ribelli. “Tu sei mio amico, Sam e lo sarai sempre. Ma d’ora in poi combatterete da soli”, dice Optimus, quando vengono esiliati. Dylan è il capo delle operazioni umane, il mondo adesso è in Tutti i film della stagione mano ai Decepticon, che vogliono spostare sulla terra il loro pianeta Cybertron. Iniziano a uccidere gli uomini. Gli Autobot in realtà non se ne sono andati, ma sono rimasti sulla terra e aiuteranno gli umani a sconfiggere i Decepticon. Sam riesce a liberare Carly. Parte la controffensiva degli uomini, aiutati dagli Autobot. La battaglia che infuria tra le due parti avverse è violentissima. Dapprima i Decepticon sembrano prevalere, ma poi umani e Autobot si organizzano e riescono a fronteggiarli e a sopraffarli con l’astuzia. Sentinel ottiene la supremazia, ma viene infine ucciso da Optimus. Sam può finalmente baciare Carly e i due si giurano amore eterno. una guerra civile aliena che si combatte sulla terra. Gli astronauti americani indagavano su una nave aliena caduta sulla luna, ma non vi tornarono più perché il padre di Dylan e altri traditori avevano manipolato i bilanci per far apparire le missioni troppo costose, così i programmi spaziali americani e russi erano stati interrotti. Dylan non ha avuto scelta: s’è dovuto alleare coi malvagi Decepticon e come lui altri uomini. Ma a fianco degli umani sono rimasti gli Auto- È bot e accanto a loro il giovane Sam, ardimentoso anti-eroe, lavoratore precario mantenuto dalla fidanzata (la crisi si avverte anche in America), benché abbia ottenuto una medaglia dal presidente degli States per aver salvato il mondo, ma che nessuno prende in realtà molto sul serio. Il ragazzo riuscirà però in corso d’opera a svelare le sue doti. Il cast umano rimane tuttavia piuttosto in secondo piano rispetto alle scintillanti automobili pronte a trasformarsi in robot ipertecnologici e alle loro avvincenti battaglie. Anche se durante queste, in verità, non è semplice distinguere Autobot da Decepticon. Film spettacolare e altamente complottistico (sfida tra americani e russi negli anni ’60, robot ‘buoni’ contro robot ‘cattivi’, umani coraggiosi e altri traditori), assicura un’immersione completa grazie al 3D “totale”, anche se l’effetto visivo è spesso preponderante rispetto alla trama del film. S’indaga il lato oscuro della luna: il mistero, ciò che non si vede, i numerosi tradimenti degli uomini e dei robot, i segreti della storia e dei governi, in un’opera alquanto movimentata e piuttosto lunga ma che non annoia. Luca Caruso PRIEST (Priest) Stati Uniti, 2011 Regia: Scott Stewart Produzione: Shareena Carlson, Michael De Luca, Joshua Donen, Mitchell Peck per Buckaroo Entertainment/Michael De Luca Productions/Screen Gems/Stars Road Entertainment/TOKYOPOP Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 15-6-2011; Milano 15-6-2011)- V.M.: 14 Soggetto: tratto dalla graphic novel seriale Priest di Hyung MinWoo Sceneggiatura: Cory Goodman Direttore della fotografia: Don Burgess Montaggio: Lisa Zeno Churgin Musiche: Christopher Young Scenografia: Richard Bridgland Costumi: Ha Nguyen Produttori esecutivi: Josh Bratman, Glenn S. Gainor, Steve Galloway, Stuart J. Levy Co-produttore: Nicolas Stern Direttori di produzione: Dawn Turner, Glenn S. Gainor Casting: Rick Montgomery Aiuti regista: Aaron Critchlow, Steve Danton, Ivan Kraljevic, Milos Milicevic, Janell M. Sammelman, Tessa Lyn Stephenson Operatori: Matthew Moriarty, Patrick B. O’Brien Operatore Steadicam: Matthew Moriarty Art directors: Andrew Max Cahn, A. Todd Holland, Christa Munro Arredatore: Robert Greenfield Effetti speciali trucco: Mark Garbarino, Jake Garber, Garrett Immel, Jamie Kelman, Andy Schoneberg Trucco: Steven E. Anderson, Jed Dornoff, Corinna Liebel, James MacKinnon, Bart Mixon, Ve Neill, Lufeng Qu Acconciature: Michael Moore, Gary J. Perticone, Terrie Velasquez Supervisori effetti speciali: John Frazier, Tommy Frazier Coordinatori effetti speciali: J.D. Schwalm, Jeffrey A. Wischnack Supervisori effetti visivi: Richard Higham (The Senate VFX),Jim Hillin (Gradient Effects), Jeff Campbell (SPIN VFX), Robert Nederhorst (Svengali FX), Marco Recuay (Scoundrel), Blair Clark, Michael Janov, Glenn Melenhorst, Rocco Passionino, Jonathan Rothbart Coordinatori effetti visivi: Kyle Ware (Svengali FX), Joey Bonander, Noelle P. Case, Sheila Giroux, Samantha Liss, Michael C. May, Georgia Smith Supervisore costumi:Dan Moore Supervisore animazione: James W. Brown Suono: Christopher T. Silverman Interpreti: Paul Bettany (prete), Karl Urban (‘Black Hat’), Cam Gigandet (Hicks), Maggie Q (sacerdotessa), Lily Collins (Lucy Pace), Brad Dourif (commerciante), Stephen Moyer (Owen Pace), Christopher Plummer (Monsignor Orelas), Alan Dale (Monsignor Chamberlain), Mädchen Amick (Shannon Pace), Jacob Hopkins (ragazzo), Dave Florek (Crocker), Joel Polinsky (dottor Tomlin), Josh Wingate, Jon Braver, Casey Pieretti, Theo Kypri, John Griffin, David Backus, Roger Stoneburner, David Bianchi (familiari), Tanoai Reed, Arnold Chon, Henry Kingi Jr., Austin Priester (sacerdoti), Kanin Howell (il marito), Julie Mond (la moglie), Michael D. Nye (capostazione), Reiner Schöne (ministro), Marilyn Brett Durata: 88’ Metri: 2400 4 Film è sempre stato l’uomo e ci sono sempre stati i vampiri – recita la voce narrante. Fin dall’inizio sono stati in conflitto. I vampiri erano più veloci, più forti, ma l’uomo aveva il sole. Non bastò. Le due razze si distruggevano a vicenda e distruggevano il mondo. Davanti all’incubo dell’estinzione, l’umanità si ritirò dentro città fortificate, sotto la protezione della Chiesa. Poi fu trovata l’arma definitiva: i sacerdoti. Guerrieri dalle capacità straordinarie, addestrati dalla Chiesa nell’arte di combattere i vampiri. Da soli, diedero la vittoria all’uomo. I vampiri rimasti vennero chiusi in riserve e, temendo l’arma che esso stesso aveva creato, il clero al potere ordinò che il gruppo dei sacerdoti fosse sciolto e che gli ex guerrieri fossero reintegrati in una società che non aveva più bisogno di loro. Col passare degli anni, i pochi sacerdoti superstiti svanirono nell’oscurità, come la minaccia dei vampiri prima di loro”. Alla 18enne Lucy la vita casalinga va stretta, ma il pericolo è reale. Durante la cena, infatti, arrivano i vampiri e la rapiscono. In una città buia e militarizzata, gli altoparlanti ripetono slogan catechistici: “Andare contro la Chiesa è andare contro Dio”. Un sacerdote, Ivan, va a confessarsi tramite schermo, denunciando il suo incubo: essere in un alveare e non riuscire a salvare un amico dai vampiri. Poco dopo, viene raggiunto dallo sceriffo Hicks, che chiede il suo aiuto: sua nipote Lucy è stata rapita e suo fratello Owen è gravemente ferito. I monsignori però non credono al pericolo dei vampiri e non autorizzano la missione, ritenendo piuttosto che si tratti di un attacco di delinquenti comuni. La loro autorità è indubbia, il rischio per Ivan è la scomunica. Lui però si ribella e parte. Raggiunge in moto la casa di Owen e si ritrova con lo sceriffo che lo conduce al capezzale, ove il fratello gli lascia il mandato di ritrovare Lucy, gli confida che la moglie Shannon non lo aveva mai dimenticato e poi muore. Altri quattro sacerdoti sono inviati dal clero sulle orme del prete dissidente, con l’ordine di riportarlo indietro vivo o morto. Ivan e lo sceriffo si recano in una riserva di vampiri e fanno una perlustrazione, parlando con dei famigli: umani che han deciso di farsi infettare dai vampiri, diventandone schiavi. Lot- “C’ Tutti i film della stagione tano coi famigli, poi il sole tramonta e riaffiorano i vampiri, ma Ivan li massacra. Mentre è con Hicks in mezzo a delle grandiose rovine, il prete scopre che lo sceriffo ha una relazione con Lucy. Gli assicura però che se è infetta la ucciderà, e lui se ne risente. Scalano un monte costellato di crani e si addentrano per dei cunicoli. Lì, Ivan incontra una collega sacerdote, che è sulle sue tracce e lo aiuta nella lotta. Poi i due parlano degli incubi che li tormentano, del confino cui sono stati relegati dopo la guerra, di come non abbiano più trovato lavoro. I vampiri scatenano frattanto il loro attacco mortale agli umani nella città di Gerico, al comando di Black Hat, un ex prete ora vampiro. Gli altri tre sacerdoti provano a fermarlo, ma inutilmente: Ivan e i suoi li trovano la mattina dopo morti crocifissi. Black Hat sta viaggiando con un esercito di vampiri su di un treno verso le città ove non sorge più il sole. Lucy è insieme a lui, il cui intento è attirare i sacerdoti. Lo sceriffo scopre dalla sacerdotessa che Lucy è figlia di Ivan. I tre si lanciano quindi all’assalto del treno. Ivan si trova di fronte a Black Hat, l’amico che non riuscì a salvare dai vampiri. Lui ha attraversato il confine tra la vita e la morte, venendo infine trasformato in un vampiro-umano. I due si affrontano con violenza, ma Ivan non lo può battere, è troppo forte. Black Hat lo invita a unirsi a lui, ma Ivan rifiuta. Prete e sceriffo ritrovano infine Lucy, ma interviene Black Hat, che li annienta e porta la ragazza con sé. Sta per morderla, ma Ivan lo ferisce e salva Lucy. Arriva la sacerdotessa in moto, ad altissima velocità, carica di esplosivo e fa saltare in aria il treno. Ivan e Lucy saltano giù un istante prima dell’esplosione e lei può ricongiungersi con Hicks. Anche la sacerdotessa è salva. Il vampiro invece è morto. Ivan si ripresenta al cospetto del clero, con in mano il suo cappello nero e la testa di un vampiro. Viene rimproverato di aver sfidato la Chiesa per la sua “egoistica crociata”, ma lui denuncia che ci sono centinaia di vampiri in giro. Viene accusato di essere un ciarlatano, un rischio per la sicurezza delle città. “I vampiri non rappresentano una minaccia: la guerra è finita, sacerdote!” gli urla un monsignore. “No – replica lui – è appena cominciata”, cor- 5 rendo poi a ricongiungersi in moto alla sacerdotessa e agli altri. n un mondo fuori dalla storia e dal tempo, gli uomini vivono chiusi in delle roccaforti, sotto l’opprimente dominio di una Chiesa miope. È stata lei a debellare la minaccia dei vampiri e adesso non può credere che essi riaffiorino dalle tenebre. I valorosi sacerdoti-combattenti che eliminarono i vampiri vivono ai margini della società, riconoscibili per via di una croce tatuata sulla fronte: espletata la loro missione, sono stati segregati, così come i pochi vampiri sopravissuti, rinchiusi in delle riserve. Tuttavia gli incubi ritornano: al comando dell’unico vampiro-umano, il feroce Black Hat, i vampiri rapiscono la giovane Lucy, figlia di Ivan, uno dei preti guerrieri, avuta prima di scoprire la sua vocazione. La ragazza diviene allora un’esca per attirare i sacerdoti nella trappola. Ivan disobbedisce agli ordini dei superiori e si precipita alla ricerca della figlia. Altri quattro preti sono sguinzagliati sulle sue tracce. La loro ferrea morale è contrapposta al comportamento di una Chiesa verticistica e vigliacca, che si ostina a negare la minaccia, così come l’ambientazione cupa e notturna, nella quale si agitano i vampiri, è in forte opposizione con la luce accecante dei deserti ove sono disseminate le rovine delle precedenti città, tra le quali i preti e lo sceriffo sfrecciano colle loro moto. Il film è basato su un impianto fragile: i reduci tormentati dagli incubi, per i quali il nuovo assalto dei nemici appare come una liberazione; l’ex amico, Black Hat, che si è sentito tradito dai colleghi sacerdoti che non sono riusciti a salvarlo (è questa la prima scena del film, nonché l’incubo ricorrente di Ivan). Segue l’espediente della nipote rapita, Lucy, che si rivela essere figlia di Ivan, a sua volta fidanzata dello sceriffo Hicks. Un groviglio di legami senza profondità, in una pellicola tuttavia piena di simboli: un crocifisso cade e s’infrange all’arrivo dei vampiri, Ivan spezza il suo rosario allorquando decide di andare contro i dettami della Chiesa, frasi bibliche a effetto sostengono i sacerdoti nei momenti più difficili. Il film, in fondo, regge, perché non ha grandi ambizioni e si risolve nel giro di un’ora e un quarto senza però avvincere, né convincere. I Luca Caruso Film Tutti i film della stagione WORLD INVASION (Battle: Los Angeles) Stati Uniti, 2011 Regia: Jonathan Liebesman Produzione: Jeffrey Chernov, Ori Marmur, Neal H. Moritz per Columbia Pictures/Relativity Media/Original Film/Legion Entertainment Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 22-4-2011; Milano 22-4-2011) Soggetto e sceneggiatura: Chris Bertolini Direttore della fotografia: Lukas Ettlin Montaggio: Christian Wagner Musiche: Brian Tyler Scenografia: Peter Wenham Costumi: Sanja Milkovic Hays Produttore esecutivo: David Greenblatt Produttore associato: Lisa Rodgers Direttori di produzione: Tommy Harper, Scott Thaler Casting: Debra Zane Aiuti regista: J. Michael Haynie, Kevin O’Neil, Richard Oswald, Scott Thaler Operatori: Michael Applebaum, Lucas Bielan, Joe Chess, Brown Cooper, Nicholas Davidoff, BJ McDonnell Operatore Steadicam: BJ McDonnell Art directors: Andrew Neskoromny, Chris L. Spellman Supervisore art director: Thomas Valentine Arredatore: Bob Kensinger Effetti speciali trucco: Brian Demski Trucco: Cary Ayers, Kim Ayers, Gloria Belz, Steve Buscaino, Joel Harlow, Krystal Kershaw, Courtney Lether, Adrienne Lynn, Chrissy Morris, Jed Dornoff Acconciature: Pierce Austin, Gloria Pasqua Casny, Jules Holdren, Kent Richard, Tony Ward Coordinatore effetti speciali: Stan Parks Supervisori effetti visivi: Craig Barron (Matte World Digital), Jeff Campbell (SPIN VFX), Vincent Cirelli (Luma Pictu- l sergente Nantz è deciso a lasciare i marines dopo aver perso quattro uomini nella sua ultima missione, ma viene coinvolto in un nuovo incarico ufficiale. È previsto infatti – nell’arco di qualche ora – un attacco di meteoriti sulla Terra, in particolare sulla città di Los Angeles. Il sergente Nantz viene mandato alla nuova squadra, nonostante non circolino voci brillanti sul suo conto; il tenente Martinez e i suoi uomini sono costretti ad accettarlo. Intanto, però, le immagini dei telegiornali mostrano come queste meteoriti siano in realtà attacchi di altro genere, non ancora identificati. Martinez e i suoi uomini vengono mandati sulla costa di Santa Monica con il compito di mettere in salvo tutti i civili rimasti e di cercare, allo stesso tempo, di capire l’origine di questi attacchi che stanno colpendo il mondo intero. Hanno soltanto quattro ore a loro disposizione, poi la costa dovrà essere bombardata dall’alto per distruggere qualsiasi cosa provochi gli attacchi. La squadra parte all’attacco e – “I res), Bryan Godwin (Shade VFX), Winston Helgason (The Embassy), Keith Sellers (Soho VFX), Ben Shepherd (Cinesite), Everett Burrell, Geoff D.E. Scott Coordinatori effetti visivi: Nicholas Elwell (Hydraulx), Katie Godwin, Catherine Hughes (Luma Pictures), Louise Hutchinson (Cinesite), Adam Jewett (SPIN VFX), Shane Strickman (Shade VFX), Daniel Chavez, Catherine Liu Supervisore effetti digitali: Justin Johnson Supervisore costumi: Camille Argus Supervisore musiche:Kier Lehman Supervisori animazione: Jeremy F. Butler, Pimentel A. Raphael Suono: Paul Ledford Interpreti: Aaron Eckhart (Sgt. Michael Nantz), Michelle Rodriguez (sergente Elena Santos), Ramon Rodriguez (tenente in seconda William Martinez), Bridget Moynahan (Michele), Ne-Yo (caporale Kevin Harris), Michael Peña (Joe Rincon), Cory Hardrict (caporale Jason Lockett), Noel Fisher (soldato Shaun Lenihan), Will Rothhaar (caporale Lee Imlay), Jim Parrack (caporale Peter Kerns), Gino Anthony Pesi (caporlare Nick Stavrou), James Hiroyuki Liao (caporale Steven Mottola), Adetokumboh M’Cormack (Jibril Adukwu), Bryce Cass (Hector Rincon), Joey King (Kirsten), Neil Brown Jr. (caporale Richard Guerrero), Taylor Handley (caporlare Corey Simmons), Lucas Till (caporlare Scott Grayston), Kenneth Brown Jr. (caporale Richard Oswald), Jadin Gould (Amy), Joe Chrest (John Roy), E. Roger Mitchell (capitano), Rus Blackwell (K.N. Ritchie), Susie Abromeit (Amanda), Brandi Coleman (Cherise), Elizabeth Keener (Kathy Martinez), Jessica Heap (Jessy), David Jensen (psichiatra), Stacey Turner, Tom Hillmann (giornalisti televisivi), Taryn Southern (reporter) Durata: 120’ Metri: 3300 arrivata a Santa Monica –, si accorge che la città, avvolta nel silenzio, sembra completamente deserta. Mentre gli uomini si aggirano per le strade, vengono colpiti da un attacco dall’alto e finalmente riescono a individuare delle figure che sparano verso di loro: sono alieni. Intanto alcuni civili vengono ritrovati per le strade e nei locali ormai abbandonati di Santa Monica. Nantz, Martinez e la loro squadra sono pronti a combattere contro gli alieni, ma prima devono mettere in salvo i civili (una donna con due bambini e un uomo con il figlio) e cercare di capire come uccidere il nemico. Una donna dell’aeronautica si unisce a loro. Intanto, uno dei soldati riesce a colpire un alieno e così Nantz suggerisce di portarlo nel loro rifugio per riuscire a capire più velocemente quale sia il punto da colpire per ucciderli. Durante i vari combattimenti tra gli alieni e i marines, restano uccisi alcuni uomini (tra cui il tenente Martinez) e un civile; ed è proprio con la morte del padre del bambino che Nantz riesce finalmente a spiega6 re agli altri cosa era accaduto durante la sua ultima missione e quanto fosse ancora sconvolto per la morte dei suoi ragazzi. Il bombardamento previsto dopo le quattro ore sembra essere saltato e, quando i marines arrivano alla stazione centrale, si accorgono che anche lì è tutto distrutto e che non c’è più nessuno che possa bombardare dall’alto per distruggere definitivamente gli alieni e il loro punto di coordinamento che si trova sottoterra. L’unica soluzione è di cercare questo centro da cui partono gli alieni e distruggerlo con le armi, ma intanto gli uomini vengono avvistati da un elicottero che li porta in salvo. Una volta sull’elicottero il sergente Nantz senza avvisare il resto della squadra si lancia per tornare a terra e cercare di distruggere definitivamente gli alieni. Un attimo dopo, sono di nuovo tutti con lui, mentre restano sull’elicottero i civili. Finalmente riescono a trovare il centro di coordinamento degli alieni e sebbene -per due volte- quando sembrava che lo avessero distrutto, ne nasceva un altro, alla Film fine Nantz e i suoi uomini riescono a distruggerlo definitivamente e a salvare quel che resta di Santa Monica. La squadra di Nantz è in salvo, si ritrovano tutti insieme nel campo dei marines, tra i festeggiamenti degli altri che hanno saputo della loro impresa. Il riposo dura poco però: il sergente e poi uno a uno tutti gli altri uomini decidono di ripartire per continuare a distruggere gli alieni nel resto del mondo. G li alieni che invadono la Terra, i marines che salvano il mondo. Un film visto e rivisto, scontato dal- Tutti i film della stagione l’inizio alla fine, con qualche finto colpo di scena che risulta soltanto fastidioso. Gli improvvisi attacchi che colpiscono gli Stati Uniti prima e il resto del mondo poi, sono stati raccontati così tante volte che già dalle prime sequenze del film si può immaginare come andrà a finire. La sceneggiatura non regge, non viene mai spiegato il motivo dell’attacco alieno, si accenna a una “questione dell’acqua”, ma non si capisce altro. Lo stesso vale per il sergente Nantz, non è molto gradito ai suoi uomini, ma sembra che neanche loro sappiano bene il perchè. L’unica donna tra i protagonisti è Michelle Rodriguez, che a quanto pare, non riesce a interpretare altri ruoli oltre quello della donna soldato e simili. Inutili e anche un po’ fastidiosi quei finti colpi di scena in cui, per almeno tre volte, gli alieni sembrano sconfitti (e il film finito) e invece tutto ricomincia. Cosa che accade anche alla fine, quando Nantz e i suoi uomini dopo essere tornati al campo sani, salvi e vittoriosi, decidono di ripartire per continuare a sconfiggere gli alieni e liberare il mondo. Il film -diretto da Jonathan Liebesmanè davvero noioso, ripetitivo e per niente interessante. Silvia Preziosi HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE – PARTE 2 (Harry Potter and the Deathly Hallows: Part II) Stati Uniti/Gran Bretagna, 2011 Regia: David Yates Produzione: David Barron, David Heyman, J.K. Rowling per Heyday Films/Moving Picture Company (MPC)/Warner Bros. Pictures/Warner Bros. Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 13-7-2011; Milano 13-7-2011) Soggetto:tratto dall’ omonimo romanzo di J.K. Rowling Sceneggiatura: Steve Kloves Direttore della fotografia: Eduardo Serra Montaggio: Mark Day Musiche: Alexandre Desplat Scenografia: Stuart Craig Costumi: Jany Temime Produttori esecutivi: David Heyman, Lionel Wigram Co-produttori: Tim Lewis, John Trehy Direttore di produzione: Simon Emanuel Casting: Fiona Weir Aiuti regista: Jamie Christopher, Arabella Constance-Churcher, Ben Dixon, Stewart Hamilton, Nick Heckstall-Smith, Ray Kenny, James Parry, Jane Ryan, Matthew Sharp, Vaughn Stein, Eileen Yip Operatori: Adam Dale, David Morgan, Stefan Stankowski, Alf Tramontin, David Worley Operatore Steadicam: Alf Tramontin Art directors: Andrew Ackland-Snow, Alastair Bullock, Martin Foley, Christian Huband, Molly Hughes, Hattie Storey, Gary Tomkins Arredatore: Stephenie McMillan Effetti speciali trucco: Barrie Gower, Claire Green, Göran Lundström, Waldo Mason, Barney Nikolic, Lauge Voigt, Josh Weston Trucco: Brian Best, Amanda Burns, Amy Byrne, Tilly Calder, Sarah Downes, Charmaine Fuller, Faye Garland, Charlotte Hayward, Belinda Hodson, Agnes Legere, Claire Matthews, Jessica Needham, Sharon Nicholas, Charlotte Rogers, Wakana Yoshihara, Nikita Rae Acconciature: Francesca Crowder, Hannah Edwards, Charlotte Hayward, Sophia Knight, Stephen Rose, Sophie Slotover, Luca Vannella H arry, Ron e Hermione, dopo la morte di Dobby, continuano la ricerca degli horcrux. Harry è Supervisore effetti speciali: Steve Hamilton Coordinatore effetti speciali: Lucile Abiven Supervisori effetti visivi: Olcun Tan (Gradient Effects), David Vickery (Double Negative), Clark Parkhurst (Lola VFX), Greg Butler (MPC), Dadi Einarsson (Framestore), Rudi Holzapfel (Baseblock), Sean Mathiesen (Rising Sun Pictures), Adam Gascoyne, Tim Burke, Matt Jacobs, John Moffatt,Chris Shaw Coordinatori effetti visivi: Sarah Smith (I.E. Effects), Marlene Nehls (MPC), Katy Mummery (Double Negative), Duncan Holland (Baseblack), Miles Friedman (Lola VFX), Anna Creasy (RSP), Kingsley Cook (Warner Bros.), Lucy Drewett, Daniel Booty (Framestore), Laia Alomar, Julian Bloomfield, Edward L. Dark, Jane Ellis, Sofus Graae, Gavin Gregory, Ross Johnson, Erin Eunsung Kim, Mel Martin, Abigail Mendoza, Sarah Middleton, Blaise Panfalone, Noga Alon Stein, Michelle Teefey-Lee Supervisori effetti digitali: Andy Robinson (Cinesite), Cam Langs (Rising Sun Pictures), Ed Hawkins Supervisori animazione: Ferran Domenech (MPC), Chris Lentz Interpreti: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Emma Watson (Hermione Granger), Rupert Grint (Ron Weasley), Ralph Fiennes (Lord Voldemort/Tom Riddle), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), David Bradley (Argus Gazza), Jim Broadbent (Horace Lumacorno), Robbie Coltrane (Rubeus Hagrid), Michael Gambon (prof. Silente), Guy Henry (Pius O’Tusoe), John Hurt (Olivander), Kelly Macdonald (Dama Grigia), Rade Serbedzija (Gregorovitch), Alan Rickman (prof. Severus Piton), Miranda Richardson (Rita Skeeter), Adrian Rawlins (James Potter), Gary Oldman (Sirius Black), Bill Nighy (Rufus Scrimgeour), Peter Mullan (Yaxley), Miriam Margolyes (Pomona Sprite), Luke Newberry (Teddy Lupin), Helen McCrory (Narcissa Black in Malfoy), Devon Murray (Seamus Finnigan), Tom Felton (Draco Malfoy), Clémence Poésy (Fleur Delacour), Shefali Chowdhury (Parvati Patil), Afshan Azad (Padma Patil), Natalia Tena (Ninfadora Tonks), Andy Linden (Mundungus Fletcher), Ninette Finch (Augusta Paciock) Durata: 130’ Metri: 3600 convinto che uno di questi sia nascosto nella camera blindata di Bellatrix alla Gringott. Per poterci entrare chiede aiuto 7 a Unci Unci che, in cambio, pretende di avere la spada di Grifondoro. Il mago accetta e insieme ai due amici Film riesce a entrare nella banca magica e recuperare l’horcux: la coppa di Tosca Tassorosso. Unci Unci, però, non mantiene la promessa e dà l’allarme ciononostante i tre ragazzi riescono a scappare. Harry ha una visione e intuisce che un altro horcrux possa essere legato a Priscilla Corvonero; per questo chiede ai suoi compagni di viaggio di ritornare a Hogwards. Nella vecchia scuola, i tre maghi vengono accolti come degli eroi e, grazie al suggerimento di Luna, iniziano a esplorare ogni luogo dove possa nascondersi il diadema di Corvonero. Harry lo trova nella stanza delle necessità e, dopo averlo distrutto, ha una visione del serpente Nagini, probabilmente l’ultimo posto in cui il suo nemico ha messo un pezzo dell’anima. Immediatamente corre a cercare Nagini, ma assiste a una macabra scena: Lord Voldemort per ottenere l’invincibile bacchetta di sambuco appartenuta a Silente, uccide Piton e con la nuova arma sferra un attacco ad Hogwards. Harry, impietosito, si avvicina al suo odiato professore che, prima esalare l’ultimo respiro, gli chiede di conservare la sua lacrima e di metterla nel Pensatoio. Il ragazzo esegue le istruzioni e, mentre nella scuola si combatte una feroce battaglia, riesce a raggiungere la stanza di Silente e a mettere nel pensatoio la lacrima. Harry si ritrova ad essere spettatore della vita di Piton e realizza che ogni sua azione era finalizzata a proteggerlo, che non è mai stato dalla parte di Voldemort e che lo ha sempre aiutato per l’immenso amore che aveva per sua madre. Oltre a questo, però, scopre anche di essere lui Tutti i film della stagione stesso un horcrux a causa della maledizione che gli è rimbalzata addosso quando morirono i suoi genitori. Voldemort, intanto, annuncia alla scuola di voler ritirare le sue truppe per attendere Harry nella Foresta Proibita per lo scontro finale. Professori e alunni vogliono proteggere il loro compagno, ma il mago è consapevole che un suo rifiuto metterà a repentaglio la vita di troppe persone; per questo, senza esitare, si dirige dal suo nemico. Arrivato a destinazione viene prontamente colpito dall’anatema che uccide e si ritrova in una sorta di limbo dove incontra Silente che lo esorta a tornare alla vita. Voldemort convinto di aver ucciso Harry (in realtà aveva ucciso il suo horcrux) ritorna con il presunto cadavere ad Hogward e chiede a tutti di seguirlo. Gli studenti, capeggiati da Neville, si rifiutano e iniziano a combattere. Harry, allora, riapre gli occhi e sfida il suo nemico. Voldemort sembra avere la meglio fino a quando non viene indebolito dalla morte di Nagini. Il mago oscuro, disperato, raccoglie tutte le sue forze e scaglia l’Avada Kedavra su Harry, ma la maledizione, come in passato, si ritorce contro di lui uccidendolo. Il mondo magico è salvo. Passano 19 anni. Harry e Ginny sono al binario 9 e tre quarti insieme ai figli e tanti bagagli. Qui incontrano Ron e Hermione, anche loro sposati e in procinto di salutare la loro bambina in partenza per Hogwards. ono passati dieci anni da quando il treno rosso di Hogwards ha accompagnato per per la prima volta milioni di spettatori nel mondo di Harry Potter. Qualcuno era trepidante, qual- S 8 cun’altro scettico, ma nessuno all’epoca, forse, era consapevole di essere di fronte a un fenomeno culturale che avrebbe investito il nuovo millennio. Inclusa la sottoscritta, fermamente convinta che nessun nuovo autore avrebbe potuto competere, per genialità e scrittura, con i mostri sacri della letteratura per l’infanzia. Mi sbagliavo e mi resi conto dell’errore quando, alla fine della proiezione di Harry Potter e la pietra filosofale (il primo film), il commento unanime dei più piccoli fu “Il libro è più emozionante”. Questa osservazione, così inusuale per dei bambini, mi incuriosì talmente tanto da convincermi a leggere il libro. Avevano ragione loro, decisamente. La Rowlings, oltre ad essere un’ottima scrittrice, ha il raro talento di coinvolgere il lettore in storie sì fantastiche, ma allo stesso tempo intrise di quotidianità, specialmente emotiva. Non racconta di eroi senza macchia, di buoni assoluti o di modelli inarrivabili, ma di esistenze normali, sentimenti comuni in un contesto decisamente fuori dalle righe. Lo stesso Harry Potter non è perfetto, ma riesce a cavarsela grazie all’appoggio degli amici con cui condivide, e non senza screzi, una missione. Ma forse il segreto del successo di questa saga va ricercato altrove; a quella voglia di evadere che caratterizza i tempi “oscuri”, per usare le parole della stessa Rowling, e questi, purtroppo, lo sono parecchio. Dopo la lunga e doverosa premessa ritorniamo a parlare di cinema e più precisamente della seconda parte di Harry Potter e i doni della morte. È evidente, non lo si può analizzare come un semplice film, è la fine di un percorso, la chiusura di un cerchio che porta con sé anche un considerevole pathos, come tutti gli addii d’altronde. David Yates, forse il più bistrattato fra tutti i registi potteriani, in questa seconda parte riesce egregiamente a creare proprio questo senso di distacco, di conclusione utilizzando una grammatica epica che trasforma la battaglia finale in un evento solenne. Anche i numerosi tasselli della trama, che in passato gli hanno creato più di un grattacapo, questa volta, si inseriscono senza fatica nell’intreccio. Ma la vera “firma” di Yates, le scene in cui il regista dà il meglio si sé, sono quelle intimistiche, dove il silenzio e le emozioni catturano lo spettatore più di qualsiasi roboante effetto speciale. Il flashback onirico sul passato di Piton, ad esempio, dove un intenso Alan Rickman, grazie ad una interpretazione “di peso” riesce a mettere a nudo l’umanità di uno dei personaggi più controversi di tutta la saga e a trasformare Film un breve frammento in un vero e proprio film nel film. Bellissimo. Eppure non bisogna lasciarsi fuorviare dalla critica (fin troppo) osannante. Nonostante i livelli altissimi del cast tecnico e attoriale, è doveroso ribadire che siamo di Tutti i film della stagione fronte a uno spettacolo che non è cinema, ma utilizza magnificamente il cinema come mezzo di espressione. Una felice unione fra due arti giunta ormai al termine. E per il saluto finale Yates non poteva scegliere posto migliore, il binario 9 e tre quarti, il luogo che ha cambiato la vita a un bambino orfano d’amore e soprattutto a una giovane scrittrice con tanta, tanta fantasia. Francesca Piano THE NEXT THREE DAYS (The Next Three Days) Stati Uniti, 2010 Effetti speciali; Stephane Finocchio, Drew Jiritano, Andrew Mortelliti Interpreti: Russell Crowe (John Brennan), Elizabeth Banks (Lara Brennan), Brian Dennety (George Brennan), Lennie James (tenente Nabulsi), Olivia Wide (Nicole), Ty Simpkins (Luke), Helen Carey (Grace Brennan), Liam Neeson (Damon Pennington), Michael Bule (Mick Brennan), Moran Atlas (Erit), Remy Nozik (Jenna), Jonathan Tucker (David), Jason Beghe (Quinn), Tyron Giordano (Mike), Sean Huze (Barney), Nazarin Bonladu (Elaine), Kevin Corrigan (Alex), Lauren Haggis (Lyla), Leslie Merrill (Elizabeth Gesas), Rachel Deaon (Cherie), Denise Dal Vera (Eugenie), Katlyn Wilde (Julie), Allan Steele (Harris), Peyton Grace Allen (Carrie), Derek Cecil (Becsey), Aisha Hinds (Collero), Brenna Mc Donough (Brenda), James Ransone (Harv), Daniel Stern (Fisk), Trudie Styler (Byrdie Lifson) Durata: 122’ Metri: 3360 Regia: Paul Haggis Produzione: Oliver Delbosc, Paul Haggis, Marc Missionier, Michael Nozik, Eugene Grandval per Fidelite Films, HWY61, Liongate Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 8-4-2011; Milano8-4-2011) Soggetto: Fred Cavaye, Guillaume Lemans Sceneggiatura: Paul Higgis Direttore della fotografia: Stephanie Fontaine Montaggio: Jo Francis Musiche: Danny Elfman Scenografia: Laurence Bennett Arredamento: Linda lee Sutton Casting: Randi Hiller Costumi: Abigail Murray Operatore: Mahdi Lepart Pittsburgh, la polizia irrompe in casa Brennan per arrestare Lara, accusata dell’assassinio della cognata, che era anche il suo capo al lavoro; ma la cosa non è vera. Le sue impronte sono trovate sulla giacca della morta, ma solo perché lei è arrivata in quel luogo, un punto dove c’è un bancomat, un istante dopo la conclusione del fatto: questo è quanto Lara ripete. Per il marito John, professore di lettere e il figlio Luke, bambino, inizia una vita di tensione costante poiché l’uomo, convinto dell’innocenza della moglie, non si ferma alla prima sentenza di condanna; nelle visite a Lara in carcere, la donna perde sempre più la speranza della liberazione, ma quando lo stesso avvocato difensore dice chiaro a John che neppure la Corte Suprema riconoscerà l’innocenza di lei e, soprattutto, quando Lara tenta il suicidio in carcere, John decide di fare da sé. Affida Luke ai propri genitori e come primo passo riesce a trovare un plurievaso e da lui si fa spiegare tutti i passi necessari per realizzare una fuga dal carcere; oltre a elencargli cosa occorre fare e come farlo, quell’uomo gli dice che dovrà indurire moltissimo il suo cuore, altrimenti non deve neppure iniziare il piano. Così, John percorre le strade cittadine studiando la A via di fuga, prende immagini di vari punti, valuta tempi e costruisce nel suo studio una grande mappa della città, cui allega ogni informazione. La necessità di avere passaporti falsi lo porta a bazzicare ambienti loschi; ma intanto deve procedere con il suo lavoro e mantenersi tranquillo quando è con il figlio. I due delinquenti e spacciatori di droga che gli hanno procurato i passaporti lo derubano di tutto il denaro che gli serve per vivere in fuga, ma lui riesce a introdursi nel loro covo, stracolmo di metadone, e gli spara, recuperando il denaro. Appicca il fuoco a quel luogo, ma si lascia commuovere da uno dei due, ancora vivo, che lo supplica di non lasciarlo lì. Lo carica dunque in auto ma, quando quell’uomo muore, non può che abbandonarlo lungo una strada, in città. Lara è stata portata in ospedale perché lui ha alterato la sua cartella clinica, John è pronto per la fuga e, per prima cosa, passa a prendere Luke dai nonni, come per portarlo in una gita.. Intanto, la polizia indaga sull’incendio e sull’uomo trovato morto in strada e proprio questo ritrovamento fa scattare la ricerca di un’auto precisa. John affida il figlio a una giovane donna che ha una figlia, nella scuola di Luke: porterà i bambini a una festa; entra di nascosto nella 9 camera di Lara in ospedale e fa scattare la fuga travestiti da infermieri; ma la polizia entra in ospedale, avendo riconosciuto l’auto di John e avendo intuito il suo piano. Ed egli riesce ad attuarlo comunque, anche se la fuga diventa un rocambolesco inseguimento che coinvolge tutta la città. Pur correndo, la coppia riesce a recuperare il figlio e a superare il confine dello Stato, nell’auto di una famiglia che li aiuta, cosa che li salva perché la polizia sta cercando un uomo, una donna e un bambino, da soli. aul Haggis ha realizzato un film dalla doppia anima: tutta la prima parte, in cui John costruisce il suo piano, fino quando incendia il covo dei due spacciatori è senza dubbio un thriller psicologico; da quella scena sino alla fine è un vero film d’azione. Le scene della prima parte sono costruite con una grande abbondanza di primi piani e molte sono in interni (non solo quelle in parlatorio tra John e Lara); i dialoghi sono tutti condotti con un volume di voce basso, sia quelli tranquilli sia quelli ansiosi, sino ad arrivare più volte al mormorio. Nella costruzione del suo piano, John inizia a cambiare, le sue riflessioni sono più fredde, quando entra in contatto con i malavitosi sa te- P Film nere atteggiamenti duri e parlare allo stesso modo loro. Mette molto bene in pratica i suggerimenti del suo maestro. E tanto più è ammirevole la forza della sua determinazione a tentare qualunque cosa per salvare Lara, quanto più lei stessa perde la speranza. L’andamento della vicenda si concentra sempre più su di lui e non c’è un momento in cui lo spettatore non resti soggiogato dalla somma di sentimenti e razionalità che riesce a sorreggere John. Non si avvertono dettagli non realistici in questo puzzle, perché ci affascina il fatto che John lo costruisca e lo viva. Il professore parla in classe del Don Chisciotte e osserva che passiamo tanto tempo a organizzare razionalmente il mondo, ma quale parte della nostra vita è davvero sotto il nostro controllo? Razionalità e irrazionalità hanno entrambe elementi positivi e negativi e quel che conta è essere liberi, non importa come. Dopo questa riflessione, il professore inizia a elaborare il suo piano. Quella che poteva essere solo una simpatica e originale variazione all’uomo comune costretto ad azioni del Tutti i film della stagione tutto lontane dal suo quotidiano, e che quest’uomo sia un professore di lettere, diventa invece un particolare forte tanto che la polizia non potrebbe aspettarsi niente di simile da lui. Ma John non si è indurito tanto da non commettere un errore: portare sulla sua auto il malvivente che gli chiede di non lasciarlo nell’incendio. Da qui scatta la seconda parte della storia. E ci accorgiamo che l’inquadratura di spalle su John al posto guida, che volta un po’ la testa verso qualcuno che, dietro, si lamenta è la stessa con cui si apre il film; tutta la prima parte, quindi, può essere un suo flash-back, che, a questo punto, motiviamo solo perché John sta facendo la prima e unica disobbedienza all’ordine preciso di non lasciarsi commuovere da nulla. È inevitabile che ricordi tutto ciò che l’ha portato lì. Nella dimensione di ricordo, e quindi non chiare, ritornano fugacemente immagini veloci dell’assassinio, che forse sono il vero forse sono cose che Lara vuol far credere; non sapremo mai da cosa è stata provocata davvero quell’aggressione, ma in fondo, come afferma John, non abbiamo un vero controllo sulle parti della nostra vita. Certamente, da una premessa di questo genere poteva svilupparsi un film completamente psicologico e riflessivo, che lo sceneggiatore di A Million Dollar BaBy e Nella valle di Elah poteva permettersi, ma l’autore ha poi scelto un’altra via, da cui è ugualmente attratto. Senza dubbio, la polizia sarebbe intervenuta comunque contro la coppa fuggiasca, dopo l’uscita d’ospedale, ma le cose sarebbero state meno angoscianti. E quindi meno avventurose: la seconda parte del film infatti non è sbagliata, rispetto alla premessa, è solo troppo incline allo standard degli inseguiimenti polizieschi dei film d’azione di questo genere, con tutti gli eccessi del caso. Solo la necessità di recuperare e portare via il figlio garantisce alla fuga della coppia momenti di tensione psicologica e non di movimento.Ridurre gli elementi di spettacolarità impossibile avrebbe giovato alla compattezza del film. Danila Petacco FOUR LIONS (Four Lions) Gran Bretagna, 2010 Aiuti regista: Paul Cathie, Louisa Dance, Samuel Donovan, Joe Geary, Richard Harris, Simon Hedges, Ian Hughes, Ainara Trigueros Operatori: Ole Bratt Birkeland, Simon Tindall Operatori Steadicam: James Little-Hales, John Taylor Art director: Julie Ann Horan Arredatore: Duncan Wheeler Trucco: Hannah Booth, Fiona Lobo-Cranston, Magi Vaughan Acconciature: Hannah Booth, Fiona Lobo-Cranston, Magi Vaughan Supervisore effetti speciali: Paul Gorrie Supervisore costumi: Hannah Walter Supervisore musiche: Phil Canning Interpreti: Riz Ahmed (Omar), Arsher Ali (Hassan), Nigel Lindsay (Barry), Kayvan Novak (Waj), Adeel Akhtar (Faisal), Benedict Cumberbatch (negoziatore), Julia Davis (Alice), Craig Parkinson (Matt), Preeya Kalidas (Sofia), Wasim Zakir (Ahmed), Mohammad Aqil (Mahmood) Durata: 94’ Metri: 2600 Regia: Chris Morris II Produzione: Mark Herbert, Derrin Schlesinger per Film4/Wild Bunch/Optimum Releasing/Warp Films Distribuzione: Videa-CDE Prima: (Roma 1.6.2011; Milano 1.6.2011) Soggetto e sceneggiatura: Chris Morris (II), Jesse Armstrong, Sam Bain, Simon Blackwell Direttore della fotografia: Lol Crawley Montaggio: Billy Sneddon Scenografia: Dick Lunn Costumi: Charlotte Walter Produttori esecutivi: Angus Aynsley, Carole Baraton, Peter Carlton, Will Clarke, Rita Dagher, Mark Findlay, Caroline Leddy, Alex Marshall, Tessa Ross Produttori associati: Afi Khan, Faisal A. Qureshi Line producer: Rebekah Wray Rogers Direttori di produzione: Fiona Lamptey, Rebekah Wray Rogers, Alex Sutherland Casting: Des Hamilton mar, Waj, Barry e Faisal sono quattro ragazzi musulmani dello Sheffield, in Inghilterra, che sognano di entrare a far parte della Jiad e di compiere un atto terroristico in favore della loro causa. Omar e Waj in effetti riescono a entrare in un campo di addestramento per terroristi in Pakistan, mentre Barry recluta un quinto elemento, Hassan. L’addestramento di Omar e Waj finisce però O molto male, perché Omar per sbaglio spara un missile e uccide i suoi compagni. Al loro ritorno in Inghilterra, i due ragazzi mentono a Barry e a gli altri convincendoli di essere ormai pronti a progettare un attentato. Se, da un lato, sembra facile produrre l’esplosivo in casa, dall’altro, però, nessuno riesce a decidere quale possa essere un obiettivo valido. Barry vorrebbe far esplodere la moschea, convinto che un si10 mile atto possa far rigirare la colpa sugli infedeli e a far reagire i musulmani moderati. Intanto Faisal muore improvvisamente per un incidente mente cerca di spostare dell’esplosivo. Questo fa allontanare Omar dal gruppo, ritenendoli troppo stupidi per una simile missione. Si riuniscono poco dopo, decidendo come bersaglio di farsi esplodere durante la maratona di Londra. Intanto, la polizia che indaga sulle strate- Film gie terroristiche degli islamici in Inghilterra, accusa e arresta ingiustamente il fratello di Omar e i suoi compagni. Sfruttando la situazione e convinti che ormai nulla li potrà fermare, i quattro ragazzi decidono di partecipare alla maratona nascondendo l’esplosivo in ridicoli costumi di carnevale. Scoperti dalla polizia e inseguiti dagli agenti di sicurezza della maratona, i ragazzi incominciano a rifugiarsi in mezzo alla folla. Waj sequestra un gruppo di persone all’interno di un locale gestito da alcuni compatrioti e si fa esplodere quando la polizia lo mette alle strette. Barry invece muore accidentalmente quando un passante cerca di soccorrerlo mentre sta soffocando. A Omar non resta che l’ultimo gesto, farsi esplodere all’interno di una farmacia. C on Four Lions siamo davanti all’ennesimo caso di campagna promozionale sbagliata e devian- Tutti i film della stagione te per il pubblico, almeno quello italiano. L’ultimo film di Christopher Morris infatti viene presentato come una commedia esilarante, capace di far ridere il pubblico come da anni non accade. Se anche immaginiamo che si possa fare dell’umorismo e della commedia nera su uno dei temi più tragici e complessi dell’attualità, il terrorismo islamico, sicuramente non possiamo attribuire queste definizioni a un film come Four Lions. La storia dei quattro ragazzi inglesi di origine islamica affonda le radici in una realtà vera e complessa, sicuramente messa in contrasto da Morris con quella parte di Islam moderato, rappresentato soprattutto nell’ultima parte del film, quella della maratona, in cui Waj sequestra un intero locale gestito e frequentato dai suoi compatrioti. Così come può essere credibile la convinzione tanto profonda di Omar: per lui la causa religiosa è più importante della sua stessa famiglia, che pure adora. Ma le cose di cui il pubblico dovrebbe ridere, quelle scene, in cui il gusto comico dovrebbe emergere rispetto al dramma della storia, vengono immediatamente schiacciate dall’immagine cruenta e incredula della stupidità dei suoi personaggi. Riesce davvero difficile, infatti, ridere quando un personaggio imbottito di esplosivo muore in un banale incidente provocato dall’essere inciampato su una pecora. Così come riesce davvero poco credibile in un film di questo genere che dei maldestri soldati della Jiad uccidano erroneamente dei compagni come se stessero in una scena di Mr. Bean. Non mancano certamente gli spunti interessanti che, tutto sommato, fanno riflettere il pubblico. Ma, tutto questo viene inevitabilmente sminuito dal mix poco riuscito tra dramma e commedia amara. Una struttura narrativa che forse sarebbe riuscita meglio se fossero mancate le scene delle esplosioni e se il regista avesse preso una posizione più chiara sul filone da seguire. Marianna Dell’Aquila JANE EYRE (Jane Eyre) Gran Bretagna/Stati Uniti, 2011 Regia: Cary Joji Fukunaga Produzione: Alison Owen, Paul Trijbits per Focus Features/ BBC Films/Ruby Films Distribuzione: VIDEA-CDE Prima: (Roma 7-10-2011; Milano 7-10-2011) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Charlotte Brontë Sceneggiatura: Moira Buffini Direttore della fotografia: Adriano Goldman Montaggio: Melanie Oliver Musiche: Dario Marianelli Scenografia: Will Hughes-Jones Costumi: Michael O’Connor Produttori esecutivi: Peter Hampden, Christine Langan Produttore associato: Hannah Farrell Co-produttori: Mairi Bett, Faye Ward Line producer: Sasha Harris Direttore di produzione: Sasha Harris Casting: Nina Gold Aiuti regista: Lee Grumett, Jude Harrison, Ursula Haworth, Alexander Holt, Tamara King, Carley Lane, Arif Maruthiyil, Barrie McCulloch, Jo Tew Operatori: Robert Binnall, Vince McGahon Operatore Steadicam:Vince McGahon Art director:Karl Probert Arredatore: Tina Jones Trucco: Bee Archer, Theresa Carey, Carolyn Cousins, Françoise Cresson, Julie Dartnell, Janita Doyle, Sarah Grispo, Lilly Hodson, Ameneh Mahloudji, Veronica McAleer, Belinda Parish, Tapio Salmi, Rupert Simon, Barbara Taylor, Xanthia White, Eve Wignall I nghilterra, prima metà dell’800. La giovanissima Jane Eyre, malata e in fuga da un momento ter- Acconciature: Theresa Carey, Carolyn Cousins, Veronica McAleer, Tapio Salmi, Loulia Sheppard Supervisore effetti speciali: Tony Auger Supervisori effetti visivi: Angela Barson (BlueBolt), Sean Farrow (Lip Sync Post), Yanick Wilisky (Modus FX), Coordinatori effetti visivi: Marilyn Emond, Odile-Emmanuelle Auger (Modus FX), Lucy Tanner (Lip Sync Post), Supervisori costumi: Georgina Gunner, Catherine Lovett Supervisore musiche: Maggie Rodford (Air-Edel) Interpreti: Mia Wasikowska (Jane Eyre), Michael Fassbender (Edward Rochester), Jamie Bell (John Rivers), Judi Dench (signora Fairfax), Sally Hawkins (signora Reed), Romy Settbon Moore (Adèle Varens), Holly Grainger (Diana Rivers), Tamzin Merchant (Mary Rivers), Imogen Poots (Blanche Ingram), Amelia Clarkson (Jane ragazzina), Freya Parks (Helen Burns), Lizzie Hopley (signorina Abbot), Jayne Wisener (Bessie), Su Elliot (Hannah), Freya Wilson (Eliza Reed), Emily Haigh (Georgiana Reed), Simon McBurney (signor Brocklehurst), Sandy McDade (signorina Scatcherd), Edwina Elek (signorina Temple), Ewart James Walters (John), Craig Roberts (John Reed), Harry Lloyd (Richard Mason), Valentina Cervi (Bertha Mason), Joseph Kloska (pastore Wood ), Ben Roberts ( Briggs ), Eglantine Rembauville (Sophie), Ned Dennehy (dottor Carter), Laura Phillips (signora Dent), Hayden Phillips (colonnello Dent), Joe Van Moyland (Lord Ingram), Sophie Ward (Lady Ingram), Rosie Cavaliero (Grace Poole), Sally Reeve (Martha), Georgia Bourke (Leah) Durata: 120’ Metri:3300 ribile della sua vita trova rifugio presso la casa del rev. Rivers e delle sue sorelle, dove presto si rianima grazie alle cure genero- 11 se della famiglia; può così dar corso ai suoi ricordi presentati in un’alternanza di flashback. Film Tutti i film della stagione utti coloro che hanno partecipato alla lavorazione di questo film hanno dimostrato un particolare piano professionale ben visibile in più livelli, dalle soluzioni di sceneggiatura all’accuratezza dei particolari scenografici e ambientali, all’intelligente direzione da parte del giovane e bravissimo americano di origini giapponesi Fukunaga, all’interpretazione degli attori, il nuovo divo Fassbender, la rivelazione Wasikowska e il grande, gustosissimo mestiere della Dench. Il prodotto mantiene così tutte le atmosfere goticheggianti del romanzo della Bronte, le emozioni dovute ai primi tentativi di affermazione dell’indipendenza femminile contro un’epoca bigotta e, per certi versi, oscura e, naturalmente, la forza e il tormento di una passione che si trascolora sul volto della giovane protagonista, verginalmente disponibile come la tavolozza di un pittore. Resta da vedere se per realizzare un film, pur valido, di questo genere sia lecito (cinematograficamente) mettere mano per la diciottesima volta (alcuni, conti alla mano, sostengono si sia arrivati a superare la ventesima) a una trasposizione del romanzo della Bronte portato sul grande e piccolo schermo in tanti modi, in tanti Paesi. La ristrutturazione linguistica dei dialoghi, pur approfondita, ha voluto rispettare l’originalità delle battute più celebri per mantenerne inalterato il fascino e che oggi, davvero, con tutta onestà, hanno il sapore dolciastro del fuori tempo e fuori luogo. Forse è il caso di utilizzare sceneggiature originali scritte oggi, anche quando si vuole raccontare storie fosche e tormentate ambientate nella brughiera inglese e lasciare le opere della Bronte (e altre) celebrate nella loro inamovibile lontananza. T Rimasta orfana poco più che ragazzina, Jane era stata dapprima affidata alle cure non troppo generose della zia Reed e poi a farsi le ossa nella durissima Lowood School, dove, oltre le privazioni e le angherie di ogni genere, era riuscita a ottenere un diploma. Diventata istitutrice della piccola Adele nell’imponente magione di Thornfield Hall, diretta dall’umana ed esperta signora Fairfax, viene finalmente a conoscenza del padrone, l’ombroso ed enigmatico Edward Rochester. Giorno per giorno, nonostante le convenzioni, le ritualità e i tabù dell’epoca, tra Rochester e la giovanissima governante nasce un’attrazione profonda che sembra sfociare un giorno nel matrimonio, ma, proprio quando i due stanno per pronunciare il fatidico “sì”, si presenta un individuo che svela che Rochester è sposato. Non solo, la moglie già esistente vive a Thornfield Hall, reclusa in una soffitta perchè completamente pazza. La rivelazione di questo fatto terribile, l’avere visto la povera infelice, il riconoscere quanto grave e bugiardo sia stato il comportamento di Rochester spingono Jane Eyre alla fuga fino alla casa di Rivers vista all’inizio. Qui Jane Eyre riceve finalmente una buona notizia: uno zio dalle lontane Americhe le lascia tutto il suo ricco patrimonio che immediatamente divide con la sua nuova famiglia anche se non manca un ulteriore ostacolo alla serenità: il reverendo Rivers, in procinto di partire per una missione in India, le chiede di sposarlo ma la giovane rifiuta perchè il ricordo di Rochester è ancora vivo e la spinge a tornare a Thornfield Hall. Ritorno amaro perchè la grande dimora è pressocchè distrutta da un incendio causato dalla povera pazza e Rochester è un rottame ormai cieco. Forse a questo punto e in piena libertà può concretizzarsi tra loro quel rapporto così impossibile solo qualche tempo prima. Fabrizio Moresco STUDENT SERVICES (Mes chères études) Francia, 2010 Regia: Emmanuelle Bercot Produzione: François Kraus, Denis Pineau-Valencienne per Les Films du Kiosque Distribuzione: Bolero Prima:(Roma 26-8-2011; Milano 26-8-2011) – V.M.: 18 Soggetto: tratto dal libro autobiografico Mes chères études di Laura D Sceneggiatura: Emmanuelle Bercot Direttore della fotografia: Christophe Offenstein Montaggio: Julien Leloup Scenografia: Éric Barboza Costumi: Marité Coutard Direttori di produzione: Hervé Duhamel, Angeline Massoni Casting: Antoinette Boulat Aiuto regista: Armel Gourvennec, Alexandre Tisseyre Interpreti: Déborah François (Laura), Alain Cauchi (Joe), Mathieu Demy (Benjamin), Benjamin Siksou (Manu), Joseph Braconnier (cliente), Marc Chapiteau (fotografo), Pascal Bongard (Gérard), Anna Sigalevitch (Fanny), Lou Bohringer (Lou), Marthe Caufman (Elsa), Édith Le Merdy (assistente sociale), Frédéric Épaud (agente immobiliare) Durata: 106’ Metri:2850 12 Film aura è una studentessa francese di soli 18 anni. Ha tutta la vita davanti, e tanta voglia di farcela e di studiare Lingue straniere all’università. Ma la vita da studentessa è difficile, soprattutto se devi lavorare per mantenerti gli studi. Laura infatti lavora part time in un call center, ma quello che guadagna non le basta per pagare tutte le spese quotidiane, i libri universitari e l’affitto di casa. Una sera, navigando in internet, incontra casualmente in una chat un uomo di mezza età. Quest’uomo si chiama Joe, è di bella presenza ed è in cerca di studentesse con cui trascorrere dei momenti d’intimità a pagamento. Joe offre a Laura cento euro per appena un’ora insieme, perché è un uomo convinto che “Con i soldi oggi puoi comprare tutto: bambini, organi e persone”. Nonostante le titubanze, la ragazza accetta, promettendo a se stessa però che quella sarà la prima e unica volta. Tuttavia, i facili guadagni e il repentino miglioramento delle sue condizioni di vita faranno in modo che Laura risponda prima ad un annuncio, poi a un altro e poi a un altro ancora, fino a diventare a tutti gli effetti una ragazza a pagamento. Intanto Laura prova anche ad avere una relazione stabile con un ragazzo che la ama davvero, Manu. Ma al suo fidanzato, Laura cerca di imporre una vita completamente sdoppiata tra la ragazza acqua e sapone L Tutti i film della stagione di tutti i giorni e quella chiusa nell’hotel dove hanno luogo gli incontri clandestini. Tra situazioni ingestibili, clienti che pagano solo per un abbraccio e quelli che chiedono cose diverse, Laura capisce che la sua è in realtà una situazione di sudditanza fisica e psicologica alla quale non può più resistere. Tutto ciò la spingerà a decidere di uscire dal giro, ma presto capirà che interrompere, cambiare davvero strada sarà molto più difficile di quanto pensasse. È quello che lei stessa racconterà, alla fine, davanti alle telecamere di un programma televisivo, mascherata con una parrucca bionda e un paio di occhiali da sole. tudent Services, firmato dalla regista francese Emmanuelle Bercort, è un film prodotto per la te levisione d’oltralpe da Canal +. In Italia invece, senza troppi interrogativi, è uscito solo nelle sale cinematografiche grazie alla Bolero ed è stato vietato ai minori di diciotto anni. La pellicola infatti tratta un tema delicato e scottante che ovunque rappresenterebbe una voragine nell’attualità riguardante le questioni giovanili: la prostituzione di giovani ragazze finalizzata al proprio mantenimento degli studi universitari. Tratto dal romanzo “Mes chères études”, Student Services racconta infatti di un fenomeno molto diffuso tra le studen- S tesse francesi. La regista ci fa sapere – attraverso la sua protagonista – che in Francia sono circa quarantamila le studentesse che si prostituiscono per mantenersi gli studi. Si tratta dell’esistenza di un vero e proprio mercato clandestino del corpo, in cui venditore e compratore non sono altro che giovani studentesse e uomini disposti a pagare anche per ricevere un semplice abbraccio, o per dare sfogo alle proprie fantasie più perverse. Il tutto è letteralmente incorniciato dal racconto che la protagonista fa davanti alle telecamere della tv. Si vede infatti Laura all’inizio del film e poi solamente alla fine, mascherata da una parrucca bionda e un paio di occhiali da sole, mentre rilascia un’intervista a un talk show televisivo. Il film della Bercort tuttavia, pur non lasciando un minimo di respiro alla consolazione e al perbenismo, denuncia soprattutto una condizione esistenziale di solitudine e incomunicabilità non solo tra generazioni diverse, ma anche tra coetanei. Nella pellicola infatti emerge, oltre che l’aspetto strettamente sessuale della vicenda (forse un po’ eccessivo proprio rispetto alla denuncia che sta alla base del film), soprattutto la solitudine dei suoi protagonisti, la totale incapacità (o impossibilità) di Laura di vivere con e come i suoi coetanei. Marianna Dell’Aquila TOURNÉE (Tournée) Francia, 2010 Regia: Mathieu Amalric Produzione: Laetitia Gonzalez, Yaël Fogiel per Les Films du Poisson. In coproduzione con Neue Mediopolis Filmproduktion/Arte France Cinéma/WDR-ARTE/Le Pacte and Film(s) Distribuzione: Nomad Film Prima: (Roma 16-3-2011; Milano 16-3-2011) Soggetto e sceneggiatura: Mathieu Amalric, Philippe di Folco, Marcelo Novais Teles, Raphaëlle Valbrune Direttore della fotografia: Christophe Dutertre Montaggio: Annette Dutertre Scenografia: Stéphane Taillasson Costumi: Alexia Crisp-Jones Suono: Olivier Mauzevin Aiuto regista: Elsa Amiel Trucco: Delphine Jaffart oachim è un impresario teatrale francese che, dopo aver lavorato negli Stati Uniti, torna in patria con un gruppo di ballerine californiane di new burlesque. L’impresario, vecchia gloria del mondo della produzione televisiva, vuole J Consulente ‘New burlesque’: Kitty Hartl Interpreti: Miranda Colclasure (Mimi Le Meaux), Suzanne Ramsey (‘Kitten on the Keys’), Linda Marraccini (‘Dirty Martini’), Angela de Lorenzo (Evie Lovelle), Julie Ann Muz (Julie Atlas Muz), Alexander Craven (Roky Roulette), Mathieu Amalric (Joachim Zand), Damien Odoul (François), Ulysse Klotz (Ulysse), Simon Roth (Baptiste), Joseph Roth (Balthazar), Aurélia Petit (ragazza alla pompa di benzina), Antoine Gouy (uomo d’affari software), André S. Labarthe (manager del cabaret), Pierre Grimblat (Chapuis), Jean-Toussaint Bernard (receptionist dell’hotel), Anne Benoît (cassiera del supermercato), Florence Ben Sadoun (signora in ospedale), Erwan Ribard (poliziotto), Julie Ferrer (se stessa) Durata: 111’ Metri: 3050 realizzare un spettacolo nuovo, sicuro di poter conquistare il pubblico francese. Ma il tour sembra destinato a toccare solo le città minori, dove le paghe sono più basse e le ragazze della compagnia non hanno nulla da fare, se non dormire e trascorrere il loro 13 tempo libero nelle hall di alberghi rumorosi e anonimi. Le ballerine della compagnia sono infatti donne giunoniche ed esuberanti, dal carattere molto forte, delle vere dive, difficili da tenere sotto controllo. A Joachim non resta che provare a ricontattare qualche vec- Film chia conoscenza rimasta a Parigi, sperando di poter portare finalmente il suo spettacolo nella capitale francese. Ma qui l’impresario scopre che i rancori e le situazioni irrisolte che lo avevano allontanato dalla Francia sono ancora vive nelle menti e negli animi dei suoi vecchi colleghi. Inutile anche il tentativo di rivolgersi a una ex collega, una regista televisiva sua ex amante ora ricoverata in ospedale per un cancro al seno. Joachim capisce di essere davvero solo. Ad aggravare la situazione ci si mette anche la vita privata, con un matrimonio fallito e due figli che non gradiscono trascorrere neanche qualche giorno con il padre e la sua compagnia di ballerine. Il giorno in cui Joachim deve accompagnare i figli alla stazione per rimandali dalla madre, Mimi, una delle sue ballerine migliori, chiede di poter andare con loro perché deve fare degli acquisti. Tra di loro la tensione è forte. Nessuno dei due, infatti, ha il coraggio di confessare i propri sentimenti all’altro. Dopo aver perso più volte la strada per raggiungere il resto della compagnia in una sconosciuta località sulla costa, Joachim e Mimì arrivano in un albergo vuoto e silenzioso che si trova a ridosso del mare. Lontani da tutti e da tutto, i due amanti riescono finalmente a lasciarsi andare l’uno all’altro. Ad animare Tutti i film della stagione l’atmosfera l’arrivo della compagnia che, con il suo entusiasmo e la sua allegria, tra uno champagne caldo e alcune inaspettate confidenze, indurrà Joachim a non sentirsi finalmente più solo. lcuni critici l’hanno definito come un ritratto dal carattere felliniano. Forse per la presenza di corpi femminili giunonici e sensuali, o forse per la sensazione di sospensione che si avverte in alcuni tratti del film. Eppure, con molta sincerità, dobbiamo ammettere che Tourneé, il film d’esordio alla regia dell’attore francese Mathieu Amalric non ha assolutamente nulla della poetica felliniana. Infatti sono troppo lontane le maschere burlesque delle ballerine californiane dal mondo onirico e sensuale rappresentato dalle donne di Federico Fellini, che mai avrebbero ostentato il loro corpi nudi a un pubblico di provincia, assetato di divertimento trash e chiassoso, come invece avviene in Tournée. Dal punto di vista della regia, tuttavia, Amalric mostra di avere, a ragione, una forte consapevolezza del suo sguardo dietro la macchina da presa. Sono molto interessanti, infatti, alcuni passaggi d’inquadrature da interni a esterni, filtrati attraverso lo schermo trasparente di un vetro o di uno A specchio. Così come lo sono i contrasti volutamente costruiti tra l’ambiente chiassoso delle hall d’albergo e delle chiacchiere nei treni rispetto alla solitudine e al silenzio interiore del protagonista (interpretato dalla stesso Amalric). L’attore-regista dimostra, inoltre, di avere una grande capacità di osservare se stesso come protagonista, riprendendosi e inquadrandosi al di là dell’obiettivo come un corpo esterno, al pari di tutti gli altri personaggi. Altro discorso per i suoi compagni di viaggio, le vere ballerine di new burlesque, a cui Amalric non chiede di interpretare nient’altro che quelle che sono nella vita reale. Anche in questo caso, va apprezzata la cura con cui il regista ha saputo riprendere alcuni dettagli, soprattutto dei corpi e degli sguardi, ma troppa narrazione viene affidata ad alcuni escamotage, come le danze improvvisate o le sigarette sempre accese, che hanno forse lo scopo di riempire dei vuoti drammaturgici. Cioè che stupisce e piace di più è il finale. Negli ultimi minuti di film, infatti, regnano il silenzio e lo stato di abbandono dell’ambiente come riflesso della solitudine interiore e incolmabile del protagonista, vero leitmotiv di tutto il film. Marianna Dell’Aquila CONTAGION (Contagion) Stati Uniti, 2011 Coordinatori effetti speciali: Ron Bolanowski, John D. Milinac Supervisori effetti visivi: Randy Goux, Thomas J. Smith Coordinatori effetti visivi: Gustavo A. Pablik, Raechel Rowland supervisore costumi: Jennifer Jobst, Richard Schoen, Dana Schondelmeyer Interpreti: Matt Damon (Mitch Emhoff), Laurence Fishburne (dott. Ellis Cheever), Jude Law (Alan Krumwiede), Marion Cotillard (dott.sa Leonora Orantes), Gwyneth Paltrow (Beth Emhoff), Kate Winslet (dott.ssa Erin Mears), Bryan Cranston (Lyle Haggerty), Jennifer Ehle (dott.ssa Ally Hextall), Elliot Gould (dott. Ian Sussman), Sanaa Lathan (Aubrey Cheever), Dan Latham (dott. Adam Ritmiller), Armin Rohde (Damian Leopold), Demetri Martin (dott. David Eisenberg), Stef Tovar (dott.Arrington), Tien You Chui (Li Fai), Josie Ho (sorella di Li Fai), Daria Strokous (Irina), Monique Gabriela Curnen (Lorraine Vasquez), Griffin Kane (Clark Morrow), John Hawkes (Roger), Teri McEvoy (infermiera della scuola), Sue Redman, Teri Campbell (infermiere Pronto Soccorso), Mary Jo Faraci (assistente sociale), Grace Rex (Carrie Anne), Joseph Anthony Foronda (funzionario della WHO), Phillip James Brannon (paramedico), Rebecca Spence (moglie di Jon Neal), David Lively (esaminatore medico), Andrew White (assistente esaminatore medico), Larry Clarke (Dave), Anna Jacoby-Heron (Jory Emhoff), Ira Blumen, Scott Stangland, Jimmy Chung, Yoshiaki Kobayashi Durata: 105’ Metri: 2900 Steven Soderbergh Produzione: Gregory Jacobs, Michael Shamberg, Stacey Sher per Warner Bros. Pictures/Participant Media/Imagenation Abu Dhabi FZ/Double Feature Films/Regency Enterprises Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima:(Roma 9-9-2011; Milano 9-9-2011) Soggetto e sceneggiatura: Scott Z. Burns Direttore della fotografia: Steven Soderbergh Montaggio: Stephen Mirrione Musiche: Cliff Martinez Scenografia: Howard Cummings Costumi: Louise Frogley Produttori esecutivi: Jonathan King, Michael Polaire Line producers: Zakaria Alaoui, Chen On Chu Direttore di produzione: David Brown Casting: Carmen Cuba Aiuti regista: Joey Coughlan, Yann Mari Faget, Ahmed Hatimi, Gregory Jacobs, Eric Richard Lasko, Lemon Liu, Florian Nussbaumer, Samar Pollitt, Sunni-Ali Powell, Mohammed Hamza Regragui, Jody Spilkoman Operatori: Duane Manwiller, Porter Versfelt III Operatore Steadicam: Duane Manwiller Art directors: Abdellah Baadil, Simon Dobbin, David Lazan Arredatore: Cindy Carr Trucco: Aurora Bergere, Kate Biscoe, Stephan Dupuis, Lisa Jelic, Cheryl Ann Nick, Suzi Ostos, Vicki Vacca, Nancie Marsalis Acconciature: Fríða Aradóttir, Vivian Guzman, Lun Yé Hodges, Laurel Kelly, Dominic Mango 14 Film na turista americana, Beth Emhoff, è di ritorno da un viaggio a Hong Kong e si trova in aeroporto, a Chicago. È al telefono e nel frattempo, mette la mano in una ciotola di salatini, mangiandone un po’. Poco dopo, a Hong Kong, un ragazzo inizia a tossire e a sentirsi male, sempre peggio. Un uomo invece perde i sensi in un autobus affollato, prima di morire nel giro di pochi istanti. È il “giorno 2”, quello successivo al contagio del virus letale che Beth ha contratto e del quale ancora non è consapevole. Il suo ritorno a Minneapolis è traumatico, dopo la febbre alta scambiata per un effetto collaterale del jet lag arriva la morte improvvisa. Suo marito Thomas apprende la notizia dai medici e non si dà pace, ma nel frattempo anche il piccolo figlio di sua moglie Beth perde la vita nel medesimo modo. È solo l’inizio di un contagio su larghissima scala e i numeri di questa tragedia si moltiplicano in un tempo brevissimo a causa delle tantissime interazioni tra esseri umani nel corso di queste prime giornate di vita quotidiana. Al Centro USA per il Controllo e la Prevenzione delle malattie c’è una febbrile ricerca delle cause di tale virus e di un modo per interrompere la catena dell’agente patogeno in continuo mutamento. Il vice direttore Cheever cerca di placare il panico della gente, ma anch’egli è seriamente preoccupato e così chiama l’ottima dottoressa Mears, incaricandola di valutare tutti i rischi possibili. Nel frattempo anche la dottoressa Orantes dell’OMS lavora duramente per cercare un vaccino e la soluzione al problema. In questo clima di terrore, un blogger piuttosto noto, tale Alan Krumwiede sostiene che alla gente vengano nascoste le dovute informazioni sulla realtà dei fatti e contribuisce, così, a generare un’ondata di paura che si diffonde come il virus stesso. Per cercare di dimostrare le sue teorie, il blogger si dichiara contagiato, ma è convinto che ci sia un farmaco piuttosto comune in grado di curare questo male e così se lo inietta in diretta. La sua guarigione è finta, in quanto non è mai stato realmente contagiato ma ha solo cercato di trovare un sistema rapido e concreto per acquisire soldi e fama. Il suo tentativo è riuscito, così come quello di incrementare lo scompiglio nella povera gente, sempre più vittima del panico. Alcuni residenti di un villaggio rapiscono intanto la dott.ssa Orantes, nella speranza di ottenere presto il vaccino, ma l’accordo di riscatto che stipulano sarà per loro una truffa. Tutti i film della stagione U Anche la dottoressa Mears, prima che riesca a trovare una soluzione, muore vittima del virus. Le istituzioni cercano di circoscrivere il contagio isolando alcune zone e nel frattempo riescono finalmente a creare un vaccino valido, scatenando però a questo punto il malumore della gente sulle priorità di ottenimento dello stesso. Il virus sarà stroncato, ma servirà ancora del tempo, mentre lo scenario di distruzione che porta con sé è qualcosa di apocalittico. a paura è un sintomo che ogni volta che si manifesta riesce a rinnovare la sua essenza incredibilmente stupefacente. Risulta assai complicato gestirla e, nel più dei casi, non siamo in grado di controllarla, ma soprattutto dimentichiamo (anche fortunatamente) il suo aspetto, in modo che essa possa presentarsi in vesti differenti a seconda delle circostanze, impedendoci persino la giusta cura o prevenzione e agendo pertanto nella medesima maniera del contagio. Steven Soderbergh gioca proprio su questo: sulla sottile e insidiosa analogia tra il contagio e il terrore che esso provoca nella gente; ci regala una pellicola catastrofica che, pur rispettando gli standard del genere, cerca al contempo di portare un profumo di novità. In Contagion, come detto, la paura non è quindi un mero effetto collaterale, ma agisce come lo stesso virus, dando vita alle reazioni in una sorta di tremendo effetto domino. Quando compaiono i primi morti si accende il campanello d’allarme ed è proprio qui che viene messa in luce la fragilità umana di fronte a fenomeni sconosciuti L 15 e dei quali si ignorano le cause. Non è affatto semplice prendere la strada giusta, ma il tentativo diventa una necessità sia per la speranza di trovare una cura, sia per addolcire le nostre fobie. Ma l’effetto domino prima enunciato è ciò che nutre ed incrementa il grande incubo, perché non appena ci si rende conto di essere da soli, allora la lotta alla sopravvivenza non passa più dallo scontro con il nemico diretto, il virus, troppo forte per essere annientato dalle persone comuni, bensì dalla guerra con i propri simili, la cosiddetta legge del più forte. Il tuo vicino di casa ora è un pericolo, o magari una fonte quando i beni di prima necessità iniziano a mancare: entrambi i casi rappresentano un valido motivo per farlo fuori. L’idea di Soderbergh è senz’altro intelligente, nonché vincente in partenza, anche in considerazione della paura scatenata recentemente dai virus dell’aviaria o dell’H1N1, situazioni in cui la soglia di allarmismo e il timore della gente si sono dimostrati enormi pur se fortunatamente ingiustificati. Pensato come un thriller, disposto come una sorta di noir e messo in atto nel pieno rispetto dei canoni del dramma catastrofico Contagion è un film dall’enorme potenziale, in grado di aprirsi come una grande cipolla dai numerosi strati, che una volta tolta la buccia ci mostra il nucleo e le lacrime, lasciandoci annusare soltanto tutto il resto, forse per paura che il cattivo odore possa espandersi proprio come il virus. Chi vedrà il film capirà senza dubbio il riferimento all’accusa troppo velata e accuratamente mascherata contro le case farmaceutiche. Le falle del sistema vengono messe sullo stesso pia- Film no di un qualsiasi altro organo di potere o scala gerarchica, aprendo quindi una porta senza andare poi a curiosare cosa nasconda al suo interno. Un vero peccato, visto l’interesse dello spunto in questione. Al di là di questo, il lavoro compiuto dal Tutti i film della stagione regista risulta davvero prezioso e impacchettato con stile, anche grazie ad un ottimo cast dove i numerosi attori ben figurano a dispetto di un misero minutaggio pro capite. Interessante, seppur prevedibile nella forma, anche la scelta compositiva del finale, che rappresenta il vero fiocco del regalo di Soderbergh che mira a un pubblico più eterogeneo possibile, convincendolo così della sua buona forgia, ma non certamente ad abbandonare le proprie inquietudini. Tiziano Costantini I PUFFI IN 3D (The Smurfs) Stati Uniti/Belgio, 2011 Regia: Raja Gosnell Produzione: Jordan Kerner per Columbia Pictures/Sony Pictures Animation/Kerner Entertainment Company Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 16-9-2011; Milano 16-9-2011) Soggetto: personaggi dei fumetti e dei cartoni animati ideati da Peyo Sceneggiatura: J. David Stem, David N. Weiss, Jay Scherick, David Ronn Direttore della fotografia: Phil Meheux Montaggio: Sabrina Plisco Musiche: Heitor Pereira Scenografia: Bill Boes Costumi: Rita Ryack Produttori esecutivi: Ben Haber, Paul Neesan, Ezra Swerdlow Direttore di produzione: Richard Baratta Casting: Richard Hicks, David Rubin Aiuti regista: Benita Allen Richard Hicks, David Rubin, David Catalano, Maura Kelly, Justin Ritson, Salvatore E. Sutera, Peter Thorell Operatori: Stephen Consentino, Lukasz Jogalla Operatori Steadicam: Stephen Consentino, Marc Ehrenbold Art directors: Chris Shriver, Christian Wintter Arredatore: Regina Graves Effetti speciali trucco: Martin Astles, John Caglione Jr Trucco: Vincent Schicchi Acconciature: Pamela May, Sarah Stamp, Inga Thrasher Supervisori effetti visivi: Trent Claus (Lola Visual Effects), Ivan Moran (Framesore New York), Blair Clark, Rob Engle, Richard R. Hoover, Joseph A. Zaki Coordinatori effetti visivi: Raven Sia (Framestore New York), Natalie DeJohn, Kasey Fagerquist, Kristy Lynn Fortier, Danny Huerta, Kevin Noel, Claire Sun, Johnna Todesco Supervisore effetti digitali: Daniel Kramer Suono: Steve Zaragoza el villaggio dei Puffi tutto scorre serenamente: Grande Puffo e i suoi 100 figli si preparano allegramente per la festa della Luna Blu. Intanto Gargamella e il suo gatto Birba cercano un modo per catturarli e – approfittando di una distrazione di Puffo Tontolone – riescono a entrare nel loro villaggio. Grande Puffo, che con una visione aveva capito che Puffo Tontolone li avrebbe messi nei guai, riesce a far scappare tutti i Puffi, ma di nuovo per un errore di Tontolone, Puffetta, Quattrocchi, Puffo Coraggioso, Brontolone e lo stesso Grande Puffo finiscono in un vortice dimensionale che li scaraventa a Manhattan. Lo stesso accade a Gargamella e Birba, che, dopo averli rincorsi, finiscono nel vortice. N Animazione personaggi: Matthew Meyer, Tim Pixton (Sony Pictures Animation),Carl Vazquez (DDMG), Nick Starcevic, Alex Zemke (SPI), Jimmy Almeida, Bill Haller, Denis Samoilov, Paul Wood Animazione: Patrick Porter, Jaime Castañeda, Chris Caufield (Framestore New York), Louis Jones, Andy Hass, Danny Southard (Tippett Studio), Craig McPherson, Mark Pullyblank (Sony Pictures Animation), Robert Alves,Mike Beaulieu, Manuel Bover, Shad Bradbury, Eric Burnett, Tony Castro, Wesley Chandler, Trent Correy, Rahul Dabholkar, Mike Dharney, JeanDominique Fievet, Robert Fox, Émilie Goulet, Derek Gowland, Wade Hampton, Mike Jahnke, Blake Kenneth Johnson, Mariya Kalachova, Sebastian Kapijimpanga, Michael Kimmel, Kevin Labanowich, Yuri Lementy, Michael Lewicki, Victoria Livingstone, Cristin McKee, Clayton Mitchell, Paul Newberry, Yuhon Ng, Jeff Panko, Kevin Quaid, In-Ah Roediger, Troy Saliba, Benson Shum, Richard Smith, Alexander Snow, Jason Spilchak, Carolyn Vale, Dave Vasquez, Mitch Yager, Ryan Yee Interpreti: Hank Azaria (Gargamella), Neil Patrick Harris (Patrick Winslow), Jayma Mays (Grace Winslow), Sofía Vergara (Odile), Tim Gunn (Henri), Madison McKinley, Meg Phillips (modelle), Julie Chang, Roger Clark (conduttori del notiziario), Mark Doherty (uomo d’affari), Victor Pagan (Bum), Mahadeo Shivraj (Cabbie), Adria Baratta (impiegata di Anjelou), Paula Pizzi (madre di Odile), Andrew Sellon (cameriere), Bradley Gosnell (commesso negozio giocattoli), Heidi Armbruster, Finnerty Steeves (madri nel negozio di giocattoli), John Speredakos (genitore con bambina), Sean Ringgold (Bubba), Mario D’Leon (amico di Bubba), Jojo Gonzalez (custode della FAO), Tyree Michael Simpson, Scott Dillin (polizziotti), Minglie Chen, Sean Kenin, Julianna Rigoglioso, Daria Rae Figlo, Eric Redgate, Liz Smith Durata: 90’ Metri: 2470 A New York intanto Johan è stato nominato vice direttore dell’azienda di cosmetici per cui lavora, ma, per confermare il suo ruolo, avrà due giorni per creare una nuova pubblicità e stupire la direttrice. Mentre i Puffi si aggirano per le strade della città inseguiti da Gargamella e Birba, Puffo Tontolone finisce nello scatolone che Johan deve portare a casa e così Grande Puffo e gli altri sono costretti a seguire la macchina per salvare Tontolone. Arrivato a casa, Johan comunica la notizia alla moglie incinta e si mette subito al lavoro. Tontolone intanto riesce a uscire dallo scatolone, ma viene visto dal cane che lo insegue per tutta casa, mentre gli altri Puffi riescono a entrare da una finestra aperta. Johan e Grace 16 si accorgono che sta accadendo qualcosa in casa e improvvisamente si trovano davanti i sei piccoli Puffi! Grande Puffo spiega l’accaduto alla coppia, ma, mentre Johan resta un po’ diffidente, Grace è subito colpita dalla simpatia di questi buffi amici blu e decide di aiutarli a tornare al loro villaggio! Il giorno dopo, Johan va a lavoro, ma quando si accorge che tutti i Puffi lo stanno seguendo, riesce a nasconderli e a portarli nel suo ufficio. Puffetta, Grande Puffo, Brontolone, Quattrocchi e Puffo Coraggioso cantano e ballano nell’ufficio di Johan che – non riuscendo a lavorare – è costretto a chiamare Grace (rimasta a casa con Tontolone). Grace porta via i Puffi, ma, quando con la macchina passano davanti a Film un negozio di giocattoli con il telescopio in vetrina, i Puffi scappano ed entrano nel negozio. Intanto Gargamella è riuscito a rintracciarli e arriva anche lui nel negozio; inizia così una caccia ai Puffi, sia da parte del mago cattivo, sia da parte dei bambini che vogliono a tutti i costi comprare quei “pupazzini blu”. Johan arriva in soccorso di Grace e insieme riescono a riprendere tutti i Puffi e salvarli da Gargamella. Tornati a casa, Johan scopre che la direttrice ha accettato il suo lavoro e per festeggiare si diverte a ballare e cantare insieme ai Puffi con la Playstation, mentre Grace aiuta Puffetta a trovarsi un nuovo vestitino. Intanto Grande Puffo, grazie al telescopio preso nel negozio di giocattoli, cerca di capire quando avverrà l’allineamento delle stelle che permetterà loro di far tornare la luna di colore blu e di tornare nel loro villaggio. Messi a letto gli altri Puffi, Johan confida a Grande Puffo di non sentirsi veramente pronto per la nascita del bambino, ma il saggio puffo dal cappello rosso riesce a tranquillizzarlo. Il giorno dopo, Johan si accorge che la pubblicità che appare sui grattacieli di New York non è quella che era stata approvata, ma è quella che aveva creato (raffigurante una luna blu) e poi lasciato da parte. Tontolone l’aveva inviata involontariamente, dopo essere passato sulla tastiera del computer. Grande Puffo intanto ha scoperto che l’allineamento avverrà quella stessa notte, ma prima ha bisogno di un libro di magia per avere la pozione che renderà la luna blu. Johan, arrabbiato, cerca di rimediare all’errore e si rifiuta di aiutare i Puffi e di accompagnarli alla biblioteca. Grande Puffo seguito dagli altri Puffi (mentre Tontolone viene nuovamente lasciato a casa con Grace), arriva alla biblioteca e riesce a copiare la formu- Tutti i film della stagione la per la pozione magica, appena prima dell’arrivo di Gargamella e Birba. Il mago cattivo cattura però Grande Puffo che riesce a far scappare gli altri Puffi e a consegnare a Quattrocchi la formula. Intanto Johan è tornato a casa e, dopo essersi chiarito con Tontolone e con sua moglie, decide di andare ad aiutare i Puffi nella loro missione. Arrivati alla biblioteca i tre però trovano Puffetta e gli altri senza Grande Puffo. Gargamella l’ha portato al Castello del Belvedere; così Johan organizza un piano di attacco al castello. Quattrocchi, mettendo in pratica la formula consegnatagli da Grande Puffo riesce ad aprire il vortice che li aveva portati a New York, così da far arrivare tutti gli altri novantacinque Puffi che erano rimasti al villaggio. Gargamella viene attaccato da tutti i Puffi, ma, proprio quando sta per catturarli grazie al potere di una bacchetta magica, questa gli sfugge e Tontolone riesce a prenderla e a salvare tutti i Puffi. Tontolone è ormai un eroe, Grande Puffo capisce di aver interpretato male la premonizione iniziale e Johan e Grace riportano tutti i Puffi nel luogo in cui si era aperto il vortice per permettere di tornare al loro villaggio. Tontolone, Puffetta, Coraggioso, Quattrocchi, Brontolone e Grande Puffo salutano Johan e Grace e – tornati al villaggio che Gargamella aveva distrutto – decidono di ricostruirlo prendendo spunto dalla Grande Mela. Intanto Johan scopre di non aver perso il lavoro, poiché la sua pubblicità con la luna blu sembra aver riscosso un enorme successo. Puffi arrivano nella Grande Mela e fanno amicizia con una simpatica coppia di newyorchesi! Se da bambini avete amato questi pupazzini blu, I di sicuro avrete sognato di incontrarli per un giorno e magari chissà, di scoprire qualcosa in più sulla loro origine! Beh, il film fa rivivere questo sogno e appassiona quasi di più il pubblico adulto che quello dei più piccoli. Raja Gosnell ha realizzato il primo film in live action sui personaggi creati da Peyo negli anni ‘60, compiendo un ottimo lavoro sull’animazione digitale e coniugandolo ad una storia classica che appassiona ormai da anni grandi e piccini. Accompagnati dagli umani Johan e Grace – Neil Patrick Harris e Jayma Mays – i Puffi compiono il loro breve viaggio nella città di New York, inseguiti dal cattivo Gargamella (Hank Azaria) e dal suo buffo gatto Birba. La storia di Johan e Grace fa da cornice all’avventura di Grande Puffo e dei suoi Puffi: è leggera, scontata sicuramente, ma senza troppe pretese e comunque divertente poiché si inserisce bene nel contesto. Certamente a far sorridere lo spettatore sono Tontolone, Brontolone, Puffo Coraggioso, Puffetta, Quattrocchi e Grande Puffo, con il loro modo di parlare, le loro canzoncine e il loro simpatico aspetto, ma il ruolo di Harris e Jayma Mays funziona abbastanza bene. È anche grazie a loro infatti che lo spettatore scopre alcune cose sull’origine dei Puffi, che anche i più affezionati della serie dei cartoni animati, probabilmente non hanno mai saputo. Un film campione d’incassi, che deve il suo successo soprattutto alla popolarità del fumetto di Peyo, ai cartoni animati e a tutto il lavoro di marketing che gira intorno agli “omini blu”, ormai da tanti anni, ma anche a un ottimo mix di animazione e live action. Un film per tutti, per i bambini sicuramente, ma anche per quegli adulti che hanno voglia di “puffare” un po’! Silvia Preziosi FACCIO UN SALTO ALL’AVANA Italia, 2011 Regia: Dario Baldi Produzione: Marco Poccioni, Marco Valsania per Rodeo Drive Media Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 22-4-2011; Milano 22-4-2011) Soggetto e sceneggiatura: Lorenzo De Marinis, Massimiliano Orfei Direttore della fotografia: Vittorio Omodei Zorini Montaggio: Alessio Doglione Musiche: Francesco De Luca, Alessandro Forti Scenografia: Davide Bassan Costumi: Patrizia Mazzon Direttore di produzione: Paolo Lucarini Aiuti regista: Elena Fiorenzani, Massimo Loi Operatore: Emiliano Fiore Supervisore effetti visivi: Pierfilippo Siena (Metaphyx) Coordinatore effetti visivi: Virginia Cefaly (Metaphyx) Interpreti: Enrico Brignano (Fedele), Francesco Pannofino (Vittorio), Aurora Cossio (Almadedios), Grazia Schiavo (Barbara), Paola Minaccioni (Laura), Isabelle Adriani (bionda misteriosa), Virginia Raffaele (Annaclara), Antonio Cornacchione (dottor Brancacci), Cosimo Cinieri (Siniscalco), Carolina Poccioni (ragazza romana) Durata: 96’ Metri: 2650 17 Film edele e Vittorio sono due fratelli dal carattere opposto. Mite, rispettoso e dedito alla famiglia il primo, mascalzone, disonesto e fedigrafo il secondo. Sono sposati con due sorelle, le figlie di un grosso imprenditore che ha concesso loro di amministrare la società. Un giorno, però, l’auto di Vittorio viene trovata in un lago in condizioni tali da far presupporre la morte dell’uomo. Fedele, premuroso non nega l’appoggio alla cognata fino a quando non scopre sei anni dopo che suo fratello non è morto, ma vive a Cuba. Senza pensarci due volte, Fedele, prende il primo aereo convinto di riportare indietro Vittorio. All’Avana, ben presto, scopre che il fratello è famoso perché organizza truffe a turisti insieme alla bella Almadedios e proprio in una di queste, di cui lui è vittima, ritrova il congiunto scomparso. Inutili i rimproveri, Fedele non riesce a convincere Vittorio a seguirlo e fra un ballo e un bicchiere di rum si innamora ricambiato di Almadedios . L’Italia sembra lontana, ma l’idillio finisce quando Vittorio e Almadedios vengono arrestati dalla polizia locale. L’uomo cacciato da Cuba va a vivere in Svizzera con un vitalizio che gli ha passato il suocero a patto di non tornare in Italia, mentre la donna è costretta a fare alcuni mesi di carcere. F Tutti i film della stagione Finiti i giorni di reclusione Almadedios ritrova all’uscita Fedele e con lui costruisce una numerosa famiglia. na volta si diceva: “I bravi attori riescono a rendere favoloso anche un film mediocre”. Dopo aver visto Faccio un salto all’Avana , si può chiaramente affermare che è un luogo comune da sfatare. Assolutamente. La pellicola in questione, diretta da Dario Baldi, è una accozzaglia maldestra di siparietti pseudocomici che, partendo dall’intuizione pirandelliana della finta morte, sviluppa l’originalissima, si fa per dire, storiella dell’italiano all’estero. Gli elementi della “tragedia” ci sono tutti: la moglie petulante, i Caraibi da depliant, la bella indigena, i balli e i canti, il sogno perduto. E ovviamente l’italiano truffaldino. Manca solo la sceneggiatura, evidentemente arrivata tardi all’aeroporto, sostituita in extremis dall’audace arte dell’improvvisazione. Con questi elementi, è evidente, non si può chiedere il miracolo agli attori! Enrico Brignano e Francesco Pannofino ci provano e con quello che hanno, come facevano un tempo le brave massaie, “prepa- U rano il pranzo”, un pranzo insipido però, che lascia i commensali, pardon gli spettatori con l’amaro in bocca. I più delusi, sicuramente, rimarranno i fanatici di queste commedie “scacciapensieri” (per usare una loro definizione), perché Faccio un salto all’Avana, pur avendo qualche rara trovata simpatica, è pieno di angoli bui e incomprensibili nonsense. Ecco, l’impressione che se ne ricava è di un lavoro frettoloso, arrangiato all’ultimo momento, buono solo a giustificare una trasferta all’Avana tutto incluso. Almeno quest’ultima fosse stata trattata decentemente! E invece i bellissimi scorci della città amata da Hemingway vengono continuamente sporcati dall’occhio misero del turista, che trasforma il popolo cubano in una caricatura sguaiata di se stesso. Una vera occasione mancata. Il regista Renè Ferretti, alter ego di Pannofino nella fortunata serie televisiva Boris, avrebbe una definizione “colorita” per questa pellicola..., la sottoscritta si limita solo a sconsigliarlo e nel contempo invita il giovane Baldi a usare più oculatezza nella scelta delle prossime pellicole da dirigere. Non si vive di solo pane, un po’ di (buon) cinema non guasta mai. Francesca Piano A DANGEROUS METHOD (A Dangerous Method) Gran Bretagna/Germania/Canada/Francia/Irlanda, 2011 Trucco: Manuela Antritter, Andrea Braun, Ulrike Gass-Flakowski, Gesa Gerersdorfer, Adriane Graeff, Andrea Hecking, Nadia Homri, Carla Hovenbitzer, Elisabeth Kaukal, Isabella Koppensteiner, Mary Liebsch, Martina Mariacher, Magret Payer, Ulrich Ritter, Katrin Silbernagel, Conny Ulatowski, Romy Voigtsberger, Sonja Wimmer Acconciature: Manuela Antritter, Andrea Braun, Ulrike GassFlakowski, Nadia Homri, Carla Hovenbitzer, Barbara Kichi, Mary Liebsch, Ulrich Ritter, Katrin Silbernagel, Conny Ulatowski, Romy Voigtsberger, Sonja Wimmer Supervisori effetti visivi: Joerg Bruemmer, Rolf Muetze, Wojciech Zielinski Coordinatori effetti visivi: Sarah Barber, Chris Ross, Laetitia Séguin Interpreti: Viggo Mortensen (Sigmund Freud), Keira Knightley (Sabina Spielrein), Michael Fassbender (Carl Jung), Vincent Cassel (Otto Gross), Sarah Gadon (Emma Jung), André Hennicke (Eugen Bleuler), Katharina Palm (Martha Freud), Andrea Magro (Jean Martin Freud), Arndt Schwering-Sohnrey (Sandor Ferenczi), Mignon Remé (segretaria di Jung), Mareike Carriere, Franziska Arndt, Sarah Marecek (infermiere), Wladimir Matuchin (Nicolai Spielrein), André Dietz (poliziotto medico), Anna Thalbach (paziente), Bjorn Geske (inserviente), Jost Grix (Leonhard Seif), Severin von Hoensbroech (Johan van Ophuijsen), Torsten Knippertz (Ernest Jones), Dirk S. Greis (Franz Riklin), Julia Mack (Mathilda Freud), Aaron Keller (Oliver Freud) Durata:99’ Metri: 2550 Regia: David Cronenberg Produzione: Jeremy Thomas per Recorded Picture Company (RPC)/Lago Film/Prospero Pictures/Astral Media/Canadian Film or Video Production Tax Credit (CPTC)/Corus Entertainment/Elbe Film/Millbrook Pictures/The Movie Network/Talking Cure Productions/Téléfilm Canada Distribuzione: Bim Prima: (Roma 30-9-2011; Milano 30-9-2011) Soggetto: tratto dalla pièce teatrale The Talking Cure di Christopher Hampton e dal romanzo A Most Dangerous Method di John Kerr Sceneggiatura: Christopher Hampton Direttore della fotografia: Peter Suschitzky Montaggio: Ronald Sanders Musiche: Howard Shore Scenografia: James McAteer Costumi: Denise Cronenberg Produttori esecutivi: Stephan Mallmann, Karl Spoerri, Peter Watson, Matthias Zimmermann, Thomas Sterchi Produttori associati: Tiana Alexandra, Richard Mansell Co-produttori: Martin Katz, Marco Mehlitz Direttori di produzione: Robert Opratko, Imke Sommerkamp Casting: Deirdre Bowen Aiuti regista: Patrick Arias, Walter Gasparovic, Michaela Kluge Operatori Steadicam: Patrick de Ranter, Robert Patzelt Supervisore art director: Sebastian Soukup Art directors: Anja Fromm, Nina Hirschberg, Frances Soeder Arredatore: Gernot Thöndel 18 Film 904. Sabina Spielrein, una ragazza russa di elevata cultura, viene ricoverata in una clinica svizzera dopo che le è stata diagnosticata una forma di isteria aggressiva. Il dottor Jung che l’ha in cura adotta, con lei la ‘terapia delle parole’ da cui emerge un’infanzia segnata da maltrattamenti e umiliazioni da parte paterna, dalle quali però è emerso che provava piacere. Il dottor Jung è felicemente sposato e la moglie è incinta. Viene però colpito dalla personalità della ragazza anche se in clinica, in sua assenza, si rende protagonista di comportamenti eccentrici. Gioca, per esempio, in modo strano con il cibo o si getta nello stagno. Col tempo vede dei miglioramenti e le propone di fargli anche da assistente nella sua ricerca. Nel frattempo è nata la figlia di Jung. Passano due anni. Vienna 31/3/1906. Jung va a trovare Freud assieme alla moglie. Dopo aver mangiato, i due iniziano una lunghissima conversazione, durata circa 13 ore, dove affrontano anche il tema dell’interpretazione dei sogni. Poi Jung parla a Sabina, intanto decisamente migliorata, di quell’incontro e delle sue paure. Tra loro c’è sempre più complicità. Insieme ascoltano la musica di Wagner col grammofono e studiano le reazioni dei pazienti. Poi, un giorno, in una panchina su baciano. Jung desidera sempre di più Sabina e il suo sentimento e ricambiato. L’uomo passa sotto la sua abitazione per vedere se ci sono le finestre accese, poi non riesce a resistere e passa da lei. La loro intimità non è più solo mentale ma anche fisica. Lui però non vuole abbandonare la sua famiglia e va dalla giovane donna per dirle che non se la sente di andare avanti e che intende fermarsi. Inizialmente non riesce a rispettare i suoi propositi e la loro storia continua ad andare avanti anche nel corso degli anni. I due amanti proseguono la loro storia passionale tra forti rotture e immediate riconciliazioni. Un giorno, Sabina va nello studio di Jung e lo ferisce al volto con un tagliacarte. Poi però ritrovano la loro intimità sessuale con lei che si fa sculacciare da lui. Prosegue anche il difficile rapporto con Freud. Partono insieme per gli Stati Uniti in nave. Lui viaggia in 1° classe, l’anziano collega in 2°. Ed è lo stesso Freud che lo mette al corrente delle voci che circolano a Vienna su di lui e sul fatto che ha l’amante. A quel punto tronca con Sabine che reagisce piangendo. E nel 1912 scrive pure a Freud accusandolo del fatto di trattare gli amici come dei pazienti. Si rivede anche con Sabina, che intanto si è sposata. E la prima guerra mondiale è alle porte. Tutti i film della stagione 1 L e visioni pericolose del cinema di David Cronenberg. Pulsioni faticosamente trattenute, sogni premonitori, lo scarto tra desiderio e realtà. Non c’è solo la ‘liason dangereuse’ tra Jung, Sabine e Freud in A Dangerous Method. Si mette in azione invece proprio il preciso teorema cronenberghiano che scava nell’inconscio, che mette a nudo la follia, gli abissi della perdizione. Con una metamorfosi nella figura simile a La mosca dove il personaggio di Sabina (resa con coraggiosa aderenza da Keira Knightley) muta dall’inizio, dalle sue urla sulla carrozza in apertura del film che la sta conducendo nell’ospedale psichiatrico in Svizzera alla ‘tranquilla fissità’ del finale, in simbiosi quasi con la piattezza del lago, dove rivede Jung, simile a quella di un’immagine che si immobilizza e diventa quasi istantanea fotografica. Oppure con le stesse illusioni, dal doppio concreto di Inseparabili ai volti di Jung e Freud che possono sovrapporsi, raddoppiare anche nella singola inquadratura: si trovano da soli, in una strada, dove la razionalità, il pensiero si disintegrano progressivamente. Bella sfida quella del grande regista canadese David Cronenbergh con A Dangerous Method. Dal romanzo A Most Dangerous Method di John Kerr e la pièce teatrale The Talking Cure di Christopher Hampton (anche sceneggiatore), il film vuole oltrepassare quello che mostra, sempre sulla linea tra vista e allucinazione che, per esempio, in Crash inghiottiva completamente. Sulla linea di un biopic disintegrato che vorrebbe farsi avvolgere dalle fiamme del mélo. Ma il cinema di Cronenberg stavolta non sfonda come in passato. I margini dell’inqua- 19 dratura restano intatti e, soprattutto, rimangono indelebili i segni compositivi. C’è un percorso nel tempo – dal 1904 all’alba della prima guerra mondiale – che, nei salti spaziali, potrebbe essere quasi una produzione dell’inconscio. Ma a movimentarlo davvero c’è solo la sessualità incontrollata di Otto Gross, interpretato da uno splendido Vincent Cassel che, in pochi frammenti, sovrasta Michael Fassbender e Viggo Mortensen, qui più maschera che autentica emanazione cronenberghiana come in A History of Violence e La promessa dell’assassino. Il tempo resta elemento esteriore, elemento che segna le 13 ore di conversazione di Freud e Jung, la scena con le associazioni con le parole dove lo sguardo del cineasta canadese sembra stavolta più incantato dalla meccanicità degli oggetti, senza più renderli elementi di modifica/fusione come ancora le auto di Crash. E le stesse forme del desiderio, pur con squarci affascinanti come lo sguardo di Jung sulla finestra accesa o nel volto di Sabine sono slanci che partono ma poi hanno brusche sterzate rispetto l’esplosione totale miscuglio di fisicità, colore, musica di quel suo grandissimo film d’inizio anni ’90 che è M Butterfly. Senza voler assolutamente giustificare l’ingeneroso rifiuto di una parte della stampa alla presentazione all’ultimo Festival di Venezia, dove il film è stato presentato in competizione, ci si trova comunque davanti a una parziale battuta d’arresto nel cinema di Cronenberg: dove i personaggi, soprattutto Sabina, spingono per andare verso la loro mente, ma poi restano imprigionati in un quadro reso invalicabile dalla sua glacialità, evidente, per esempio, nella scena in cui la giovane Film donna si fa sculacciare da Jung davanti lo specchio, di sfiatato decadentismo, con il sospetto che, in certi momenti, Hampton prevalga su Cronenberg; dove il contagio stavolta è rimasto spesso sulla carta tranne nel momento del viso ferito di Jung, troppo breve contatto/squarcio epidermico di un’opera che, senza avere ti- Tutti i film della stagione more reverenziali nei confronti di quello che ha portato sullo schermo, non ha finito però di impossessarsene, caso rarissimo quasi unico per quello che riguarda l’autore canadese. C’è chi lo ha accostato anche a Prendimi l’anima di Roberto Faenza perché ci sono sempre Jung e Sabine, ma siamo comunque su due pia- neti differenti. Anche il peggior Cronenberg supera il miglior Faenza. Ma questo non c’entra niente ed è un’altra storia. E non basta per giustificare una reazione interlocutoria che, per fortuna solo marginalmente, sconfina con la delusione. Simone Emiliani BAD TEACHER-UNA CATTIVA MAESTRA (Bad Teacher) Stati Uniti, 2011 Regia: Jake Kasdan Produzione: Jimmy Miller per Columbia Pictures/Mosaic Media Group Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 31-9-2011; Milano 31-9-2011) Soggetto e sceneggiatura: Lee Eisenberg, Gene Stupnitsky Direttore della fotografia: Alar Kivilo Montaggio: Tara Timpone Musiche: Michael Andrews Scenografia: Jefferson Sage Costumi: Debra McGuire Produttore esecutivo: Georgia Kacandes Produttori associati: Carey Dietrich, Melvin Mar Direttore di produzione: Georgia Kacandes Casting: Anya Colloff, Amy McIntyre Britt Aiuti regista:Audret Clark, Carey Dietrich, Bill Purple Operatori: Joseph V. Cicio, Anthony Cobbs, Monty Rowan Operatore Steadicam: Matthew A. Petrosky Art director: Andrew Max Cahn Arredatore: Ronald R. Reiss Trucco: Laurene Alvarado, Robin Fredriksz, Maggie Fung, Peter Robb-King lizabeth è un’insegnante al suo ultimo giorno di scuola, contenta di poter finalmente lasciare il suo lavoro perché sta per sposarsi con un uomo molto ricco. Arrivata a casa, però, trova il futuro sposo con la suocera pronti a comunicarle che il fidanzamento è annullato poiché l’uomo ha intuito le venali intenzioni della donna. Elizabeth è costretta così a tornare al lavoro e a dividere una piccola casa con un uomo piuttosto solitario. A scuola intanto, è arrivato Scott, il nuovo professore di matematica. Elizabeth scopre che il ragazzo, oltre a essere molto bello, è anche ricco di famiglia e da poco single, così inizia una serie di buffi tentativi per conquistarlo. Decide inoltre di rifarsi il seno per essere più attraente, ma – non avendo soldi per fare l’intervento – partecipa a varie iniziative scolastiche (come il lavaggio delle macchine) per ottenere dei soldi in contanti. Intanto in classe propone ogni giorno un film diverso ai suoi alunni, senza occuparsi mi- E Acconciature: Pierce Austin, Nina Paskowitz, Lona Vigi, SooJin Yoon Supervisore costumi: Joseph T. Mastrolia Supervisori musiche: Manish Raval, Tom Wolfe Interpreti: Cameron Diaz (Elizabeth Halsey), Lucy Punch (Amy Squirrel), Jason Segel (Russell Gettis), Justin Timberlake (Scott Delacorte), Phyllis Smith (Lynn Davies), John Michael Higgins (preside Wally Snur), Dave Allen (Sandy Pinkus), Jillian Armenante (signorina Pavicic), Matthew J. Evans (Garrett Tiara), Kaitlyn Dever (Sasha Abernathy), Kathryn Newton (Chase Rubin-Rossi), Igal Ben Yair (Arkady), Aja Bair (Devon), Andra Nechita (Gaby), Noah Munck (Tristan), Finneas O’Connell (Spencer), Daniel Castro (Rodrigo), Adrian Kali Turner (Shawn), Eric Stonestreet (Kirk), Thomas Lennon (Carl Halabi), Paul Bates (sovrintendente scolastico), Jeff Judah (custode), Nat Faxon (Mark), Stephanie Faracy (signora Pubich), David Paymer (dottor Vogel), Alanna Ubach (Angela), Christine Smith (Danni), Deirdre Lovejoy (madre di Sasha), Melvin Mar (insegnante), Rose Abdoo (segretaria della scuola), Paul Feig Durata:92’ Metri:2550 nimamente di loro e del programma scolastico; instaura una strana amicizia con la signorina Pavicic e con l’insegnante di ginnastica Russell, mentre inizia a scontrarsi con Amy, un’altra professoressa che è diventata la fidanzata di Scott. Una mattina, Elizabeth scopre che a breve si svolgerà un test per gli insegnanti e che il vincitore riceverà in premio 5000 dollari. Improvvisamente Elizabeth decide di cambiare tutto e di puntare al premio, cercando di diventare la migliore professoressa e iniziando a far studiare i suoi alunni, interrogandoli e assegnando loro molti compiti. Ma questo non basta: per vincere i soldi dovrà infatti studiare e sapere tutte le risposte. Elizabeth decide così di sedurre il dottor Snur in quanto possessore delle domande; riesce infatti a rubargli il test e a vincere il premio come miglior insegnante. Dopo aver fatto ammalare la professoressa Amy con una pianta di ortica, Elizabeth riesce anche ad andare al campo scuola al suo posto, così da poter passare 20 del tempo con Scott. La sera infatti i due trascorrono la notte insieme e – sebbene Elizabeth sia rimasta molto delusa da Scott – decide di chiamare Amy al telefono facendole così sentire tutto. Amy infuriata e rimasta in città, ruba la cattedra di Elizabeth, scoprendo così le domande del test; il dottor Snur confessa alla professoressa di aver passato la serata con lei, ma è ricattato dalla stessa Elizabeth, che gli aveva scattato delle fotografie. Così, davanti al preside della scuola e alla polizia, è costretto a ritirare la confessione che aveva fatto ad Amy. Elizabeth, dopo aver capito che Amy aveva scambiato le cattedre, e dopo averla fatta passare per bugiarda davanti a tutti, suggerisce anche agli agenti di perquisire la cattedra della professoressa nella quale trovano della marijuana. Ormai è finito l’anno scolastico e Scott, essendosi ormai lasciato con Amy, chiede ad Elizabeth di uscire insieme. Lei rifiuta l’invito e capisce che l’uomo che veramente la fa stare bene, che la diverte e che le pia- Film ce è in realtà Russell, l’insegnante di ginnastica. volte si generalizza troppo quando si definisce un film “commedia” e molto spesso capita che questo termine dia una connotazione negativa al film. In realtà esistono commedie belle, con sceneggiature ben costruite, dialoghi divertenti e intelligenti, scene girate con molta accortezza e magari una morale interessante. Purtroppo però non è il caso di Bad teacher, una commedia fin troppo leggera, scontata e – aggiungerei – poco intelligente. Cameron Diaz è un’insegnante fuori dagli schemi: veste in maniera sexy, ha un linguaggio non proprio adatto al ruo- A Tutti i film della stagione lo di professoressa ed è completamente disinteressata ai suoi alunni, ai quali fa vedere soltanto film. I suoi unici scopi sono quelli di trovare un uomo ricco che possa mantenerla e trovare i soldi necessari per rifarsi il seno, per poter così far colpo su Scott (Justin Timberlake). L’idea del regista Jake Kasdan della “cattiva maestra” potrebbe sembrare inizialmente abbastanza originale, ma, dopo un po’, il personaggio di Cameron Diaz diventa davvero troppo ridicolo e impossibile. I suoi giochini per conquistare il bel professore e gli scherzi fatti alla sua collega per allontanarla da lui, sono infantili; piuttosto che l’insegnante, Cameron Diaz sembrerebbe un’adolescente che tenta di conquistare il più bello della classe, accorgendosi soltanto alla fine che c’è qualcuno che la ama veramente. Già, perché soltanto alla fine del film Elizabeth/Cameron Diaz sembra dimostrare un minimo di intelligenza, quando capisce che l’uomo che fa per lei è l’insegnante di ginnastica che aveva sempre ignorato. Bad teacher è insomma – nonostante un cast ricco di attori abituati alla commedia (oltre Justin Timberlake e Cameron Diaz ci sono infatti Jason Segel, John Higgins, Molly Shannon) e alcune brevi scene divertenti – un film scontato e che di certo non lascia il segno. Silvia Preziosi IL DEBITO (The Debt) Stati Uniti, 2010 Regia: John Madden Produzione: Eitan Evan, Eduardo Rossoff, Kris Thykier, Matthew Vaughn per Marv Films/Pioneer Pictures Distribuzione: Universal Pictures Prima:(Roma 16-9-2011; Milano 16-9-2011) Soggetto: remake del film Ha-Hov di Assaf Bernstein (2007) Sceneggiatura: Matthew Vaughn, Jane Goldman, Peter Straughan Direttore della fotografia: Ben Davis Montaggio: Alexander Berner Musiche: Thomas Newman Scenografia: Jim Clay Costumi: Natalie Ward Produttore esecutivo: Tarquin Pack Co-produttore: Mairi Bett Direttore di produzione: Sasha Harris, Maria Ungor Casting: Michelle Guish Aiuto regista: Joey Coughlin, Robyn Glaser, Olivia Lloyd, Deborah Saban, Szonja Szekerák, Tamás Vass Operatore: Alastair Rae Operatore Steadicam: Alastair Rae Supervisore art director: Peter Francis erlino Est 1966. Tre giovani agenti del servizio segreto Mossad, Rachel, David e Stephan, vengono incaricati di catturare il criminale nazista Dieter Vogel, noto come “il chirurgo di Birkenau” e di farlo giungere in Israele per il processo. Ma qualcosa va storto e Rachel, per impedirne la fuga, è costretta a ucciderlo. Giustizia è fatta e per trent’anni i tre vengono celebrati come eroi, invitati a raccontare l’impresa in scuole e università. Tel Aviv 1997. La figlia di Rachel e Ste- B Art director: Dominic Masters Arredatore: John Bush Trucco: Csilla Horváth, Jan Sewell Supervisoie effetti speciali: Stuart Brisdon, Gabor Kiszelly Supervisori costumi: Charlotte Sewell, Zsuzsa Stenger Interpreti: Helen Mirren (Rachel Singer), Tom Wilkinson (Stephan Gold), Ciarán Hinds (David Peretz), Jessica Chastain (Rachel giovane), Marton Csokas (Stephan giovane), Sam Worthington (David giovane), Jesper Christensen (dottor Bernhardt), Romi Aboulafia (Sarah Gold), Tomer Ben David (marito di Sarah), Ohev Ben David (figlio di Sarah), Jonathan Uziel (agente Mossad), Eli Zohar (autista di Stephan), Irén Bordán (moderatore del seminario), Brigitte Kren (infermiera), Christian Strassner, Alexander Jagsch (guardie), Alexander E. Fennon (postino), István Betz (capotreno), András Szurdi (soldato), Melinda Korcsog (Sarah giovane), Kátya Tompos (receptionist), József Rácz (fidanzato di Kátya), István Göz (Yuri Tiov), Igor Vovk (ufficiale di Babenko), Morris Perry (Ivan Schevchuk), Erika Szórádi (infermiera di Babenko), Bálin Merán, Nitzan Sharron, Adar Beck Durata: 114’ Metri: 3120 phan, Sarah, presenta il libro di memorie che ha scritto sulla storia dei tre agenti dedicandolo a sua mamma presente in sala. Riavvolgendo i fili della memoria, Rachel inizia a ricordare quei tragici eventi del passato. Si torna alla Berlino Est degli ultimi mesi del 1965. Rachel conosce David e Stephan, i tre devono condividere un appartamento in vista di una delicata missione. Rachel è incaricata di ‘agganciare’ Vogel, ex criminale nazista che ora svolge la professione di gine- 21 cologo. La giovane donna comincia a frequentare lo studio medico sottoponendosi a diverse visite. Nel frattempo, pur attratta dall’introverso David, allaccia una relazione con Stephan. Un giorno durante una visita, Rachel immobilizza Vogel; poi, fingendo che il dottore ha avuto un malore, chiama un’ambulanza. Il mezzo è guidato da Stephan e David che rapiscono il medico. Ma il piano della cattura va storto e i tre sono costretti a tenere prigioniero Vogel nel loro appartamento sorveglian- Film dolo a turno. Ma la notte di Capodanno, Vogel sfugge al controllo di Rachel che è costretta a sparare. Il criminale nazista riesce comunque a scappare. Dopo un duro confronto carico di tensione, Stephan, David e Rachel decidono che la verità di cui il loro popolo ha bisogno è un’altra. Per trent’anni i tre agenti racconteranno al mondo l’impresa di aver eliminato il criminale nazista diventando veri eroi del loro popolo. Si torna al 1997. Anni di bugie hanno portato David, il più sensibile dei tre, al suicidio. Dopo la presentazione del libro della loro figlia, Stephan rivela a Rachel la tragica fine di David. Poi le confessa che Vogel è stato rintracciato in un ospedale in Ucraina a 150 chilometri da Kiev. Ora tocca a lei stanarlo e eliminarlo, chiudendo definitivamente i conti con trent’anni di menzogne saldando il debito con la propria coscienza e con il suo popolo. Rachel si reca in Ucraina nell’ospedale dove è ricoverato Vogel. Dopo aver visto l’anziano criminale, Rachel telefona a Stephan e racconta che l’uomo ricoverato in quell’ospedale non è Vogel. Al contrario di Stephan, convinto che la verità sia un lusso che non possono permettersi, Rachel vuole che la gente sappia come sono andate realmente le cose. Ma Vogel la sorprende e la ferisce. Dopo una colluttazione, Rachel riesce a colpire il criminale e si avvia zoppicando fuori dall’ospedale raccontando la verità. Tutti i film della stagione l dolore dello sterminio nazista, le profonde cicatrici inflitte a un popolo, un dramma collettivo rivissuto in una vicenda privata, costruita su toni che spaziano dal thriller di spionaggio al dramma di coscienza. John Madden (il regista del celebrato Shakespeare in Love) firma questo remake del film israeliano del 2007 Ha-Hov diretto da Hassaf Bernstein. Peccato, colpa, redenzione, il valore assoluto della verità, ragione di stato e ragioni del cuore, sono i perni su cui la storia. La sceneggiatura del film, firmata da Matthew Vaughn, Jane Goldman e Peter Straughan, non appare però perfettamente congegnata. Forse perché troppo preoccupata di spingere sul pedale del thriller, si perde tra le linee di una vicenda ricostruita attraverso lunghi flashback (che trascinano lo spettatore da una Berlino Est della guerra fredda, vista soprattutto dall’interno del claustrofobico e fatiscente appartamento – covo dei tre agenti del Mossad, a una solare Tel Aviv alla fine degli anni Novanta). Al centro della narrazione, anzi il suo punto migliore, il sofferto percorso del cuore di Rachel Singer, l’agente donna del terzetto, divisa tra l’amore per l’introverso David e la relazione con il più estroverso Stephan. Le sofferenze del cuore e dell’anima vanno di pari passo con quelle vissute sul corpo. La cicatrice sul suo volto, a distanza di trent’anni, ne è il simbolo evidente come sono ben chiare le ferite interiori di una vita fatta I di scelte sbagliate (un matrimonio infelice riscattato però una figlia amatissima, un grande amore soffocato troppo a lungo). Madden, regista di un cinema di attori, non si smentisce neanche questa volta, affidando il compito di raccontare la vicenda alla classe dei suoi interpreti, tutti e sei convincenti. Una menzione a parte merita Helen Mirren (la Rachel matura) la cui interpretazione supera di una spanna quella dei suoi colleghi. Buone comunque le prove dell’astro nascente Jessica Chastain (Rachel giovane) e di Tom Wilkinson (il maturo Stefan), mentre Sam Worthington (il giovane David), il muscoloso Perseo del kolossal Scontro tra titani divenuto star grazie all’Avatar cameroniano, svetta sul piano della prestanza fisica ma meno su quello dell’intensità emotiva. Nei panni del criminale nazista Vogel risulta indovinata la scelta del volto spigoloso dell’attore danese Jesper Christensen, già visto nei panni del ‘cattivo’ Signor White in 007 – Casino Royale e 007 – Quantum of Solace. Pur rischiando di cadere in un finale non perfettamente convincente che, anzi, risulta la parte più debole del film, Madden ne esce comunque bene riscattandosi con un incipit interessante. Quel “falso flashback” rivissuto dalla protagonista, procedimento che mette in discussione la sincerità contenuta quasi implicitamente nella forma visiva del ricordo fornendo allo spettatore resoconti perfettamente falsi, è una piccola ‘chicca’ che i palati più fini non mancheranno di apprezzare. Un procedimento spiazzante ed efficace, se pensiamo, un caso su tutti, all’uso che ne fece Bryan Singer nel sorprendente I soliti sospetti. Nell’economia del racconto di Il debito il “flashback menzognero” acquista uno spessore particolare, quasi un valore etico, se pensiamo alla riflessione sul valore assoluto della verità, tema centrale del film. L’ostentazione del falso ricordo si dimostra ancora una volta compatibile con le esigenze ideologiche ed espressive di un autore. Così ha fatto Madden con l’invenzione del passato che diventa vera “arma di sopravvivenza”, utile a sostenere il peso etico di una menzogna. La classe di un regista si fa notare anche per questo. Elena Bartoni 22 Film Tutti i film della stagione JOHNNY ENGLISH-LA RINASCITA (Johnny English Reborn) Gran Bretagna/Francia/Israele/Giappone, 2011 Regia: Oliver Parker Produzione: Tim Bevan, Chris Clark, Eric Fellner per Universal Pictures/Relativity Media/Studio Canal/Working Title Films Distribuzione: Universal Pictures Prima: (Roma 28-10-2011; Milano 28-10-2011) Soggetto: sequel del film Johnny English (2001) di Peter Howitt; personaggi di Robert Wade, Neal Purvis e William Davies Sceneggiatura: William Davies, Hamish McColl Direttore della fotografia: Danny Cohen Montaggio: Guy Bensley Musiche: Ilan Eshkeri Scenografia: Jim Clay Costumi: Beatrix Aruna Pasztor Produttori esecutivi: Rowan Atkinson, Liza Chasin, Will Davies, Debra Hayward Co-produttore: Ronaldo Vasconcellos Line producers: Raphaël Benoliel, Chiu Wah Lee Direttori di produzione: Nicky Earnshaw, Sasha Harris, Tim Wellspring Casting: Lucy Bevan Aiuti regista: Scott Bunce, James Chambers, Elle Crocker, Sekani Doram, Mark Hopkins, Ben Howarth, Andrew McEwan, Alex Oakley, Ben Quirk, Greg Tynan, Tracey Warren, Harriet Worth, Cindy Yu Operatori: Jason Berman (Phantom), Damian Daniel, Zac Nicholson, Luke Redgrave, Ben Wilson opo cinque anni di vita eremita in Tibet per nascondersi in seguito al fiasco di una missione in Mozambico di otto anni prima e dove si sottopone a un “duro” addestramento, l’agente Johnny English viene convocato a Londra per un nuovo incarico. L’organizzazione per cui lavora, la MI7, ora è diretta da Pamela Head, nota come “Pegasus”, che dissuade l’agente dall’agire con i suoi vecchi metodi. English torna a lavorare con alcuni suoi colleghi come l’agente Ambrose, noto come Agente Uno, e con Patch Quartermain, esperto di armi e bloccato su una sedia a rotelle. Johnny è folgorato dalla nuova entrata nella squadra, la psicologa comportamentista Kate Sumner. La missione è delicata: English deve recarsi a Hong-Kong e incontrare l’ex agente CIA Fisher che è a conoscenza di un complotto per assassinare il Premier cinese Xiang Ping nel corso dell’imminente vertice anglo-cinese. Lo affiancherà il giovane agente Tucker. A Hong-Kong, Johnny scopre che dietro al complotto c’è la misteriosa organizzazione Vortex che possiede un’arma segreta. Dopo aver mostrato a English una chiave che, se usata insieme ad altre due, consente l’accesso alla potente arma, Fisher spiega che i membri del gruppo sono tre D Operatore Steadicam: Zac Nicholson Art directors: Paul Laugier, Mike Stallion Arredatore: Caroline Smith Trucco: Csilla Horváth, Sallie Jaye, Pippa Woods Acconciature: Sallie Jaye Supervisori effetti speciali: James Davis III, Mark Holt Supervisore effetti visivi: Robert Duncan Coordinatore effetti visivi: Akhila Namboodiri Supervisore musiche: Nick Angel Interpreti: Rowan Atkinson (Johnny English), Pierce Brosnan (Ambrose), Gillian Anderson (agente Pamela Head), Dominic West (Ambrose), Burn Gorman (Slater), Ben Miller (Bough), Mark Ivanir (Karlenko), Togo Igawa (Ting Wang), Christina Chong (Barbara), Joséphine de La Baume (Madeleine), Chris Jarman (Michael Tembe), Mandi Sidhu (addetta alla reception), Daniel Kaluuya (agente Tucker), Rosamund Pike (Kate),, Tim McInnerny (Quartermain), Williams Belle (Ling), Rupert Vansittart (Derek), Emma Vansittart (Margaret), Wale Ojo (Presidente Chambal), Burn Gorman (Slater), Isabella Blake-Thomas (Izzie), Janet Whiteside (madre di Pamela), Mark Ivanir (Karlenko), Gary Kane (Matov), Stephen Campbell Moore (Primo ministro), Lobo Chan (Xiang Ping), Benedict Wong (Chi Han Ly) Durata: 101’ Metri: 2800 e che lui è uno di essi. English scopre che il Vortex è il vero responsabile della morte del Presidente Chambal in Mozambico. Subito dopo, Fisher viene ucciso da una cameriera. English e Tucker inseguono la donna che riesce a fuggire. Il complice della cameriera, Ling, ruba la chiave dal cadavere di Fisher. English insegue Ling e riprende la chiave. A Londra, English fa rapporto a Pegasus e quando sta per consegnare la chiave scopre che gli è stata rubata. English viene mandato alla ricerca di tutti i membri del Vortex. In cerca della cameriera assassina, Johnny la confonde con la madre di Pegasus e si avventa su di lei. Umiliato, English incontra la dottoressa Sumner che lo invita ad andare in analisi. Nel suo ufficio, Kate lo aiuta a ricordare chi fosse il secondo membro del Vortex. Si tratta di Karlenko. Detto fatto, English piomba nella lussuosa dimora di Karlenko e tenta di estorcergli informazioni. Ma anche Karlenko viene colpito dalla cameriera assassina. In ospedale Karlenko consegna a Johnny la seconda chiave e gli rivela che il terzo membro del Vortex è un uomo dell’MI7; subito dopo muore. Data la minaccia del Vortex, la conferenza anglo-cinese viene spostata in Svizzera in una fortezza tra le Alpi. English va a cena con l’agente Am- 23 brose e gli rivela che il terzo membro del Vortex è uno dell’MI7. Durante la cena, il suo aiutante Tucker conduce Johnny in bagno e gli rivela che Ambrose è la talpa interna all’MI7. Ma English non gli crede e lo dimette dall’incarico. Ambrose lo convince che Quartermain è la vera talpa; alla fine della cena English consegna ad Ambrose la chiave. Non capendo che sta per cadere in trappola, English segue Quartermain in una chiesa. Rischiando di essere ucciso, Johnny scappa utilizzando la sedia a rotelle motorizzata di Quartermain e finisce a casa di Kate. La psicologa trova dei filmati in una videocamera di sorveglianza in Mozambico che provano l’innocenza di English. Nel frattempo Ambrose, in possesso di tutte e tre le chiavi, prende una pericolosa sostanza in una cassetta di sicurezza e incontra un uomo d’affari asiatico che paga 500 milioni di dollari affinché il Premier cinese venga assassinato. English finalmente capisce chi è il vero cattivo e convince Tucker ad aiutarlo nella missione a Le Bastion in Svizzera dove si tiene il vertice anglo-cinese. Nel maldestro tentativo di entrare nella fortezza, Johnny e Tucker vengono catturati dalla sorveglianza. Fingendosi morto, Johnny riesce a entrare nell’edificio. English cerca di arrestare Ambrose Film ma per sbaglio beve la bevanda in grado di impadronirsi della mente preparata per Pegasus e diventa una pedina nelle mani di Ambrose che gli vuole far uccidere il Premier cinese. English cerca di non uccidere Xiang Ping, finché Tucker riesce a smascherare Ambrose trasmettendo con l’altoparlante le sue istruzioni. Ambrose scappa, mentre, grazie a un bacio “miracoloso” di Kate, Johnny torna in sé. Dopo aver inseguito Ambrose su una funivia, English riesce a farla esplodere. Missione compiuta. English si trova a Buckingham Palace per essere investito cavaliere dalla regina, ma, proprio mentre si inchina davanti al trono, viene quasi decapitato dalla cameriera assassina che si è travestita da regina. English la insegue per i corridoi e la attacca alle spalle ma, quando gira la testa, si accorge che l’assassina è fuggita di nuovo e che lui ha colpito a mazzate sulla testa nientemeno che Sua Maestà! ttenzione! L’agente segreto più maldestro del mondo è tornato. Ed è più “infallibile” che mai! La rinascita infinita dei “cloni pasticcioni” del più famoso agente segreto 007 questa volta passa per l’inconfondibile talento comico di Rowan Atkinson che torna a vestire i panni dell’agente Johnny English, otto anni dopo il fortunato primo film. E le cose acquistano subito un sapore particolare. Ma va detto subito che Johnny English – La rinascita, più che una semplice parodia bondiana, è un thriller comico vero A Tutti i film della stagione e proprio. Si, perché, questa volta, si è fatto “sul serio” (virgolette d’obbligo), ricreando un’avventura dal contesto più reale, insomma, a detta dei realizzatori, una storia più strutturata dove non avrebbe sfigurato il vero James Bond. L’attore comico Hamish McColl, che aveva già collaborato con Atkinson per Mr. Bean’s Holiday, ha scritto la sceneggiatura basandosi su una storia del produttore esecutivo William Davies. La posta in gioco questa volta è davvero alta per il povero Johnny come per un serio agente segreto, la ragnatela in cui si trova “legato” (nel vero senso della parola) infatti comprende CIA, KGB e persino la ‘sua’ MI7. Naturalmente si è giocato sul velluto, sfruttando le eccezionali doti di Atkinson, prima su tutte la sua ineguagliabile mimica facciale (vedere per ridere: i tic nervosi che fanno “impazzire” i suoi occhi al suono della parola “Mozambico”, o la vocina femminea che gli esce dopo aver inghiottito per sbaglio una delle magiche pastiglie da viaggio “cambia-voce”). E così via, tra inseguimenti a perdifiato (senza perdere troppo fiato in realtà) sui tetti di Hong-Kong, partite a golf con temibili spie russe, voli in elicottero ad ‘altezza autostrada’, inseguimenti a bordo di Rolls Royce a comando vocale, l’inglesissimo agente segreto ne combina, tanto per cambiare, di tutti i colori. Ad affiancarlo questa volta una squadra di attori di primo livello: Gillian Anderson (la star di X-Files) nei panni del capo “Pegasus”, Rosamunde Pike (apparsa tra l’altro in La versione di Barney) in quelli di una bella psicologa di cui l’agente si innamora, Dominic West nel ruolo dell’affascinante Agente Uno e Daniel Kaluuya nei panni del fido agente in erba Tucker. Dietro la macchina da presa l’inglese Oliver Parker, regista che finora si è fatto notare per la capacità di passare da adattamenti di Oscar Wilde lievi ed eleganti (Un marito ideale, L’importanza di chiamarsi Ernesto) a divertenti commedie tratte da vignette satiriche (come St. Trinian’s e il sequel St. Trinian’s 2: The Legend of Fritton’s Gold ) per tornare ancora a Wilde nel 2009 con un originale quanto ardito adattamento di Dorian Gray con Ben Barnes e Colin Firth. Da Hong-Kong alle Alpi, da Londra a Macao, il temibile agente corre (si fa per dire) senza stropicciarsi troppo l’abito, saltella (e lo fa dentro a sacchi per cadaveri!), si nasconde (ma poi spara razzi segnaletici), ammicca e ... si mette perfino il rossetto! La palma delle sequenze più divertenti va alla corsa con la sedia a rotelle motorizzata (dotata del comando “fottutamente veloce”) per l’immenso viale davanti a Buckingham Palace. Per tutti coloro che amano e hanno amato Mr. Bean, ma anche per chi vuole farsi due “sane” risate. Un consiglio: non perdete d’occhio quella spietata killer cinese armata di aspirapolvere e mazze da golf. Elena Bartoni LA PELLE CHE ABITO (La piel que habito) Spagna, 2011 Regia: Pedro Almodóvar Produzione: Agustín Almodóvar, Esther García per Canal+ España/El Deseo S.A./Instituto de Crédito Oficial (ICO)/Televisión Española (TVE) Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 23-9-2011; Milano 23-9-2011) – V.M.: 14 Soggetto: tratto dal romanzo Tarantola di Thierry Jonquet Sceneggiatura: Pedro Almodóvar, Agustín Almodóvar Direttore della fotografia: José Luis Alcaine Montaggio: José Salcedo Musiche: Alberto Iglesias Scenografia: Antxón Gómez Costumi: Paco Delgado Produttore associato: Bárbara Peiró Aso Direttori di produzione: Sergio Díaz, Toni Novella Casting: Luis San Narciso Aiuti regista: Manuel Calvo, David Esquivel, Eva Sánchez Operatore Steadicam: Ramón Sánchez Art director: Carlos Bodelón Effetti speciali trucco: Tamar Aviv, David Martí, Montse Ribé Trucco: Silvie Imbert, Chass Llach, Karmele Soler Acconciature: Manolo Carretero Supervisore effetti speciali: Reyes Abades Suono: Iván Marín Interpreti: Antonio Banderas (Robert Ledgard), Elena Anaya ( Vera), Marisa Paredes (Marilia ), Jan Cornet (Vicente ), Roberto Álamo ( Zeca ), Eduard Fernández ( Fulgencio), Blanca Suárez ( Norma ), Susi Sánchez (madre di Vicente), Bárbara Lennie (Cristina), Fernando Cayo (medico), José Luis Gómez ( presidente dell’Istituto di Biotecnologia), Ana Mena (Norma), Buika (cantante), Violaine Estérez (collega del dottor Ledgard), Teresa Manresa (Casilda ), Isabel Blanco Durata: 120’ Metri: 3300 24 Film oledo, 2012. Robert Ledgard è un chirurgo plastico che ha perso la moglie e la figlia, entrambe suicide. La prima è rimasta carbonizzata a seguito di un incidente stradale e poi si è gettata dal balcone dopo aver visto allo specchio il suo volto deturpato. La seconda, invece, che ha assistito alla morte della madre, ha scelto di fare la sua stessa fine, per liberarsi da un altro trauma: lo stupro. Ledgard, da quando è venuta a mancare la moglie, si è dedicato alla sperimentazione della pelle artificiale (che ha chiamato proprio come la donna “Gal”). La sua scoperta, avvenuta grazie al processo della transgenesi, non viene vista però di buon occhio dalla comunità medica, che la ritiene illegale. Malgrado questo, lui continua le sue ricerche. Da 6 anni il dottore tiene reclusa in una stanza una giovane donna di nome Vera. La ragazza, che ha una tuta color carne che le copre tutto il corpo, vive segregata praticando yoga e leggendo libri. È controllata dalle telecamere e non ha contatti con l’esterno, se non tramite citofono: grazie a questo, esaudisce ogni sua richiesta (il cibo le viene portato con il passa vivande). Un giorno, la domestica Marilla riceve la visita a sorpresa del figlio Seca: quest’ultimo ha rapinato una banca e ha bisogno di nascondersi. La madre, che vuole mandarlo via, arriva a minacciarlo con la pistola quando il ragazzo si accorge della presenza di Vera. A quel punto, si introduce nella stanza della donna e la costringe ad avere un rapporto sessuale. Quando Robert ritorna a casa, lo uccide. Marilla confessa a Vera che Seca è il fratellastro di Robert. E che quest’ultimo, che è dunque anche figlio suo, non gli ha mai perdonato di avergli rubato la moglie. Sei anni prima. La figlia di Ledgard, Norma, viene violentata durante una festa da un ragazzo, Vicente, che realizza abiti nella bottega di famiglia. La ragazza viene messa in una clinica psichiatrica, e poco tempo dopo, si getta dalla finestra. Robert intanto sequestra Vicente rinchiudendolo in uno scantinato. Grazie a vari interventi di chirurgia plastica, lo trasforma in una donna di nome Vera. Oggi. Vera Cruz è legata sentimentalmente a Robert. Dopo aver fatto sesso con lui, si vendica uccidendolo con un colpo di pistola, e subito dopo, fa fuori anche Marilla. Scappa dalla casa e si presenta al negozio della madre per raccontarle la verità. T P Tutti i film della stagione l’identità e arrivando a fabbricare dei “mostri”? La risposta è sì, se all’origine c’è un amore malato. La riflessione sulla transgenesi, vista come frontiera alternativa della scienza, è senz’altro interessante nei termini in cui è posta da Almodóvar, nonostante tutte le riserve della bioetica: il chirurgo stesso si chiede perché non utilizzarla sull’uomo (si potrebbero evitare molte malformazioni genetiche), quando si usa già per la carne, i vegetali e la frutta? Il problema è che nel caso di La pelle che abito, la controversa questione medica ha come matrice una vera e propria ossessione, quella cioè di volere a tutti i costi duplicare un individuo che non c’è più. Il professore Ledgard, che abita in una sorta di Xanadu wellesiana chiamata “El Cigarral”, con tanto di laboratorio al suo interno (una gabbia di vetro incastonata nella pietra), fa esperimenti sul sangue estratto da mammiferi ancora vivi nel tentativo di trovare la pelle più adatta da innestare nel corpo di un ragazzo. Tutto questo allo scopo di far “rivivere”, prima la moglie e poi la figlia. Detta così appare come una storia allucinante. In effetti, siamo di fronte a un film disturbante ed estremo, probabilmente il più radicale della filmografia di Almodóvar. Il regista spagnolo, ancora una volta, torna a confrontarsi con la morte e con i luoghi asettici, come gli ospedali e le sale operatorie, e ancora con i bisturi, i camici verdi e il sangue (vedi Parla con lei), attraverso una cura dei dettagli che sfiora la morbosità. Banderas riesce a dare forma tangibile all’ossessione che lo abita, muovendosi tra ambiguità e limpida freddezza, fragilità e ferocia. Il personaggio vive in una uò la medicina avere la facoltà illimitata di agire sul corpo umano mutandone completamente 25 casa piena di quadri che ritraggono nudi femminili e di monitor (compreso un megaschermo in camera), da cui osserva la sua cavia. La follia lo rende simile a un mostro, almeno quanto lo è Vera: quando lei gli chiede se è pronta per convivere col mondo, lui risponde: «Noi non siamo come gli altri». Colpi di scena da puro frequentatore del melodramma classico americano qual è l’autore, risvolti psicanalitici (la figlia del medico rifiuta di vedere il padre perché lo identifica con lo stupratore), inserti coloriti e grotteschi tipici del suo stile (il fratellastro ladro travestito da tigre!), infine, sottese rivendicazioni sulla mescolanza dei generi sessuali e il transgenderismo compongono un’opera estremamente complessa, ambiziosa e non del tutto riuscita. La virata temporale, a metà circa del racconto, lascia un po’ interdetti: un sogno del medico ci catapulta indietro di sei anni, aprendo, di fatto, un subplot dai contorni piuttosto opachi, che lo spettatore è costretto a rimettere a posto come se si trovasse davanti ai tasselli di un mosaico andato in mille pezzi. Se la fotografia, davvero notevole e gli impeccabili particolari scenografici (basta guardare l’arredamento della villa-clinica) possono sembrare di maniera, alla fine, il film trova comunque un parziale riscatto grazie alla “materia prima” del cinema di Almodóvar: le donne. E parliamo dei volti di Elena Anaya, che in alcune espressioni ricorda moltissimo Penelope Cruz, e della sublime Marisa Paredes, nella sua più intensa interpretazione dai tempi di Tutto su mia madre. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione CAPTAIN AMERICA-IL PRIMO VENDICATORE (The First Avenger: Captain America) Stati Uniti, 2011 Regia: Joe Johnston Produzione: Kevin Feige, Amir Madani, Dan Masciarelli per Marvel Enterprises/Marvel Entertainment/Marvel Studios Distribuzione: Universal Pictures Prima:(Roma 22-7-2011; Milano 22-7-2011) Soggetto: personaggi dei fumetti creati da Jack Kirby e Joe Simon Sceneggiatura: Stephen McFeely, Christopher Markus, Joss Whedon Direttore della fotografia: Shelly Johnson Montaggio: Robert Dalva, Jeffrey Ford Musiche: Alan Silvestri Scenografia: Rick Heinrichs Costumi: Anna B. Sheppard Produttori esecutivi: Louis D’Esposito, Alan Fine , Nigel Gostelow, Joe Johnston, Stan Lee, David Maisel Produttori associati: Mitchell Bell, Richard Whelan Co-produttori: Victoria Alonso, Stephen Broussard Direttori di produzione: Sam Breckman, Stratton Leopold, Suzie F. Wiesmann Casting: Sarah Finn, Randi Hiller, Priscilla John Aiuto regista: Laurie Deuters, Clare Glass, Alexandra Jordan, Eddie Micallef, Carolyn Milner, Douglas Plasse, Samar Pollitt, Nanw Rowlands, Glen Trotiner, Greg Tynan, Richard Whelan Operatori: Pete Cavaciuti, Kent Harvey, Jean-Baptiste Jay, David Knox, Jeff Muhlstock, George Peters, Henry Tirl, Des Whelan, Tim Wooster Operatori Steadicam: Pete Cavaciuti, Jeff Muhlstock, Henry Tirl Supervisori art directors: John Dexter, Chris Lowe, Andy Nicholson Art directors: Dean Clegg, Phil Harvey, Paul Kirby, Jason KnoxJohnston, Phil Sims Arredatore: John Bush Supervisore trucco e acconciature: Julia Vernon Trucco: Helen Barrett, Paul Boyce, Anita Brabec, Karen Cohen, Ann Fenton, Belinda Green-Smith, Sarah Grispo, Carmel Jackson, Olivia Jones, Sarah Jane Marks, Maralyn Sherman, Brian Waltsak Effetti speciali trucco: Jon Moore, Josh Weston Acconciature: Karen Cohen, Julie Dartnell, Cheryl Eckert, Ann Fenton, Linda D. Flowers, Belinda Green-Smith, Sarah el 1941 il mondo è lacerato dalla seconda guerra mondiale. Il giovane Steve Rogers, gracile e asmatico, cerca più volte senza successo di arruolarsi nell’esercito statunitense ma viene ripetutamente riformato. La sua determinazione viene notata dal dottor Abraham Erskine che lo fa entrare a far parte di un programma sperimentale, il Progetto Rebirth, che lo dovrebbe trasformare in un super-soldato. Arruolato nella Riserva Scientifica Strategica per cui lavora anche l’affascinante Peggy Carter, Steve viene sottoposto a un trattamento che, attraverso un siero speciale, lo trasforma in un ragazzo dal fisico N Grispo, Sarah Jane Marks, Maralyn Sherman, Nadia Stacey Supervisori effetti visivi: Craig Barron (Matte World Digital), Vincent Cirelli (Luma Pictures), Sean Andrew Faden (Method), Florian Gellinger (RISE Visual Effects Studios), Jonathan Harb (Whiskytree), Richard Higham (The Senate VFX), Dave Morley (Fuel VFX), Charlie Noble (Double Negative), Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), Edson Williams (Lola Visual Effects), Christopher Townsend Coordinatori effetti visivi: Samantha Tracey, Emily Pearce (Double Negative), Jon Keene (Framestore), Michael Perdew, Katie Godwin (Luma Pictures), Max Leonard, Miles Friedman (Lola VFX), Nicholas Elwell (Hydraulx), Beverly Abbott, Amie Cox, Rachel Faith Hanson, Erin Eunsung Kim, Matthew Lloyd, Natalie Lovatt, Lisa Marra, Ruheene Masand, Lucie Ostrer Supervisori musiche: John Donovan, Dave Jordan Supervisore costumi: Ken Crouch Supervisore effetti digitali: Justin Johnson Supervisori animazione: Simone Kraus (Trixter Film), Pimentel A. Raphael Suono: Christopher T. Silverman Interpreti: Chris Evans (Captain America/Steve Rogers), Hayley Atwell ( Peggy Carter ), Sebastian Stan ( James ‘Bucky’ Barnes), Tommy Lee Jones (colonnello Chester Phillips), Hugo Weaving (Johann Schmidt /Teschio Rosso), Dominic Cooper (Howard Stark), Richard Armitage (Heinz Kruger), Stanley Tucci (dottor Abraham Erskine), Samuel L. Jackson (Nick Fury), Toby Jones (dottor Arnim Zola), Neal McDonough (Timothy ‘Dum Dum’ Dugan), Derek Luke (Gabe Jones), Kenneth Choi (Jim Morita), JJ Feild (James Montgomery Falsworth), Bruno Ricci ( Jacques Dernier), Lex Shrapnel ( Gilmore Hodge), Michael Brandon ( senatore Brandt ) Martin Sherman ( assistente di Brandt ), Natalie Dormer ( Lorraine ), Marek Oravec ( Jan ), David Bradley (guardiano della torre), Leander Deeny (Steve Rogers Double/Barman), Sam Hoare (recluta), Kieran O’Connor (Loud Jerk), Jenna-Louise Coleman (Connie), Sophie Colquhoun (Bonnie), Simon Kunz, Oscar Pearce, William Hope, Nicholas Pinnock Durata:125’ Metri:3430 possente. Ma nel gruppo di lavoro c’è una spia nazista infiltrata che apre il fuoco e uccide il dottor Erskine. Lanciatosi all’inseguimento, Steve uccide la spia. A causa della morte dell’inventore del siero, Steve resta l’esemplare unico di super-soldato. Intanto, la malvagia organizzazione Hydra, divisione di scienze avanzate capitanata da Johann Schmidt, sta assemblando un arsenale per annientare gli Stati Uniti. Schmidt, entrato in possesso di un prototipo del siero prima che Steve ricevesse l’iniezione per il potenziamento fisico, si trasforma nel mostruoso Teschio Rosso. Ormai Hydra non può più crescere all’ombra di Hit26 ler. Intanto la fama di Steve Rogers aumenta. Su tutti i giornali per il suo gesto eroico, il giovane riceve l’offerta di servire il suo paese sul campo di battaglia più importante. In breve Steve viene trasformato dai mass media in eroe nazionale: è il protagonista di spot pubblicitari e spettacoli in cui pronuncia forti proclami dell’esercito statunitense contro il nemico nazista. Preoccupato per le sorti del suo amico, il sergente Bucky Barnes, Steve si reca in Austria in cerca della divisione di cui faceva parte e lo salva insieme ad altri quattrocento uomini. Tornato trionfatore, Steve può arruolare la sua squadra che risponde ai Film comandi del Colonnello Chester Phillips e in cui milita anche Peggy Carter. Steve diventa Captain America e si arma di uno scudo costruito con il vibranio, un materiale in grado di assorbire anche forti vibrazioni. Intanto Hydra perfeziona le sue armi con l’aiuto di Arnim Zola uno scienziato collaborazionista dei nazisti. Durante uno scontro con un mostro armato da Hydra, Bucky Barnes perde la vita: sentendosi responsabile, Steve giura di distruggere l’Hydra. L’ultima base segnalata dell’organizzazione criminale è sulle Alpi. La lotta con Teschio Rosso, terrificante nemesi di Johann Schmidt, è durissima; Captain America ha la meglio. Ma l’emergenza non è finita, perché Hydra ha lanciato un aereo pronto a distruggere l’intera città di New York. Steve si immola dirottando il velivolo in extremis. Tutti pensano che Captain America sia morto per salvare la sua patria, mentre Peggy lo attende invano a un appuntamento. Ma Steve si risveglia circa settant’anni dopo, è felice di essere vivo ma dispiaciuto per aver mancato l’appuntamento con la sua bella. U Un eroe buono e buonista. Captain America è certamente, tra i tanti supereroi nati dai fumetti, un personaggio sui generis. Un eroe ‘rosso, bianco e blu’ innanzitutto, contraddistinto dai colori della bandiera nazionale che trionfano sul suo particolarissimo scudo in vibranio. Un supereroe che non ha poteri particolari, come altri famosi colleghi, tranne appunto la sua arma. È un super buono perché la caratteristica del magico siero che gli è stato iniettato è quella di amplificare ogni attributo fisico e psichico di una persona. Interessante trovata che proietta diritto al tema dell’identità, qualcosa di molto problematico da sempre per ogni supereroe che si rispetti. Come per altri suoi colleghi (Superman - Clark Kent, Peter Parker - Spiderman) è lecito chiedersi se Steve e Captain America siano la stessa persona. Chi è tra i due quello vero? Come Jerry Siegel, il creatore di Superman, disse che Clark Kent era una rappresentazione di sé, confessando che il suo supereroe sarebbe stato la sua ‘potenzialità’, così si potrebbe dire di Captain America. Di più. La sua forza è quella repressa del ragazzo gracile e asmatico ma anche quella, scatenata, della sua fantasia e quindi fortemente desiderata. Tutti i film della stagione La copertina del primo numero di “Captain America Comics” uscito nel marzo 1941, otto mesi prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, la dice lunga: mostrava l’eroe dare un pugno sulla mascella di Adolf Hitler. Vendette quasi un milione di copie ma fu anche aspramente criticato. I creatori Joe Simon e Jack Kirby pubblicarono il fumetto per la Timely Comics poi divenuta Marvel. Il vendicatore armato di scudo a stelle e strisce nacque come elemento di propaganda durante la seconda guerra mondiale rappresentando un’America libera e democratica che combatteva contro un’Europa imperialista. Dopo aver perduto la sua popolarità negli anni successivi alla guerra, il personaggio fu ripreso nel 1963 nella serie “The Avengers” e inserito in un super gruppo formato dai quattro personaggi più amati dell’universo Marvel: Iron Man, Thor, Hulk (tutti creati negli anni ’60) e appunto Captain America (cui spetta di diritto il titolo di “Primo Vendicatore”). Le avventure di celluloide del nostro eroe si inseriscono in una stagione cinematografica particolarmente affollata di supereroi dei fumetti: Thor, Lanterna verde, X-men – L’inizio e ora lui, Captain America. Sulle prime sarebbe tentati di non trovargli posto. Ma guardiamolo meglio. A dirigere l’ennesimo fumettone superoistico è Joe Johnston che, dopo l’esordio come designer e direttore artistico degli effetti visivi per due episodi di Guerre stellari e per due capitoli di Indiana Jones, ha debuttato come regista in Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi firmando in seguito piccoli ‘cult’ come The Rocketeer (tratto anch’esso da un fumetto) ma anche i più deludenti Jumanji, Jurassic Park III, Hidalgo – Oceano di fuoco, Wolfman. Ora cerca il rilancio nella ‘serie A’ dei registi. Il cast lo ha aiutato, il protagonista Chris Evans (già ‘Torcia Umana’ ne I Fantastici Quattro e ne I Fantastici Quattro e Silver Surfer) si è rivelato scelta felice, ben supportato dalla bella Hayley Atwell e dal ‘duro’ Tommy Lee Jones. Una menzione particolare va al ‘cattivo’ Hugo Weaving (che già aveva convinto recitando dietro una maschera in V per vendetta) ‘Teschio Rosso’ dalla faccia scarnificata. Cameo per Stanley Tucci nei panni dello scienziato inventore del siero. Punto a sfavore, il solito 3-D, un effetto praticamente inesistente che ha dato la possibilità agli spettatori delle sale di ve- 27 dere il film con o senza l’uso degli abusati occhialini. Buone però sono le ambientazioni, la fotografia e i costumi in pieno stile anni ’40 ( epoca definita dal regista “cinematograficamente come una scatola di giocattoli”) . La prima parte, dove a dominare è proprio l’estetica anni ’40 con i ragazzi in uniforme chiamati a combattere i nemico nazista, la propaganda urlata a mezzi stampa e radiofonici, le signorine con i capelli sempre a posto e le bocche colorate di rosso vermiglio, è la parte cinematograficamente più riuscita. Certo, il finale gioca facile promettendo un sequel e legami con gli altri film tratti dall’universo Marvel. Già nel 2012, Captain America farà parte del super-gruppo dell’annunciato The Avengers. Ma è anche vero che oggi l’America ha più che mai bisogno di tenere in vita i suoi supereroi. Eroe buonista dicevamo, come l’immagine degli Stati Uniti nell’epoca Obama. Un personaggio “proiezione di un’idea nazionale” (parole del regista) nell’America di ieri come in quella di oggi. Se poi ci si solleva un po’ più in alto, si trova qualcosa di interessante. Ciò che rende Captain America diverso dagli altri suoi colleghi è il messaggio di fondo che il regista, nonostante tutto, riesce a tenere in vita. Questi eroi di cartone dall’identità problematica ingaggiano una lotta per la propria integrazione nel mondo. Ma è la nostra lotta. Il fumetto di supereroi è un genere “di passaggio” verso l’età adulta (si leggono solo fino a una certa età, poi si diventa collezionisti o nostalgici): “passare attraverso” i supereroi significa compiere “il viaggio del diventare grandi” anche rendendosi conto che il nostro talento non è nient’altro che la nostra personalità. Captain America deve combattere contro il Male assoluto, la follia nazista, senza poteri particolari venuti da chissà quali pianeti ma usando la sua stessa arma ribaltandone la logica (la sua potenza fisica che altro non è che la traduzione dell’ideale del superuomo). Ma il bello è che, sotto il suo fisico possente e sotto quell’invincibile scudo, resta vivo il ragazzino fragile, ingenuo e testardo. Il suo talento è proprio la sua personalità. E questo gli vale, anche sul grande schermo, un punto in più rispetto agli altri colleghi di cartone. Nonostante i suoi settant’anni suonati. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione LE AVVENTURE DI TINTIN: IL SEGRETO DELL’UNICORNO (The Adventures of Tintin: The Secret of the Unicorn) Stati Uniti/Nuova Zelanda/Belgio, 2011 Regia: Steven Spielberg Produzione: Peter Jackson Kathleen Kennedy, Steven Spielberg per Columbia Pictures/Paramount Pictures/Amblin Entertainment/WingNut Films/The Kennedy-Marshall Company/ Hemisphere Media Capital/Nickelodeon Movies Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 28-10-2011; Milano 28-10-2011) Soggetto: tratto dai fumetti Le avventure di Tintin. Il segreto del liocorno e Le avventure di Tintin. Il tesoro di Rakam il Rosso di Hergé Sceneggiatura: Steven Moffat, Edgar Wright, Joe Cornish Direttore della fotografia: Janusz Kaminski Montaggio: Michael Kahn Musiche: John Williams Costumi: Lesley Burkes-Harding Produttori esecutivi: Ken Kamins, Nick Rodwell, Stephane Sperry Produttore associato: Adam Somner Co-produttore: Jason D. McGatlin Direttori di produzione: Georgia Kacandes, Frank Macfarlane, Brigitte Yorke Casting: Scot Boland, Victoria Burrows, Jina Jay Aiuti regista: Jenny Nolan, Adam Somner, Ian Stone Art director: Jeff Wisniewski Supervisore art director: Andrew L. Jones Trucco: Michele Perry, Tegan Taylor Supervisori effetti visivi: Matthias Menz, Keith Miller, Scott E. Anderson, Joe Letteri, Matt Aitken (Weta Digital) Coordinatori effetti visivi: Paul Marcus Wong, Stephen Nixon (Weta Digital) in Tin, giovane reporter d’assalto e disponibile a ogni avventura, trova in un mercato delle pulci il modellino dell’Unicorno, una nave del 1600 che sembrerebbe fare gola a molti. Si presenta subito, infatti, la bieca figura di Sakharine che inizialmente tenta di comprare il modellino e poi lo fa rubare in casa di Tin Tin dai suoi sicari. Un pezzetto dell’albero maestro della nave caduto in casa svela però al giovane l’esistenza di una piccola pergamena contenente delle indicazioni che potrebbero portare a un tesoro; mancano però altri pezzi del rompicapo che sono contenuti in altri due modellini alla cui ricerca Tin Tin si lancia immediatamente con l’aiuto del comandante di un cargo, il capitano Haddock, grande amante del wisky e l’intelligente cagnolino Milou. Naturalmente non sono i soli sulle tracce delle pergamenne perchè i cattivi di Sahkarine sono bene addestrati e in più aiutati da un falco capace di rubare al volo mappe e pergamene di ogni tipo. In realtà, il capitano Haddock e Sahkarine sono i discendenti dei due nemici che si sono affrontati trecento anni prima per il T Supervisore effetti digitali: Kevin Andrew Smith Supervisore costumi: Anthony Almaraz Animazione personaggi: Jacob Luamanuvae, Toby Haruno (Weta Digital), Barth Maunoury Animazione: Makoto Koyama, Marcus Alqueres, Graham Binding, Jonathan Paquin, Ignacio B. Peña, Mark Pullyblank, Jance Rubinchik, Jalil Sadool, Nick Fredin, Elizabeth Gray, Brad Lincoln, Chris Tost (Weta Digital), Alberto Abril, Michael Aerni, Andrew Calder, David Lam, Robyn Luckham, Chad Moffitt, Mark Stanger, Lindsay Thompson, Aaron Barlow, Moragot Bodharamik, Leggiero Carmelo, Eddie Chew, Julia Jooyeon Chung, Mike Clark, Gérald Clévy, Tom Del Campo, Jeffrey Engel, Anneka Fris, Daniel Gerhardt, Aaron Gilman, Martin Haughey, Danny Keller, Tim Kings-Lynne, Sandra Lin, Morgan Loomis, Sarath Madhavan, Jason Malinowsky, Anthony McIndoe, Adrian Millington, Vidya Raman, Carsten Seller, Jarom Sidwell, Rini Sugianto, Philip To, Sebastian Trujillo, Roland Vallet, Matt Weaver, Simon Westlake, Clare Williams, Daniel Zettl Interpreti: Jamie Bell (Tintin), Andy Serkis (capitano Haddock), Daniel Craig (Ivan Ivanovitch Sakharine), Nick Frost (Thomson), Simon Pegg (ispettore Thompson), Mackenzie Crook (Tom), Toby Jones (Silk), Daniel Mays (Allan), Gad Elmaleh (Ben Salaad), Joe Starr (Barnaby), Cary Elwes (pilota), Tony Curran (tenente Delcourt), Sebastian Roché (Pedro), Sonje Fortag (sig.ra Finch), Kim Stengel (Bianca Castafiore), Enn Reitel (sig. Cabtree) Durata: 107’ Metri:2930 possesso del tesoro nascosto nella stiva dell’Unicorno e che ora ripropongono gli stessi duelli per raggiungere lo stesso obiettivo. Dalle dune del Sahara agli oceani infestati di squali, sotto i colpi di aerei e armi di ogni genere i nostri eroi arrivano in un’antica villa di periferia, il castello di Moulinsart, la casa dove Haddock abitava da bambino: il tesoro trovato sembrerebbe scarno, una piccola parte di ciò che dovrebbe essere. È senz’altro lo spunto per tutti di pensare al seguito di un’altra avventura. interesse di Spielberg nacque nel 1981, quando, a Parigi, per la promozione del suo primo India na Jones fu spinto a comprare i giornalini di Tin Tin da un critico che accostava il suo film a quei fumetti. Passarono anni di scambi epistolari tra il regista americano e l’autore, George Remi, conosciuto per lo più con il nome di Hergé, senza che il grande incontro tra i due riuscisse a concretizzarsi; Hergè morì poi improvvisamente e Spielberg proseguì la sua strada trionfale L’ 28 di avventure e successi. Naturalmente, come spesso avviene nell’immaginario di un cineasta, e di un cineasta come Spielberg, il fumetto di Tin Tin e la saga di Indiana Jones hanno da un lato proseguito la loro personale e separata realizzazione artistica, dall’altro hanno costituito una sorta di “unicum”, nutrendosi l’uno dell’altra: al punto che è oggi difficile sciogliere la matassa e individuare quanto un aspetto appartenga al fumetto e quanto al seriale dell’archeologo avventuriero. Fatto è che questo Tin Tin, girato in motion pictures cioè con attori in carne e ossa ad animare personaggi veri, ci dà il piacere puro e supremo dell’avventura e della sua ricerca continua: l’eroe con il ciuffo ha imparato gli ammaestramenti di Indiana per convincerci che solo nel superare la linea della sfida impossibile si tocca la magica consapevolezza del vivere e il fascino immenso di una fantasia che sempre si rinnova per il gusto di chi è spettatore. A tutto ciò aggiungiamo come la padronanza somma di effetti speciali e l’utilizzo di una musica sontuosa vadano a Film Tutti i film della stagione comporre una grande opera di tecnica, di grafica, di ingegno cinematografico. Non solo; tutto questo non appesantisce l’espressione artistica di Spielberg che avrebbe potuto mostrare qualche soffocamento sotto il peso della realizzabilità tecnica, ma, anzi, la esalta perchè permette al cineasta, all’autore la possibilità immensa di rigenerarsi, di dare nuovo fuoco alla propria fantasia: è l’emozione stessa del fanciullo, dell’uomo, dell’uomo di cinema che continua a ritrovarsi in un gioco di visioni e soluzioni che nel momento in cui toccano la grandezza sono pronte a ripartire per nuove conquiste, proprio come il suo Tin Tin e il suo Indiana. Fabrizio Moresco L’ALBA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE (Rise of the Planet of the Apes) Stati Uniti, 2011 Regia: Rupert Wyatt Produzione: Peter Chernin, Rick Jaffa, Amanda Silver, Dylan Clark per Twentieth Century Fox Film Corporation/Chernin Entertainment/Dune Entertainment Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 23-9-2011; Milano 23-9-2011) Soggetto: ispirato al romanzo Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle Sceneggiatura: Amanda Silver, Rick Jaffa Direttore della fotografia: Andrew Lesnie Montaggio: Conrad Buff IV, Mark Goldblatt Musiche: Patrick Doyle Scenografia: Claude Paré Costumi: Renée April Produttore esecutivo: Thomas M. Hammel Co-produttore: Kurt Williams Direttori di produzione: Bonnie Benwick, Wendy Williams, Frank Macfarlane Casting: Heike Brandstatter, Coreen Mayrs, Debra Zane Aiuti regista: Michael Bendner, Brendon Breese, Mathew Dunne, Gary Hawes, Cindy Smith, Haylee Thompson, Pete Whyte, Wainani Young-Tomich Operatori: Tim Bellen, Jim Van Dijk, Peter Wilke Operatori Steadicam: Harry K. Garvin, Peter Wilke Art directors: Dan Hermansen, Grant Van Der Slagt Supervisore art director: Helen Jarvis Arredatore: Elizabeth Wilcox Effetti speciali trucco: Emma Jacobs W ill Rodman è uno scienziato che lavora per una importante casa farmaceutica. Insieme alla sua equipe ha creato un farmaco, ALZ-112, per combattere l’alzheimer che sperimentato sugli scimpanzé rigenera e potenzia le cellule cerebrali. Entusiasta del risultato convoca i suoi superiori per convincerli alla sperimentazione umana, ma qualcosa va storto. Una Trucco: Emanuela Daus, Naomi Hirano, Emma Jacobs Coordinatore effetti speciali: Tony Lazarowich Supervisori effetti visivi: R. Christopher White (Weta Digital), Brooke Lyndon-Stanford, Justin Cornish (Atomic Arts), Gord Dunick, Dan Lemmon, Joe Letteri, Erik Winquist Coordinatori effetti visivi: Paul Marcus Wong (Weta Digital), Kim Menaster (Pixel Leberation Front), Rachel Faith Hanson, Blaine Lougheed, Jaydene Maryk Supervisori effetti digitali: Thrain Shadbolt (Weta Digital, Jeff Capogreco Supervisori costumi: Jana MacDonald, Susan O’Hara Supervisore musiche: Maggie Rodford Supervisori animazione: Daniel Barrett, Eric Reynolds Interpreti: James Franco (Will Rodman), Freida Pinto (Caroline Aranha), Andy Serkis (Cesare), John Lithgow (Charles Rodman), Brian Cox (John Landon), Tom Felton (Dodge Landon), David Oyelowo (Steven Jacobs), Tyler Labine (Robert Franklin), Jamie Harris (Rodney), David Hewlett (Hunsiker), Ty Olsson (John Hamil), Madison Bell (Alice Hunsiker), Makena Joy (Alice Hunsiker giovane), Jesse Reid (Donnie Thompson), BJ Harrison (Dottie), Leah Gibson, Tracy Spiridakos (ragazze alla festa), Ivan Wanis-Ruiz, Trevor Carroll (addestratori), Chelah Horsdal (Irena), Timothy Webber (custode Stan Timko), James Pizzinato, Robin Nielsen, Monica Mustelier (tecnici di laboratorio), Sean Tyson, Jack Kuris, Tammy Hui, Rufus Dorsey, Kyle Riefsnyder, Anthony McRae, Jeb Beach Durata: 105’ Metri:2850 delle scimmie, quella che aveva fatto più progressi, diviene inaspettatamente aggressiva e viene abbattuta. Il responsabile della casa farmaceutica, allora, ordina di sopprimere tutte le scimmie a cui è stato iniettato il farmaco. Will non riesce a comprendere cosa non abbia funzionato, poi però si accorge che nella gabbia della scimmia che ha aggredito i suoi colleghi c’è un cucciolo appena 29 nato e capisce: non era stato il farmaco a renderla aggressiva, ma l’istinto di protezione materna. Senza pensarci troppo nasconde il piccolo in uno scatolone e lo porta a casa. Qui, ad attenderlo, c’è il padre Charles, malato di alzheimer, a cui Will fiducioso somministra ALZ-112. In poco tempo l’uomo si ristabilisce e Cesare, il cucciolo di scimmia, diventa a Film pieno titolo un membro della famiglia mostrando doti cognitive straordinarie. Un giorno, però, Charles si aggrava inaspettatamente e in un momento di scarsa lucidità distrugge la macchina al vicino di casa. Quest’ultimo, dopo aver visto la scena, esce in strada e inizia ad insultare il vecchio. Cesare vedendo l’amico in pericolo corre in suo soccorso e ferisce il vicino. Will a malincuore è costretto dalla legge a separarsi dallo scimpanzé che viene rinchiuso in un centro per primati molto simile a un lager. Intanto Will inizia a sperimentare sulle scimmie un nuovo e più potente farmaco, ALZ-113, ottenendo risultati talmente stupefacenti da indurre il direttore della casa farmaceutica a dedicarsi solamente a questo prodotto. Ma qualcosa va storto, un collega di Will che aveva inalato il farmaco muore dopo aver infettato altre persone. Lo scienziato consapevole del danno implora il direttore di fermare la distribuzione del farmaco, ma non viene ascoltato e per questo si dimette. Cesare, intanto, nel rifugio per primati ha iniziato a covare rancore per il genere umano e consapevole dell’origine della sua superiorità intellettiva scappa dal gabbia per rubare l’ALZ-113 da casa di Will. Ottenuto il farmaco lo fa inalare ai suoi simili del centro e apre la gabbie. Le scimmie, consapevoli dei soprusi ricevuti, si dirigono verso la città seminando distruzione, mentre le forze dell’ordine si preparano ad attaccare. È una carneficina di umani e animali. Ciononostante un nutrito gruppo di prima- Tutti i film della stagione ti capeggiati da Cesare riesce ad arrivare sano e salvo nel bosco. Qui ad attenderlo c’è Will che implora Cesare di ritornare con lui a casa. Lo scimpanzé lo guarda e con decisione gli risponde che lui è già a casa. esare è a casa. Con questa frase, pronunciata da uno scimpanzé, Rupert Wyatt conclude magnificamente la sua nuova pellicola L’alba del pianeta delle scimmie. Una frase semplice e nella narrazione anche scontata che, però, costituisce la risposta perfetta agli interrogativi, anche celati, di ciascun personaggio del film. Will, interpretato da James Franco, sulla carta è il “buono”, colui che salva lo scimpanzé Cesare dalle grinfie del direttore della casa farmaceutica, il “cattivo”. La distinzione è semplice, netta, ma basta cambiare per un attimo la visuale per trasformare i contorni così marcati in sfumature, a tratti, impercettibili. Will rappresenta la presunzione umana che sfida costantemente la natura e, pur perseguendo il bene, non riesce ad andare oltre i paletti che la scienza gli ha inculcato. Nel crescere Cesare continua a paragonare il suo sviluppo cognitivo a quello umano senza considerare la sua diversità . Paradossalmente commette lo stesso errore del direttore che confonde diversità con inferiorità. Cesare nel dire “Sono a casa”non ha semplicemente detto “Sono fra i miei simili”, ma ha sottolineato che l’ambiente circostante non è proprietà esclusiva dell’essere umano e che ogni creatura essendo “a casa” non dovrebbe sentirsi costantemente minacciata da altri essere viventi. C Lo scimpanzé, inoltre, per rafforzare questo concetto utilizza il linguaggio umano che diviene, nell’accezione più ampia, il leitmotiv di tutta la ribellione. Infatti, come l’uomo distrugge per imporre il suo dominio così anche le scimmie devastano e uccidono per reclamare i loro diritti. Un’equazione evidentemente sbilanciata, qualsiasi sia il punto di vista da cui la si guarda, eppure efficace nel far comprendere la disperazione di una prigionia. Nel commentare la pellicola potremmo fermarci qui consigliandone, ovviamente, la visione, ma verremmo bacchettati pesantemente perché fra le tante considerazioni, forse non tutte condivisibili, abbiamo dimenticato di dire quella fondamentale: è il prequel del celeberrimo film del 1968 con Charlton Heston Il Pianeta delle Scimmie. Un errore grave, ma voluto. Nonostante i continui richiami, le numerose citazioni, infatti, la pellicola “cammina con le sue gambe” come se fosse un film a sé e merita pertanto di essere analizzato come tale. È raro percepire questo, pur avendo come metro di paragone un cult, e ciò la dice lunga sulla qualità del prodotto. Volendo tirare le somme sicuramente buona parte del merito va alla solida struttura narrativa che ben si presta al dinamismo registico di Wyatt anche se, al si là dei tecnicismi, ciò che rende grande questa pellicola è l’epifania di una tragedia di cui gli occhi “brillanti” di Cesare sono l’inesorabile certezza. Francesca Piano SENZA ARTE NE’ PARTE Italia, 2010 Regia: Giovanni Albanese Produzione: Lionello Cerri per Lumiere & Co, in collaborazione con Raicinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 6-5-2011; Milano 6-5-2011) Soggetto: Giovanni Albanese, Erminio Perrocco Sceneggiatura:Fabio Bonifacci, Giovanni Albanese Direttore della fotografia: Ramiro Civita Montaggio: Carlotta Cristiani Musiche: Mauro Pagani Scenografia: Sabrina Balestra Costumi: Grazia Materia Trucco: Raffaella Bigazzi Acconciature: Jerry Popolis, Katie Vernon Supervisore effetti visivi: John Bair Supervisore costumi:Donna Maloney Supervisore musiche:Randall Poster Interpreti: Vincenzo Salemme (Enzo Gesumunno), Giuseppe Battiston (Carmine Bandiera), Donatella Finocchiaro (Aurora), Hassani Shapl (Bandula), Giulio Beranek (Marcellino), Ernesto Mahieux (Don Elio), Ninni Bruschetta (Ciccio Rizzuto), Mariolina De Fano (mamma di Carmine e Marcellino), Paolo Sassanelli (Alfonso Tammaro), Sonia Bergamasco (Giulia Manna), Alessandra Sarno (Egle Tammaro), Chiara Torelli (Angelique), Giusy Fallonardo (Annamaria), Elena Cantarone (Eva Saluzzo), Dante Marmone (Pinuccio), Guglielmo Ferraiola (notaio Varrone), Petro Cicirello (formaio), Sara Piccinna (figlia di Tammaro), Michele Trecca (battitore d’asta), Ippolito Chiarello (Nicotra), Franco Miccoli (capitano Finanza), Fabio Frasneda (imbianchino), Leonardo Pellegrino (Leo gesumunno) Durata: 90’ Metri: 2470 30 Film I l rinomato Pastificio salentino Tammaro chiude la vecchia fabbrica, in realtà con l’idea di riaprirne presto una nuova, completamente meccanizzata e all’avanguardia. Tutta la squadra di operai addetta allo stoccaggio manuale si ritrova disoccupata. Tra questi, ci sono Enzo, sposato con Aurora e con due figli da mantenere, Carmine, da poco separato a causa delle sue tante avventure extraconiugali e con una madre arteriosclerotica e, infine, Bandula, un immigrato indiano, rimasto senza soldi e senza un posto per dormire. La situazione è drammatica. Accomunati dal licenziamento e dallo stesso destino precario, i tre si concedono una piccola vendetta nella fabbrica a suon di musica, vanghe e picconi. Intanto la moglie di Enzo viene assunta come assistente personale per gli affari esteri dallo stesso Alfonso Tammaro. Dopo un’improduttiva ricerca di lavoro, i tre operai vengono reclutati, grazie all’intercessione della moglie di Enzo, dallo stesso Tammaro come custodi in un magazzino in cui si trova una preziosa collezione di opere d’arte contemporanea. Infatti l’arrogante impresario, consigliato dall’affascinante consulente finanziaria, ha deciso improvvisamente di investire sull’arte per “arrotondare” ed entrare nelle grazie della donna. Sconcertati dal valore delle opere di cui non comprendono la bellezza e per cui collezionisti privati sono disposti a spendere cifre da capogiro, Enzo e i suoi amici scoprono sbalorditi l’arte contemporanea. Dopo l’incerta reazione iniziale, spinti dalla disperazione e dalla voglia di riscatto, decidono di provare a imitare alcuni di quelle bizzarre opere. Ognuno fa la sua parte, aiutati anche dal fratello di Carmine, giovane esperto nell’arte dell’arrangiarsi. Avviato il processo di falsificazione, parte una truffa in grande stile e i quattro iniziano a vendere gli originali delle opere, riproducendo poi delle copie perfette per Tammaro. Con un misto di curiosità e incoscienza, iniziano a girare il mondo delle gallerie d’arte e dei collezionisti, fino ad arrivare a Roma, a un’asta in una prestigiosa galleria. Dopo numerose peripezie e fraintendimenti gli amici riescono a tirarsi fuori dai guai, soprattutto grazie all’aiuto della moglie di Enzo, che salda tutti i loro debiti. Gli unici soldi rimasti vengono regalati a Bandula per raggiungere la figlia in India che deve sposarsi. Dopo qualche tempo, ritroviamo Enzo e Carmine che sono entrati in affari, vendendo lo sciroppo di melograno e il fratello di Carmine, che, nel frattempo, si è trasferito in India, si è fidanzato con la figlia minore di Bandula. Tutti i film della stagione A otto anni dal suo debutto sul grande schermo con A.A.A. Achille, sul tema della balbuzie, Giovanni Albanese regista, ma prima ancora artista, professore di Decorazione all’Accademia delle Belle Arti di Roma, creatore e scenografo, torna dietro la macchina da presa ripartendo da un mondo a lui caro: l’arte. Il cinema non è così lontano dall’arte contemporanea come si può pensare; infatti il regista afferma di viverlo e intenderlo come se fosse una sorta di arte rinascimentale. In Senza arte né parte, Albanese affronta dapprima il discusso e annoso problema della soggettività dell’arte e della sua fruizione, di come un’opera possa essere giudicata diversamente a seconda di tempi, dei luoghi, delle società, a seconda del critico stesso. In secondo luogo, si tratta la questione del bello, del valore della cultura, del business creato intorno a un mondo elitario e di nicchia, nonché il problema della riconoscibilità di un’opera vera da una falsa. Insomma, Albanese ci mostra un aspetto attuale e interessante della società di oggi, alimentando dietro la provocazione superficiale alcune riflessioni di fondo. Prima di tutto, c’è l’incontro tra l’alto e il basso, tra il colto e il popolare, tra la classe operaia e i salotti dei ricchi collezionisti. Come in I soliti ignoti di Monicelli i protagonisti provano a mettere a segno il colpo del secolo, ai danni di colui che l’ha licenziati e alla faccia di facoltosi e superbi collezionisti. Convinti che per fare i “tagli” di Fontana, le “pagnottelle” caolinizzate di Manzoni e i cavalli vivi in salotto di Kounellis non è più indispensabile chissà quale titolo o capacità. Gli onesti falsari trasformano la propria vita nell’arte, appunto, di arrangiarsi. La precarietà esistenziale dei protagonisti diventa, dunque, un mezzo per riscattare le loro vite e il dramma del licenziamento rappresenta invece il famoso “portone” che si apre quando si chiude una porta. Chiaramente il finale non poteva che essere all’insegna del buonismo. Gli italiani, brava gente, anche questa volta fanno quello che è più giusto: finanziano il viaggio aereo di un immigrato indiano e si consolano con un brindisi di sciroppo di melograno. Pur affidandosi alla tradizione tragicomica della commedia all’italiana e a un cast di primissimo ordine, Albanese finisce, tuttavia, per dar vita ad un prodotto spento, noioso, a volte scontato e dai tempi comici appesantiti da una sceneggiatura poco frizzate e raramente originale. Il film infatti non appassiona, o meglio, diverte solo a tratti, ma con un’ironia poco italiana e molto “british”, quasi da commediola forzata e arrangiata. Il cast sembra restare solo una trovata produttiva, senza vere giustificazioni narrative: a testimoniarlo l’incontro tra dialetti diversi, che stona e appare alquanto sopra le righe. Si va dal napoletano verace di Salemme, al friulano di Battiston, al tarantino di Giulio Beranek, al catanese di Donatella Finocchiaro, passando attraverso il messinese di Ninni Bruschetta e il milanese di Sonia Bergamasco. Veronica Barteri TOMBOY (Tomboy) Francia, 2011 Regia: Céline Sciamma Produzione: Bénédicte Couvreur per Hold Up Films/Arte France Cinéma/Lilies Films Distribuzione: Teodora Film Prima: (Roma 7-10-2011; Milano 7-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Céline Sciamma Direttore della fotografia: Crystel Fournier Montaggio: Julien Lacheray Musiche: Jean-Baptiste de Laubier Scenografia: Thomas Grézaud Direttore di produzione: Gaëtane Josse Casting: Christel Baras Aiuto regista: Valérie Roucher Trucco: Marie Luiset Suono: Benjamin Laurent Canzone estratta: “Always” di Para One Interpreti: Zoé Héran (Laure/Michael), Malonn Lévana (Jeanne), Jeanne Disson (Lisa), Sophie Cattani (madre di Laura), Mathieu Demy (padre di Laura), Ryan Boubekri (Ryan), Yohan Véro (Vince), Noah Véro (Noah), Cheyenne Lainé (Cheyenne) Durata: 82’ Metri: 2300 31 Film ppena arrivata in un nuovo quartiere di Parigi con la sua famiglia, durante le vacanze estive, Laure è una bambina di dieci anni, costretta a un nuovo trasloco per via del lavoro del padre. La piccola francese ha una sorella minore di cinque anni, Jeanne, molto legata a lei e un fratellino in arrivo. Laure non ha l’aspetto di una femminuccia, porta abiti maschili e capelli corti. I suoi giochi preferiti non sono bambole, ma il calcio. Non conosce ancora nessuno nel quartiere e per caso fa a amicizia con Lisa, una coetanea vicina di casa. La bambina la scambia per un maschio e Laure decide di sfruttare la situazione e senza pensarci troppo dice di chiamarsi Michael. Così si crea una nuova identità e si ritrova improvvisamente “dall’altra parte”. Cerca pian piano di entrare nei meccanismi della sua nuova compagnia, dove i maschi giocano a calcio a petto nudo e le femmine devono stare a guardare. Superati i primi ostacoli (fare la pipì in piedi e crearsi un pene di pongo) Laure è sempre più a suo agio in questo suo nuovo universo, fino al punto di lasciarsi coinvolgere anche sentimentalmente da Lisa, che nel frattempo si è innamorata di lei. Gli adulti sono troppo impegnati per accorgersi della situazione; l’unica ad accorgersene è la Jeanne, che promette di mantenere il segreto, a patto di rimanere sempre con lei. Così Laure inizia a portar con sé anche la sorellina, ben contenta di ritrovarsi da un momento all’altro un fratello maggiore che la difende da tutti. Ed è proprio a causa di una lite per difendere la sorella che uscirà fuori la vera identità di Laure. La madre del bambino con cui Laure aveva fatto a botte si pre- A Tutti i film della stagione senta a casa sua chiedendo di Michael. Laure si vede scoperta e denigrata da parte della madre, che anziché reggerle il gioco, è decisa a chiarire il malinteso e a svelare a tutti la verità. Le fa indossare un abito da femmina e la porta a casa di Lisa. Per Laure è il momento più umiliante, non riesce a reggere la situazione e scappa. Sono gli ultimi giorni delle vacanze prima dell’inizio dell’anno scolastico e nasce il fratellino di Laure. Dalla finestra, la bambina vede Lisa; sembra che abbia voglia di parlarle. Laure timorosa le va incontro e le due bambine, come se fosse la prima volta, si presentano. a seconda opera di Céline Sciamma, Tomboy, conquista il pubblico francese, imponendosi per la sua straordinaria semplicità e naturalezza, ottenendo inoltre due riconoscimenti di tutto rispetto, il Teddy Award allo scorso Festival di Berlino e il premio del pubblico e della Giuria al 26° Film Festival di Torino. Un film poetico sull’infanzia, ma anche sull’identità, in particolare sulla formazione e affermazione del proprio “io” più intimo e profondo, un’autocoscienza personale, nel corso di una delle età più delicate e complesse. Con l’utilizzo della camera a mano la Sciamma cala il suo pubblico in un’atmosfera intensa. Lo fa dolcemente, con tocco materno e sensibile, che riesce a emozionare. La giovane regista gioca subito sull’identità ambigua della protagonista: con i capelli corti e i vestiti da maschiaccio (come recita lo stesso titolo inglese), si fa fatica a riconoscerla come una bambina. Già nel rapporto con gli altri componenti della famiglia è evidente la ma- L 32 scolinità di Laure: molto attaccata al padre, che ammira e imita al punto da cercare in lui una complice solidarietà, distante e distaccata invece nei confronti della madre. La bambina appare protettiva nei confronti della sorella più piccola, dalla spiccata ed esibita femminilità. Ed ecco che l’attenzione si concentra proprio sul rapporto tra Laure e la piccola Jeanne. La macchina da presa gira intorno alle due bambine, regalandoci intensi primi piani e dettagli. Il loro interagire è caratterizzato da una notevole sintonia e complicità ed è così carico di un affetto incondizionato, che commuove per la totale purezza di sentimenti. Ma è fuori casa, però che la bambina avrà modo di sperimentare un’altra identità, un altro nome e, nei limiti del possibile, persino un altro corpo. Tuttavia si tratta di un gioco ambiguo e menzognero, destinato a essere rivelato. Solo confrontandoci con gli altri, riusciamo davvero a capire noi stessi o chi vorremmo essere. Violento e drammatico appare dunque lo scontro inevitabile con la “normalità” adulta. Ciò che è norma, è nello stesso tempo forma e costrizione della libertà. Se è la società a condizionarci, in ogni caso solo noi possiamo scegliere in quale veste e ruolo interagire. Dal neorealismo italiano alla nouvelle vague francese, passando attraverso I 400 colpi di Truffaut, Tomboy rappresenta un piccolo gioiello incontaminato, in mezzo a tanta meschinità. Il miracolo di questo far cinema sta nel dissimulare completamente la direzione degli attori, al punto che pare di osservare scene di vita. La regista spiega che prima di girare le scene con i giochi dei bambini li osservava senza riprenderli, nella loro naturalezza. Poi, quando il gioco era ormai avviato e loro non sapevano di essere ripresi, iniziava a filmare. L’opera ne guadagna in spontaneità e comunica quell’illusione di verità che è la naturalezza. I dialoghi non sono molti; la regista lascia spazio all’intensità degli sguardi e all’espressività dei volti, nonché alla splendida e nitida fotografia e alla bella colonna sonora. Le parole quindi appaiono spesso superflue. La mano della regista, leggera nel trattare il tema, ma incalzante nello sviscerarlo a fondo, unita alla straordinaria bravura delle piccole attrici, in particolare della protagonista Zoè Heran e della piccola Malonn Lévana, nel ruolo della sorellina, fanno di questo film un’autentica perla rara. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione VENERE NERA (Vénus noire) Francia, 2010 Regia: Abdellatif Kechiche Produzione: Charles Gillibert, Marin Karmitz, Nathanaël Karmitz per MK2 Productions/France 2 Cinéma/CinéCinéma/Canal+/ France Télévision/Centre National de la Cinématographie (CNC) Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 17-6-2011; Milano 17-6-2011) Soggetto: Abdellatif Kechiche Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalya Laroix Direttori della fotografia: Lubomir Bakchev, Sofian El Fani Montaggio: Camille Toubkis, Ghalya Lacroix, Laurent Rouan, Albertine Lestera Musiche: Slaheddine Kechiche Scenografia: Florian Sanson, Mathieu Menut Costumi: Fabio Perrone Direttori di produzione: Benjamin Hess, François Pascaud Casting: Anne Fremiot, Monya Galbi Aiuti regista: Yann Chemin, Monya Galbi, Julie Gouet, Sylvie Peyre, Aela Vaillant L ondra, 1810. Saartjie Baartman, conosciuta anche come la Venere Ottentotta, per essere un’ esemplare di donna africana dalle dimensioni abnormi, viene esposta al pubblico in un numero circense. Qui, prima è rinchiusa in una gabbia, poi si muove dimenando i fianchi e il sedere su ordine del suo padrone, il bianco Caezar. Quest’ultimo, uomo cinico e senza scrupoli, la ospita nella sua casa dandole vitto e alloggio. In cambio, la donna lavora come domestica e alleva i suoi figli. Malgrado le proteste della stampa e delle società per i diritti dell’uomo, che definiscono il caso “una vergogna”, il signor Caezar continua a sfruttare la Venere Nera per ricavarne guadagni in denaro. Lei, pur consapevole che la sua condizione di sottomissione è funzionale alla riuscita dello spettacolo, inizia a dare i primi segni di insofferenza. Portati entrambi in tribunale, si difendono rivendicando la finzione dell’esibizione e, alla fine, vengono assolti. In una lunga testimonianza, la donna si presenta alla corte come un’attrice e non come una schiava. Un giorno, Réaux, un domatore di orsi, si offre di portarla con lui in Francia per introdurla nei salotti bene parigini. Qui ottiene un notevole successo, diventando in poco tempo la principale attrazione di festini privati organizzati da disinibiti rappresentanti della ricca borghesia locale. Nel 1815 la Venere Ottentotta viene invitata dal Museo dell’Uomo per essere analizzata e studiata nei minimi particolari. Operatori: Lubomir Bakchev, Sofian El Fani Arredatore: Olivia Bloch-Lainé Effetti speciali trucco: Nicolas Herlin, Frédéric Lainé, Pascal Larue Acconciature: Sebastián Deffontaines Supervisore effetti visivi: Stephane Bidault Suono: Nicolas Waschkowski Interpreti: Yahima Torrès (Saartjie Baartman), André Jacobs (Hendrick Caezar), Olivier Gourmet (Réaux), Elina Löwensohn (Jeanne), François Marthouret (Georges Cuvier), Michel Gionti (Jean-Baptiste Berré), Jean-Christophe Bouvet (Charles Mercailler), Jonathan Pienaar (Alexander Dunlop), Gilles Matheron (Théobald de Méry), Violaine Gillibert (Géraldine Rivière), Violaine de Carne (Diane de Méry), Philip Schurer (Peter Van Wageninge), Christian Prat (Monsieur Campanile), Olivier Loustau (capitano degli Ussari) Durata:159’ Metri: 4600 Ma si rifiuta di spogliarsi completamente per mostrare i genitali e per questo viene punita dal suo padrone, che sperava in un compenso economico dalla comunità scientifica. Intanto, Réaux costringe la donna a fare la prostituta d’alto bordo. Pur essendo malata (è sempre stata dedita all’alcool), non acconsente al ricovero che gli viene suggerito dal medico. La Venere Nera muore da sola, a 25 anni, in uno squallido appartamentino dove continua a ricevere i suoi clienti. Il suo corpo viene sezionato e fatto oggetto di studio dall’anatomista Georges Cuvier, che ne espone il calco agli studenti dell’Accademia Reale di Medicina di Parigi. ual è il sottile margine che separa la realtà dalla rappresentazione? E quale ancora è il confine (se vogliamo ancora più impercettibile) tra mercificazione del corpo e consapevolezza di essere l’oggetto della mercificazione? Se lo chiede il franco-tunisino Abdellatif Kechiche nel suo ultimo e passionale ritratto filmico di donna: Venus Noire (Venere Nera). La moderna “società dello spettacolo”, con la sua effimera ma spietata logica speculatoria, ha radici molto lontane. Già agli inizi dell’Ottocento – ci illustra il regista di Cous Cous – una donna, soltanto perché diversa fisicamente, “esotica”, e di colore, poteva essere usata come fenomeno da baraccone, essere data in pasto come una fiera selvatica da zoo al pubblico ludibrio, trasforman- Q 33 dosi in vittima di odiosa discriminazione razziale. La toccante vicenda di Saartjie Baartman, così tristemente affine ai giorni nostri, appartiene a una verità storica di cui non tutti purtroppo sono a conoscenza. Ai tempi del colonialismo, questa giovane donna della tribù dei Khoikhoi dalle rotondità prorompenti e con una vagina di eccezionale fattezza, viene portata dal Sud Africa nella “civile” Europa per fare da serva a un crudele artista di strada con mire capitaliste. Dopo essere andata incontro a una squallida fine tra i postriboli parigini, non si sa se a causa di sifilide o di polmonite, nel 2002 le sue spoglie (esposte fino al 1974 presso il Musée de l’Homme) sono state restituite al suo paese d’origine, su iniziativa di Nelson Mandela. La macchina da presa di Kechiche indugia volutamente sul corpo prominente della protagonista, sui suoi morbidi e burrosi particolari, con sequenze a tratti fin troppo dilatate, in cui movimenti e situazioni tendono a ripetersi in un morboso esercizio voyeuristico. L’eccessiva durata (pur essendo uscito in sala in una versione ridotta di circa 10 minuti rispetto a quella originale di oltre due ore e mezzo) è senza dubbio l’handicap maggiore di questa ambiziosa pellicola sul fascino perverso dello sguardo che, forse, proprio per questo, è stata (ingiustamente) ignorata dai giurati della Mostra del Cinema di Venezia del 2010. Oltre ai borghesi libertini che affollano Film i salotti per godere in prima fila dell’esibizione della Venere e per toccare con mano le sue forme, noi stessi diventiamo spettatori di un freak (peep)show in cui la dignità della donna finisce per essere irrisa e calpestata (ha il collo legato a una catena, è costretta a mettersi a quattro zampe e viene addirittura cavalcata). Tutti i film della stagione Se da una parte quindi si instaura un regime visivo di puro piacere erotico (durante le pratiche quasi sadomaso con tanto di simbolo fallico, i partecipanti alle feste si eccitano a vicenda lasciandosi andare ad atteggiamenti lascivi), dall’altra si innesca una dinamica di partecipazionecompassione per le sorti del “mostro”, i cui occhi rassegnati e gonfi di lacrime trattenute parlano da soli negli insistiti primi e primissimi piani. La parabola della Baartman, efficacemente interpretata dall’esordiente cubana Yahima Torres, testimonia che non c’è fondo alla brutalità umana e alla miopia del pregiudizio. Ma con un fastidiosa ammissione di colpa – si potrebbe dire – anche alla (tacita) volontà di assoggettamento: forse perché non ha alternative, o perché crede che sia la cosa giusta per lei (?), sta di fatto che la donna di colore sceglie quella vita dissoluta e pornografica sino all’ultimo dei suoi giorni. E alla fine, si ritrova sul lettino dell’anatomista, disaminata con freddezza chirurgica, proprio come il trovatello tedesco Kaspar Hauser. Se però nel film di Herzog era il cervello l’organo da analizzare e conservare nell’ampolla, qui invece è l’apparato genitale il simbolo della “diversità”, della straordinarietà. Entrambe questi personaggi-martiri sono l’emblema di un’alienazione senza via d’uscita, prodotta da secoli di presunta civilizzazione, che hanno sacrificato libertà e conquiste sociali in nome del progresso scientifico. Diego Mondella THIS MUST BE THE PLACE (This Must Be the Place) Italia/Francia/Irlanda, 2011 Arredatore: Roya Parivar Trucco: Luisa Abel, Amber Crowe, Jessica Y. Hernandez, Jay Wejebe Acconciature: Eileen Buggy, Clifton Chippewa, Elizabeth Cortez, Lora Gianino, Diana Sikes, Jose Zamora Supervisore effetti speciali: Russell Tyrrell Supervisori effetti visivi: Stefano Marinoni, Rodolfo Migliari Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Supervisori costumi: Suzy Freeman, Heidi Higginbotham Interpreti: Sean Penn (Cheyenne), Frances McDormand (Jane), Judd Hirsch (Mordecai Midler), Eve Hewson (Mary), Kerry Condon (Rachel), Harry Dean Stanton (Robert Plath), Joyce Van Patten (Dorothy Shore), Olwen Fouere (madre di Mary), Shea Whigham (Ernie Ray), Liron Levo (Richard), Simon Delaney (Jeffery), Heinz Lieven (Aloise Lange), Seth Adkins (Jimmy), Peter Carey (impiegato di Saks), Bern Cohen (Rabbi Cohen), Tim Craiger (cowboy all’aereoporto), Nancy Doetsch, Kef Lee (partecipanti al concerto), Grant Goodman (Tommy), Robert Herrick (uomo d’affari all’aereoporto), Julia Ho (donna in ascensore), Sam Keeley (Desmond), Madge Levinson (Jackie),David Byrne, Sarah Carroll, Ron Coden, Davis Gloff, Kris Graverson, Jann Hight, Sarab Kamoo Durata: 120’ Metri: 3260 Regia: Paolo Sorrentino Produzione: Francesca Cima, Andrea Occhipinti, Nicola Giuliano per Indigo Film/Lucky Red/Medusa Film/ARP Sélection/ Element Pictures/Pathé/Intesa San Paolo Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 14-10-2011; Milano 14-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Cristiano Travaglioli Musiche: David Byrne, Will Oldham Scenografia: Stefania Cella Costumi: Karen Patch Produttori esecutivi: Ronald M. Bozman, Viola Prestieri Produttori associati: Carlotta Calori, Stefano Massenzi Co-produttori: Ed Guiney Laurent Pétin, Michèle Pétin, Andrew Lowe Direttori di produzione: Gennaro Formisano, Haley Sweet Casting: Maureen Hughes, Carrie Ray, Laura Rosenthal Aiuti regista: Davide Bertoni, Brinton Bryan, Daisy Cummins, Dave Halls, Anna Harrison, Kamen Velkovsky Operatori: Michael Alba, Ciaran Kavanagh Operatori Steadicam: Michael Alba, Alessandro Brambilla Art director: dooner 34 Film ublino. Cheyenne è un ex rockstar di successo che non riesce a liberarsi del suo passato; infatti si veste, si trucca e si mette il rossetto come quando saliva sul palco. Giunto all’età di circa 50 anni, conduce una vita agiata e monotona assieme alla moglie Jane, alla quale è legatissimo, e gran parte del suo interesse è rivolto ai movimenti in borsa. È annoiato e crede di essere depresso. Trascorre le sue giornate giocando nella piscina vuota, tra supermercati e centri commerciali. Un giorno riceve una telefonata dove gli viene detto che il padre, con il quale ha interrotto i rapporti da 30 anni, sta morendo. Parte così in nave e arriva a New York ma quando giunge sul posto, è già deceduto. Attraverso la lettura dei suoi diari viene a conoscenza che l’uomo aveva dedicato gran parte della sua vita alla ricerca di Aloise Lange, un criminale nazista che si è rifugiato negli Stati Uniti e che lo aveva umiliato in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Decide allora di proseguire la missione del padre mettendosi alla ricerca di un uomo che potrebbe essere già morto. Per raggiungere il suo scopo, si serve dell’aiuto di Mordecai Midler, un facoltoso ebreo esperto nella caccia ai nazisti, anche se all’inizio i due non si intendono per niente. Nel corso del viaggio rivede il cantante David Byrne dopo aver assistito a un suo concerto, va a casa dell’anziana moglie di Lange che è stata professoressa di storia dicendole di essere un suo vecchio studente. Raggiunge poi Alomogordo, nel New Mexico e fa amicizia con Rachel, una ragazza che vive da sola col figlio. Poi si rimette in viaggio anche se deve fronteggiare l’imprevisto del pick-up che va a fuoco, imprestatogli da un ricco uomo d’affari. Giunge poi a Huntsville, nello Utah, dove s’imbatte in Robert Plath, l’uomo che ha inventato il trolley. In un motel, viene raggiunto da Mordecai e insieme riescono a ritrovare Lange che ora vive in una casa abbandonata in mezzo alla neve. Lì Cheyenne trova il modo di mettere in atto la sua vendetta costringendolo a girare nudo fuori, al gelo. Poi ritorna a casa. Senza più trucco, parrucca e rossetto. D Tutti i film della stagione New Mexico e nello Utah, in cui lo sguardo del cineasta partenopeo non solo è costretto a confrontarsi ma proprio s’imbatte, come smarrito, nell’immaginario statunitense on the road con lo spazio prima quasi chiuso dai grattacieli e che poi invece si apre, dai riflessi del cielo e del deserto, sulla carrozzeria dell’auto alle stazioni di servizio, ai motel. Per arrivare allo splendido finale di un’opera in continua metamorfosi, che cambia pelle più volte, immagine del vecchio criminale nazista nudo sulla neve, che si sovrappone e s’impone a quelle dei campi di concentramento. O anche rovesciamento di Into the Wild dove Sean Penn, regista di quel film è diventato protagonista di questo. L’esperienza esistenziale al limite di Christopher McCandless di quel film si replica nel viaggio di Cheyenne alla ricerca di un punto di contatto col padre oltre la vita. Nel movimento fisico c’è la continua proiezione di un desiderio, ma anche un progressivo spogliarsi da se stessi che, nel caso del personaggio di Emile Hirsch in Into the Wild, avveniva nei confronti della sua estrazione sociale e della sua famiglia e qui invece dall’immagine fisica che l’ex-rockstar si è creato, fino all’immagine del suo volto finale che si è come liberato del peso della propria memoria, emozionante come nel volto di Marcello Mastroianni alla fine di Sostiene Pereira. Da Andreotti a Cheyenne. Il volto oltre il make-up. Come si riconosceva Toni Servillo in quello del protagonista in Il divo, così si riconosce Sean Penn nel personaggio principale di This Must Be the Place. Con le stesse esibite deformazioni, con accentuazione del respiro grottesco in una gestualità esasperata ’ è un salto improvviso tra passato e presente. Tra il cinema di Paolo Sorrentino da Le conseguenze dell’amore e Il divo fino a quest’ultimo This Must Be the Place. Ma, al tempo stesso, anche all’interno dello stesso film, tra Dublino e New York, il primo volontario luogo asettico e artificiale dove vive la rockstar Cheyenne. L’altro è il punto di partenza di un viaggio che si estende anche nel C 35 ma anche disperata, materializzazione – come dice la moglie di Cheyenne – del confine tra noia e depressione. Il castello dove vive, con la cucina con la scritta e la piscina vuota, sono i segni di un tempo che si è fermato, proprio come la villa di Gloria Swanson in Viale del tramonto, spazio/tempo ancorati in un’epoca che non c’è più. Il cineasta gestisce This Must Be the Place con quello stile che segna la sua identità, tra passi rallentati, risate cariche di malessere, sguardi in macchina (quello di Cheyenne dopo aver ricevuto la telefonata del padre che sta morendo) e soprattutto quelli che si sentono addosso, come nelle soggettive nascoste nel fuori-campo e soprattutto in quelle dalla finestra. Servillo in Le conseguenze dell’amore guardava spesso verso l’esterno. Cheyenne in This Must Be the Place è guardato invece molte volte dall’esterno. Quello che è sempre stato il limite del cinema di Sorrentino è quello di esibire il suo indubbio talento cercando di controllare e, se serviva, anche manipolare, la vita dei suoi personaggi. Un rigore soffocante ben evidente nei compiaciuti ralenti di L’amico di famiglia e nei prolungati primi piani del sopravvalutatissimo Il divo. Qui, invece, quest’ultimo film gli sfugge da un controllo che vorrebbe essere assoluto ma a un certo punto non lo è più e il cinema di Sorrentino ha stavolta il coraggio di perdersi, impaurito e sedotto da un immaginario che lo inghiotte da cui emergono icone come Harry Dean Stanton – che arriva quasi tra Paris Texas e Una storia vera – nei panni di Robert Plath, l’uomo che ha inventato il trolley, oggetto essenziale che, in qualche modo, det- Film ta la velocità di This Must Be the Place così come il tagliaerbe segnava quella del capolavoro di David Lynch. È sempre un cinema denso di dettagli quello di Sorrentino, da quello delle ruote alla bottiglia di birra gigante, oggetti che rappresentano come successivi ostacoli del percorso di Cheyenne prima di liberare totalmente lo spazio come avviene nel finale. Rispetto la filmografia precedente, l’ironia beffarda lascia il segno proprio nella sua istantaneità. E soprattutto Tutti i film della stagione gli abbandoni sono finalmente autentici, con i momenti più alti presenti in tutto l’incontro della giovane donna col figlio nel New Mexico con un momento da brividi come quello in cui il ragazzino canta la canzone dei Talking Heads che dà il titolo al film o anche tutto il rapporto tra il protagonista e la moglie, con Frances McDormand perfetto doppio/contrario di Sean Penn, fatto anche di riti ripetuti ma soprattutto continui sguardi complici, come quello in cui lui la guarda lavorare. E ancora, non è più ossessionato dai propri tempi (compressi e dilatati) del racconto, come nello squarcio documentario musical dell’esibizione di David Byrne. Con L’uomo in più questo è il film migliore del regista, dove le zone d’ombra lasciano solo dei residui, dove lo stile non è essenzialmente forma(lismo) e in cui finalmente, anche nel cinema di Sorrentino, ‘la parola amore esiste’. Simone Emiliani THE CONSPIRATOR (The Conspirator) Stati Uniti, 2010 Regia: Robert Redford Produzione: Brian Falk, Bill Holderman, Robert Redford, Greg Shapiro, Robert Stone per The American Film Company/Wildwood Enterprises Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 22-6-2011; Milano 22-6-2011) Soggetto: James D. Solomon, Gregory Bernstein Sceneggiatura: James D. Solomon Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel Montaggio: Craig McKay Musiche: Mark Isham Scenografia: Kalina Ivanov Costumi: Louise Frogley Produttori esecutivi: Joe Ricketts, Jeremiah Samuels, Webster Stone Co-produttore: James D. Solomon Direttore di produzione: Billy Badalato Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Richard Graves, Matt Rawls, Eric Sherman Operatori: Gregory Lundsgaard, Newton Thomas Sigel Operatore Steadicam: Gregory Lundsgaard Art director: Mark Garner Arredatore: Melissa M. Levander Trucco: John R. Bayless, Wendy Bell, Leo Corey Castellano, Theresa McCoy McDowell, Angela Rogers, Duane Saylor Acconciature:Deborah Ball,Gina Baran, Judith H. Bickerton, a notte di Venerdì Santo del 1865, il presidente degli Stati Uniti d’America Abramo Lincoln si reca a uno spettacolo teatrale al Ford’s Theatre di Washington in compagnia della moglie Mary Todd. Durante la messa in scena della commedia musicale Our American Cousin, Lincoln viene ucciso con un colpo di rivoltella sparato dall’attore della Virginia John Wilkes Booth, al grido sudista di “Sic semper tyrannis!” (frase latina, traducibile con “Così sempre per i tiranni!”). Mentre l’esanime politico è trasportato in una casa adiacente al teatro e cade in uno stato di coma vegetativo per alcune ore prima di morire, il suo assassi- L Susan Buffington, Gail Hensley, Patricia McAlhany Glasser, Evelyn Roach, Barbara Sanders, Betty Lou Skinner, Dawn Turner Supervisore effetti visivi: Tau Gerber (Catapult Reliance Mediaworks) Supervisore costumi: Richard Schoen Interpreti: James McAvoy (Frederick Aiken), Robin Wright (Mary Surratt), Kevin Kline (Edwin Stanton), Evan Rachel Wood (Anna Surratt), Tom Wilkinson (reverendo Johnson), Justin Long (Nicholas Baker), Danny Huston (Joseph Holt), James Badge Dale (William Hamilton), Colm Meaney (David Hunter), Alexis Bledel (Sarah Weston), Johnny Simmons (John Surratt), Toby Kebbell (John Wilkes Booth), Jonathan Groff (Louis Weichmann), Stephen Root (John Lloyd), John Cullum (giudice Wylie), Norman Reedus (Lewis Payne), John Michael Weatherly (George Atzerodt), Marcus Hester (David Herold), Chris Bauer (maggiore Smith), Jim True-Frost (Hartranft), Shea Whigham (capitano Cottingham), David Andrews (padre Walter), James Kirk Sparks (Edman Spangler), John Curran (generale Howe), Robert C. Treveiler (generale Harris), Brian F. Durkin (tenente), Cullen Moss (agente di Stanton), Jason Hatfield (Asa Trenchard), Kathleen Hogan (sig.ra Mountchessington), Gerald Bestrom (Abraham Lincoln) Durata: 122’ Metri: 3300 no riesce a dileguarsi in sella a un cavallo, nonostante si sia rotto una gamba gettandosi dal palco presidenziale. Al contrario di Booth, il cospiratore David Herold si rifiuta all’ultimo istante di togliere la vita al vice presidente Johnson. In seguito, Booth è individuato dall’esercito all’interno di un granaio, cui viene dato fuoco con delle torce. David Herold, George Atzerodt, Lewis Powell, Michael O’Laughlin, Samuel Arnold, il dottore Samuel Mudd e Edman Spangler sono arrestati e poi processati con l’accusa di cospirazione. Fra questi, è acciuffata pure una donna: tale Mary Surratt, proprietaria di una pensione dove i congiurati avevano macchinato 36 il piano omicida e madre di John Surratt, ancora a piede libero. Nonostante la signora del Sud dichiari a gran voce la propria innocenza, anche lei dovrà sedere nel banco degli imputati in tribunale. A rappresentarla davanti alla corte è chiamato l’inesperto avvocato Frederick Allen, eroe di guerra e futuro marito dell’incantevole Catherine Morgan. Sin da subito, Frederick si dimostra alquanto scettico riguardo all’estraneità di Mary Surratt rispetto ai fatti, tuttavia è consigliato dal suo mentore Reverdy Johnson ad accettare il caso. Di parere completamente opposto, invece, sono la fidanzata e l’amico Nicholas Baker, che ha combattuto al suo fianco per il so- Film gno di un paese finalmente unito. Nel frattempo, il treno con le spoglie mortali di Lincoln attraversa diversi stati degli USA. Con il passare dei giorni, i disaccordi tra l’accusata e il proprio legale non si decidono a cessare, quantunque Frederick ammiri inconsciamente la sensibilità e l’attaccamento alla fede cristiana palesato dalla donna dietro le sbarre. Il giovane difensore, però, si ricrede allorché percepisce il senso di vendetta a tutti costi che emana l’intero organo giudiziario e – in particolare – il pubblico ministero Joseph Holt. In verità, dietro a questo ultimo individuo è possibile percepire la “longa manus” del politico Edwin Stanton. In una seduta giudiziaria, un certo John Lloyd narra di come la signora Surratt si fosse recata il giorno prima del delitto Lincoln presso l’abitazione-taverna Lloyd, pregando il proprietario di nascondere da occhi indiscreti un quantitativo di armi e un po’ di whisky. Sempre in quell’occasione, la donna aveva posto nelle mani di Lloyd un pacchetto sigillato, contenente un piccolo binocolo. A dire dell’oste, qualche ora più tardi passarono degli uomini a ritirare siffatto quantitativo di merce. Il racconto reso volontariamente da Lloyd alla magistratura è poi avvalorato da Louis Weichmann che – secondo la versione ufficiale – si sarebbe aggregato alla vedova Surratt in simile occasione. La corte di giustizia sembra dare un peso rilevante sia alle affermazioni di Lloyd, sia a quelle di Weichmann, sebbene il primo abbia la fama di alcolista e il secondo risulti un personaggio piuttosto ambiguo. A nulla valgono neppure le parole di Anna Surratt (figlia di Mary), chiamata in qualità di test dalla difesa. All’avvocato Allen non rimane altro che scaricare tutte le colpe su John Surratt, al fine di salvare dalla forca la genitrice del giovane corriere della Confederazione. Sapendo che il prete con cui si confida Mary è a conoscenza del rifugio di John, Frederick esorta il sacerdote affinché il pastore persuada il ragazzo a tornare a Washington. Per non perdere altro tempo prezioso, il protagonista cerca di ottenere un nuovo appello per la Surratt, quando ormai il verdetto è stato proclamato. All’inizio, il legale la spunta; ma, successivamente, la sentenza di colpevolezza presa in precedenza è dichiarata inappellabile. Nell’estate del 1865 Mary Surratt, David Herold, Lewis Paine e George Atzerodt sono condannati a morte tramite impiccagione. Al Dott. Mudd, Samuel Arnold e Michael O’Lauglin spetta invece l’ergastolo. Due anni dopo il processo, John Surratt viene bloccato dalle forze dell’ordine e spedito in gattabuia. Il fato Tutti i film della stagione si dimostra particolarmente propizio per John, dal momento che la corte civile prende la decisione di rimetterlo in libertà per mancanza di prove. Dalle didascalie finali, il pubblico viene a conoscenza del fatto che Frederick abbandona il suo posto di lavoro come avvocato per divenire giornalista del quotidiano «Washington Post». l conflitto che vide impegnati in lotta fra loro gli Stati del Nord e quelli del Sud dell’America settentrionale fu senza dubbio la prima guerra totale dei nostri tempi: la prima che avesse coinvolto così a lungo la società civile di un grande paese moderno, la prima in cui fossero stati utilizzati sistematicamente i nuovi mezzi offerti dallo sviluppo tecnologico e industriale, come il telegrafo, la ferrovia, ma anche armi a lunga gittata come i fucili di precisione, le mitragliatrici, le navi corazzate e i primi sommergibili. La guerra durò ben quattro anni, vide impegnati nelle operazioni belliche circa tre milioni di uomini e costò l’altissimo prezzo di oltre 600.000 vite umane. La Guerra Civile americana vide pure l’ingresso delle donne sia sul campo di battaglia sia in politica. Molti rappresentanti del gentil sesso si spacciarono per uomini e andarono a combattere al fronte, spinte da un impeto patriottico oppure per seguire il marito. Alcune di loro furono addirittura delle spie. Chi andò sul campo di battaglia, quindi, non furono più solo i boys, ma anche le girls. Per questo motivo, la propaganda sudista descriveva le donne del nord come dure e poco femminili. Dal canto loro, i nordisti guardavano al sud come a una terra del peccato, capace di generare esseri femminili della stregua di Mary I 37 Surratt: la prima donna a essere impiccata dal Governo Federale dei neonati Stati Uniti d’America. L’ultima fatica di Robert Redford si può leggere altresì come un attacco fortissimo al potere maschile, totalmente incapace di governare una nazione ai suoi primi vagiti di vita. Il segno rosso del coraggio traspare nella figura del protagonista, che nella difesa della sua assistita, mai si abbandona a un moto di codardia, tanto da scegliere di gettare nel fango gli ideali per cui ha valorosamente combattuto pur di non alienarsi la simpatia della cerchia dei propri conoscenti. Frederick Allen non è altro, perciò, che una sorta di alter ego dei due cronisti d’assalto Carl Bernstein e Bob Woodward del cult Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula: non a caso, quando Allen deciderà di congedarsi dalla carriera legale, sceglierà come sua futura professione quella di giornalista al «Washington Post». Quantunque il lungometraggio del regista che “sussurrava ai cavalli” non sia un vero e proprio courtroom drama ( infatti, non è completamente ambientato all’interno di un’aula di tribunale), le arringhe tintillano a lungo nella mente dello spettatore per la loro solenne epicità. Nel finale, poi, il settantaquattrenne regista d’idee progressiste fa sì che il climax della pellicola si avvicini allo zenit e che il tono di fondo di The conspirator si mantenga alto: un po’ come in certi grandi film del passato, che oramai Hollywood da anni non produce quasi più. L’ossatura estetica del film poggia, invece, sull’eccellente fotografia di Newton Thomas Sigel, un tempo pittore e regista sperimentale al Whitney Museum di New York City. Film Con un budget di circa venti milioni di dollari, nel 2009 Redford ha iniziato in Georgia le riprese di The conspirator, riprendendo un certo discorso critico sul livello di degenerazione raggiunto dal suo Paese, iniziato nel precedente Leoni per agnelli. Da simili premesse parte anche il thriller The company you keep di Redford con il giovane divo di Transformers Shia LaBeouf. Essendo fondamentalmente un film a tesi, basato sul- Tutti i film della stagione l’intenzione di voler dimostrare determinati enunciati ideologici, la seguente pellicola non è stata affatto un successo commerciale in patria. In The conspirator si può osservare un cast artistico di tutto rispetto, con grandi attori nel ruolo di comprimari e personaggi di contorno come Justin Long, Evan Rachel Wood, Tom Wilkinson, Kevin Kline e Toby Kebbell. Lo scozzese James McAvoy – ora al cinema anche nelle vesti del professor Charles Xavier in X-Men: l’inizio – mostra la giusta grinta per eccellere nel ruolo dell’avvocato alle prime armi Frederick Allen. Parimenti Robin Wright (ex signora Penn dimostra di essere un’attrice puro sangue, scoprendo quanto basta la fermezza di volontà e amore materno della Surratt sotto uno strato di apparente freddezza congenita. Maria Cristina Caponi BENVENUTI A CEDAR RAPIDS (Cedar Rapids) Stati Uniti, 2011 Regia: Miguel Arteta Produzione: Jim Burke, Alexander Payne, Jim Taylor per Ad Hominem Enterprises Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 1-7-2011; Milano 1-7-2011) Soggetto e sceneggiatura: Phillip Johnston Direttore della fotografia: Chuy Chávez Montaggio: Eric Kissack Musiche: Christophe Beck Scenografia: Doug J. Meerdink Costumi: Hope Hanafin Produttore esecutivo: Ed Helms Co-produttore: Brian Bell Direttore di produzione: Brian Bell Casting: Joanna Colbert, Richard Mento, Meredith Tucker Aiuti regista: Scott August, Richard L. Fox, Sebastian Mazzola Operatori: Lawrence Karman, Ted Lichtenheld, William Eichler Operatore Steadicam: Lawrence Karman Art director: Rob Simons Arredatore: Jeanette Scott Trucco: Roz Music, Sherri Zebeck, Mary Burton, Kimberly Jones, Vicki Vacca im Lippe è un timido e ingenuo venditore di polizze assicurative dipendente della Brown Star Insurance che vive da sempre nella cittadina di Brown Valley nel Wisconsin. Impacciato e infantile, intrattiene una relazione con la sua ex insegnante Macy Vanderhei, suo unico svago in una vita monotona a tranquilla. Ma l’improvvisa morte del suo collega Roger Lemke lo mette di fronte a un’emergenza: deve sostituirlo all’annuale convention delle società di assicurazioni che si tiene a Cedar Rapids nello Iowa, dove viene assegnato il Premio “Two Diamonds” per il miglior venditore. Compito di Tim sarà di convincere il capo della convention Orin Helgesson che la Brown Star merita anche quest’anno il riconoscimento. Tim è intimorito dalla missione, dal suo primo volo in aereo, dall’albergo che ha un’enorme piscina nella hall e utilizza car- T Acconciature: Kristin Berge, Dena Fayne, Kevin J Edwards, Joy Zapata Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson Supervisore effetti visivi: Scott M. Davids (Level 256) Supervisore costumi: Carlane Passman Supervisore musiche: Margaret Yen Interpreti: Ed Helms (Tim Lippe), John C. Reilly (Dean Ziegler), Anne Heche (Joan Ostrowski-Fox), Isiah Whitlock Jr. (Ronald Wilkes), Stephen Root (Bill Krogstad), Kurtwood Smith (Orin Helgesson), Alia Shawkat (Bree), Thomas Lennon (Roger Lemke), Rob Corddry (Gary), Mike O’Malley (Mike Pyle), Sigourney Weaver (Macy Vanderhei), Inga R. Wilson (Gwen Lemke), Mike Birbiglia (Trent), Seth Morris (zio Ken), Chris DiAngelo (Kurt Gambsky), Lindsey Alexandra Hartley (Pam Gambsky), Welker White (Dione Krogstad), John Djurovski (barista), Tracey Maloney (assistente di volo), Steve Blackwood (Lindy), Ken Wood (cameriere), Lise Lacasse (Lila), Christopher Lemon, Sudhi Rajagopal, Charlie Sanders, Craig Janos, Carl Harry Carlson, James Howard Carr Durata: 87’ Metri: 2360 te magnetiche come chiavi e soprattutto dagli altri colleghi più smaliziati di lui. Il suo capo Bill lo mette in guardia da Dean Ziegler, collega di una compagnia concorrente dai modi piuttosto volgari, incline all’alcool e alle belle donne. Ma Tim finisce in camera proprio con Ziegler e Ronald Wilkes. I due gli presentano l’affascinante Joan Ostrowski-Fox. Tim stringe amicizia con la bella collega: i due vincono una caccia al tesoro il cui primo premio consiste in una cena. Tim passa una bella serata e sembra vincere la timidezza cantando a un talent-show e ballando fino a tarda notte. Ubriaco, fa il bagno nudo nella piscina dell’hotel con Joan e finisce a letto con lei. Poco dopo, assalito dai sensi di colpa, telefona a Macy e le confessa di aver fatto sesso con un’altra donna. Poi chiede a Macy di sposarlo ma la donna rifiuta dicendo che è stata già sposata e di volersi 38 godere la sua libertà. Macy lo sprona a diventare adulto. Intanto Orin, che ha assistito alle bravate notturne di Tim, chiama Bill e lo informa. Il capo chiama Tim e lo minaccia di licenziarlo. Poco dopo, Joan riferisce a Tim che Roger, il suo collega della Brown Star che ha vinto il premio “Two Diamond” per tre anni di seguito, aveva corrotto Orin. Poi gli dice che Roger era un depravato e confessa di aver avuto una storia con lui. Tim informa Dean Ziegler che gli dà un consiglio: è necessario giocare allo stesso gioco di Orin. Poco dopo Tim va da Orin, che lo minaccia dicendogli che si è rovinato da solo con il suo comportamento scandaloso. Tim dice che ha i soldi per pagarlo e gli dà 1.500 dollari. Orin abbocca convinto di aver trovato il successore di Roger. Tim si sfoga passando una notte brava con la prostituta Bree e si mette nei guai prendendo dro- Film ga e finendo a una festa piena di gente poco raccomandabile. Ma viene salvato dai suoi amici. In hotel intanto sopraggiunge Bill che ha saputo che il premio è loro: vincere per quattro volte li ha resi appetibili sul mercato. Mike Pyle vuole rilevare la Brown Star, chiudere l’agenzia di Brown Valley e trasferire Tim nella filiale di Milwaukee. Mentre Mike fa il suo discorso alla premiazione, Tim interviene confessando aver pagato Orin per il premio. Bill va su tutte le furie, ma Tim dice che ha chiamato i clienti che non seguiranno la compagnia se cambierà proprietario: diciassette di loro hanno già detto che passeranno a essere suoi clienti se la compagnia sarà venduta. Tim riesce a salvare la compagnia e festeggia il successo con i suoi amici. Ora è davvero un eroe e sull’aereo merita una doppia dose di noccioline. on quella faccia un po’ così ... certo, a guardarlo si pensa davvero, stiamo parlando di Ed Helms, nuovo volto ‘qualunque’ della commedia a stelle e strisce. Simpatia di rimando ci viene da pensare. Certo se i due film Una notte da leoni, dove Helms interpreta Stu, il tranquillo dentista coinvolto in deliranti avventure dai suoi amici più pazzi di lui, non avessero C Tutti i film della stagione ottenuto il successo che hanno avuto, Benvenuti a Cedar Rapids magari non sarebbe neanche arrivato da noi. Lo dimostra il fatto che ha avuto una distribuzione ‘defilata’ in piena stagione estiva. Helms veste i panni di un eroe di pastafrolla, a metà strada tra Candido e Peter Pan, un ‘bambinone’ mai cresciuto e ancora ‘vergine’, cullato dai ritmi sonnolenti e tranquilli di una piccola città di provincia americana. Il classico uomo regolare che assaggia la trasgressione. Un personaggio un po’ alla Jack Lemmon di L’appartamento, ma con molte sfumature in meno. Benvenuti a Cedar Rapids è una commediola che scorre piacevole infarcita di una comicità a tratti un po’ demenziale e ripetitiva. Lo schema non nuovo dei quattro amici che si fanno trascinare dalla baldoria di una notte può richiamate alla mente le ‘notti da leoni’ appena trascorse ma in versione molto più ingenua. Il nostro timido assicuratore si lascia prendere dalla goliardia dei colleghi più svegli di lui ma tiene fede al suo personaggio. Fa il bagno nudo in piscina, partecipa a un ‘drug party’ e fa sesso con una collega sposata; ma poi si pente e piagnucola. Insomma per la prima metà del film, uno Stu(pido) molto ‘più Stu’ di quello delle sue notti ‘leonine’. Salvo poi salvarsi nella seconda parte, re- cuperando molto terreno e un po’ di malizia (ma a fin di bene), trovando il coraggio di opporsi ai ‘soliti’ superiori disonesti. A fare da spalla al protagonista, svetta John C. Reilly, perfetto nel ruolo del collega assicuratore volgarotto, ennesima prova convincente di un attore che meriterebbe davvero di entrare a pieno titolo nell’olimpo delle star (vedere la sua cristallina prova di attore drammatico nell’ottimo Carnage di Polanski). Nei panni della collega sposata in cerca di avventure extraconiugali ritroviamo Anne Heche (recentemente in TV con la serie “Hung”), mentre nel ruolo dell’altro compagno di bravate c’è Isiah Whitlock jr. (interprete della serie “The Wire”, citata espressamente dal suo personaggio che, in una divertente sequenza, se ne dichiara fan accanito). Piccolo ruolo per l’altera Sigourney Weaver. Diretto da Miguel Arteta (The Good Girl del 2002), il film è un divertimento leggero e senza sorprese dallo svolgimento banale e dal finale buonista che dispensa la solita morale facile facile (a onor del vero, però, qualche gag strappa il sorriso). Buono per una serata scacciapensieri. Ma non chiedete di più a un timido assicuratore di provincia. Elena Bartoni MELANCHOLIA (Melancholia) Danimarca/Francia, 2011 Regia: Lars von Trier Produzione: Meta Louise Foldager, Louise Vesth per Zentropa Entertainments/Memfis Film/Zentropa International Sweden/Slot Machine/Liberator Productions/Zentropa International Köln/Film i Väst/Danmarks Radio/Arte France Cinéma Distribuzione: Bim Prima: (Roma 21-10-2011; Milano 21-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Lars von Trier Direttore della fotografia: Manuel Alberto Claro Montaggio: Morten Højbjerg, Molly Marlene Stensgaard Scenografia: Jette Lehmann Costumi: Manon Rasmussen Produttori esecutivi: Peter Garde, Peter Aalbæk Jensen Co-produttori: Bettina Brokemper, Rémi Burah, Madeleine Ekman, Tomas Eskilsson, Lars Jönsson, Marianne Slot Line producer: Marianne Jul Hansen Direttori di produzione: Jessica Balac, Maj-Britt Paulmann Aiuti regista: Jonas Eskilsson, Pontus Klänge, Anders Refn, James Velasquez arte I: Justine. Justine e Michael, appena sposati, si presentano con due ore di ritardo al ricevimento di nozze, organizzato dalla sorella P Operatori: Peter Hjorth, Luca Oltenau Art director: Simone Grau Arredatore: Louise Drake Trucco: Linda Boije af Gennäs, Camilla Eriksson, Dennis Knudsen Acconciature: Linda Boije af Gennäs, Camilla Eriksson, Dennis Knudsen Supervisore effetti speciali: Hummer Høimark Supervisori effetti visivi: Sven Martin (Pixomondo), Benni Diez (Kingz Entertainment), Peter Hjorth Coordinatori effetti visivi: Franzi Puppe (Pixomondo), Malin Persson Interpreti: Kirsten Dunst (Justine), Charlotte Gainsbourg (Claire), Kiefer Sutherland (John), Charlotte Rampling (Gaby), John Hurt (Dexter), Alexander Skarsgård (Michael), Stellan Skarsgård (Jack), Brady Corbet (Tim), Udo Kier (organizzatore di matrimoni), Deborah Fronko (madre di Michael), Cameron Spurr (Leo), Jesper Christensen, Brady Corbet Durata: 130’ Metri: 3600 Claire e dal cognato in lussuoso maniero in Svezia. Appena arrivata, la ragazza apprende dal suo capo di essere stata promossa da copywriter ad art director 39 della società pubblicitaria dove è impiegata. Ma, durante i festeggiamenti, inizia a farsi sentire la tensione, in particolare fra Film i genitori della sposa: la madre, “allergica” ai matrimoni, non sopporta l’atteggiamento infantile del marito che si intrattiene senza vergogna con le altre invitate. Justine, che appare apatica e a disagio, comincia ad assentarsi: prima si aggira per il campo da golf del cognato, poi si addormenta sul letto del nipotino, infine, si concede un rilassante bagno. Confusa e stordita, va della madre a chiedere aiuto, ma la donna la caccia via brutalmente. Invece di trascorre la prima notte assieme al marito, lo abbandona da solo in camera. Preferisce avere un rapporto occasionale in giardino col nipote del suo datore di lavoro, che la perseguita nel tentativo di estorcerle lo slogan della nuova campagna. Poco dopo, manda tutto in malora insultando il suo capo e, alla fine, dando il benservito anche al marito. Parte II: Claire. Claire porta la sorella malata di depressione a vivere a casa sua per prendersi cura di lei. Intanto la donna chiede informazioni al marito riguardo al pianeta Melancholia, che di lì a cinque giorni dovrebbe colpire la Terra. L’uomo però la rassicura. Quando osservano col telescopio il suo passaggio, in effetti la moglie pare convincersi che le sue paure sono infondate. La situazione però precipita quando trova morto il marito nella stalla. Accortasi che il pianeta si sta avvicinando sempre di più alla Terra, Claire cerca di mettersi in salvo scappando col figlio in direzione del villaggio. Ma presto è costretta a tornare indietro. A questo punto, lei, la sorella ed il bambino scelgono di rifugiarsi in una capanna costruita con bastoni di legno e di tenersi per mano, in attesa del tragico impatto. ’ L ipocondriaco Lars Von Trier non è certo nuovo a incursioni nei territori della malattia, del dolore o Tutti i film della stagione della menomazione fisica: pensiamo agli strazianti Le onde del destino e Dancer in the dark, premiati entrambi a Cannes. Eppure, chi ha pensato che con Antichrist (2009) avesse toccato gli abissi del proprio inconscio disturbato, dovrà ricredersi dopo aver visto Melancholia. Il peccato, la carne, la morte ed il Male, simboleggiati da un grande albero che avvinghia le anime con le sue infinite ramificazioni, come in un’infernale selva dantesca, nel precedente film scandalizzò non poco il pubblico. Soprattutto per le scene di “castrazione” che si infliggono i coniugi Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg. E sono diversi i punti di contatto con la nuova pellicola. A partire dalla musa Gainsbourg (l’ennesima di una folta lista di attrici che si sono “masochisticamente” prestate alla follia di Von Trier), scelta questa volta per interpretare la sorella della protagonista, Claire. Un personaggio apparentemente sicuro di sé, ma che tradisce tutta la sua fragilità quando si rende conto della minaccia rappresentata da Melancholia, pianeta fratello di Saturno. Anche qui deve confrontare i propri timori e istinti con le certezze scientifiche del marito. Oltre alla tradizionale divisione in capitoli, c’è un altro aspetto in comune: il prologo con ouverture. Una sequenza al ralenty di immagini di grande impatto, accompagnate dalle musiche del Tristano e Isotta di Wagner (dalla sposa che attraversa il prato con i piedi avvolti da gomitoli di lana, alla disperata sorella col figlio in braccio impantanata nell’erba, passando per l’immensità del cosmo in omaggio a Solaris di Tarkovskij e 2001: Odissea nello spazio), ricorda infatti l’inizio di Antichrist. Diciamo subito che il catastrofismo di Melancholia riflette il profondo disagio esi- 40 stenziale del suo autore. E a portarne i segni in scena è la bravissima Kirsten Dunst, cupa come non mai, che, con questa interpretazione, ha fatto centro a Cannes conquistandosi la Palma d’Oro. Justine è una stupenda creatura, insofferente alla vita e alle regole, che si sforza di mostrarsi a tutti sorridente, mentre qualcosa di misterioso la logora dentro. Vive sotto l’influenza di questo pianeta nascosto dietro al Sole, quasi fosse stregata dalla sua vista, posseduta dalla sua energia. Non a caso, è l’unica a non rimanere impressionata negativamente dal passaggio di Melancholia vicino alla Terra: mentre la sorella si dimostra terrorizzata al punto da accusare un mancamento d’aria, lei, al contrario, è ammirata dinnanzi a quella visione spettacolare. Se la prima parte del film è piuttosto chiara nel presentare le dinamiche malate e non prive di ironia, di cui sono protagonisti, in stile Festen, i parenti-serpenti (il padre immaturo John Hurt, la cinica madre Charlotte Rampling e, ancora, il cognato irascibile Kiefer Sutherland), la seconda parte del film è un angosciante approssimarsi alla Fine. Con una Dunst sempre più in balia delle sue turbe psichiche che, al pari di altre sfortunate eroine dell’autore, sembra portare sulle proprie spalle tutto il peso del mondo. Quando un sinistro silenzio irrompe in questo incantevole paradiso scandinavo (anche i cavalli nelle stalle tacciono... ), non rimane altro che aspettare il momento della collisione. Con tragica serenità. Non sappiamo se il “volpone” danese abbia voluto cavalcare la moda catastrofista che da tempo viene rilanciata dalla rete. Certo è che quella sequenza finale, in cui assistiamo impotenti alla nostra estinzione (davanti a noi una gigantesca palla luminescente aumenta sempre più di volume, fino a travolgere e a polverizzare tutto), non può lasciare indifferenti. Von Trier realizza un’opera sulla paranoia dell’apocalisse che trasmette ansia e claustrofobia come se ne ricordano poche: se è vero che Melancholia sottrae atmosfera quando lambisce il nostro pianeta, anche il regista ha il potere di togliere man mano ossigeno a ogni inquadratura. Una “punizione” fin troppo dura per lo spettatore, che ha comunque il privilegio di poter godere di alcuni momenti di cinema molto forti, tra primi piani stranianti della Dunst e inquadrature rallentate naturaliste che hanno l’antico fascino della pittura preraffaellita. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione DRIVE (Drive) Stati Uniti, 2011 Regia: Nicolas Winding Refn Produzione: Michel Litvak, John Palermo, Marc Platt, Gigi Pritzker, Adam Siegel per Bold Films/Odd Lot Entertainment/ Drive Film Holdings/Marc Platt Productions/Seed Productions Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 30-9-2011; Milano 30-9-2011) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di James Sallis Sceneggiatura: Hossein Amini Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel Montaggio: Matthew Newman Musiche: Cliff Martinez Scenografia: Beth Mickle Costumi: Erin Benach Produttori esecutivi: David Lancaster, Bill Lischak, Linda McDonough, Jeffrey Stott, Gary Michael Walters Co-produttori: Frank Capra III, Garrick Dion, James Smith Direttore di produzione: Jim Behnke Casting: Mindy Marin Aiuti regista: Dieter ‘Dietman’ Busch, Frank Capra III, Mark Carter, Ronan O’Connor Operatori: Greg Baldi, Gregory Lundsgaard, Newton Thomas Sigel Operatore Steadicam: Gregory Lundsgaard Art director: Christopher Tandon river è un giovane silenzioso che lavora come meccanico collaudatore nell’officina di Shannon dove anni prima è capitato senza passato né identità alcuna. Per Shannon lavora anche come stuntman, con ottimi risultati, nelle produzioni cinematografiche in cui serve qualcuno che sappia pilotare veicoli nelle situazioni più difficili e spettacolari. La notte, poi, driver arrotonda la paga guidando automobili truccate al servizio di rapinatori che abbiano bisogno di un autista che li faccia scappare alla svelta: insomma guidare è davvero il suo mestiere. Il giovane conosce Irene che vive con il piccolo Benicio proprio nell’appartamento accanto al suo; lei è sola ma ha il marito, Standard che sta per uscire dalla galera. Driver sta vicino alla giovane e presto se ne innamora e aiuta il bambino in questo periodo senza padre. Non appena questi esce è pestato dagli uomini della mafia che lo hanno protetto in galera e che reclamano la restituzione del debito, i cui interessi aumentano giorno per giorno a cifre esponenziali. Standard è così costretto a rapinare un banco di pegni per chiudere il conto definitivamente; Driver si offre di aiutarlo risolvendo la parte automobilistica con relativa fuga. Il malloppo (un milione di dollari) è presto in macchina ma Standard resta sul terreno, crivellato di D Arredatore: Lisa K. Sessions Trucco: Gerald Quist Acconciature: Medusah Coordinatore effetti speciali: James Lorimer Supervisori effetti visivi: Dottie Starling (Wildfire VFX), Jerry Spivack Coordinatore effetti visivi: Elbert Irving IV (Wildfire VFX) Supervisore costumi: Jean Rosone Supervisori musiche: Eric Craig, Brian McNelis Interpreti: Ryan Gosling (Driver), Carey Mulligan (Irene), Bryan Cranston (Shannon), Albert Brooks (Bernie Rose), Oscar Isaac (Standard), Christina Hendricks (Blanche), Ron Perlman (Nino), Kaden Leos (Benicio), James Biberi (cuoco), Russ Tamblyn (Doc), Joe Bucaro III (chauffeur), Tiara Parker (Cindy), Tim Trella, Jim Hart (cecchini), Tina Huang (cameriera), Andy San Dimas (spogliarellista), Craig Baxley Jr., Kenny Richards (uomini mascherati), Joe Pingue, Dieter ‘Dietman’ Busch (aiuto regista), Chris Muto (Jack), Rachel Belle (conduttore notiziario), Cesar Garcia (cameriere), Steve Knoll (star del film), Mara LaFontaine (fidanzata della star del film), Teonee Thrash (agente di polizia), Jeff Wolfe, John Pyper-Ferguson Durata: 100’ Metri: 2630 colpi dal gestore del banco; Driver riesce a fuggire. In realtà, il colpo era una trappola che serviva a incastrare un investitore venuto da fuori che voleva mettersi in affari con le famiglie mafiose: la morte di Standard era nel conto, non che i soldi sparissero con Driver. L’imbroglio è stato organizzato da Bernie, vecchio socio in affari di Shannon e da Nino, suo amico mafioso. I due gangster, per rimettere a posto le cose e rientrare in possesso del denaro danno inizio alla carneficina: Shannon che sta per fuggire è il primo a essere ucciso a colpi di rasoio mentre Driver si libera di Nino e fa fuggire Irene con Benicio ipotizzando un futuro per tutti e tre; non ci sarà, invece, nulla per nessuno. Driver e Bernie si affrontano in un parcheggio a colpi di pugnale, Bernie è al suolo, Driver, coperto di sangue, lascia il posto alla guida della sua macchina, presumibilmente verso il nulla; Irene bussa inutilmente alla sua porta. in una bolla priva d’aria che vive il nostro protagonista, il biondino silenzioso con il giubbotto d’argento (diventato ormai un cult un po’ dappertutto), forse è meglio dire una specie di vuoto pneumonico in cui si è rinchiuso da solo, così ipotizziamo, in un periodo pre- È 41 cedente alla storia raccontata nel film. Naturalmente è un’ipotesi perchè nulla è specificato del passato del protagonista a sostegno di quanto detto, né se qualcosa o qualcuno gli abbia così scarnificato i sentimenti dall’anima da fargli preferire un’esistenza priva di slanci e di azione (nonostante tutte le azioni ad alta velocità che appartengono alle sue giornate), una sorta di “non vita”. È straordinario nel lavoro di officina ma, come apprendiamo nel corso del film è pagato al di sotto del suo reale valore; è disposto ad accettare le più pericolose peripezie di stuntman senza battere ciglio; guida la macchina come un dio ma non ne possiede una; quando la vita lo fa sbattere contro la possibilità di un sentimento, questo è espresso nella stessa maniera, in un’ambigua, incompiuta frustrazione così forte e avvolgente che per risolverla il nostro eroe mette in moto un meccanismo di sangue e di morte che può sfociare solo nel disastro. È a questo punto infatti che Driver accende quella violenza che, in qualche modo, gli appartiene (di qui la nostra ipotesi dell’inizio) e che, lungamente rimossa o addomesticata, può finalmente dare libero corso a una espressione così parossistica e ossessiva da far pensare sia stata, un tempo, motivata: “ho tentato, per difendermi, di vivere una non vita dentro un vuoto, ma non ce l’ho fatta Film perchè l’unico modo che possa permettermi di toccare la realtà è una violenza cieca che non risparmia nessuno, tantomeno me stesso”. L’attore canadese Ryan Gosling e il regista danese Nicolas Winding Refn si sono reciprocamente voluti, come folgorati sulla via di Damasco, per realizzare questo film ricco di pathos e denso di una forza creativa ben visibile: nelle scene d’azione, nella raffinatezza e nella precisione delle atmosfere e degli ambienti descritti, nella sensibile padronanza con cui entrambi ci presentano uno stato pro- Tutti i film della stagione fessionale di grazia (premio per la regia a Cannes 2011). E se, nel corso della visione, abbiamo avuto in mente il sicario privo di emozioni di Jean Reno in Leon, o il granitico silenzio dei pistoleri di Clint Eastwood, o gli incubi esistenziali delle sceneggiature di Paul Schrader, bene, riconosciamo nel lavoro realizzato da questo regista e da questo attore la possibilità più attuale e moderna di esprimere la società di oggi: non si può modificare il male di vivere che si ha dentro a causa di uno sguardo, neanche il più disarmante, puro, coinvolgente oltre ogni umano desiderio, oltre ogni orizzonte di tempo e di luogo, ma destinato alla sterilità, all’insoddisfazione nella totale impossibilità di avvicinarsi a chi di quello sguardo è portatore. Cosa resta? Resta la violenza, compatta, dilatata a occupare ogni infrastruttura della condizione umana; resta l’automobile alla cui guida ci si sente al posto giusto, meccanici sono solo i contatti, metallici i desideri; in questo modo non si può morire, mai. Fabrizio Moresco TERRAFERMA Italia, 2011 Regia: Emanuele Crialese Produzione: Marco Chimenz, Fabio Conversi, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi per Cattleya/Babe Film/France 2 Cinéma/ Rai Cinema/Canal+/CinéCinéma Distribuzione: Rai Cinema/01 Distribution Prima: (Roma 7-9-2011; Milano 7-9-2011) Soggetto: Emanuele Crialese Sceneggiatura: Emanuele Crialese, Vittorio Moroni Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti Montaggio: Simona Paggi Musiche: Franco Piersanti Scenografia: Paolo Bonfini Costumi: Eva Coen Produttore esecutivo: Matteo De Laurentiis Produttore associato: Fabio Massimo Cacciatori ull’isola di Linosa, Filippo è un ragazzo diviso tra l’istinto a continuare il mestiere di pescatore del padre (defunto) e del nonno (ancora caparbiamente attivo nonostante le difficoltà economiche) e il desiderio di una vita “moderna”, come quella di zio Nino, che con la sua barca e il suo stabilimento è pronto a compiacere il turismo di massa, offrendo ai vacanzieri musica, gite e una spiaggia dotata di ogni comfort. Nel mezzo, Giulietta, madre di Filippo, che sogna di cambiare un destino che appare segnato e lasciare l’isola, per offrire un futuro migliore al figlio e anche a se stessa. Desiderando mettere i soldi da parte per andare sul continente, Giulietta decide di affittare la casa ai turisti per l’estate. Lei e Filippo dormiranno nel garage accanto a casa loro. Ma, proprio quando le cose sembrano andare come Giulietta non osava sperare, in una notte di pesca, Filippo e nonno Ernesto avvistano in mare dei clandestini. Li soccorrono. Nonostan- S Direttore di produzione: Federico Foti Casting: Chiara Agnello Aiuto regista: Emiliano Torres Operatori: Luigi Andrei, Marco Tani Trucco: Alessandra Vita Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Suono: Pierre Yves Lavoué Interpreti: Donatella Finocchiaro (Giulietta), Beppe Fiorello (Nino), Mimmo Cuticchio (Ernesto), Martina Codecasa (Maura), Filippo Pucillo (Filippo), Tiziana Lodato (Maria), Claudio Santamaria (Santamaria), Timnit T. (Sara), Filippo Scarafia (Marco), Pierpaolo Spollon (Stefano), Rubel Tsegay Abraha (Omar) Durata: 88’ Metri: 2460 te sappia che la legge lo vieti, Ernesto decide di seguire la “legge del mare” e li porta a riva con il suo peschereccio. Tra i migranti ci sono anche Sara, una donna incinta e il suo bambino, che Ernesto e Filippo portano da Giulietta. Giulietta è arrabbiata e preoccupata, ma aiuta generosamente la clandestina, che partorisce nel suo garage e la ricompensa dando alla figlia neonata il suo nome. Aver soccorso dei clandestini costa a Ernesto il sequestro del peschereccio: di fronte alle disposizioni nazionali che la Guardia di Finanza deve far rispettare, a nulla vale che da sempre la “legge del mare” imponga di soccorrere chi chiede aiuto, a nulla neppure che la barca sia l’unica fonte di sostentamento del vecchio. La situazione si fa quindi più difficile: Filippo va ad aiutare zio Nino, la salute di Ernesto risente degli anni, Giulietta resta come imprigionata dalla presenza nel suo garage, insieme a lei, di Sara e dei due 42 bambini. La donna continua – nella propria lingua – a ringraziarla, Giulietta insiste nel risponderle – in italiano – che deve andar via. Ma al di là delle parole, nei fatti le due donne sono unite dalla lotta per conquistare ciascuna la propria chance di una vita migliore. Quando si capisce che Sara e i bambini non possono più restare nascosti a Linosa e che Sara ha un marito a Torino che l’aspetta, Filippo decide di rischiare il tutto per tutto in prima persona e di avventurarsi sul mare, portandoli con sé sul piccolo peschereccio di famiglia alla volta della tanto sognata Terraferma... el contesto di una Linosa aspra, meta di turisti e migranti che per opposte ragioni vi fanno rotta, Emanuele Crialese mette al centro il conflitto degli abitanti dell’isola, tentati dalla modernità del turismo e dei guadagni facili alcuni, convinti sostenitori dell’economia tradizionale (anche se faticosa) e della N Film solidarietà tra pescatori altri. Un conflitto che spesso ha la forma del confronto generazionale, rappresentato dal vecchio saggio Ernesto e dal giovane impulsivo Nino, e che il film inquadra in un contesto giustamente corale. Ma andando ancora oltre, si può vedere nel film che ha portato Crialese in concorso a Venezia 68 e tra i concorrenti all’Oscar per l’Italia la più atavica contrapposizione tra legge naturale e legge positiva. Come nel più classico Sofocle, Filippo come Antigone deve scegliere cosa seguire, se ciò che comanderebbe la pietas o ciò che è dettato dalla norma di diritto. Non c’è dubbio che la pellicola adotti la prospettiva del più debole, del migrante, del bisognoso, che metta lo spettatore di fronte alla disperazione e all’umanità di chi è costretto a lottare, anche fisicamente, per conquistarsi un futuro. Le immagini più forti, infatti, sono quelle delle due donne che, l’una di fronte all’altra, reclamano con la propria prorompete fisicità, con i primi piani ingombranti e il viso segnato dalle emozioni, il diritto a vivere. Eppure va riconosciuta a Terraferma un’onestà di fondo nel contestualizzare il tema controverso e attuale dell’immigra- Tutti i film della stagione zione (e anche quello della crisi economica) dando voce a ogni istanza, tenendo a mente le ragioni di tutti, se pure servendosi di personaggi a tratti stereotipati. La regia, capace nel racconto corale, trova dei momenti emozionanti in alcune immagini visionarie e suggestive del mare, via di fuga, pericolo e speranza; l’interpretazione intensa degli attori e, soprattutto, delle attrici arricchisce il film e compensa ampiamente qualche passaggio un po’ troppo didascalico nella sceneggiatura. Tiziana Vox GIALLO/ARGENTO Italia/Stati Uniti, 2009 Regia: Dario Argento Produzione: Richard Rionda del Castro, Rafael Primorac, Claudio Argento, Adrien Brody per Hannibal Pictures/Giallo Production/Footprint Investment Fund/Media Films/Opera Film Produzione Distribuzione: Dall’Angelo Pictures Prima: (Roma 1-7-2011; Milano 1-7-2011)- V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Dario Argento, Jim Agnew, Sean Keller Direttore della fotografia: Frederic Fasano Montaggio: Roberto Silvi Musiche: Marco Werba Scenografia: Davide Bassan Costumi: Stefania Svizzeretto Produttori esecutivi: Claudio Argento, Luis de Val, Billy Dietrich, Patricia Eberle, Oscar Generale, Nesim Hason, Donald A. Barton, Lisa Lambert, Martin McCourt, David Milner Produttori associati: Aitana de Val, John S. Hicks Line producer:Tommaso Calevi Direttore di produzione: Giorgio Turletti Casting: Morgana Bianco Aiuti regista: Roy Bava, Stefano Ruggeri Operatore: Gianni Aldi Operatore Steadicam: Gianni Aldi Effetti speciali trucco: David Bracci, Francesca di Nunzio, Filippo Ferrazzi, Dario Rega, Sergio Stivaletti Trucco: Giancarlo Del Brocco, Alfredo Tiberi Acconciature: Romina Ronzani, Mauro Tamagnini Effetti: Sergio Stivaletti Suono: Roberto Sestito Interpreti: Adrien Brody (ispettore Enzo Avolfi), Emmanuelle Seigner (Linda), Elsa Pataky (Celine), Robert Miano (ispettore Mori), Valentina Izumi (Keiko), Sato Oi (Midori), Luis Molteni ( Sal ), Taiyo Yamanouchi ( Toshi ), Daniela Fazzolari (Sophia), Nicolò Morselli (Enzo giovane), Giuseppe Lo Console (macellaio), Anna Varello (moglie del macellaio), Franco Vercelli (Cabbie), Lorenzo Pedrotti (ragazzo delle consegne), Farhad Re (designer), Barbara Mautino (infermiera), Silvia Spross (donna russa), Lynn Swanson (guida turistica), Massimo Franceschi (coroner), Andrea Redavid, Alberto Onofrietti (agenti), Lorenzo Iacona (investigatore), Giancarlo Judica Cordiglia (sergente), Salvatore Rizzo (guardia di sicurezza), Lorenzo Ceppodomo (figlio di Enzo Avolfi ), Cristiana Maffucci (Violetta), Liam Riccardo (Giallo), Linda Messerlinker (vittima), Patrick Oldani, Maryann McIver, Cesare Scova Durata: 92’ Metri: 2500 43 Film orino. Due ragazze straniere decidono di passare la loro ultima notte in città in discoteca. Mentre una delle due rimane a ballare, l’altra sale su un taxi per tornare in albergo. Il conducente, con la testa nascosta dal cappuccio di una felpa, la sequestra e la chiude in uno scantinato. Dopo averle legato mani e piedi, le scatta alcune fotografie. Il giorno dopo, la bellissima modella Celine esce da una sfilata per andare a cena con la sorella Linda, una hostess venuta a farle visita in Italia. Le due hanno appuntamento nell’appartamento di Celine, ma la ragazza non ci arriverà mai perché si imbatte nel tassista maniaco. Anche lei viene legata e rinchiusa nello scantinato, accanto ad altre ragazze brutalmente seviziate. Quando Linda si reca in questura per denunciare la scomparsa della sorella, incontra l’ispettore Enzo Avolfi. Il poliziotto lavora e vive in un ufficio del seminterrato, tappezzato di foto con donne deturpate dalle violenze del killer. Quest’ultimo, che rapisce solo ragazze belle e straniere, legge riviste porno, riguarda le immagini delle donne sul computer e intanto si masturba. Un giorno, l’assassino fa ritrovare una vittima giapponese vicino ad un convento. La giovane, prima di morire, rivela il nome del suo carnefice: “Giallo”. Avolfi e Linda scoprono che si chiama in quel modo perché è affetto da epatite C, malattia ereditata dalla madre, una tossicodipendente che, appena nato, lo ha abbandonato alle suore. Quando vanno in ospedale per scoprire la sua identità, T Tutti i film della stagione per poco non ce la fanno a prenderlo: l’uomo, che si trova lì per farsi curare, riesce a farla franca. Intanto Celine si libera dalle corde e prova a scappare. Ma Giallo la raggiunge mentre è in cima a un gasometro. Avolfi si reca nella sua abitazione, ma la trova deserta. Il killer chiede aiuto a Linda per fuggire all’estero, ma l’ispettore riesce a fermarlo. Giallo precipita da un parapetto e muore. Celine, ancora viva, verrà rinvenuta da un vigilantes in un garage, rinchiusa nel bagagliaio del taxi. opo tre anni ha visto finalmente la luce l’ultimo ed atteso lavoro di Dario Argento, maestro dallo sguardo sempre più stanco e appannato, insomma non all’altezza di regalarci brividi forti come accadeva una volta. La storia di Giallo è a dir poco travagliata: uscito prima in dvd, è stato bloccato per molto tempo a causa di un lungo contenzioso tra la produzione e Adrien Brody (il premio Oscar per Il pianista di Polanski aveva chiesto 3 milioni di dollari di danni perché non era stato pagato). La vicenda, non molto originale, assomiglia a tanti altri thriller già visti e contiene tutti i classici stereotipi del film sui serial killer: protagonista con le sembianze di un mostro (ha la carnagione giallastra e il viso deforme); efferato modus operandi (l’uomo prima addormenta le sue vittime con un’iniezione e poi le mutila perché «odia tutto ciò che è bello»); trauma familiare come origine della psicosi (è orfano di madre malata); ambientazione cupa e degradata (nasconde i corpi in una canti- D na ingombra di arnesi e, non a caso, vive a Via del Lazzaretto!). Come di consueto, Argento insiste sui particolari più truculenti, mostrando amputazioni di dita, incisioni di labbra e sgozzamenti a non finire. Urla disumane e fiotti di sangue riempiono le inquadrature per il giubilo degli ultimi appassionati dell’horror “made in Italy” (ormai convertiti al dominante filone asiatico). Ma, sarà forse per la location torinese un po’ troppo sterile e brumosa o per la debolezza ed ingenuità della sceneggiatura, il film non convince completamente. Appena abbozzato il tentativo (interessante) di rendere l’ispettore e Giallo due figure speculari. I due uomini sono diventati assassini come risposta ad uno shock d’infanzia. Avolfi ha visto morire davanti ai suo occhi la madre e si è vendicato dell’omicida, un macellaio, uccidendolo con un coltello che conserva ancora nel cassetto della scrivania. Entrambi sono egoisti, solitari, ossessionati da un passato che ritorna con assillanti flashback. Soggetti ambigui di cui non ci si può fidare... . Adrien Brody nei panni del poliziotto non sfigura. Ha il portamento giusto, anche se quella sigaretta sempre in bocca lo rende un po’ caricaturale. Anche l’affascinante Emmanuelle Seigner si comporta discretamente nel ruolo della hostess americana: pur smarrita in una città che non conosce, ha carattere e possiede la determinazione necessaria per arrivare fino in fondo alla verità. Diego Mondella UNA SEPARAZIONE (Jodaeiye Nader az Simin) Iran, 2011 Aiuto regista: Hamid Reza Ghorbani Arredatore: Keyvan Moghadam Trucco: Mehrdad Mirkiani Suono: Mahmoud Samakbashi Interpreti: Leila Hatami (Simin), Peyman Moadi (Nader), Shahab Hosseini (Hodjat), Sareh Bayat (Razieh), Sarina Farhadi (Termeh), Babak Karimi (giudice), Ali-Asghar Shahbazi (padre di Nader), Shirin Yazdanbakhsh (madre di Simin), Kimia Hosseini (Somayeh), Merila Zarei (signorina Ghahraei) Durata: 123’ Metri: 3400 Regia: Asghar Farhadi Produzione: Asghar Farhadi Distribuzione: Sacher Distribuzione Prima: (Roma 21-10-2011; Milano 21-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Asghar Farhadi Direttore della fotografia: Mahmoud Kalari Montaggio: Hayedeh Safiyari Musiche: Sattar Oraki Scenografia: Keyvan Moghaddam Costumi: Keyvan Moghadam Produttore esecutivo: Negar Eskandarfar Direttore di produzione: Keyvan Moghaddam 44 Film na città mediorentale, probabilmente Teheran, oggi. Simin vuole lasciare l’Iran con il marito Nader e la figlia undicenne Termeh per assicurare alla ragazza e a loro un futuro diverso da quello che il suo Paese può, allo stato dei fatti, offrire. Il visto sta per scadere dopo qualche settimana, ma Nader continua a tergiversare perchè non vuole abbandonare il padre malato di alzheimer; così Simin chiede il divorzio e, nell’attesa dello svolgimento delle pratiche, torna a vivere dalla madre. Nader è costretto allora ad assumere una donna, Razieh, che si prenda cura del padre durante la giornata; Razieh è incinta, cosa di cui nessuno, soprattutto Nader, sembra accorgersi e nasconde al marito, disoccupato e rissoso attaccabrighe, il lavoro trovato nella casa di un uomo solo e separato, comportamento sanzionato dalle leggi islamiche. All’inizio tutto sembra andare bene ma presto precipita nella catastrofe: Razieh è costretta un pomeriggio a lasciare il servizio per correre dal ginecologo per un malore; Nader al ritorno trova il padre caduto a terra svenuto, legato al letto per un braccio; non solo, rileva anche la mancanza di una certa somma di denaro da un cassetto. Ovviamente, quando Razieh riappare, Nader la affronta duramente, le intima di andarsene, le dà uno spintone che, almeno in parte, sembra procurare la successiva caduta della donna, il relativo malore, il ricovero d’urgenza in ospedale, la perdita del bambino. A questo punto la situazione si ingarbuglia: Nader è denunciato dal marito della donna che spera così di avere un risarcimento per pagare i creditori da cui è perseguitato; contemporaneamente Nader lo controdenuncia per falso, affermando di non sapere nulla della situazione di salute della moglie. La giovane Termeh è convinta invece che il padre fosse a conoscenza dello stato di Razieh e quindi menta per salvarsi dal carcere e dal risarcimento. L’intervento di Simin, stressata da tanti problemi e per paura di altri guai, sembra essere risolutorio: venga a patti il marito con la parte avversa, paghi in questo modo una somma concordata di minore impatto, ritirino tutti le rispettive denunce e vadano in pace. Tutto sembra filare liscio fino alla fine ma, quando tutto è firmato e sistemato, Tutti i film della stagione U Nader pretende che Razieh giuri sul Corano che considera lui la causa del suo doloroso aborto e basta. Razieh non se la sente perchè sa che il suo malore era cominciato da prima dell’incidente e non vuole così macchiarsi del peccato di spergiuro e tutto va a monte. Non resta a Simin e Nader che divorziare sul serio: la figlia stabilirà da sola con chi dei due andare a vivere. ilm faticoso, faticosamente diretto, interpretato e seguito dallo spettatore in sala. Dobbiamo anche dire splendidamente diretto e ugualmente interpretato da un gruppo di uomini e donne di cinema che hanno costruito un meccanismo inattaccabile e che procede fino alla fine nel tenere a bada un intrigo che mai mostra una sbavatura, un rallentamento o la benchè minima noia. È davvero una squadra compatta questa di Asghar Farhadi che si è meritata i grandi premi (al film e ai protagonisti) di Berlino 2011 con un’operazione semplice, cristallina che mette a nudo la complessità e le contraddizioni della società iraniana dibattuta come non mai tra le dure prese di posizione della legge islamica e le spinte sempre meno eludibili verso l’occidentalizzazione dei costumi, la riconsiderazione dei rapporti tra i sessi e la riorganizzazione del modo di vivere in generale. L’ossessione di dialoghi (perfetti!) continuamente interrotti e ripresi in una specie di modalità ciclica va a descrivere un reale continuamente sfaccettato F 45 che si critica e contemporaneamente si rispetta ma che forma qualcosa da cui ci si sente sovrastati e pressati e che scena dopo scena ha sempre più il sapore del regime. Sappiamo bene che un regime si combatte non solo con una lotta senza quartiere dall’esterno, al cui costo di lutti e di sangue non tutti possono sentirsi disposti ma, anche e in maniera molto più sottile e non meno incidente dei colpi delle armi da fuoco, dall’interno, esasperandone il meccanismo, scoprendone il disinganno sociale, culturale, umano ed evidenziandone il lato grottesco e insensato che prepotente viene in superficie. Il gruppo di Farhadi si è così “limitato” a mettere in scena con cura maniacale i dettagli, ambientali, comportamentali, psicologici che legano lo svolgersi quotidiano della vita comune mettendo in risalto l’esasperazione prodotta dall’astrusa e inadeguata macchina dello Stato. Tutto è vero, tutto è riscontrabile, tutto può essere comprovato grazie a una sceneggiatura perfetta e irreprensibile, al punto che le occhiute autorità di censura non hanno trovato nulla da eccepire riconoscendo la veridicità cronachistica del lavoro! Che risulta invece politico che più politico non si può, in quanto regista e attori hanno percorso la strada più semplice e vera: quando si vuole dire che il re è nudo e il dirlo può essere pericoloso basta mostrarlo. Fabrizio Moresco Film Tutti i film della stagione ABDUCTION – RIPRENDITI LA VITA (Abduction) Stati Uniti, 2011 Regia: John Singleton Produzione: Doug Davison, Ellen Goldsmith-Vein, Dan Lautner, Roy Lee, Lee Stollman per Lionsgate/Gotham Group/Vertigo Entertainment/Quick Six Entertainment/Mango Farms/ Tailor Made Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 7-10-2011; Milano 7-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Shawn Christensen Direttore della fotografia: Peter Menzies Jr. Montaggio: Bruce Cannon Musiche: Ed Shearmur Scenografia: Keith Brian Burns Costumi: Ruth E. Carter Produttori esecutivi: Jeremy Bell, Anthony Katagas, Gabriel Mason Line producer: Anthony Katagas Direttore di produzione: Anthony Katagas Casting: Alan Lee, Joseph Middleton Aiuti regista: Walter E. Myal, Francisco Ortiz, Susan RansomCoyle, Michelle Skaneski, Doug Torres Operatori: Colin Hudson, Eric Wycoff Operatore Steadicam: Colin Hudson Art director: Liba Daniels Arredatore: Julie Smith Trucco: Mary Burton, Rachel Geary, Evelyne Noraz athan è un adolescente che frequenta il liceo e vive una vita piuttosto normale. Qualche lieve discussione in famiglia, le classiche feste da teenager, una cotta per la vicina di casa, e soprattutto lo sport. Suo padre gli ha insegnato fin da piccolo ogni tipo di attività per la difesa personale, dalla boxe, al wrestling, alle arti marziali. Qualcosa cambia, però, quando il suo professore invita gli studenti a realizzare un lavoro di gruppo scolastico e la sua vicina Karen deve far coppia con lui. I due, dopo un primo imbarazzo, si mettono all’opera e durante la loro ricerca finiscono su un sito per persone scomparse da piccole, trovando proprio la foto di Nathan. I dettagli sono inequivocabili e così il ragazzo, seriamente turbato, chiede spiegazioni ai suoi genitori, che a questo punto non possono negare di non essere la madre ed il padre naturale di Nathan. Dietro questo sconvolgente evento c’è però qualcosa di molto pericoloso, ma i genitori adottivi del giovane non hanno neppure il tempo materiale di dargli spiegazioni che in casa loro fanno irruzione due uomini armati che hanno rintracciato Nathan tramite la visualizzazione del sito e sono pronti a tutto pur di prenderlo. I genitori muoiono, così come i due uomini in seguito all’esplosione della casa, N Acconciature: Karen Lovell, Linda Williams Coordinatore effetti speciali: Drew Jiritano Supervisori effetti visivi: Nathan McGuinness, Mike Uguccioni Coordinatori effetti visivi: Rachel Faith Hanson, Gustavo A. Pablik, Ashley J. Ward Supervisore costumi: Darcie Buterbaugh Supervisore musiche: Tracy McKnight Interpreti: Taylor Lautner (Nathan), Lily Collins (Karen), Alfred Molina (Burton), Jason Isaacs (Kevin), Maria Bello (Mara), Michael Nyqvist (Kozlow), Sigourney Weaver (dott.ssa Bennett), Anthonique Smith (Sandra Burns), Denzel Whitaker (Gilly), Nickola Shreli (Alek),Allen Williamson (Billy),William Peltz (Jake), Jake Andolina (uomo della CIA), Oriah Acima Andrews (Riah), Derek Burnell (venditore di hot dog), Holly Scott Cavanuagh (signora Murphy), Radick Cembrzynski (tecnico di Kozlow), Richard Cetrone (Gregory), Mike Clark (giornalista), Rita Gregory (infermiera), Nathan Hollabaugh (poliziotto), Mike Lee (tecnico), James Liebro (usciere dello stadio), Christopher Mahoney (custode), William Peltz (Jake), Elisabeth Röhm (Lorna), Victor Slezak (Tom Shealey), Ken Arnol Steve Blass, Benjamin J. Cain Jr., Jack Erdie, Tim Griffin, Frank Lloyd, Emily Peachey, Mark Nearing Durata: 106’ Metri: 2900 mentre Nathan si salva e scappa via con Karen. Si rifugiano in un ospedale, dove li preleva la psichiatra del ragazzo e gli spiega tutta la storia: Nathan è il figlio di un importantissimo agente della CIA, il quale per dargli una vita normale lo ha affidato a due “custodi” e la stessa psichiatra fa parte dei servizi segreti. Kozlow, un agente segreto freelance di nazionalità russa, vuole metter mano su una lista con delle informazioni estremamente preziose e, poiché tale lista è in possesso del padre naturale di Nathan, il russo e i suoi scagnozzi lo stanno cercando. La psichiatra allora fornisce ai due giovani delle ulteriori indicazioni su dove possano intanto nascondersi, e così il ragazzo memorizza l’indirizzo di un appartamento dove trova proprio il cellulare con la lista e una macchina per gli spostamenti. In fuga da tutto e tutti, Nathan semina inizialmente i suoi inseguitori e persino la CIA, che però, in un secondo momento, lo bracca e lo convince quasi a consegnarsi alla loro custodia. Ma Nathan intuisce che forse l’agente Burton non è così irreprensibile come vorrebbe far credere, e pertanto scappa di nuovo. Decide allora di incontrarsi con Kozlow, con il celato intento di farlo fuori. Il luogo scelto è più che mai pubblico: uno stadio di baseball; ma l’agente è più esper- 46 to e scaltro di lui e così dovrà intervenire il vero padre di Nathan, con il quale il ragazzo escogiterà un piano che porterà proprio alla morte di Kozlow. l cinema americano degli ultimi anni ci ha abituato un po’ a tutto e ormai persino schiere di ex puritani iniziano ad apprezzare film di un registro più basso, classici blockbuster, nucleo assoluto di azione allo stato puro, nati senza la pretesa di finire nella videoteca personale dei cinefili. Molto spesso abbiamo criticato il nostro cinema, il suo modo sconfortante di tenersi troppi gradini più in basso rispetto a quello a stelle e strisce, anche nel paragone tra film di livello meno ambizioso, in un confronto comunque senza storia. Ci sbagliavamo: al peggio non c’è mai fine. Tenendo conto del potenziale a disposizione, partendo dalle considerazioni sul budget e finendo con quelle sugli effetti speciali e sul cast, l’unica espressione che viene fuori dopo aver visto Abduction è “raccapricciante”. In pochi sarebbero riusciti a tirar fuori qualcosa di peggio rispetto a ciò che ha fatto Singleton. Le inquadrature sembrano casuali, non contribuiscono mai a incrementare adre- I Film nalina o qualsiasi altra emozione, sono prive di uno scopo se non quello di riprendere i personaggi, che in tal modo però perdono il loro carisma. I dialoghi risultano a tratti imbarazzanti, senza alcun senso logico. Per intenderci meglio, l’effetto è quello delle più ridicole soap che, cercando ostentatamente un briciolo di serietà e dramma si dimostrano invece buffe al punto di far scattare l’ilarità, se non forse per lo stimolo di afflizione che tutto ciò trasmette. Un’ulteriore nota va spesa per il cast: introiti a parte, non è ben chiaro il motivo per il quale attori di una discreta levatura come Alfred Molina, Maria Bello, Michael Nyqvist si siano prestati ad un film del genere; così come non è del tutto spiegabile Tutti i film della stagione come un attore come Taylor Lautner, tristemente monoespressivo, possa ottenere il successo che sta guadagnando soltanto per via di un fisico imponente e probabilmente poco natural che piace alle ragazzine, ma con doti attoriali sulle quali ci riserviamo parecchi dubbi. Su Lily Collins il giudizio è rimandato alla visione di Snow White, in quanto non è facile capire se l’interpretazione assai poco convincente è dovuta anche all’inutilità del suo personaggio (a proposito, perché mai deve seguire un ragazzo con il quale fino a poche ore prima del dramma nemmeno parlava, in un assurdo crocevia del terrore e intrighi internazionali?) o alle sue reali qualità. Attendiamo di vedere come sarà questa nuova Biancaneve (ma- gari senza quelle enormi sopracciglia), e ne riparleremo. Per il resto il film scorre piuttosto agevolmente, ma non è proprio un pregio considerando che il plot è basato soltanto sull’azione, e pertanto se sperate di vedere una nuova versione di Bourne (come qualcuno aveva lasciato intendere) siete totalmente fuori strada. Abduction – Riprenditi la tua vita è puro action senza logica, uno dei pochi thriller che, banalità a parte, non riesce neppure a mantenere quel minimo di suspance nello spettatore, che prevede e capisce tutto nel giro di pochi minuti. A poterlo fare prima magari eviterebbe anche di entrare in sala. Tiziano Costantini IL VILLAGGIO DI CARTONE Italia, 2011 Regia: Ermanno Olmi Produzione: Luigi Musini per Cinemaundici/Rai Cinema/Edison/Intesa San Paolo Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 7-10-2011; Milano 7-10-2011) Soggetto e sceneggiatura: Ermanno Olmi Direttore della fotografia: Giuseppe Pirrotta Montaggio: Paolo Cottignola Musiche: Sofia Gubaidulina Scenografia: Giuseppe Pirrotta Costumi: Maurizio Millenotti Aiuti regista: Leopoldo Pescatore, Alessandra Gori Trucco: Giulio Pezza n una zona dell’Italia settentrionale, un anziano parroco sta assistendo, impotente, al trasloco forzato di tutti gli arredi e di tutti i segni che, per decenni, hanno identificato un luogo sacro come la sua chiesa, dove, per decenni, ha svolto la sua attività pastorale: l’altare, il crocifisso, i quadri, i paramenti sacri. Non sappiamo perché tutto questo stia avvenendo in maniera inesorabile, nonostante gli estremi tentativi del prete di opporre una sua resistenza estrema agli eventi. La chiesa sembra non servire più; al parroco viene concesso solo di continuare a vivere nel suo modesto appartamento in canonica, dove decide caparbiamente di finire i suoi giorni. Nel corso di una notte, tuttavia, un nutrito gruppo di clandestini africani entra nella chiesa e qui organizza la propria esistenza come in una sorta di villaggio, in I Fotografo di scena: Kash Gabriele Torsello Suono: Francesco Liotard Interpreti: Michael Londsale (vecchio prete), Rutger Hauer (sacrestano), Massimo De Francovich (medico), Alessandro Haber (graduato), Elhadji Ibrahima Faye (soccorritore), Irima Pino Viney (Magdahà), Fatima Ali (Fatima), Samuels Leon Delroy (il Bardo), Fernando Chironda (il Cherubino), Souleymane Sow (l’Avverso), Linda Keny (madre famigliola), Blaise Aurelien Ngoungou Essoua (padre famigliola), Heven Tewelde (Miriam), Rashidi Osaro Wamah (ragazzo testimone), Prosper Elijah Keny (bimbo famigliola) Durata: 87’ Metri: 2400 attesa di trovare una sistemazione migliore. Per il parroco, tale inaspettata presenza assume il valore di una rinascita che, allo stesso tempo, fuga e alimenta dubbi sul senso della propria vocazione, Nel frattempo, mentre all’interno di questa comunità di derelitti accadono diversi episodi marcanti (nasce un bambino senza padre, arrivano oscuri personaggi che vendono permessi di transito per la Francia, si palesano potenziali terroristi), fuori dalla chiesa la legge si muove alla ricerca dei clandestini e, per ben due volte, i suoi rappresentanti hanno uno scontro diretto e crudo con il parroco, il quale rivendica il proprio diritto-dovere di dare assistenza a chi ne ha bisogno, clandestini o meno che siano. Dopo qualche tempo, i rifugiati riescono a partire. Nella chiesa, ormai di nuovo vuota, ne resta solo uno che, in qualche 47 modo, si era rivelato come un leader della comunità, il quale, in silenzio, è testimone dei rumori, dei suoni, a volte violenti, di ciò che sta avvenendo fuori, nel mondo esterno. n ritorno inaspettato! Nonostante avesse dichiarato che Centochiodi sarebbe stato il suo ultimo film, Ermanno Olmi è tornato dietro la macchina da presa per dirigere Il villaggio di cartone. Probabilmente, tale ripensamento è motivato da un’esigenza urgente di testimoniare, attraverso il cinema, il profondo disagio attraversato dal nostro tempo; un disagio che chiama in causa, in prima battuta, proprio la religione e il suo principio fondante, contenuto nel dettame di Cristo ama il prossimo tuo come te stesso; dettame, spesso, svuotato di senso dalla pras- U Film si e dai nostri comportamenti quotidiani, così come lo è la chiesa che, all’inizio del film, viene privata dei segni della sua riconoscibilità e ridotta a un edificio vuoto, inutile: non più una città sulla roccia – termine con cui è stata anche definita la Chiesa – , ma utile solo a ospitare un villaggio di cartone, come recita, appunto, il titolo del film. Come già era avvenuto per Centochiodi, probabilmente, la pressante spinta dei problemi caratteristici dalle condizione presente, ha spinto questo autore a rendere esplicita e senza equivoci di fondo la struttura ideale portante di tutto il film. In questo modo, il discorso di Olmi è diretto, non lascia spazi ad ambiguità di sorta, procede attraverso una parola, spesso ammantata di sentenze, di giudizi inappellabili, di prese di posizione, le quali non consentono obiezioni di sorta. Paradossalmente, tale atteggiamento di fondo costituisce, in un certo senso, un po’ il limite di questo film, ne frustra il suo divenire dialettico, sposta l’asse per uno stimolo a una meditazione che, al contrario, possiede in nuce motivi profondi attorno ai quali riflettere in maniera non banale. Di fatto, non si può non essere d’accordo sull’assunto fondamentale di quest’opera che ci chiama tutti a guardare responsabilmente a quanto sta accadendo intorno a noi, che respinge la via della violenza, che invoca la solidarietà verso gli oppressi e i diseredati, che richiama al vissuto di un cristianesimo integrale. La didascalia finale, impressa sullo schermo al termine del film è fin troppo di esemplare chiarezza: bisogna cambiare il corso della Storia, altrimenti sarà la Storia a cambiare noi. Eppure, questo film, costruito attraverso una impeccabile e affascinante struttura formale, è testimone di un percorso, diremmo cristologico, che, come nel migliore Olmi, si manifesta soprattutto – e in maniera mag- Tutti i film della stagione giormente convincente – ,attraverso i silenzi, gli indizi, i gesti, gli sguardi, i quali sono il segno eloquente, più di ogni parola, di un messaggio universale destinato soprattutto agli ultimi, alla pietra scartata dai costruttori che diventerà pietra angolare. Così, nel silenzio del villaggio di cartone, si ripercorrono le tappe di un cammino antico: assistiamo a una rinnovata natività (non a caso, il vecchio parroco, dopo la nascita del bambino, intona, di fronte a un umile presepe, Adeste fideles, cantico natalizio per eccellenza); una prostituta accudisce amorevolmente la puerpera (le prostitute e i pubblicani vi precederanno nel regno dei cieli); un uomo del gruppo di clandestini dichiara agli uomini della legge di essere il padre del bambino, accollandosi, come Giuseppe, una paternità non sua; un novello Giuda permette il riconoscimento del leader del gruppo, fornendo come segnale di individuazione il mettersi accanto a lui; il fonte battesimale, che viene divelto dalla sua ormai inutile posizione naturale, per essere messo al centro della chiesa e raccogliere quell’acqua – salvifica? – , proveniente dal cielo. Sono questi solo alcuni di quei segni che danno veramente forza a questo film, spazzando via tutti i dubbi, le angosce, i ripensamenti, incarnati e concentrati nella figura del vecchio parroco, ultimo testimone di una Chiesa che, forse, deve rinnovarsi e riscoprire la sua autentica vocazione. Di fatto, alla fine del film anche la sua figura scompare passando, quasi, il testimone ad altri: il leader del gruppo resta nel luogo sacro, non va via con il gruppo di diseredati, anche se prende coscienza che fuori imperversa una battaglia sempre più aspra. Come già in Centochiodi, Olmi non dà un nome ai protagonisti del film; non sappiamo come si chiamano; una scelta di stile che probabilmente coinvolge tutti noi, in maniera anonimamente cosciente, per riuscire a impegnarci nel cambiare il mondo in cui viviamo. Carlo Tagliabue LA MISURA DEL CONFINE Italia, 2010 Regia: Andrea Papini Produzione: Sandro Frezza, Ferdinando Vicentini Orgnani, Sergio Bernardi per Alba Produzioni SRL Distribuzione: Immagini Distribuzione Prima:(Roma 6-5-2011; Milano 6-5-2011) Soggetto e sceneggiatura: Andrea Papini, Monica Rapetti (collaborazione) Direttore della fotografia: Benjamin Nathaniel Minot Montaggio: Maurizio Baglivo Musiche: Petra Magoni, Ferruccio Spinetti Scenografia: Roberto Conforti Costumi: Moris Verdiani Organizzatore di produzione: Mauro Sangiorgi Aiuto regista: Marco Cervelli Supervisore effetti visivi: Luciano Vittori Jr. Suono: Bernardetta Signorin Interpreti: Paolo Bonanni (Mathias Valletti), Peppino Mazzotta (Peppino), Thierry Toscan (Ulrich), Beatrice Orlandini (Beatrice), Giovanni Guardiano (Giovanni), Massimo Zordan (Bangher), Adriana Ortolani (Rosamaria), Tommaso Spinelli (Tommy), Luigi Iacuzio (Osvaldo), Rolando Alberti (Atti), Lorenzo Degli Innocenzi (Cunaccia), Gianluca Buonanno (sindaco Varallo), Monica Rapetti (Elodie), Elisabetta Bendotti (Dolcina), Filippo Cucchi (Antonio Botis), Manolo Bioni (Germano Botis), Roberto Bioni (Nicodemo Bangher), Massimo Tassan (pilota elicottero) Durata: 79’ Metri: 2200 48 Film u un ghiacciaio del Monte Rosa, al confine tra Italia e Svizzera, viene ritrovato un cadavere mummificato. Vengono allertate due squadre, una svizzera, l’altra italiana, capeggiate rispettivamente da due topografi, il ticinese Mathias Valletti e il siciliano Giovanni Bruschetta. Mathias, preciso e rigoroso, è alla fine di una relazione, Giovanni, tipico ‘maschio italico’ sensibile alle tentazioni, è sposato con Rosa Maria. Incaricate dai rispettivi governi, le spedizioni partono verso il Monte Rosa. Il maltempo fa smarrire la spedizione svizzera e spinge la spedizione italiana a ripararsi in un rifugio gestito da Beatrice e Peppino. Mathias si ritrova in alta quota, nella nebbia, accanto ad un cadavere, con i colleghi italiani che non si fanno vedere; si consola con la passione per il lavoro del suo assistente, Tommy, e la professionalità delle due guide svizzere Atti e Ulrich. Nel rifugio, Giovanni, assieme alle due guide italiane Osvaldo e Cunaccia, conosce i due giovani gestori, giunti lì alla ricerca di un lavoro. Beatrice prepara l’Uberlekke, un pesante cibo locale e il gruppo italiano si mette a tavola. Giovanni è affascinato da Beatrice. Nel frattempo, scoppia un temporale e un fulmine colpisce la guida svizzera Atti. Nella notte la spedizione svizzera rientra trasportando la guida ferita. Dopo il trambusto, sul rifugio cala la quiete e fuori torna il sereno. Il mattino seguente l’elicottero del soccorso accompagna Atti in ospedale e porta in quota il sindaco Bangher, che spera nella scoperta della mummia per rilanciare il turismo del suo paesino. Insieme a lui arriva anche Rosa Maria che raggiunge Giovanni per festeggiare il loro anniversario di nozze. Col tempo sereno, la nuova spedizione composta dagli italiani e dagli svizzeri recupera la mummia. Giovanni stabilisce l’appartenenza del cadavere alla nazione italiana. Tra i due topografi nasce collaborazione e stima reciproca. Tutti riuniti attorno alla salma, ricostruiscono la data del decesso che risulta più recente della preistorica mummia tirolese Oetzi, sempre citata come paragone. Le nubi radioattive degli esperimenti nucleari del dopoguerra e di Chernobyl permettono una datazione abbastanza precisa: i personaggi del rifugio si ritrovano detective. Curiosando nel rifugio, Rosa Maria ritrova il vecchio cappello abbandonato dalla Regina Margherita di Savoia passata di lì agli inizi del Novecento. Mathias scopre l’arma di un probabile delitto: lo spillone d’argento del cappello. Rinvenuti nel so- S Tutti i film della stagione laio i diari del rifugio, il gruppo si addentra nel passato. La montagna racconta la sua storia: le guerre, la vita delle popolazioni locali e le sue leggende. Come quella della processione degli scheletri dei peccatori che vanno a espiare sui crepacci dei ghiacciai la notte dei morti, illuminando il cammino con il dito mignolo acceso come une candela. Nelle pagine incollate di uno dei libri, Giovanni, sostenuto da Mathias, ricostruisce un delitto avvenuto nel dopoguerra che ha lasciato il suo sangue sulle pagine. Il delitto di Antonio, un giovane che ha cercato di costruire la sua vita assieme all’amata Dolcina e che l’avidità dei fratelli ha interrotto per sempre. Ma la ricostruzione si complica, poiché le guide del posto e il sindaco Bangher scoprono non solo di essere parenti tra di loro, ma anche tutti parenti dell’assassino, oltre che, ovviamente della vittima. A causa di un’indigestione di Rosa Maria, Giovanni e la moglie restano nel rifugio ancora per una notte. Anche Mathias non riparte subito. Le guide e il giovane assistente si allontanano riportando a valle la salma del loro sfortunato parente che finalmente potrà ricevere degna sepoltura. Giovanni, aiutato da un binocolo, osserva la piccola processione che accende le torce per farsi strada, trasformandosi così nella processione dei peccatori della leggenda. Affacciati alla finestra, Giovanni e Mathias guardano la notte che avanza sul mondo. Mondo che la loro cultura non permette di cambiare, ma del quale se ne può intuire la dimensione con un piccolo sforzo d’immaginazione. a misura del confine è un film suggestivo. Racconta in primo luogo la montagna e il suo fascino. Luogo isolato, dall’atmosfera quasi irreale, fatta di silenzi, pause, grandi spazi. Un “intervallo” dove tutto è sospeso tra razionale e irrazionale. E qui la razionalità di due “uomini di scienza”, due topografi, viene a scontrarsi con l’irrazionalità delle passioni umane. Il mistero della mummia prima, del delitto poi e la fascinazione della montagna diventano tutt’uno. La misura del confine è un titolo carico di significati multipli: una linea virtuale ci divide, geograficamente ma non solo. La misura di un confine che divide due stati e che due topografi tanto diversi l’uno dall’altro sono chiamati a misurare. Ma anche la misura di un confine che divide opposte visioni: del proprio lavoro ma anche della vita e dei sentimenti. La storia è intrigante. Comincia con un L 49 taglio documentaristico, la cronaca di una spedizione scientifica per stabilire a chi appartenga un cadavere mummificato ritrovato su una linea di confine, ma via via diventa un intrigante giallo dalle atmosfere rarefatte. Un gruppo eterogeneo di persone si ritrova in un luogo isolato e sospeso nello spazio e nel tempo, dove il ritmo quotidiano delle cose sembra arrestarsi. E l’indagine analitica (e non) può mettersi al centro della narrazione. A distanza di tre anni dal suo lungometraggio d’esordio, La velocità della luce, Andrea Papini firma un’interessante opera che ha il pregio dell’originalità e che procede in un efficace alterarsi di grandi spazi aperti e di spazi chiusi, intimi, privati. È una storia di ‘fredda’ montagna che accende ‘calde’ passioni: la passione per l’investigazione di un mistero di molti anni prima (il ritrovamento di uno spillone appartenuto alla regina Margherita di Savoia “pungolerà” la curiosità degli ospiti del rifugio, spingendoli ad indagare sul mistero del cadavere mummificato) ma anche la passione per i luoghi e per la grande apertura sull’immensità dell’universo che aprono. E tra maltempo, superstizioni, antiche leggende, tradizioni culinarie (il pesantissimo piatto tipico di quei luoghi l’Uberlekke che provoca qualche indigestione di troppo), vecchi diari dalle pagine insanguinate, cappelli indossati da teste coronate, il regista riesce nell’intento di girare un film che quasi ipnotizza, mescolando bellezza della natura e fascino del mistero avvolgendo il tutto con una pregevole colonna sonora. La bellezza del rifugio Vigevano, sopra Alagna Valsesia, un piccolo comune nell’estremo nord del Piemonte, vicino alla Valle d’Aosta e al confine svizzero, aiuta l’esito del film come pure la bravura degli attori, tutti volti minori del cinema italiano che meriterebbero di essere valorizzati di più. Ricordiamo solo Paolo Bonanni (presenza costante nei film di Marco Tullio Giordana da La meglio gioventù a Sanguepazzo) nei panni del topografo svizzero e Giovanni Guardiano (noto al grande pubblico come il capo della scientifica Jacomuzzi della serie “Il commissario Montalbano”) nel ruolo del più “caliente” topografo siciliano, e poi Peppino Mazzotta (il fido agente Fazio di Montalbano in TV) e Beatrice Orlandini (già protagonista di La velocità della luce di Papini) nei panni dei gestori del rifugio. Da segnalare è la breve apparizione del deputato della Lega Nord Gianluca Buonanno, poliedrico e iperattivo sindaco di Varallo Sesia, noto per le sue originali iniziative. Il film è stato girato con un basso bud- Film get e sfruttando il premio conseguito da Papini per il suo primo lungometraggio alla rassegna “Cinema domani. Esordi del Cinema Italiano Indipendente”, l’uso per due settimane della raffinata telecamera “HD Red 4k”. Merito del regista e dei suoi col- Tutti i film della stagione laboratori è stato quello di effettuare le riprese in poco tempo affrontando anche le difficoltà pratiche che comporta realizzare film a tremila metri d’altezza. Auguriamo un brillante futuro al regista. E lo aspettiamo alla prossima mossa. Con la speranza che il cinema indipendente in Italia sia sostenuto di più. Soprattutto quando, in casi come questo, lo meriterebbe davvero. Elena Bartoni BOX OFFICE 3D Italia, 2011 Regia: Ezio Greggio Produzione: Andrea Borella, Leonardo Recalcati per Mondo Home Entertainment/Talents Factory Distribuzione:Moviemax Prima: (Roma 9-9-2011; Milano 9-9-2011) Soggetto:Ezio Greggio Sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani, Ezio Greggio, Rudy De Luca, Steve Haberman Direttore della fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Valentina Mariani Musiche: Pivio De Scalzi, Aldo De Scalzi, Bruno Di Giorgi Scenografia: Andrea Faini Costumi: Ina Damyanova Produttori esecutivi: Ezio Greggio, Guglielmo Marchetti Direttore di produzione: Stefano Giannetti Aiuti regista: Asya Chakarova, Marco Garbuglia Arredatore: Monica Sironi Trucco: Daniela Avramova, Sofi Hvarleva Supervisore effetti visivi: Giuseppe Squillaci Coordinatore effetti visivi: Ludovico Bettarello e Il Codice Teomondo Scrofalo Frank Strong è un famoso professore di simbologia che sta seguendo le indagini sul Codice in oggetto. Al suo fianco Liz Salamander, una hacker incarcerata a Parigi e famosa perché pare che abbia scoperto un carteggio amoroso tra il Papa e il suo assistente. Insieme si metteranno sulle tracce della temibile setta del Lacryma Christi. Poi c’è Twinight, in cui Bellabimba è una ragazza contesa da un vampiro e un lupo mannaro sempre pronti a fare a cazzotti. Non manca neanche il pianeta Panduro di Viagratar, dove gli strani abitanti ingeriscono pillole blu per lasciarsi coinvolgere nelle danze del Bunga Bunga. Erry Sfotter e gli amici Ronf ed Erniona sono invece i protagonisti di Erry Sfotter e l’età della pensione. Erry, Erniona e Ronf sono tre maghi ripetenti, tenuti segregati nella scuola di magia del Castello dei Sequels dall’intransigente Mago Silenzio. Tra trucchi e magie, nasce l’antagonismo tra Erry e il nuovo arrivato Frodolo, Signorino degli Anelli e del suo fedele servitore juventino Gobbum. Intanto l’equipaggio di un sottomarino da guerra, bloccato ventimila leghe sotto i mari, rischia il fatale attacco delle bombe di profon- N Interpreti: Ezio Greggio (Frank Strong/Massimo/Biondo/Capitano/Erry Sfotter), Giorgia Würth (Liz Salamander), Mario Zucca (ispettore Michel/addestratore), Max Pisu (assistente Michel), Riccardo Miniggio (custode del museo/Marco Aurelio/Agente 007/Buendia), Matilde Dondena (hostess), Alessandro Bianchi (Camerlengo/Pallidone/Uomo radar/Massimo Moratti), Mariano Rigillo (Officiante), Maurizio Mattioli (Bob/ Centurione), Enzo Salvi (Tony/Commodo/Moro), Gianfranco Jannuzzo (mafioso 1/ Montenero), Franco Neri (mafioso 2), Anna Falchi (Bellabimba/Erniona), Michelangelo Pulci (soldato 1/militare 1/Gobbum), Mariano D’Angelo (soldato 2), Cesara Buonamici (passante), Gianni Fantoni (bookmaker/militare 2/cuoco), Sergio Solli (Qu il tecnico), Daniele Giulietti (primo ufficiale/tecnico astronave), Biagio Izzo (Zorro), Rocco Ciarmoli (eroe), Claudia Pennoni (comandante/professoressa Stirling), Gigi Proietti (Mago Silenzio), Antonello Fassari (Ronf), Cristiano Militello (Frodolo), Bruno Pizzul (telecronista), Aldo Biscardi (giornalista), Gina Lollobrigida, Luca Giurato Durata: 90’ Metri: 2470 dità tedesche. Il rischio di essere identificati e catturati è sempre in agguato ed è molto difficile mantenere il silenzio per restare al sicuro. Fino a quando, però, il gruppo di soldati italiani non riesce più a trattenere l’esultanza alla notizia radio che gli azzurri hanno vinto i mondiali. Zoppo, il vendicatore claudicante, è un abile spadaccino munito di maschera e mantello che, tra lamenti napoletani e imprevisti, riuscirà a conquistare Carmecita, la bella del villaggio. Ci si imbatte anche negli spietati mafiosi di Chi ha ucciso l’ultimo Padrino che nei sobborghi di Brooklyn si accusano l’un l’altro pur di non essere calati nel cemento e nelle macchine da corsa truccate di Corri fast che sono furius. Ma anche nell’ormai invecchiato agente segreto di Old Old 70 – L’Ospizio può attendere alle prese con pannoloni per incontinenti da usare come armi da combattimento e dentiere esplosive. Zoppo – il vendicatore claudicante, le macchine da corsa truccate sono protagoniste in Corri fast che sono furius. U na serie di parodie dei più popolari blockbuster degli ultimi anni che si susseguono sotto la regia 50 di Ezio Greggio in Box Office 3D è quanto di più imbarazzante si sia visto nelle sale cinematografiche, firmate da un italiano, negli ultimi anni. Presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia come film di apertura, la pellicola è un susseguirsi di gag stereotipate e prevedibili, ispirate a ben ventisette dei film più visti e seguiti degli ultimi anni, come Avatar di James Cameron, Il silenzio degli innocenti, Harry Potter, Fast and fourius, Zorro, 007 e ll codice Da Vinci. Si parte da una reinterpretazione piuttosto banale dei titoli, per arrivare a episodi che non hanno nulla della lezione che lo stesso Greggio dichiara di aver imparato dal genio di Mel Brooks. Di 3D non c’è quasi nulla, nonostante il film si presenti come il primo italiano del genere e si assiste ad una sequenza di episodi dal taglio filmico molto più simile a quello trailer, alternati in maniera sconnessa a episodi che sembrano invece più dei cortometraggi. Il linguaggio e il ritmo sono decisamente più televisivi che cinematografici, nonostante si avvalga di attori che, di cinema ne hanno fatto tanto. Occasione mancata anche per loro, dei quali non si è saputa sfruttare la bravura. Il cast infatti vanta nomi come Gigi Proietti e Film Franco Nero, Maurizio Mattioli e Gina Lollobrigida, presente in un cameo nel finale del film. Ma questi nomi si perdono completamente nel calderone di personaggi e attori improvvisati; basti pensare alle comparsate di Luca Giurato e Cesara Buona- Tutti i film della stagione mici. Occasione persa per Ezio Greggio che pure ha dato prova già altre volte di essere un buon attore, come in Il papà di Giovanna di Pupi Avati e che ogni sera riesce ad intrattenere il pubblico televisivo nazionalpopolare con toni graffianti e anche un piz- zico di cinismo. Il film quindi si digerisce male, e si digerisce ancor peggio, pensando che è entrato dalla porta principale del Festival di Venezia. Marianna Dell’Aquila COME AMMAZZARE IL CAPO...E VIVERE FELICI (Horrible Bosses) Stati Uniti, 2011 Regia: Seth Gordon Produzione: Brett Ratner, Jay Stern per New Line Cinema/Rat Entertainment Distribuzione: Warner Bros. Pictures Prima: (Roma 17-8-2011; Milano 17-8-2011) Soggetto: Michael Markowitz Sceneggiatura: Michael Markowitz, John Francis Daley, Jonathan Goldstein Direttore della fotografia: David Hennings Montaggio: Andrew S. Eisen, Peter Teschner Musiche: Christopher Lennertz Scenografia: Shepherd Frankel Costumi: Carol Ramsey Produttori esecutivi: John Cheng, Michael Disco, Diana Pokorny Co-produttori: John Rickard, Mary Rohlich Direttore di produzione: Diana Pokorny Casting: Lisa Beach, Sarah Katzman Aiuti regista: Clark Credle, Jeremy Reisig, Darin Rivetti, Frank Tignini Operatori: Kris Krosskove, Daniel Nichols, Gregory W. Smith Operatore Steadicam: Gregory W. Smith Art director: Jay Pelissier Arredatore: Jan Pascale Effetti speciali trucco: Koji Ohmura (W.M. Creations) ick, Dale e Kurt sono tre amici legati anche dall’odio nei confronti dei rispettivi capi. Nick infatti lavora in una compagnia finanziaria, dove accumula straordinario cercando di compiacere il suo capo per ottenere una promozione che non arriverà mai. Kurt invece lavora in un’azienda e ha un rapporto splendido con il suo datore di lavoro. Ma quando questi muore, l’azienda finisce nelle mani del figlio folle, cocainomane e corrotto che pensa solo a far soldi liberandosi illegalmente delle scorie prodotte dalla sua ditta chimica. Dale lavora come igienista presso lo studio dentistico di una dottoressa che lo molesta sessualmente minacciandolo continuamente di raccontare alla sua ragazza di avere con lui una presunta relazione. Ormai esasperati, i tre amici si ritrovano una sera al pub per sfogarsi l’uno con gli altri. Tra una birra e l’altra incominciano a convincersi N Trucco: Deborah La Mia Denaver, Kelcey Fry, Jamie Kelman, Angela Levin Acconciature: David Danon Supervisore effetti speciali: Jeremy Hays Supervisore effetti visivi: Paul Graff Coordinatore effetti visivi: Rachel Faith Hanson Supervisore effetti digitali: Luke McDonald (Crazy Horse Effects) Supervisore musiche: Dana Sano Interpreti: Jason Bateman (Nick Hendricks), Charlie Day (Dale Arbus), Jason Sudeikis (Kurt Buckman), Jennifer Aniston (Julia Harris), Colin Farrell (Bobby Pellitt), Kevin Spacey (Dave Harken), Donald Sutherland (Jack Pellit), Jamie Foxx (preside Jones), Steve Wiebe (Thomas capo della sicurezza), Lindsay Sloane (Stacy), Michael Albala (signor Anderton), Meghan Markle (Jamie), Celia Finkelstein (Margie Emerman), John Francis Daley (Carter), Scott Rosendall (Hank Preston), P.J. Byrne (Kenny Sommerfeld), Julie Bowen (Rhonda Harken), Reginald Ballard, Jennifer Hasty, George Back, Barry Livingston (colleghi di Kurt), Dave Sheridan (barman), Brian George (Atmanand), Chad Coleman (barman), Diana Toshiko, Carla Maria Cadotte (ragazze di Bobby), Peter Breitmayer (farmacista), Isaiah Mustafa (agente Wilkens), Wendell Pierce (detective Hagan), Ron White (detective Samson) Durata: 92’ Metri: 2700 che l’unico modo per risolvere la situazione sia assoldare un killer che uccida i loro capi. La ricerca del killer si rivela però più complicata di quanto immaginassero fino a quando, in un locale di periferia, incontrano un uomo che si propone di svolgere il compito. Ben presto, però, si scopre che l’uomo non è il killer che loro avevano creduto, ma un ex galeotto finito in galera per la semplice condanna di pirateria cinematografica. Ai tre ragazzi non resta che fare da sé ed escogitare il piano per uccidere il loro capi. Per una catena di fortuiti imprevisti il primo di cui si libereranno è il capo di Kurt. Grazie a una serie di casualità infatti, Harken il capo di Nick penserà che la moglie ha un amante e che questi sia proprio il capo di Kurt. Dopo averlo freddato con un colpo di pistola, tenterà di incastrare Kurt e i suoi amici che verranno però salvati in extremis dal servizio di assistenza automobilistica che, prima del51 l’arrivo della polizia, aveva registrato la confessione di Harken. A questo punto a Dale non resta che frenare il suo capo incastrandolo e minacciandolo con le sue stesse armi. iciamolo subito: chi non ha mai immaginato, anche solo per un attimo, di ammazzare il proprio capo? Quale spettatore, vedendo il film, non ha desiderato essere nei panni di Dale o Kurt o Nick e dare sfogo alle proprie frustrazioni? Allora ecco un film, in classico stile da commedia americana, che ci racconta il sogno dei suoi tre giovani protagonisti senza velature e inibizioni. Come ammazzare il capo... e vivere felici (nuovo caso di pessima trasformazione del titolo originale Horrible Bosses) è l’ultima pellicola diretta da Seth Gordon, già regista di film come Tutti insieme inevitabilmente. Con un cast da nomi ben noti come Colin D Film Farrel, Jannifer Aniston e Kevin Spacey, il film si sviluppa per intero con il susseguirsi di scene vivaci e a volte poco equilibrate. Il racconto si regge infatti completamente sul tema della vendetta e dei tentati omicidi ai danni dei capi, ma senza particolari elementi horror o noir. A reggere tutta la struttura del racconto troviamo una impalcatura di azioni e parole la cui vera resistenza sta nella bravura degli attori “storici” e più affermati, ma anche in quella degli attori nei ruoli Tutti i film della stagione dei tre ragazzi, Jason Bateman, Charlie Day e Jason Sudeikis. Nonostante il film sembri perdere l’equilibrio in più di una scena, l’attenzione viene subito attratta dai personaggi assolutamente sui generis dei tre capi, ma ben riusciti nella logica del film. Jennifer Aniston non è eccezionale nelle vesti di una dentista molestatrice, ma piace perché dimostra di saper divertire anche senza l’immagina ormai stereotipata di brava ragazza e fidanzata d’America. Così come Kevin Spacey nel ruolo di un finanziere affamato di successo e riconoscimenti, e Colin Farrel in quello di un cocainomane folle. Se, dal punto di vista strettamente recitativo, il divario tra i due gruppi di attori si avverte, è anche vero l’inverso: questo divario contribuisce simpaticamente a rafforzare il conflitto drammaturgico tra i “capi vessatori” e le loro giovani vittime. Marianna Dell’Aquila I PINGUINI DI MISTER POPPER (Mr. Popper’s Penguins) Stati Uniti, 2011 Regia: Mark Waters Produzione: John Davis per Twentieth Century Fox Film Corporation/Davis Entertainment/Centro Digital Pictures Ltd. Distribuzione: Twentieth Century Fox Prima: (Roma 12-8-2011; Milano 12-8-2011) Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Richard e Florence Atwater Sceneggiatura: Sean Anders, John Morris (II), Jared Stern Direttore della fotografia: Florian Ballhaus Montaggio: Bruce Green Musiche: Rolfe Kent Scenografia: Stuart Wurtzel Costumi: Ann Roth Produttori esecutivi: Derek Dauchy, Joel Gotler, Jessica Tuchinsky Produttore associato: Linda Fields Co-produttore: Ira Napoliello Line producer: Jonathan Filley Direttore di produzione: John A. Machione Casting: Kathleen Chopin, Marci Liroff Aiuti regista: Adam Bernard, David Catalano, Matt Power Operatore: Thomas Lappin Art director:Patricia Woodbridge Arredatore: Ellen Christiansen Trucco: Felice Diamond Acconciature: Jerry DeCarlo Supervisore effetti visivi: Bill Kunin Coordinatori effetti visivi: My Linh Truong, Neh Jaiswal (Rhythm and Hues), Rachel Faith Hanson, William H.D. Marlett, Celine Chew, Chan Ee Jien l piccolo Tommy Popper è cresciuto a New York e ha conosciuto suo padre solo attraverso i racconti delle sue avventure in giro per il mondo che lui gli faceva via radio. Ma da grande Tommy è diventato Mr. Popper, un immobiliarista di successo e senza scrupoli. È divorziato (ma ancora segretamente innamorato della sua ex moglie) e ha due figli che vede solo a week end alternati. Un giorno apparentemente come tanti vissuti tra la casa a Manhattan e le stanze del suo studio, di cui spera di diventare socio, Mr. Popper si vede recapitare improvvisamente a casa una sca- I Supervisore effetti digitali: Will Telford (Rhythm and Hues) Supervisore costumi: Joseph La Corte Supervisore animazione:Alex Poei Animazione personaggi: Kevin Lan Animazione: Tony Mecca, Valerie Scheiber (Rhythm & Hues), David Apgar, Jason Behr, Jocelyn Cofer, Stephen Dahler, Aaron Deerfield, Ami DeLullo, Alex Jansen, Rohit Kolhe, Daniel Patrick Lane, Paul Ming Tak Lee, Casey McDermott, Teresa Nord, Spencer Ockwell, Jyoti Parasrampuria, Hunjin Park, Abhijit Parsekar, Dixie Pizani, John Paul Rhinemiller, Spencer Roberts, Ryan Sluman, Sreejit Sreedharan, Nicholas St. Clair, Wes Storhoff, Luis Carlos Uribe, John Velazquez, Amanda Wagner, Braden Walker, Leslie Watters, Lauren Wells, Robby Wong, Kirsten Yamaguchi Interpreti: Jim Carrey (Mr. Popper), Carla Gugino (Amanda), Angela Lansbury (signora Van Gundy), Ophelia Lovibond (Pippi), Madeline Carroll (Janie), Clark Gregg (Nat Jones), Jeffrey Tambor (signor Gremmins), David Krumholtz (Kent), Philip Baker Hall (Franklin), Maxwell Perry Cotton (Billy), James Tupper (Rick), Dominic Chianese (lettore), William Charles Mitchell (Yates), Kelli Barrett (madre di Tommy), Dylan Clark Marshall (Popper giovane), Elaine Kussack (segretaria di Gremmins), Desmin Borges (Daryl), Lee Moore (Reginald), Dominic Colon (Tito), Jeff Lima (Freddy), Frank Ciornei (Klaus), J.R. Horne (Arnold), James Chen (dirigente del Fish & Game), Brian T. Delaney, Harlin Kearsley, Matthew Wolf, Andrew Stewart-Jones, Rafael Osorio, Curtis Shumaker, Joe D’Onofrio Durata: 94’ Metri: 2600 tola dall’Antartide, l’ultimo omaggio di suo padre ormai defunto. Ma quando Mr. Popper apre la cassa, ciò che si palesa ai suoi occhi è molto di più di quanto immaginasse. Nella cassa, circondato da blocchi di ghiaccio, c’è un pinguino vivo che inizia a scorrazzare per casa emettendo strani striduli. L’idea immediata è di chiamare ogni ente possibile che possa aiutarlo a liberarsi di quell’animale, ma dopo una telefonata incomprensibile con l’Antartide, Mr. Popper se ne vede recapitare altri cinque. La situazione diventa sempre più incontrollabile, soprattutto perché nel lussuoso con52 dominio in cui abita, c’è il divieto assoluto di avere animali. Tuttavia la presenza di quei pinguini permettono a Mr. Popper di trascorrere molto più tempo con i suoi figli e di recuperare tutti quei momenti persi fino ad allora. La presenza dei figli in casa (ormai trasformata in uno spazio glaciale) gli consente anche di rivedere spesso la sua ex moglie. Ma i pinguini non piacciono solo ai suoi bambini. Quei piccoli animali, infatti, fanno gola anche al gestore dello zoo di New York che vede in loro la possibilità di creare una nuova attrattiva. Ma la responsabilità che Mr. Popper sente verso Film quelle piccole creature è ormai la stessa che incomincia a riscoprire nei confronti della sua famiglia, al punto di combattere per liberarli dalle gabbie dello zoo e di decidere di cambiare vita per trascorrere più tempo con le persone amate. pinguini di Mr. Popper è innanzitutto il film che segna il ritorno di Jim Carrey allo stile personale e unico in cui l’attore mette in gioco soprattutto la sua straordinaria mimica facciale. E lo fa scegliendo di trasporre sul grande schermo un classico della letteratura infantile con una pellicola firmata da Mark Waters. Dal punto di vista narrativo ed estetico, la pellicola si muove su due binari, ognuno con le I Tutti i film della stagione sue peculiarità stilistiche. Da un lato, si ha una comicità tipicamente infantile, condita di gag e battute a effetto che fanno presa su un pubblico molto piccolo, portato a vedere nelle scivolate e nello sgambettare dei pinguini la principale fonte di divertimento; dall’altro, invece, si ha una comicità un po’ più classica che si avvale della mimica facciale di Carrey, ma soprattutto di una costruzione perfetta di scene in cui regna la ripetizione linguistica a effetto. Molto ben costruite anche le gag che coinvolgono luoghi “intoccabili” come la scalinata del Museo Guggeneheim, trasformata per l’occasione in un enorme scivolo di acqua e cubetti di ghiaccio. I pinguini di Mr. Popper è quindi un film che nel suo insieme convin- ce il pubblico infantile, ma anche quello adulto. E se lo fa, non tanto per la sua eleganza estetica, ma per la sincerità con cui esprime i suoi veri intenti: lanciare un messaggio ambientalista e ecologista e tentare di unire (almeno davanti allo schermo, perché no) adulti e bambini nella scoperta dei sentimenti sinceri, del senso della responsabilità e della vicinanza alle persone amate da ognuno. Ma se non sono queste le cose che colpiscono altri tipi di pubblico, sicuramente lo saranno la simpatia e la freschezza del film in un panorama cinematografico, in cui l’effetto speciale sembra prevalere sul racconto e sulle emozioni. Marianna Dell’Aquila IO SONO LI Italia/Francia, 2011 Regia: Andrea Segre Produzione: Francesco Bonsembiante, Francesca Feder per Jolefilm/Aeternam Films; in collaborazione con Rai Cinema, ARTE France e la partecipazione di Arte Cinema Distribuzione: Parthenos Prima: (Roma 23-9-2011; Milano 23-9-2011) Soggetto: Andrea Segre Sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Sara Zavarise Musiche: François Couturier Scenografia: Leonardo Scarpa Costumi: Maria Rita Barbera hun Li è di origine cinese e lavora come operaia in una fabbrica tessile dove si confezionano camicie. La fabbrica di trova a Roma, in periferia. Shun Li spera di ripagare un debito e di avere presto i documenti giusti per far venire in Italia anche il figlio di appena otto anni. Improvvisamente viene trasferita in Veneto, a Chioggia, una città nella laguna tra Venezia e Ferrara. Qui infatti i suoi datori di lavoro hanno comprato una osteria e hanno voluto che lei andasse a lavorarci come barista. Uno dei più assidui frequentatori del nuovo locale è Bepi, per gli amici “il Poeta”. Bepi è pescatore di origine rumena, vedovo con due figli grandi che vivono in un’altra città, a Mestre. Bepi è un uomo dai modi gentili; scopre subito di avere in comune con Shun Li una passione, quella della poesia e incomincia a condividere con lei la sua storia, il suo dramma e la sua sofferenza S Produttore associato: Arnaud Louvet Organizzatore generale: Nicola Rosada Casting: Jorgelina Depetris Pochintesta Aiuto regista: Cinzia Castania Assistenti alla regia: Matteo Calore, Simone Falso Supervisore effetti visivi: Rodolfo Migliari (Chromatica) Coordinatore effetti visivi: Enrico Barone (Chromatica) Suono: Alessandro Zanon Interpreti: Zhao Tao (Shun Li), Rade Sherbedgia (Bepi il Poeta), Marco Paolini (Coppe), Roberto Citran (avvocato), Giuseppe Battiston (Devis) Durata: 96’ Metri: 2750 per la lontananza dal figlio. Il loro incontro segna l’inizio di una storia intima e poetica, di un’amicizia caratterizzata dall’incrocio di culture diverse (ma in fondo simili) e dalla condivisione dalla stessa passione per la poesia. Sarà soprattutto un incontro che segna una cambiamento radicale e imprevedibile nelle loro vite. A turbare il loro rapporto non subentra, infatti, la differenza culturale e di provenienza, quanto invece la provincialità e la chiusura delle rispettive comunità: quella cinese e quella veneta del piccolo centro di Chioggia. Solo Shun Li e Bepi sanno di avere un linguaggio comune, quello dei sentimenti, che potrebbe permettergli di superare ogni distanza culturale. Costretti a separarsi nonostante tutto, Shun Li e Bepi troveranno ognuno una strada diversa, ognuno il proprio destino. Ma continueranno sempre a parlare la stessa lingua, quella che li aveva uniti nel loro amore. 53 a laguna veneta come difficilmente noi italiani potremmo immaginarla, cioè vista e filtrata attraverso gli occhi di una giovane immigrata cinese. È quello che si vede in Io sono Li, film per il quale il regista Andrea Segre esordisce al cinema a soggetto. Un’Italia piccola e provinciale, dove, in fondo in fondo, la paura per il diverso non è poi così nascosta. Presentato con discreto successo al Festival del Cinema di Venezia e a Cannes, Io sono Li si distingue innanzitutto per il cast internazionale di altissimo livello. Nei panni di Bepi, il poeta slavo, un magnifico Rade Serbedzija, attore di origine croata conosciuto anche nel cinema americano più popolare. Shun Li è invece interpretata da Zhao Tao, attrice già molto nota nel cinema cinese da cui proviene. Le loro interpretazioni offrono un ottimo supporto alla prima prova con in cinema di fiction firmata da Segre, conosciuto per L Film Tutti i film della stagione un po’ didascalico, dall’altro lato, però esso riesce a raccontare l’evoluzione dei sentimenti dei suoi personaggi, il dramma di Shun Li per la lontananza dal figlio e il dolore del distacco dei due amanti in maniera molto delicata. Ciò in cui però Segre riesce meglio, sicuramente per le sue origini documentariste, è la descrizione e l’analisi sociologica delle comunità di cui ci parla nel film: quella cinese e quella della provincia veneta. Ne risulta un quadro preciso, dettagliato e misurato da cui emerge il disegno dell’incontro tra culture diverse, il dialogo comune che esse riescono a costruire con il linguaggio dei sentimenti e delle emozioni. A fare da sfondo a tutto questo dipinto di emozioni, anche quello della poesia come vero trait d’union delle vite dei protagonisti, uniti nella loro solitudine proprio dall’afflato poetico. come regista di documentari con A metà, storie tra Italia e Albania (2001), Menzio- ne e Marghera Canale Nord del 2003. Se per certi versi il film può risultare infatti Marianna Dell’Aquila HORROR MOVIE (Stan Helsing) Canada/Stati Uniti, 2009 Regia: Bo Zenga Produzione: Kirk Shaw, Scott Steindorff, Bo Zenga per Stone Village Pictures/Boz Productions/Insight Film Studios/Helsing Releasing/TADORA Filmproduktions Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 17-8-2011; Milano 17-8-2011) Soggetto e sceneggiatura: Bo Zenga Direttore della fotografia: Robert C. New Montaggio: Dennis M. Hill, Sterling Scott Musiche: Ryan Shore Scenografia: Chris August Costumi: Angelina Kekich Produttori esecutivi: Christian Arnold-Beutel, Scott M. Boggio, William G. Brown, Gregory R. Greenfield, Jere Hausfater, Mark S. Jacobs, Scott LaStaiti, Karen Lauder, Lindsay MacAdam, Lionel S. Margolick, Dylan Russell Produttori associati: Devon DeLapp, Stacey Shaw, Adam Voghell Co-produttori: Shannon McA’Nulty, Valeska Ramet, Ryan Scott Warren, Elek Hendrickson Line producer: Rob Lycar Direttore di produzione: Rob Lycar Casting: Tiffany Mak, Laura Toplass Aiuti regista: Peter Dashkewytch, Peter Dashkewytch, David Heimbecker, Melissa Patton, Quincy Wheeler-Hendren tan Helsing, un pigro commesso, sta ultimando il suo turno presso la videoteca Schlockbuster. Nel negozio dove lavora deve affrontare clienti che cadono a terra dopo la visione di “The Ring” e uno scarafaggio gigante. As- S Operatori: Paul Mitchnick, Lohengrin Zapiain Operatore Steadicam: Lohengrin Zapiain Art director: Anneke Van Oort Arredatore: Shirley Inget Effetti speciali trucco: Tibor Farkas Trucco: Kathy Howatt, Brittany Isaacs, Kristi Strang Acconciature: Charmaine Clark, Brittany Isaacs, Kristi Strang Coordinatori effetti speciali: Brant McIlroy, Martin Testa Supervisore effetti visivi: Richard Mintak Supervisori costumi: Christina Barry, Joi Kittredge Supervisore musiche: Liz Gallacher Interpreti: Steve Howey (Stan Helsing), Diora Baird (Nadine), Kenan Thompson (Teddy), Desi Lydic (Mia), Leslie Nielsen (Kay), Kit Zenga (orfano), Darren Moore (pazzo), Twan Holliday (Pleatherface), Ben Cotton (Fweddy), Travis MacDonald (Hitcher), Lee Tichon (Michael Crier), Ken Kirzinger (Mason), Charles Zuckermann (Needlehead), Jeff Gulka (Lucky), Chad Krowchuk (Sully), Nathan Dashwood (garzone), Derek Watt (Timmy), Ray G. Thunderchild (marito), Hilary Strang (signora hippie), Jeremy Crittenden (chierichetto), Robin Nielsen, Lara Babalola (dipendenti), John Burnside (guardia di sicurezza), Steven Garr (venditore), Denyc, Holly Eglington, Ildiko Ferenczi (spose), Aaron Rota, Zainab Musa, Alain Chanoine Durata: 95’ Metri: 2600 sieme ai suoi amici Teddy e Mia e la sua ex Nadine (con la quale si è lasciato in modo piuttosto strano) hanno in programma di andare a festeggiare la notte di Halloween. Il suo prepotente capo però lo costringe a consegnare dei dvd all’anziana 54 madre del proprietario che abita dall’altra parte della città. Assieme agli altri Stan cerca di sbrigare prima possibile questo compito, in modo da avere poi tutta la serata libera per divertirsi. Sulla strada però s’imbattono nel traffico e lì già vedono Film Chucky, la Bambola Assassina. Poi si fuma una canna assieme al gruppo e dopo la loro auto investe un cane, Sammy Boy, molto amato dalla comunità. Il proprietario, disperato, giura che gliela farà pagare. Durante il tragitto, poi, danno il passaggio a un omicida evaso di prigione ma, una volta scoperta l’identità, riescono a buttarlo fuori dal veicolo. Arrivano a un benzinaio dove c’è una donna hippie. Scoprono che lì vengono realizzati dei video con protagonisti gli ignari clienti mentre si trovano in bagno. A un certo punto giungono nel complesso residenziale “Notti tempestose” dove hanno girato i film horror più famosi e dove pensano di riconsegnare i video. Lì però l’atmosfera è sinistra; ci sono infatti delle tombe dove tutti i defunti sono morti il 31/10/1999 e proprio quella sera ricorre il 10° anniversario di un terribile incendio che era scoppiato lì. Arrivano in un locale dove vengono malvisti e serviti da un’anziana cameriera con lineamenti maschili. Ma le avventure della loro serata non sono ancora finite. Si trovano infatti in una continua situazione di pericolo e si rifugiano in una chiesa, dove c’è uno strano chierichetto, s’imbattono in affascinanti ragazze-vampiro anche protagoniste di uno striptease, vengono inseguiti da una giovane squadra di hockey, entrano accidentalmente nel set di un film porno-gay. Sul loro cammino ci sono tutti i più importanti mostri dell’horror moderno che vogliono farli fuori. Oltre a Chucky ci sono anche Freddy Krueger, Michael Myers, Jason Vorhees, Leatherface e Pinhead. Per riu- Tutti i film della stagione scire a salvarsi devono così affrontarli in una gara di karaoke dove riescono a prevalere grazie al consenso del pubblico che li ha decretati vincitori della sfida. a presenza di Leslie Nielsen in una delle sue ultime apparizioni sembra essere fatta apposta per (provare a) chiudere definitivamente una saga che ormai è da qualche film a corto di idee, come si è visto negli imbarazzanti Epic Movie e Disaster Movie. Il celebre attore della trilogia di Una pallottola spuntata che è presente anche negli ultimi due Scary Movie nei panni del Presidente Harris, qui è travestito da cameriera modello Aretha Franklin con parruccone. Il suo volto non fa più scattare la gag. È piuttosto una maschera che guarda in modo impassibile e a distanza le ceneri del demenziale. Non si tratta di ritirare fuori Mel Brooks o John Landis. Neanche di riciclare L’aereo più pazzo del mondo o Top secret. Quelli erano gli anni ’80 quindi un’altra storia. Sull’onda di Scary Movie, non c’è solo un film a essere preso di mira, ma alcuni dei titoli più rappresentativi del genere. La citazione si sovraccarica ma si perde l’humour. Con Horror Movie invece ormai non resta più niente. Le più celebri icone horror come Freddy Krueger (Nightmare), Michael Myers (Halloween), Chucky (La bambola assassina), Jason Vorhees (Venerdì 13), Leatherface (Non aprite quella porta) e Pinhead ( Hellraiser ) vengono mortificate e ridicolizzano anche la loro statura, girano ormai come zombie nella not- L te, quasi delle marionette senza più spessore. Realizzato nel 2009 e uscito solo ora nelle nostre sale, Horror Movie parte (come si vede dal titolo originale) a Van Helsing. Il ragazzo protagonista è Stan Helsing, si confonde dentro un negozio di videonoleggio, tanto per esibire la parodia cinematografica come all’inizio nel caso di The Ring dove tutti cascano dopo aver visto il film, si ritrova con uno scarafaggio gigante, gira la notte di Halloween, ritira fuori con i suoi amici Craven di L’ultima casa a sinistra in dialoghi sempre più agghiaccianti e passa come un rullo compressore pure su Johnny Cash quando canta Rings of Fire. Le situazioni comiche si accumulano, ma si chiudono dopo pochissimi secondi ma non fanno ridere neanche per sbaglio. Forse questa è la deriva del demenziale/parodia. Gli sguardi dentro la macchina da presa del protagonista con la frase “Ora sarebbe il momento di fare un controcampo da paura”, o l’apparizione di Michael Jackson nel chiosco dei gelati sottolineano che il serbatoio delle idee è finito da tempo. Bo Zenga e i suoi predecessori Jason Friedberg e Aaron Seltzer possono anche proseguire su questa linea. Ma a questo punto non interessa più di sapere, durante la visione, quale sarà il prossimo film a essere preso di mira per indovinarlo. Il giocattolo ormai è rotto. Provare ora a rifarlo funzionare può essere ancora peggio. Simone Emiliani BACIATO DALLA FORTUNA Italia, 2011 Regia: Paolo Costella Produzione: Rita Rusic, Lierka Rusic, Valeria Salemme per Medusa Film/Arella Film/Chi è di Scena Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 30-9-2011; Milano 30-9-2011) Soggetto:Vincenzo Salemme Sceneggiatura: Vincenzo Salemme, Paolo Costella, Massimiliano Bruno, Gianluca Bomprezzi, Edoardo Bechis (collaborazione), Antonio Guerriero (collaborazione) Direttore della fotografia: Enrico Lucidi Montaggio: Patrizio Marone Musiche: Pasquale Catalano (I) Scenografia: Gianluca Gobbi Costumi: Nicoletta Ercole Direttore di produzione: Roberto Di Coste Organizzatore generale: Nicola Mastrorilli Casting: Gaia Gorrini Aiuto regista:Chantal Toesca Trucco: Gino Tamagnini Acconciature: Adel Ben Mouldi Saada Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Coordinatore effetti visivi: Federica Nisi Suono: Cinzia Alchimede Interpreti: Vincenzo Salemme (Gaetano), Asia Argento (Betty), Nicole Grimaudo (Anna), Alessandro Gassman (comandante Grandoni), Dario Bandiera (Nicola), Giuseppe Giacobazzi (Osvaldo), Marco ‘Baz’ Bazzoni (Antonio), Paola Minaccioni (Marisa), Elena Santarelli (Teresa), Isabelle Adriani (Clara), Valeria Graci (Virginia), Marzia Bolognini (sorella ex moglie), Maurizio Casagrande Durata: 97’ Metri: 2700 55 Film arma. Gaetano è un vigile urbano di origine napoletana, pieno di debiti con la banca e giocatore abituale di quella che crede la sua sestina vincente per il Superenalotto. Croce e delizia di Gaetano è Betty, cuoca passionale che lui vorrebbe sposare ma che nicchia (in realtà è amante di Silvano, comandante dei Vigili Urbani, capo di Gaetano e popolare play-boy di fama comunale). Silvano ha anche un’avida ex moglie, la beghina Marisa, tutta casa, famiglia e chiesa. Amici e colleghi di Gaetano sono Nicola (emigrato siciliano anche lui con bella fidanzata fedifraga) e Osvaldo (vigile urbano di settentrionale e di rara pedanteria). In una tranquilla mattina di lavoro, Gaetano incontra Grazia una psicoterapeuta sua vecchia amica, che lo convince a essere il primo paziente dello studio che ha appena aperto. Durante la seduta, emerge chiaramente la fissazione del vigile per il gioco; Grazia cerca allora di persuaderlo a non affidare la propria vita a dei numeri e si fa promettere che smetterà di giocare. Gaetano finge di impegnarsi, ma poi Grazia deve seguirlo per strada per non farlo correre al solito bar dove gioca. Solo una P Tutti i film della stagione volta seminata la donna, Gaetano riuscirà a raggiungere il chiosco del bar, ma sarà ormai troppo tardi. Eppure proprio quella settimana escono i numeri di Gaetano. Il vincitore del Superenalotto è a Parma, annunciano in Tv. Alla notizia, Gaetano sviene. Quando si sveglia in un letto di ospedale, non ricorda nulla, ma tutti i suoi problemi economici e sentimentali sembrano magicamente risolversi: le banche gli fanno credito, gli amici lo adorano, il capo tenta di accattivarselo e le donne se lo contendono. A un tratto Gaetano ricorda di non essere arrivato in tempo per la consueta giocata: qualcun altro a Parma ha dunque vinto con i suoi numeri. Scoprire che li ha giocati Grazia e decidere di sposarla per interesse è tutt’uno per il vigile urbano, salvo poi restare nuovamente beffato dalla sorte... na commedia leggera, un susseguirsi di gag e scenette cui è principalmente l’accento napoletano di Vincenzo Salemme a dare colore, questa la pellicola firmata da Paolo Costello. La storia è debolissima, del tutto appiattita su personaggi stereotipati la cui interpretazione è affidata a volti noti (soprattutto del piccolo schermo), che con il minimo dello sforzo rendono il massimo del ri- U sultato possibile, ovvero agendo da caratteristi. Con comicità di situazione annacquata in tempi troppo lunghi o situazioni prevedibili, il film intrattiene senza convinzione uno spettatore disposto a veder succedere ciò che già immagina. La presenza tra i protagonisti di Alessandro Gassman, Asia Argento, Maurizio Casagrande (storica spalla di Salemme), Nicole Grimaudo, Paola Minaccioni, Elena Santarelli, Giuseppe Giacobazzi e Valeria Graci, non basta per fare di Baciato dalla fortuna un film interessante: attingendo ai luoghi comuni (come l’indolenza dei meridionali e l’efficienza dei settentrionali) ed elevando a battute alcune freddure o certi giochi di parole si perde in verve e freschezza della narrazione. Considerando il cast nazional-popolare, le scelte scontate della regia, i ritmi lenti, i dialoghi che non brillano nonostante l’istrionico Salemme a fare da capocomico, viene il dubbio che Baciato dalla fortuna (già tratto dal soggetto teatrale dello stesso Salemme, Fiori di ictus) sia un prodotto confezionato seguendo più le regole e il pubblico del piccolo schermo che quello delle sale cinematografiche. Tiziana Vox L’ULTIMO TERRESTRE Italia, 2011 Regia: Gian Alfonso Pacinotti Produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Fandango Prima:(Roma 9-9-2011; Milano 9-9-2011) Soggetto: liberamente ispirato al romanzo a fumetti Nessuno mi farà male di Giacomo Monti Sceneggiatura: Gian Alfonso Pacinotti Direttore della fotografia: Vladan Radovic Montaggio: Clelio Benevento Musiche: Valerio Vigliar Scenografia: Alessandro Vannucci Costumi: Valentina Taviani Supervisione alla produzione: Valeria Licurgo Produttore delegato: Laura Paolucci andido misogino e timidissimo, Luca è un giovane uomo innamorato della sua vicina di casa, cui non osa rivolgere la parola, impiegato mobbizzato presso il bingo cittadino e figlio amorevole di un burbero contadino rimasto solo da quando la madre di Luca se n’è andata. La vita di Luca si trascina stancamen- C Direttori di produzione: Luciano Lucchi, Attilio Moro Aiuto regista: Alessandro Casale, Simone Rosso, Emanuele Scaringi Trucco: Giovanna Jacoponi Supervisore effetti speciali: Franco Galiano Suono: Alessandro Bianchi (II) Animal Trainer: Claudio Mangini Interpreti: Gabriele Spinelli (Luca Bertacci), Anna Bellato (Anna Luini), Luca Marinelli (Roberta), Teco Celio (Giuseppe Geri), Stefano Scherini (L’Americano), Roberto Herlitzka (padre di Luca), Paolo Mazzarelli (Walter Rasini), Sara Rosa Losilla (Aliena), Vincenzo Illiano (Gabriele Del Genovese), Ermanna Montanari (Carmen), Ugo De Cesare (Joseph Palla) Durata:100’ Metri: 2750 te, nemmeno l’annuncio del prossimo arrivo degli extra-terrestri lo scuote. D’altro canto, quasi nessuno sembra eccessivamente spaventato dall’avvenimento ormai dato per certo da televisione e istituzioni. C’è qualche setta che saluta l’avvento degli Ufo con speranza, altri lo temono, se pur molto tiepidamente. 56 Quando però gli alieni arrivano davvero, sembra che il loro compito sia quello di rimediare alle ingiustizie che gli uomini oramai non riescono più a combattere. Così accade che siano gli extra-terrestri a far piazza pulita del fidanzato fedifrago della vicina di casa di Luca, che siano loro a donare una vita migliore al suo amico trans Film (maltrattato proprio dai colleghi del Bingo e tradito da Luca stesso), e ancora che spetti a una extra-terrestre molto femminile colmare la solitudine del padre di Luca. Ma siccome anche gli alieni non fanno solo miracoli, il padre di Luca si comporta con l’extra-terrestre come aveva fatto con la moglie: lasciandola da sola per andare a ubriacarsi al bar del paese. Ma l’extra-terrestre non ci sta, e va via. Il dolore dell’abbandono e uno scontro con Luca, porteranno il padre a confessargli che la madre non l’ha abbandonato di sua volontà... L’epifania degli alieni diventa allora l’occasione provvidenziale per Luca di riscattarsi dal dolore passato e dalle insicurezze con l’altro sesso, aprendo alla possibilità dell’happy-end. Tutti i film della stagione rendendo spunto dai racconti di Giacomo Monti i Nessuno mi farà del male, L’ultimo terrestre porta su grande schermo una sorta di favola il cui protagonista, Luca, è un candido misogino e solitario, innamorato della propria vicina ma ostinatamente convito – a causa di un trauma infantile – che “le donne sono tutte uguali” e non ci si debba mai fidare di loro. Sebbene con qualche ingenuità, l’opera prima di Pacinotti è un esperimento interessante che si segnala per freschezza e originalità tra le opere in concorso a Venezia68. Stranezze di caratteri e girato si giustificano, infatti, facilmente, grazie alla fluidità del racconto e all’umanità dei personaggi rappresentati. Attenta e approfondita, nonostante l’evidente rifiuto del realismo, la P descrizione della società italiana contemporanea, alle prese con difficoltà economiche e facilmente suggestionabile, pronta a credere che la salvezza possa solo “scendere dal cielo”, con o senza astronave. La freschezza del tratto dell’illustratore si produce in un’atmosfera da favola in cui Pacinotti descrive la parabola umana e sentimentale del suo protagonista, l’avvento degli extraterrestri come elemento che riequilibra – nel piccolo e nel grande – le situazioni critiche in cui tutti sembrano bloccati. Happy-end romantico e atmosfere serenamente surreali per l’opera prima dell’illustratore Gipi. Tiziana Vox TUTTA COLPA DELLA MUSICA Italia, 2011 Regia: Ricky Tognazzi Produzione: Attilio De Razza per Tramp Limited, in collaborazione con Medusa Film e Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 9-9-2011; Milano 9-9-2011) Soggetto: Leonardo Marini, Simona Izzo Sceneggiatura: Simona Izzo, Leonardo Marini, Ricky Tognazzi, Silvia Ebreul (collaborazione) Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti Montaggio: Lorenzo Peluso Musiche: Carlo Siliotto Scenografia: Mariangela Capuano Costumi: Germana Melodia Produttore esecutivo: Tore Sansonetti Organizzatore generale: Luca Bitterlin Casting: Marita D’Elia Aiuto regista: Marcello Izzo Operatore: Gianni Aldi Suono: Gianluca Costamagna iuseppe è un ultracinquantenne, appena andato in pensione dopo una vita dedicata al lavoro. Ora si trova costretto a dover trascorrere le sue giornate a casa, tra la presenza soffocante della madre, convinta cattolica e della moglie Grazia, fervente seguace dei Testimoni di Geova. Ha anche una figlia, Chiara, introversa e problematica, che condivide con la madre il medesimo impeto religioso. I rapporti tra i membri della famiglia sembrano già da tempo essere andati in crisi e la distanza tra loro è sempre più evidente. L’uomo, stufo di trascorrere le sue giornate nel grigiore più assoluto, decide di dar retta al consiglio di Napoleone, amico di una vita e scapolone impeni- G Interpreti: Stefania Sandrelli (Elisa), Ricky Tognazzi (Napoleone “Nappo”), Marco Messeri (Giuseppe), Elena Sofia Ricci (Patrizia), Debora Villa (Renza), Monica Scattini (Grazia), Rosalba Pippa “Arisa” (Chiara), Diego Casale (Ippolito), Grazia Cesarini Sforza (Amelia), Carola Clavarino (Fiamma), Ronny Morena Pellerani (Flora), Claudio Sterpone (capo Alpino), Gianluca Belardi (alpino), Raffaele Pisu (Rolando), Mariapia Aricò (Ludovica), Andrea Beltramo (Marcello), Tiziana Buldini (infermiera Nappo), Christian Burruano (Luca), Felice Casciano (Antonio), Antonio Centola (fratello Giovanni), Giuseppe Centola (fratello Sebastiano), Martino Cipriani (Ivan), Sacha Maria Darwin (Irina), Lorenzo De Nicola (barista), Sergio Graziani (Zaccaria), Simonetta Guarino (signora locanda), Mario Ierace (fratello scafato), Carlotta Iossetti (Marisa), Gino La Monica (Eugenio), Giovanni Marchese (Adrian), Ugo Piva (Mazzinghi), Nicola Sorrenti (Gavino), Cristian Stelluti (medico Nappo), Luca Terracciano (Lorenzo) Durata: 97’ Metri: 2700 tente, che lo esorta a lasciarsi alle spalle il passato e a cominciare a uscire e frequentare altra gente. Napoleone, detto Nappo, è un uomo completamente diverso da Giuseppe: è pieno di vita, sportivo e carismatico e frequenta donne molto più giovani di lui. Da poco ha perso la testa per una giovane ventenne bulgara, cacciatrice di dote, che si è piazzata con entusiasmo a casa sua, facendosi mantenere. Una sera, invita Giuseppe ad accompagnarlo al coro in cui canta, gestito con dedizione dalla ex moglie, Patrizia, ancora innamorata di lui. Qui, in una chiesa sconsacrata, i “ragazzi” della loro generazione possono ancora divertirsi liberamente e provare a conoscere gente nuova. Giuseppe si 57 fa travolgere dalla nuova esperienza, entra a far parte del coro e si innamora di Elisa, una fascinosa donna di mezza età, soprano del coro, che affoga i suoi problemi nel canto. La donna, pur non volendo staccarsi dalla propria famiglia, alla quale è legatissima, in particolar modo da quando il marito molto malato è costretto a letto, non potrà fare a meno di vivere con Giuseppe una coinvolgente e inaspettata notte d’amore. L’uomo, perdutamente innamorato, prende subito la decisione di lasciare la famiglia. Per Elisa la situazione è più difficile e la donna viene subito turbata dai sensi di colpa. Intanto piombano a casa di Nappo madre e fratelli della sua giovane amante. Chiara intanto co- Film nosce un ragazzo farmacista e grazie a lui riesce a esprimere la sua affettività e a staccare il cordone ombelicale dalla madre. Nappo viene invece abbandonato dalla ragazza bulgara che fugge con un ragazzo più giovane. L’uomo si rifugia nell’alcool e, in seguito ad una faticosa pedalata fino alla cima di un colle, è colpito da un infarto. Prima di lasciare la vita, Nappo, però, sente il bisogno di avvicinarsi di nuovo a Patrizia. Dopo la morte dell’amico, Giuseppe continua a frequentare il coro e si accontenta di quei pochi momenti per vedere Elisa. irato tra Torino, Biella e Ivrea Tutta colpa della musica è il film di Ricky Tognazzi sulle occasioni perdute e sulle seconde possibilità. Presentato nella sezione Controcampo Italiano alla 68a Mostra del Cinema di Venezia, la pellicola si riallaccia al tema musicale, che già aveva fatto da sfondo nel 2000 a Canone Inverso. Note e partiture ancora una volta diventano nel suo cinema luoghi nei quali rifugiarsi e linguaggi con i quali esprimersi e lasciare esprimere i propri personaggi, a cui il tempo sfugge dalle mani. Tutta colpa della musica è infatti una commedia intorno al concetto del “tempus fu- G Tutti i film della stagione git” e la melodia prodotta dal coro è un invito a non scoraggiarsi e a inventarsi il modo per ricominciare da capo. Non si può certo dire che Ricky Tognazzi abbia prodotto dei capolavori nella sua filmografia, tuttavia in un contesto importante come quello del lido veneziano è triste pensare che il suo ritorno sul grande schermo sia segnato da questa piatta produzione dal taglio e dal cast poco più che televisivi. Già dal trailer del film, in effetti, non ci si era fatti troppe illusioni e si riusciva a prevedere che tipo di visione c’era da aspettarsi riguardo questa commedia. E il giudizio da spettatore dopo i titoli di coda non si discosta da quella prima impressione. La sceneggiatura, firmata da Simona Izzo, compagna del regista da anni, ci presenta personaggi poco caratterizzati, situazioni prevedibili e stereotipate; anche le battute sono poco divertenti e i dialoghi non troppo brillanti. La musica dovrebbe essere il motore del film e il vero codice espressivo e narrativo che muove le passioni dei personaggi, ma purtroppo riesce solo a fare da cornice a un meccanismo narrativo superficiale e approssimato. Bisognerebbe seguire la melodia, lasciarsi trascinare dalle passioni, ma nel film sembra che questo atteggiamento vitale non sia affatto presente, se è vero che tutti i perso- naggi restano alla fine con la bocca asciutta, cullati solo da un sentimento di eterna nostalgia che non li abbandona. Da un lato abbiamo un panorama caratterizzato da uomini in crisi che a sessant’anni cercano invano un riscatto. Dall’altro, un universo femminile, popolato da mogli virago, o pazienti angeli del capezzale (cercate solo quando la fine è imminente), apparentemente energiche, ma condannate a rimanere sole con sé stesse e succubi di uomini immaturi. Lascia a desiderare anche il cast. Attori notoriamente capaci sembrano limitarsi senza entusiasmo a fare la caricatura di se stessi, Elena Sofia Ricci e Stefania Sandrelli in primis. Incomprensibile la presenza di Rosalba Pippa, in arte Arisa, in una parte pressoché inconsistente dove, accantonate le qualità canore e gli enormi occhialoni, offre al pubblico un’interpretazione affettata e sopra le righe. Insieme a un suo brano inedito, invadente sottofondo a una lunga sequenza che avvia verso il drammatico finale. Si salva giusto la performance del bravo Marco Messeri, che, tra l’altro, recentemente abbiamo visto già in coppia con la Sandrelli nella Passione di Mazzacurati. Veronica Barteri VALUTAZIONI PASTORALI Abduction – Riprenditi la vita – consigliabile / semplice Alba del Pianeta delle scimmie – consigliabile / problematico Avventure di Tin Tin e i segreti dell’unicorno – consigliabile / semplice Baciato dalla fortuna – consigliabile / semplice Bad Teacher: una cattiva maestra – futile / superficialità Benvenuti a Cedar Rapids – n.c. Box Office 3D – futile / velleitario Captain America – Il primo vendicatore – consigliabile / semplice Carnage – consigliabile / problematico Come ammazzare il capo….e vivere felice – futile / grossolano Conspirator (The) – consigliabile / problematico Contagion – consigliabile / problematico Dangerous Method (A) – complesso / problematico Debito (Il) – consigliabile / problematico Drive – complesso / violento Faccio un salto all’Avana – consigliabile / semplice Four Lions – consigliabile-problematico / dibattiti Giallo/Argento – n.c. Harry Potter e I doni della morte – Seconda parte – consigliabile / problematico Horror Movie – futile / grossolanità Io sono Li – n.c. Jane Eyre – consigliabile / problematico Johnny English – La rinascita – consigliabile / semplice Melancholia – complesso-problematico / dibattiti Misura del confine (La) – n.c. Next Three Days (The) – consigliabile / problematico Pelle che abito (La) – complesso / scabrosità Pinguini di Mr. Popper (I) – consigliabile / semplice Priest – futile / violento Puffi 3D (I) – consigliabile / semplice 58 Senza arte né parte – MANCA! Separazione (Una) – consigliabile-problematico / dibattiti Student Services – sconsigliato-non utilizzabile / negativo Terraferma – consigliabile-problematico / dibattiti This Must Be the Place – consigliabile / problematico Tomboy – complesso-problematico / dibattiti Tourneè – complesso / problematico Transformes 3 – consigliabile / semplice Tutta colpa della musica – futile / velleitario Ultimo terrestre (L’) – futile / superficialità Venere nera – conplesso-scabrosità / dibattiti Villaggio di cartone (Il) – consigliabileproblematico / dibattiti World Invasion – consigliabile / semplice Film Tutti i film della stagione PESARO 47, 2010: IL CINEMA CHE RESISTE A cura di Flavio Vergerio Non bisogna stancarci di ripeterlo: non si costruisce il futuro senza investire in cultura. Da noi si fa invece esattamente il contrario di quanto si fa in Europa. Siamo agli ultimi posti nella classifica dei Paesi occidentali in ordine agli investimenti in formazione, ricerca, innovazione, cultura. In questo contesto drammatico i tagli dei finanziamenti ai festival non protetti dalla bolla mediatica (e dalle connivenze politiche) si sono fatti sentire anche a Pesaro. Il programma è stato forzatamente un poco ridotto, tanto che le proiezioni si sono svolte nella sola sala dello “Sperimentale”, oltre alla piazza del Popolo per le proiezioni serali all’aperto, del resto molto frequentate. Eppure la direzione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, che fra tre anni celebrerà mezzo secolo di vita (un storia unica in Italia di lotte per la scoperta e la difesa di un cinema veramente indipendente e d’autore), è riuscita comunque a realizzare un programma di notevole interesse. Innanzitutto la retrospettiva dedicata a Bernardo Bertolucci, corredata da un corposo e puntuale volume collettaneo curato da Adriano Aprà. Ai vecchi cinefili come noi la retrospettiva ha permesso comunque di rivedere (e ripensare) o recuperare film altrimenti invisibili da tempo. Valga su tutti lo straordinario film “su commissione” La via del petrolio (1967), un “falso”documentario televisivo, capace di mettere in relazione la dura vita degli operai dell’ENI con una visione poetica del lungo percorso di un oleodotto dal deserto arabo verso il cuore dell’Europa. E di verificare la coerenza tematica e stilistica di un regista passato dallo sperimentalismo puro de La commare secca (1962) alle super-produzioni internazionali quali L’ultimo imperatore (1987) senza tradire la sua vocazione allo studio dell’ambiguità della condizione umana. Produttiva l’idea di riproporre per il pubblico della piazza, in questi tempi di montante immoralismo politico, Il conformista (1970), terribile parabola di un piccolo killer servo del potere fascista. I sette film del Concorso aprivano altrettanti sguardi inediti su realtà sociali spesso inesplorate, lontani dall’angusta miopia del nostro mondo. Frutto sicuramente di una ricerca difficile, si trattava di film che uniscono un forte impegno sociale a notevoli qualità di scrittura. Il taglio più doloroso del programma è rappresentato dalla scomparsa della sempre interessante sezione Bande à part, dedicata alle nuove forme narrative e agli autori emergenti posti ai margini del mercato. L’hanno sostituita in parte i due “omaggi” al gruppo Flatform e a Cosimo Terlizzi. Flatform è un collettivo di videoartisti (appare sempre più spesso in diversi festival) che indagano le trasformazioni fantasmatiche del paesaggio e delle azioni umane sottoposte allo scorrere del tempo, in una concatenazione onirico-realistico di immagini che perdono la loro identità nell’indeterminatezza della ripetizione e dell’astrazione. Terlizzi propone finti “documentari” sospesi fra un’improbabile etnologia, nostalgia e ironia alla ricerca della propria identità culturale in rapporto fra mitologie, costumi sociologici e paesaggi immoti (la sua Murgia). La sezione più significativa del programma era tuttavia costituita da una cospicua selezione di documentari russi che completavano la straordinaria scoperta del cinema russo di finzione, grande evento della Mostra dell’anno scorso. IL CONCORSO Messico,Thailandia, Corea del Sud, Sri Lanka, Brasile, la terra di nessuno del porto di Calais: l’origine dei film presentati e gli scenari evocati rappresentavano già in sé una precisa scelta culturale ed estetica. La salvezza del mondo forse va cercata ai margini di esso, nell’emarginazione e nella condizione di precarietà delle popolazioni più povere. Significativo il fatto che la giuria (Fabio Ferzetti, Isabella Ragonese, Marina Spada) abbia premiato due film di grande rigore morale e stilistico, dedicati appunto al tema dell’emarginazione e dell’immigrazione. Il diario di Musan dell’esordiente coreano Park Jungbum (assistente alla regia di Lee Chang-Dong per il delicato Poetry) descrive il calvario di un immigrato clandestino dalla Corea del Nord a Seoul, ove sopravvive in condizioni di totale povertà affiggendo manifesti pubblicitari. Il protagonista è un ometto alla Charlot (interpretato con dolore e ironia dallo stesso regista) in balia di una città cieca e violenta, che lo educa progressivamente all’immoralità. L’uomo si innamora di una corista conosciuta in una comunità religiosa, che in effetti fa l’entraîneuse in karaoke, introducendo indirettamente il ruolo di una malintesa religiosità che abitua alla doppiezza della condizione sociale e morale. L’asciutto realismo con cui il regista descrive il 59 dramma del protagonista richiama in qualche modo l’atmosfera di Umberto D di De Sica. La commozione e l’indignazione devono avere le ciglia asciutte. Di grande intensità documentaria e forza emotiva è apparso il secondo film premiato, Che riposino in rivolta del regista francese, attivista militante, Sylvain George, dedicato alle terribili condizioni di vita di immigrati clandestini accampati attorno al porto di Calais, nell’attesa vana di imbarcarsi per l’Inghilterra. Il lungo réportage si distingue dai molti prodotti analoghi per la totale adesione alla vita quotidiana dei clandestini, che cercano di sopravvivere nell’estenuante attesa senza perdere la propria dignità e la propria umanità, occultando la propria presenza con tutti i mezzi e la strategie più inventive, dopo aver perso ogni diritto e identificati tout court come criminali. Drammaticamente simbolica ad esempio la rinuncia alla propria identità attuata bruciando con una autolesionistica tortura le pieghe delle dita per evitare di essere individuati dalla polizia attraverso le impronte digitali. Significativo in opposizione a tante disperazione l’atteggiamento solidale di una parte della popolazione che tenta di alleviare le sofferenze degli immigrati e cerca inutilmente di opporsi allo sgombero di un accampamento clandestino. Dovrebbero rimbombare nelle nostre teste alcune affermazioni profetiche degli “invisibili”: “Il deserto è qui... Ma noi siamo qui. (...) Verrà il tempo in cui gli europei verranno a cercare lavoro in Africa.(...) Le frontiere sono soprattutto nelle nostra teste”. Il Premio Amnesty (dedicato alle opere che meglio rappresentano il tema della difesa dei diritti umani) è stato attribuito all’ambizioso spagnolo Tambien la lluvia (lett: “Anche la pioggia”) di Iciar Bollain, coprodotto con Francia e Messico e sceneggiato da Paul Laverty, collaboratore storico di Ken Loach (e si vede). Un regista messicano (la star Gael Garcia Bernal) si reca in Bolivia con una troupe per girare un film storico sul primo viaggio di Cristoforo Colombo in Sud America, già foriero di tutte le successive tragedie del colonialismo spagnolo. Ma la lavorazione del film verrà a scontrarsi con le sommosse di piazza a Cochabamba contro la privatizzazione dell’acqua da parte di una multinazionale. Il leader della protesta si identificherà con l’indio della finzione filmica che tenta di organizzare la resistenza contro gli spagnoli. Il regista avrà un salutare dilemma morale... Film Film didattico e un poco consolatorio, il film è apprezzabile per le sue buone intenzioni di denuncia dello sfruttamento delle risorse energetiche dei Paesi più poveri da parte del capitale straniero. Più interessanti dal punto di vista della struttura narrativa The Rak (Eternity) del thailandese Sivaroj Kongsakul e Igillena maluwo (Flyng Fish) di Sanjeewa Pushpakumara, proveniente da un inedito Sri Lanka. The Rak illustra in un tempo puramente immaginario le peregrinazioni di un fantasma che si aggira nella sua casa contadina ai margini di una risaia rivivendo tre diverse fasi della sua vita. Ne esce una rivisitazione poetica di una condizione esistenziale che diventa un omaggio alla cultura tradizionale del Paese del regista. Anche Igillena maluwo dipana il proprio racconto attorno a segmenti di storie parallele immerse nell’inferno della guerra civile separatista scatenata dai Tamil. Storie di diseguaglianze sociali, vessazioni,violenze, stupri, suicidi in cui le parti contrapposte manifestano eguale disprezzo per la vita umana e la giustizia. Il rapporto con le credenze religiose si fa dialettico e le leggende buddiste vengono messe in discussione e giudicate consolatorie, utili solo a occultare il tragico presente. Interessante anche il plot di Trabalhar cansa (Lavorare stanca) dei giovani brasiliani Juliana Rojas e Marco Dutra: una casalinga in crisi economica e di identità avvia una piccola attività commerciale, ma tutto le si rivolterà contro, in una progressiva caduta verso il fallimento anche famigliare. Curioso il finale che volge verso l’horror, in cui si scoprono fantasmi non riconciliati annidati nei muri del piccolo supermercato (le anime dei commessi murati vivi che si ribellano...). DOCUMENTARI RUSSI, UN MONDO INESPLORATO. L’edizione di Pesaro 2010 ci aveva fatto scoprire un insospettabile produzione filmica indipendente che con molte difficoltà cerca da un decennio di affrancarsi dal potere centrale normalizzatore. Avevamo conosciuto soprattutto la corposa personalità di Aleksej Popogrebsky, che assieme ad altri giovani registi ha spostato la sua attenzione sui conflitti generazionali (fra i padri eredi del comunismo e i figli alla ricerca di una nuova identità) e sulle condizioni di vita delle popolazioni emarginate nelle campagne. La sostanziosa rassegna ha visto quest’anno il suo completamento con la proiezione di altri due film di finzione e di una significativa selezione di documentari, tanto più interessanti perché prodotti con minori vincoli economici, in collaborazione talvolta con canali televisivi indipendenti e case di produzione straniere. Quanto sia importante la produzione di documentari in Russia per la formazione ricerca di nuovi talenti e di nuove vie espressive è testimoniato ad esempio dalla lunga collaborazione, apparentemente libera nella sua straordinaria vicenda di sperimentazione linguistica, di Aleksander Sokurov all’inizio della sua carriera con gli studi Tutti i film della stagione televisivi prima di Gor’kij e poi di Leningrado. Il film di finzione Truce (Tregua) della combattiva Svetlana Proskurina articola la sua storia all’interno di un paesaggio sociale e umano che potrebbe essere argomento di molti documentari realistici. Il protagonista è un giovane camionista apparentemente senza radici e identità che sembra vagare lungo itinerari sconosciuti. Incontra sbandati e diseredati, uomini in attesa di qualcosa di indefinibile, sino ad arrivare a un villaggio senza storia, forse il suo territorio natale, scosso dal conflitto fra minatori e dirigenti di una miniera. Vi ritrova antichi amici d’infanzia, ora dediti a confusi affari illegali. L’uomo sente il bisogno di radicarsi e si lega così un ragazza locale, in un difficile rapporto. Il finale si apre alla fine su una dimensione inaspettatamente religiosa, quando il protagonista viene portato da un amico prete a una festa popolare attraversata dai canti della comunità. Il film è interessante per la sua atmosfera cupa e sospesa, corrispettivo di una condizione umana comunque aperta alla ricerca e alla speranza. Il secondo film narrativo proposto, Il walzer di Sorbi di Alena Semenova e Aleksandr Smirnov, propone invece una rilettura critica di una pagina di storia minore, ma significativa, della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la fine del conflitto il governo sovietico invia alcuni militari in una regione agricola nord-occidentale (presso Vologda, a est di Leningrado) per insegnare ai pochi abitanti sopravvissuti – soprattutto donne – a bonificare le campagne dalle mine. La storia apparentemente lineare nasconde una verità occulta. Nulla è come appare: le mine anti-uomo sono un simbolo di un pericolo sempre incombente, lo stesso maggiore che guida le operazioni è in effetti un uomo nascosto sotto falso nome, ricercato dalla polizia militare. Il film mette così in dubbio le certezze della storia ufficiale, raccontandocene una ben diversa e più contradditoria. Il panorama non-fiction ha presentato alcune scoperte interessanti sia sul piano linguistico che su quello dell’atteggiamento critico nei confronti della società russa. Su tutti ci è apparso straordinario l’apparato visionario con cui l’ormai celebrato Viktor Kossakovskij osserva in Svyato la costruzione della propria immagine e identità del figlio (due anni) per la prima volta davanti a un grande specchio che ne riflette e problematizza il volto. Svyato è l’abbreviazione del nome Svyatoslav, ma significa anche “sacro”. E l’esperienza del riconoscimento di sé messa in scena dal regista appare appunto qualcosa di sacrale, tanta è l’intensità e la progressione, anche drammatica, con cui il bambino attraversa le diverse fasi di approccio alla realtà, a partire dal doloroso distacco dalla madre, sino al superamento della solitudine e dell’angoscia con il “gioco del rocchetto” freudiano, alla costruzione di un fantasmatico compagno di giochi, e infine alla drammatica accettazione di sé. Alla fine il bambino bacia i due specchi con cui il regista ha costruito la sua immagine... A conferma della genialità di Kossakovskij è stato riproposto il 60 più noto Tiše (Hush), implacabile sguardo sulla società russa, colta dall’unico punto di vista della finestra del regista, che ha osservato durante un intero anno quanto avveniva attorno all’inane tentativo di riparare una buca in una anonima strada di San Pietroburgo. Kossakovskij possiede la rara dote di saper osservare la realtà con metodo “scientifico”, precisione e umorismo, facendo assumere alla rappresentazione di quella realtà una dimensione “altra”, volta a cogliere l’aspetto poetico e persino metafisico dell’esistenza umana. Opere di denuncia sociale, non inquinate da schematismi ideologici o da pregiudizi sociologici, ma dotate di grande energia espressiva, sono apparse le opere di Aleksandr Rastorguev , che lavora talvolta in coppia con Pavel Kostomarov o Antoine Cattin: Giovedì puro descrive la paura e la solitudine dei giovani soldati russi spediti sul teatro di guerra ceceno; Il calore dell’offerta: spiaggia selvaggia selvaggia offre un panorama di bestiario umano di turisti che si accalcano su una spiaggia del Mar Nero, attratti dagli squallidi riti di un volgare neocapitalismo; I Love You assembla un ritratto della gioventù russa odierna attraverso filmati realizzati dagli stessi ragazzi; Life in peace è il ritratto doloroso di un vedovo ceceno che con figlio vive da esiliato ed emarginato in un villaggio agricolo raggelato dalla neve e dalla solitudine del Nord della Russia; La madre descrive con crudeltà non disgiunta da partecipazione umana la tragedia di una donna che in fuga dal marito alcolista lavora come contadina in una fattoria per mantenere nove figli. Altre opere avevano un notevole interesse etnologico: si veda la popolazione della remota regione di Arcangelo impegnata a raccogliere i resti metallici di test nucleari (Sul terzo pianeta dal Sole di Pavel Medvedev), i canti e le tradizioni culturali di un piccolo gruppo siberiano di origine ugro-finniche (Nove canzoni dimenticate di Galina Krasnoborova). Da segnalare poi Blokada (Assedio) di Sergej Laznica, montaggio di inediti materiali d’archivio, una esemplare lezione di come si fa una lezione di storia descrivendo non tanto il fronte dei combattimenti, quanto le conseguenze sulle condizioni di vita reale delle popolazioni civili. Il film descrive l’eroica incredibile lotta per la sopravvivenza della popolazione di Leningrado durante il lungo assedio dei nazisti (1941-44): indimenticabili le sequenze in cui nel silenzio spettrale della città deserta e innevata risuona incongruo il canto di un uccellino, i morti di freddo abbandonati per la strada, la ricerca dell’acqua dalle condotte congelate, le impiccagioni dei collaborazionisti... Di straordinario interesse infine due documentari dedicati al grande direttore della fotografia di Tarkowskij Georgij Rebberg (con la scoperta dei conflitti estetici e caratteriali durante la lavorazione di Stalker) e a Aleksandr Sokurov. Nel back-stage de L’arca russa, girato da Svetlana Proskurina, Sokurov afferma: “Solo l’arte rimarrà, il nostro lavoro di artisti... I governi cambieranno, saranno sostituiti, ci servono solo per evitare che viviamo come bestie...”. Film Tutti i film della stagione MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2011, 68: UN CANTIERE APERTO A cura di Flavio Vergerio con il contributo di Simone Emiliani, Silvio Grasselli, Luisa Ceretto Difficile (e forse vacuo) esercizio quello di formulareun giudizio sintetico sulla Mostra del Cinema veneziana, giunta alla sua 68.a edizione. Innanzitutto a causa della ricchezza quantitativa del programma costituito da ben 208 titoli, così distribuiti:24 film nel Concorso, 27 nella sezione Fuori Concorso (troppi, tanto da far sorgere il sospetto che esso costituisca sempre più uno spazio di consolazione per i “bocciati”), 59 a Orizzonti, 29 a Controcampo, 29 nella Retrospettiva di Orizzonti, 10 alla Settimana della Critica, 30 alle Giornate degli Autori. C’era ovviamente di tutto, nel bene e nel male, e non era facile orientarsi nella quotidiana scelta obbligatoria fra le diverse sezioni, visto che in 10 giorni non era fisiologicamente possibile vedere più di un terzo del programma. Mi pare che Marco Müller, al suo ottavo anno di direzione (incarico che auspichiamo gli venga rinnovato), si sia mosso su un duplice binario: da una parte, nel Concorso, ha messoin vetrinaautori noti e affermati (Cronenberg, Polanski, Sokurov, Crialese) che, salvo alcune delusioni, hanno confermato il loro valore. Il Leone d’Oro a Sokurov in questo contesto ha paradossalmente rappresentato un riconoscimento tardivo a un autore già celebrato da tempo (si pensi che il Festival di Torino gli dedicò nell’ormai lontano 2003 una fondamentale retrospettiva). Tuttavia il Concorso non ha rivelato nuovi talenti - a meno che non si vogliano considerare tali l’hongkonghese Ann Hui o il giapponese Sono Sion, già ben noti alla critica, se non al grande pubblico -, mancando a mio avviso quella che dovrebbe costituire una fondamentale funzione di un grande festival: promuovere all’attenzione del pubblico opere di artisti emergenti e inediti che propongano sguardi nuovi e non riconciliati sull’uomo e sulla realtà in cui è immerso. L’altro limite del Concorso è stato quello di aver presentato una selezione italiana piuttosto debole. Forse non c’era di meglio, ma avere cedutol’ottimo Io sono Li di Andrea Segrealle Giornate degli Autori fa sorgere qualche dubbio sul lavoro dei selezionatori. Su un diverso binario, se l’impostazione del Concorsofa pensare al corretto e per così di- reobbligatorioassolvimento di un compito istituzionale, altre sezioni della Mostrahanno risposto a un diverso orientamento estetico e culturale, soprattutto nel caso di Orizzonti, di cui diamo conto a parte. Se il cinema ha il compito di riflettere sulle mille sfide del presente e di rappresentarle in modo mai connivente e consolatorio, ebbene,per il secondo anno la sezione ci ha fornito un panorama originale e problematico di nuove formule narrative e linguistiche. Peccato che sulla sezione sia pesato il silenzio quasi totale dei quotidianisti, rigorosamente obbedienti alle regole della catena mediatica, che privilegia i film del Concorso, spesso già acquisiti dalla distribuzione. I lavori interrotti per il nuovo Palazzo del Cinema (che probabilmente non si costruirà mai) e il conseguente tristo cratere abbandonato a causa della presenza di amianto davanti al Casinò mi suggeriscono la metafora di quello che dovrebbe essere la Mostra, un “cantiere aperto” a sempre nuove ricerche e scoperte di un cinema in perpetuo divenire. Mi preme infine tornare ad auspicare il ritorno alle grandi retrospettive del passato (a Venezia si sono studiatiqualche annetto fa Mizoguchi e Buñuel...), capaci di rilanciare il dibattito culturale sulla nascita e sullo sviluppo dei codici narrativi e linguistici. Una timida risposta in tale direzione è stata rappresentata dalla retrospettiva di Orizzonti dedicata al cinema “sperimentale” italiano degli anni 1960-78. Cinema che tentava in modo quasi sotterraneo e invisibile di rompere gli schemi imperanti della narratività codificata dei “generi”, con rotture di tempi e di spazi, di identità degli sguardi e di consequenzialità delle azioni. Cinema solo apparentemente inaridito e occultato, capace invece di far sentire la proprianatura vivificatrice e innovatrice in tanta parte del cinema moderno che doveva venire. (f.v.) IL CONCORSO Per l’ultima edizione da direttore – a meno di possibili ma non certo probabili riconferme -, l’ottava, Müller è riuscito a mettere insieme per il Concorso una selezione, almeno 61 sulla carta, formidabile: accanto ai grandi autori abbondantemente consacrati, alcune star col vizio (vezzo) della regia e una nutrita serie dei più quotati tra i nomi emergenti sulla scena internazionale del cinema di qualità. Aleksandr Sokurov - che nell’Europa occidentale e in Italia c’è arrivato e c’è rimasto anche grazie a lui, a Müller – ha presentato il quarto e ultimo capitolo della sua tetralogia sul potere. Dopo Moloch, Taurus e Il sole rispettivamente dedicati a Hitler, alla coppia Lenin/Stalin, e all’imperatore Hirohito – Sokurov ha adattato per il grande schermo il Faustdi Goethe. In una messa in scena barocca, densa di segni e di simboli, di giochi linguistici e di accortezze tecniche – che diventano subito estetiche, come la lente anamorfica che in alcuni tratti del film distorce l’immagine similmente a quanto succede, guarda caso, nei foschissimi dipinti del Cinquecento e del Seicento – Sokurov muove i suoi due protagonisti: un Faust più giovane e lucido dell’originale letterario e un Satana capace di affascinare, ma anche dotato di un aspetto deforme e ributtante. Un meraviglioso film da contemplazione e un buon oggetto per studiosi in cerca di sfide. Una volta tanto un Leone d’Oro sacrosanto e senza obiezioni possibili. Non tutti i grandi hanno però confermato le legittime aspettative. Così il fin troppo acclamato Polanski ha portato al Concorso veneziano – a pochi giorni dall’uscita nelle sale nazionali – la sua commedia grottesca Carnage, pezzo di cinema da camera frutto dell’adattamento del testo teatrale Il dio della carneficina di Yasmina Reza, anche cosceneggiatrice del film. Costruito di pezzi di prima scelta – una sceneggiatura solida e affilata e quattro protagonisti dalle notevoli doti tecniche – il film è niente di più che un arguto svago, un intelligente argomentazione svolta in forma di commedia sul delitto e sul castigo, sulla logica della violenza, e, un po’ oltre, anche una critica salace alla filosofia dei buoni sentimenti, del pensare e dell’agire politicamente corretto che tanta fortuna ottiene nella pubblica opinione delle democrazie occidentali. Un fuoco fatuo, si potrebbe forse dire. Quasi al pari di Dark Horse, nuo- Film vo film di Todd Solondz. Meno straniante ma soprattutto meno straniato del solito, Solondz tenta il racconto delle generazioni che stanno per prendere definitivamente in mano le redini del mondo: vecchi adolescenti – uomini e donne – incapaci di uscire dalla propria irresponsabile vita di giocherelloni ignavi e meschini per fare i conti con la vita, prima di tutto la propria. Anche questo un film corretto, votato principalmente a un’ispirazione ludica e in esso concluso, senza però nessun guizzo, nessuna scelta radicale, nessun assunto davvero originale.Ultime e più cocenti delusioni, i film della coppia Satrapi/Paronnaud e di Philippe Garrel. Poulet aux prunes – come Persepolis, tratto anch’esso da una graphic novel della fumettista e regista iraniana – tenta di portare nel cinema dal vero la libertà, l’ironia e il ritmo del precedente animato, inseguendo in modo appariscente uno stile estroso versato in un racconto cupo aspirante al grottesco. Tecnicamente sfarzoso, il film inanella scenette da diorama, triturando le qualità e il ritmo degli interpreti (Amalric, mai così fuori tono negli ultimi anni, e Maria De Medeiros ineditamente macchiesttistica) e asfissiando alcune trovate di scrittura nella geometria perfetta di una regia di cartapesta.Un été brulant è stato il ritorno a Venezia di Philippe Garrel. Il film – atteso dalla stampa più per la presenza della Bellucci tra gli interpreti protagonisti, che per l’attenzione al lavoro del regista francese – è una spenta galleria dei luoghi comuni di certo cinema parigino engagè e in modo particolare di quello di Garrel, che senza esitazione torna a raccontare giovani artisti intellettuali che si avvitano intorno a dissidi esistenzial-politico-filosofici, in perenne fuga dalla propria fragilità ma sempre voluttuosamente legati al sentimento della morte. Un film obliquamente autobiografico povero d’idee e di vita, e invece troppo irrigidito dalla presunzione di sé e della propria legittimità di “Autore” per poter evitare una inerte freddezza cadaverica. Veniamo ai premi, mai come quest’anno lucidamente aderenti ai meriti effettivi e anche per questo ampiamente condivisi dalle platee. Subito dopo il colosso Sokurov è stato premiato Shangjun Cai per il suo People Mountain People Sea, che ottenendo il Leone d’Argento contribuisce a confermare la tradizione di film sorpresa spesso destinatari di allori, nonché a dar ragione – ce ne fosse ancora bisogno – alla pervicace e coerente insistenza dello sguardo di Muller rivolto a Oriente. Unico premio degno di biasimo il Premio Speciale della Giuria concesso a Terraferma, nuovo prodotto di Cattleya ancor prima di essere il nuovo film di Emanuele Crialese. Costruito secondo uno schematismo obbligatorio, una “retorica del messaggio” che tutto volgarizza, semplifica, uniforma, Terraferma torna su molti dei temi e dei luoghi cari al cinema di Crialese, dai tortuosi legami intrafamiliari al mare, ma lo fa con la Tutti i film della stagione pesantezza tipica dei film pensati per il grande pubblico e che sono scritti intorno alla dimostrazione di una tesi. Le due Coppe Volpi invece non solo hanno reso merito a due ottimi interpreti; hanno anche concesso il giusto riconoscimento a due buoni film. Michael Fassbender è stato premiato per aver prestato il corpo e il volto al protagonista sessuomane di Shame, opera seconda del promettente inglese Steve McQueen: una performance completa quella di Fassbender che sullo schermo passa da dialoghi in punta di fioretto ad amplessi crudi ed espliciti fino – coerentemente – alla lotta nel corpo a corpo. Tutt’altro genere d’interpretazione invece quella di Deanie Yip, cantante e attrice cinese protagonista dello straziante A Simple Life, brillante esempio di storia familiare classica ma non per questo banale diretta dalla veterana Ann Hui; senza dubbio uno dei migliori titoli di tutta la Mostra. Ultima menzione la dedichiamo a due dei titoli meno convenzionali, entrambi sintomi e rappresentati di due cinematografie in conclamata effervescenza, quella greca e quella israeliana: il greco Alpis, di Yorgos Lanthimos, frutto dello stesso gruppo d’ingegni che appena un anno fa portò a Venezia Attenberg, un dramma ironico sull’arte di arrangiarsi ma ancor più sulla gestione del lutto ai tempi della crisi economica e sociale; e The Exchange, estroso ma essenziale apologhetto sullo straniamento della vita moderna a firma dell’ebreo isrealiano Eran Kolirin, già noto alle cronache nostrane per il suo primo successo cinematografico, La banda. Silvio Grasselli ORIZZONTI Dopo il rilancio dello scorso anno la sezione Orizzonti ha proposto un programma monstre alla ricerca di tutte le possibili nuove forme del cinema che rispondono in modo creativo e problematico alle sfide di un mondo frantumato, impossibile ormai da rappresentare con modi di rappresentazione speculari. Nella succosa “premessa” al programma di sala Marco Müller teorizzala fine delle illusioni di un cinema normativo e classificabile in generi, codici, linguaggi e la necessità di rimettere ancora una volta in discussione le radici profonde del racconto cinematografico “senza negarne la dimensione emotiva e sensuale”. Il programma ha offerto un’estrema varietà di tipologie narrative e di “formati”, dal “film-saggio”, alla “meditazione dolorosa”, alla commedia, al film di genere reinterpretato e problematizzato, manifestando “una rinnovata fiducia nella forza della sintassi fondamentale del cinema”(non necessariamente quella fondata sulle teorie del montaggio). Se il cinema vuole tornare “arte” (nel senso di attività inventiva ed espressiva che modifica l’uomo e l’ambiente in cui opera) e non solo piatta riproduzione dell’esisten- 62 te, deve “scucire la realtà, smentendo così la pretesa che la sua essenza sia solo documentaria”, trasfigurando il reale, mettendo in discussione le false apparenze della presa in “diretta” di volti, azioni, paesaggi. Müller propone un superamento dell’elaborazione linguistica del cinema “sperimentale”, spostando la nostra attenzione su “modelli che rifiutano di appartenere a questo o a quel campo estetico, passando invece dall’uno all’altro, negandosi alla denominazione d’origine controllata”. Oggi, anche in virtù delle nuove tecnologie digitali di ripresa e di elaborazionelinguistica, il cinema contemporaneo assume una straordinaria duttilità e fluidità che è foriera di una sempre più radicale interpretazione e rappresentazione del reale. Il film premiato, Kotoko, illustra bene questa linea estetica del “rimescolamento” estetico. Il regista giapponese di “culto” (nel senso dell’ammirazione un poco esoterica di cinefili conventuali) Shinya Tsukamoto,sembra qui rinunciare ai compiacimenti visionari dell’opera d’esordio (Tetsuo, 1989) per giustificare sul piano narrativo e psicologico la follia (una forma di sdoppiamento visivo) della protagonista. Kotoko, ragazza madre che ri-vive sulla propria carne il ricordo delle violenze sessuali subite da bambina, ha un rapporto autopunitivo con il suo bambino che cerca di proteggere da minacce esterne e con l’uomo che vorrebbe amarla. La malattia mentale le impedisce di accettare se stessa e l’amore degli altri. Tsukamoto colloca la rappresentazionedei conflitti dolorosi della protagonista al confine incerto fra realtà e ossessione onirica. Il suo film diventa così una celebrazione dell’amore nella sofferenza, studiando il misterioso rapporto fra erotismo e dolore. Il regista utilizza diversecomponenti espressive, mettendo in scenacon ironia e distacco situazioni sado-masochistiche sanguinolente da film horror, alternandole con momenti poetici (la protagonista si riconcilia con se stessa cantando e ballando) e persino sentimentali, subito problematizzati dalla sua tipica crudeltà e violenza visive. Kotoko può essere preso ad esempio di un cinema “teorico” che cerca la sua ragion d’essere nello slittamento delle forme narrative, nella sospensione di senso, nella ricerca del lato doloroso e misterioso della condizione umana. Altro caposaldo del programma si è rivelato l’ipnotico (5 ore di immagini estatiche!) Siglo ng pagluluwal (Century of Birthing) del filippino Love Diaz, riflessione sui meccanismi di coercizione emotiva prodotta dai riti di una setta religiosa e sull’origine della creazione filmica. Il film narra in parallelo la vicenda della dissoluzione di un gruppo religioso plagiato da un falso predicatore (in effetti un intellettuale fondamentalista fallito) e la crisi esistenziale e artistica di un regista che tenta di raccontarne la storia, facendosene coinvolgere verso l’afasia e l’immutabilità della condizione umana. Arte e vita si confondono e si autoannullano. Il cinema può Film essere un forma di fondamentalismo quando pretende di violentare la vita (il protagonista distrugge la sua musa, un’ adepta della setta, salvo poi salvarla avviandosi con lei in un cammino incerto nella natura immutabile). Il film è anche una testimonianza dolorosa sul profondo radicamento di una distorta religiosità filippina, retaggio di una cultura animistica su cui si è mal innestato un Cristianesimo superstizioso e rituale (il gruppo delle adepte ripete in modo ossessivo litanie quali “L’amore della casa è l’amore più grande al mondo”). Secolo della Nascita racconta in ultima analisi come l’estremismo e il fondamentalismo nella sue forme culturali e religiose possano “distruggere il mondo”. E come il cinema ne possa svelare in modo problematico e non necessariamente salvifico il pericolo incombente. Una diversa riflessione sulla cinefilia e sulla funzione del cinema nel modificare il rapporto fra l’artista e i poteri economici che ne commissionano l’opera viene proposta dal doloroso Cut dell’iraniano (residente negli USA) Amir Naderi, autore di film rigorosi sul piano della struttura narrativa. Qui Naderi supera il suo sperimentalismo per assumere le forme dell’apologo a forte impatto simbolico. Cut narra la vicenda di un giovane regista giapponese che si ispira all’opera di Ozu, Mizoguchi e Kurosawa e che accetta di farsi finanziare da una banda di Yakuza per produrre un film indipendente. Per restituire i soldi accetta di farsi picchiare (una certa somma per ogni pugno ricevuto) dai violenti mafiosi in una palestra, assumendo le stigmate di una sorta di figura cristologica (il regista lo definisce “l’ultimo samurai del cinema”). Naderi trasforma la seconda parte del film in un’interminabile ossessiva discesa verso la morte, il sacrificio e la resurrezione di un regista alla ricerca del cinema “puro” contro gli stereotipi volgari del cinema commerciale. Sul versante del “documentario”, ammirevole mi è sembrato l’approccio alla dolorosa materia trattata, il mondo della prostituzione, nell’implacabile Whores’ Glorydell’austriaco Michael Glawogger. Il regista non si limita a illustrare il paradigma del rapporto venale fra il padrone (il maschio) e la sfruttata (la donna, vittima della sua debolezza di genere e del bisogno), ma con un lungo lavoro di ricerca scopre le diverse modalità, i riti, i complessi rapporti psicologici fra clienti e prostitute, le culture che costituiscono il tessuto portante in cui i bordelli svolgono la loro attività. Dietro il rapporto sessuale mercenario si manifesta un misterioso meccanismo direlazioneinterpersonale, di cui un giudizio pregiudizialmente moralistico non riesce a dar conto. Le diverse culture e i diversi contesti sociali modificano profondamente le forme della prostituzione. Tre luoghi in diversi Paesi vengono messi a confronto. Nell’ “Acquario” di Bangkok (Tailandia) le donne sono “esposte” con un numero identificativo Tutti i film della stagione in una sorta di vetrina, separate dai clienti da un vetro specchiato che impedisce loro di vedere i clienti. Le donne sono messe così a confronto con se stesse, sottratte il più possibile al confronto con l’altro. L’atmosfera vi appare rilassata e cordiale, funzionale a un commercio da centro commerciale. Le prostitute vi appaiono come impiegate o commesse di un commercio rispettabile. Una vera caduta agli inferi appare invece la “Città della gioia” di Faridpur (Balgladesh) ove la miseria, il degrado e la precarietà sono assoluti. Le prostitute, spesso adolescenti se non preadolescenti accettano la loro condizione come consustanziale alla loro esistenza. Se nel primo episodio tailandese la figura cinematografica era quella dello specchio, come forma di riconoscimento e di separatezza, qui il regista fa emergere quella del labirinto entro cui le povere protagoniste e gli spettatori con esse si perdono nei meandri oscuri della propria psiche. Il terzo luogo di prostituzione indagato è quello della “Zona” della città messicana di Reynosa (al confine con il Texas) ove le misere stanze del “piacere” si apronosu strade buie e polverose. Il regista vi ha colto un diffuso desiderio di morte, elemento dominante della cultura messicana. Un’ interessante, ma diversa tipologia di “documentario di interviste” vienemessa in atto dalla francese Yolande Zauberman che in Would You Have Sex with an Arab? interroga ragazzi arabi e israeliani, nei luoghi del divertimento notturno a Tel Aviv e Gerusalemme, sui rapporti sessuali fra i rispettive gruppi etnici. La telecamera registra una varietà straordinaria di risposte, fra l’assertivo, l’imbarazzato, il divertito, il possibilista. Forse la strada della convivenza e della pace passa attraverso le vie della sessualità. Spiega significativamente la regista: “Mi hanno sempre affascinato le frontiere che solcano l’intimo, gli amori tra nemici che non si arrendono, le coppie che nascono per questo. Quando si conoscono, si conoscono come nessun altro. Illuminano il mondo di una luce diversa”. I pochi esempi che mi sono qui permessi dimostrano come le forme del cinema sono inesauribili, così come la realtà che esse tentano di rappresentare nelle sue contraddizioni e ambivalenze. Flavio Vergerio SETTIMANA INTERNAZIONALE DELLA CRITICA Anche nella ventiseiesima edizione della Settimana Internazionale della Critica, come era accaduto per la precedente, è prevalsa una scrittura attenta ad una quotidianità complessa e variegata, legata alla realtà odierna. I protagonisti che affollano i racconti, firmati da autori alla loro prima prova nel lungometraggio, sono spesso losers, solitari, personaggi che non necessariamente si trovano ai margini della società, tuttavia vivono in bilico tra una presunta normalità e il disagio psi- 63 cologico, tra l’osservanza delle regole e l’illegalità. Làs-bas (Italia/2011, 100’), di Guido Lombardi, è l’opera vincitrice del premio del pubblico Kino, oltre che del Leone del futuro. Girato a Castelvolturno, il film narra di una piccola comunità di immigrati. Prendendo liberamente spunto dalla strage avvenuta nel 2008 in cui il clan dei casalesi uccise sei giovani clandestini, come atto deliberato di violenza razziale e monito sul controllo dei traffici illegali sul territorio, il regista napoletano costruisce un racconto dal punto di vista del giovane Yussouf, un artista pieno di speranze, alla ricerca dello zio, che si ritrova, dapprima a vendere fazzoletti, quindi esperto trafficante di droga. La mdp ne segue in maniera quasi documentaria i primi passi in Italia, per poi virare verso il noir. Louise Wimmer (Francia/2011, 80’) di Cyril Mennegun é il convincente ritratto di una cinquantenne clocharde suo malgrado, costretta a dormire nella propria automobile, unico bene rimastole, a seguito di una separazione dal marito, Egregiamente interpretata da Corinne Masiero, Louise Wimmer è una donna forte, in attesa che le venga assegnata una casa. Pur essendo piena di debiti che ripaga poco alla volta, non si lascia scoraggiare. Il suo corpo invade lo schermo: colpiscono la durezza e la severità con cui rifiuta di parlare della propria condizione, la determinazione nel riuscire a cavarsela da sola. Una regia sicura, che ne racconta il percorso di discesa e di lenta risalita in maniera discreta, mai invadente. Un altro ritratto femminile viene messo in scena in Totem (Germania/2011, 86’), per la regia di Jessica Krummacher. Fiona è una collaboratrice domestica e bambinaia assunta da una famiglia della Rühr, il cui arrivo sconvolge il già precario equilibrio, scatenando pulsioni contrastanti e gelosie da parte dei suoi componenti. Volendo raffigurare un “tranquillo e normale” ritratto di famiglia borghese, nel tentativo di far emergere alcuni aspetti deteriori di un gruppo monolitico inattaccabile, capace di distruggere e di espellere qualsiasi intruso tenti di farne parte, il film ha l’ambizione dell’indagine antropologica. Con chiaririferimenti al Teorema di Pasolini, anche se con un’opposta prospettiva, la regista con Totem, film di diploma alla scuola di cinema di Monaco, mette in scena il gioco al massacro che condurrà la giovane donna a sacrificarsi con un gesto estremo, senza tuttavia la forza, tanto meno l’intensità e la corrosività di quella pellicola. La terra outragée (tit. it. La terra oltraggiata, Francia-Germania-Polonia-Ucraina/2011, 105’) di Michale Boganim racconta della tragedia nucleare in Ucraina, seguendo i percorsi di due abitanti di Prypiat, un villaggio poco distante da Chernobyl, il piccolo Valery e la giovane sposa, Anya, che festeggia il proprio matrimonio, È il 25 aprile 1986, poco prima dell’esplosione della centrale nucleare. Trascorsi dieci anni, Film in uno scenario apocalittico, entrambi i protagonisti fanno ritorno in quei luoghi abbandonati, il giovane in cerca di un passato, la donna è accompagnatrice di visite guidate. Michale Boganin lascia che a parlare siano le situazioni, i luoghi, soprapponendo alle immagini di un “c’era una volta”, un immaginario bucolico, sereno, anche se già devastato dalla presenza della centrale, la visione di un paesaggio spettrale, deserto, costruendo una narrazione intensa e struggente. Lei, Ramona, cantante di un gruppo punk, lui, Ray, attivista politico, disposto a combattere per i diritti umani, insieme, decideranno di compiere un atto esemplare: si tratta del messicano, El lenguaje de los machetes (tit. Il linguaggio dei machete, Messico, 2011, 82’). Diretto da Kyzza Terrazas, è un film estremo, come lo sono i suoi protagonisti, una coppia di trentenni, frenetico, come lo è la loro storia d’amore, quel loro rincorrersi, perdersi e ritrovarsi. Bravi gli attori, Jessy Bulbo e Andrés Almeida nel dare corpo alle nevrosi che alimentano i due protagonisti, alla loro ostinata e cieca obbedienza ad una pulsione di morte, che li condurrà in una via senza ritorno. Ne El campo (Argentina, 2011, 82’), protagonista della vicenda è una giovane coppia che si trasferisce insieme alla propria figlia in una villa in campagna, un luogo ameno che ben presto diventa inquietante e destabilizzante. Hernàn Belòn è l’autore di questa opera prima in cui gioca col genere, riuscendo a spiazzare, ridefinendo continuamente i confini e i tracciati del racconto horror e thriller. Marécages (tit. it. Acquitrini, Canada/2011, 111’) si svolge nella campagna del Québéc, dove la famiglia Santerre ha un allevamento di bestiame. Jean e Marie, insieme al figlio, Simon, lavorano tutti indefessamente per cercare un nuovo bacino d’acqua, che potrebbe risollevare le loro sorti. Ma alle difficoltà economiche, si aggiunge un tragico incidente nel quale perde la vita il padre. Guy Edoin dimostra di aver fatto propria la lezione dei fratelli Dardenne, per quella capacità di osservare le tragedie che si consumano davanti alla mdp, di saper raccontare e restituire nel dettaglio attimi di verità, di quella realtà autentica colta in una gestualità ripetitiva, di riuscire a cogliere quell’asprezza che si riflette inevitabilmente nei comportamenti e nei rapporti tra gli esseri umani. L’elaborazione del lutto, la difficoltà di sopravvivere alla perdita di un proprio caro, è un tema che si ripresenta anche nel film fuori concorso che ha aperto la sezione della SIC. Stockholm Östra (tit. it. Stoccolma Est, Svezia/2011, 95’) si apre con un’imminente tragedia di due coppie i cui destini saranno inesorabilmente incrociati. Johan vive con la propria compagna a Stoccolma nello stesso quartiere dove vivono Hanna, il marito e la figlia di nove anni. Un tragico incidente causerà la morte della piccola. Diretto da Simon Tutti i film della stagione Kaijser da Silva, autore di serie tv, alla sua prima prova nel cinema, Stockholm Östra mette in scena un dramma intenso, ben interpretato, dove forse una maggiore linearità alla trama avrebbe giovato all’efficacia della vicenda. A chiudere la sezione, presentato fuori concorso, Missione di pace (Italia/2011, 90’), una commedia farsesca di Francesco Lagi.Il film si svolge nella ex-Jugoslavia, dove un veterano militare, a caccia di un criminale di guerra, si troverà a confrontarsi col figlio, un pacifista convinto. Luisa Ceretto CONTROCAMPO ITALIANO Consueto ‘viaggio in Italia’ nella sezione, tra fiction e documentari, tra generi e sperimentazione. Vince meritatamente Scialla! – termine romano che significa ‘stai tranquillo – bell’esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Francesco Bruni (stretto collaboratore di Paolo Virzì ma che ha lavorato più volte anche con Mimmo Calopresti), che porta sullo schermo la vicenda di un irrequieto quindicenne e uno scrittore svogliato che scrive le biografie degli altri (ora si sta occupando di una famosa pornostar polacca diventata produttrice di film hard) che scopre che il ragazzo è suo figlio. Con una scrittura solida e con attori particolarmente ispirati (non solo Fabrizio Bentivoglio e Barbora Bobulova ma anche l’esordiente Filippo Scicchitano), uno sguardo alla commedia all’italiana, dove la deformazione però è umana con dentro anche un’euforia contagiosa. C’era attesa anche per Cose dell’altro mondo, terzo lungometraggio di Francesco Patierno dopo il notevole Pater familias e Il mattino ha l’oro in bocca con protagonisti Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea e Valentina Lodovini. Le forme del grottesco deformano la realtà di una cittadina Nord-est dove gli immigrati spariscono all’improvviso dopo ‘l’invito ad andarsene’ fatto in tv da parte di un rozzo industriale. Le basi per la satira a sfondo sociale c’erano ma sono restate solo a livello teorico in un film incapace di spingere a fondo la propria dimensione fantastica e anche la metafora politica è rimasta debole. Piuttosto grossolano è apparso Maternity Blues su quattro donne rinchiuse in un istituto psichiatrico giudiziario devastate dal senso di colpa per aver commesso l’infanticidio. Chiusura solo di facciata, viaggio interiore dove invece i demoni privati sono fin troppo espliciti con un lampo thriller nella sera della festa poi presto soppresso. In Qualche nuvola di Saverio Di Biagio si incontrano invece universi sociali differenti. Lui è un ragazzo cresciuto in un quartiere popolare all periferia di Roma che lavora duro in un quartiere edile ed è prossimo al matrimonio. Il suo destino è così disegnato fino a quando gli viene commissionato di restaurare la casa della nipote del suo capo che 64 vive nel centro storico. I Manetti Bros., con L’arrivo di Wang esempio di ‘fantascienza all’italiana’ chiusa in uno spazio ristretto come il precedente Piano 17 dove un alieno, giunto sulla terra per uno scambio con la razza umana, viene catturato dai servizi segreti e sottoposto a un duro interrogatorio in cui è coinvolta anche un’interprete di cinese. Tra i protagonisti del film c’è Ennio Fantastichini. Sceglie invece la strada della commedia sentimentale Ricky Tognazzi con Tutta colpa della musica su due amici che hanno superato i 50 anni diversissimi tra loro. Uno, infelicemente sposato, ha un colpo di fulmine per una donna incontrata nel coro, l’altro è un inguaribile dongiovanni. Sembra si sentire troppo la mano di Simona Izzo. La nostalgia del tempo perduto è solo di facciata e la leggerezza rasenta l’inconsistenza. Con Cavalli di Michele Rho infine si fa un salto temporale e precisamente alla fine dell’800, in un paesino degli Appennini, su due fratelli legatissimi fra loro ma che hanno diverse ambizioni. Tratto dall’omonimo romanzo di Pietro Grossi, ha il respiro di un western rurale con una ricerca visiva nel dare forma alla dimensione epica che non è mai banale. Molto ricca poi la materia narrativa dei documentari presentati nella sezione. Si entra nella lavorazione di Il villaggio di cartone con il metodo Olmi durante le riprese in Un foglio bianco di Maurizio Zaccaro, nel dramma privato attraverso le testimonianze di chi ha vissuto personalmente le violenze nel blitz alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto a Genova nel 2001 in cui emerge soprattutto la figura di Muli in Black Block di Carlo Augusto Bachschmidt, nelle speranze e nello sfruttamento di un gruppo di immigrati che hanno dovuto pagare cifre enormi per arrivare in Italia per poi lavorare in nero e sottopagati in Io sono. Storie di schiavitù di Barbara Cupisti, nel road-movie da Bergamo a Teano tra passato e presente di Piazza Garibaldi di Davide Ferrario o in quello vibrante e sentito nel rapporto vivissimo tra Catania e il panorama musicale (con Carmen Consoli, Franco Battiato) nell’ottimo Andata e ritorno di Donatella Finocchiaro, nella lotta collettiva e nel cambiamento nel corso del tempo di un gruppo di operai della Vinyls in cassa integrazione che ha occupato il carcere dell’Asinara in Pugni chiusi di Fiorella Infascelli, nella fuga dei tre ragazzi e il professore in fuga dall’Iran in Out of Tehran di Monica Maggioni, nella memorie di alcuni bambini del meridione ospitate da famiglie del Centro-nord subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Pasta nera di Alessandro Piva. Tra i cortometraggi infine, per qualità e continua ricerca visivo-sonora, spicca su tutti Eco da luogo colpito di Carlo Michele Schirinzi, in cui un vecchio opificio sembra riprendere vita attraverso i suoi rumori e i suoi suoni, come un respiro che ricomincia a riavviarsi. Simone Emiliani