La responsabilità da reato degli enti nel settore sanitario: i

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La responsabilità da reato degli enti nel settore sanitario: i
Testata Diritto 24 -
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Data 14/04/11
La responsabilità da reato degli enti nel settore
sanitario: i destinatari della normativa
Stefano Crisci, Avvocato, Studio Legale Crisci - a cura di Lex24 14 aprile 2011
Tra i destinatari dell’ormai celebre D.Lgs 231/2001, normativa che disciplina la
responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, è necessario includere gli
enti pubblici economici, che sono a soggettività pubblica, ma privi di pubblici poteri,
ed hanno come fine principale o esclusivo l’esercizio di un’attività iure privatorum.
Tale orientamento è confermato anche dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza
n. 28699 del 9 luglio 2010, tra l’altro relativa proprio ad un’azienda ospedaliera, ha
espressamente chiarito che “la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria,
ma non sufficiente, all’esonero dalla disciplina in discorso, dovendo altresì concorrere
la condizione che l’ente medesimo non svolga attività economica”.
Nella specie, la suddetta sentenza, riguarda proprio una società azionaria svolgente
attività ospedaliera, la quale rientra nel novero dei destinatari della norma, a giudizio
delle Corte, proprio per la sua caratteristica di economicità, poiché “ogni società,
proprio in quanto tale, è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica
al fine di dividerne gli utili” in particolar modo le società per azioni.
Inoltre, con la stessa sentenza, la Cassazione ha escluso l’eccepita inapplicabilità della
disciplina de qua alle strutture ospedaliere sulla base dell’assunto che l’ente pubblico
in oggetto sia chiamato a svolgere funzioni di rilievo costituzionale. Il Supremo
Collegio, ha infatti precisato che non si deve confondere il valore della tutela della
salute, sicuramente “di spessore costituzionale”, con il rilievo costituzionale dell’ente
o della relativa funzione, “riservato esclusivamente a soggetti (almeno) menzionati
nella Carta costituzionale”. La funzione di una s.p.a., chiaramente non qualificabile
come di rilevo costituzionale, è sempre quella di realizzare un utile economico.
Risulta evidente come, a giudizio della Corte, non può essere sufficiente, ai fini
dell’esonero dal D.Lgs 231/2001, la semplice rilevanza costituzionale di uno dei
valori coinvolti nella funzione dell’ente, in quanto una siffatta interpretazione
porterebbe ad escludere dall’applicabilità della disciplina “un numero pressoché
illimitato di enti” e non solo con riguardo al settore sanitario.
Pertanto, alla luce di quanto appena esposto in relazione ai destinatari della
normativa, si devono includere in tale elenco le aziende sanitarie locali, naturalmente
quelle private, quelle “miste” per la gestione di servizi pubblici, nonché quelle private
che operano nel settore sanitario in regime convenzionato.
Le A.S.L., ad esempio, in virtù dei DD.Lgs n. 502/1992 e 229/1999, che ne hanno
mutato la qualificazione giuridica, si costituiscono con personalità giuridica di diritto
pubblico, ma sono dotate di autonomia imprenditoriale ed agiscono attraverso atti di
diritto privato.
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Appare di questo avviso anche l’orientamento più recente del T.A.R. e del Consiglio
di Stato, che in numerose pronunce hanno definito proprio le “aziende sanitarie
locali” come “enti pubblici economici” (CdS, Sez. V, 14 dicembre 2004, n. 5924,
T.A.R. Toscana Sez. II, 17 settembre 2003, n. 5101: Le aziende sanitarie locali, in
quanto enti pubblici economici, non possono avvalersi, al fine di recuperare somme
di cui sono creditrici, dello speciale procedimento coattivo previsto dal R.D. 14 aprile
1910, n. 639, il quale, costituendo espressione del potere di supremazia di cui è
dotata la Pubblica amministrazione, deve trovare, conformemente al principio di
legalità di cui all'art. 23 Cost., fondamento in una norma di legge; T.A.R. Calabria
Catanzaro, 7 giugno 2002, n. 1603: Le aziende sanitarie locali hanno natura di enti
pubblici economici) e, quindi, assoggettabili alla disciplina della responsabilità
amministrativa, ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Il giudice amministrativo, in particolare, ha affermato che l’azienda sanitaria è un ente
pubblico economico e non è un ente strumentale della Regione “sulla base del mero
rilievo che tale qualificazione, contenuta nella originaria formulazione dell’art. 3,
comma 1 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, è stata espressamente eliminata dal
D.Lgs. 7 dicembre 1993 n. 571, che ha definito l’azienda sanitaria quale “azienda
dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”.
L’Azienda sanitaria, quindi, già in forza del suindicato D.Lgs. 7 dicembre 1993 n.
517, ha perso il carattere di organo della Regione, acquisendo una propria soggettività
giuridica con un autonomia che ha poi assunto, stante il disposto dell’art. 3, comma 1
bis, del D.Lgs. 502 del 1992 (comma introdotto dal D.Lgs. 19 giugno 1999 n. 229),
anche carattere imprenditoriale (“in funzione del perseguimento dei loro fini
istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in Aziende con personalità
giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”), disposizione quest’ultima che ha
introdotto una recente giurisprudenza a ritenere che le Aziende sanitarie abbiano
assunto la natura di enti pubblici economici (TAR Catanzaro IIa Sez. 17 gennaio
2001, n. 37 – confermata in appello dalla Va Sez. del CdS con decisione 9 maggio
2001, n. 2609 - e 5 aprile 2002, n. 809)”.
Per le strutture ospedaliere private invece, la loro inclusione nell’elenco dei
destinatari della normativa è in re ipsa, trattandosi, nella maggior parte dei casi, di
società (s.p.a. e s.r.l.) costituite al fine di svolgere l’esercizio di un’attività economica
per dividerne gli utili tra i soci stessi.
Una delle particolarità della normativa in esame risiede, come già detto, nel binomio
“responsabilità penale” di chi materialmente si rende colpevole del reato “responsabilità amministrativa” in capo agli enti.
Pertanto, nella categoria dei destinatari del D.Lgs. 231/2001, è necessario includere
coloro che si rendono materialmente responsabili del reato penale, compiuto a
vantaggio o nell’interesse dell’ente giuridico per il quale ricoprono ruoli ben definiti.
Gli artt. 5 e 6 del D.Lgs 231/2001 descrivono nel dettaglio i soggetti che,
commettendo un reato tra quelli elencati nel decreto stesso, estendono la loro
responsabilità anche in capo all’ente giuridico.
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Tale elenco ricomprende:
-i soggetti in posizione apicale, quindi con funzioni di rappresentanza,
amministrazione o di direzione;
- i soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza dei precedenti.
Sono due, quindi, i criteri, di natura rispettivamente oggettiva e soggettiva, che
devono essere presenti contemporaneamente per poter imputare all'ente la
responsabilità del reato.
Il primo comma del citato art. 5 D.Lgs 231/2001 circoscrive la responsabilità
amministrativa dell'ente ai soli reati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio”.
Tale norma introduce un primo presupposto “oggettivo” di connessione tra un fatto di
reato, commesso dalla persona fisica, e la persona giuridica.
Il secondo presupposto, di carattere “soggettivo”, è destinato a creare una particolare
connessione tra l'ente e il terzo autore del reato, rendendo “presunta” la responsabilità
del primo, nel caso in cui a commettere un reato siano i soggetti in posizione apicale,
a norma dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001. Pertanto, la presunzione di colpevolezza
dell’ente deriva dal fatto che tale categoria di soggetti è legittimata ad esprimere la
volontà dello stesso nei rapporti instaurati con i terzi, fino al punto da personificare lo
stesso ente giuridico.
In questo caso, sarà in capo all’ente anche l’onere della prova, dovendo dimostrare
che il comportamento del reo non sia stato tenuto nell’interesse o a vantaggio
dell’ente stesso.
Tale quadro normativo si estende sicuramente anche all’ambito sanitario,
coinvolgendo, in primo luogo le strutture che vi operano e, in secondo luogo, sia i
dirigenti che i dipendenti delle stesse.
In particolare, il riferimento va a quelle figure come il legale rappresentante,
l'amministratore, il consigliere delegato, il membro del comitato esecutivo, il direttore
generale, nonché tutti coloro che esercitano funzioni di rappresentanza, gestione o
direzione, anche entro una specifica unità operativa.
Possono essere l'institore, il direttore di stabilimento o di divisione, soggetti che,
ancorché inquadrati come dipendenti, non rientrano nella successiva categoria di
quelli sottoposti all’altrui direzione in quanto, alla direzione di un'unità organizzativa
finanziariamente e funzionalmente autonoma dalla sede centrale, si attribuisce
notevole autonomia gestionale.
Dubbi possono sorgere, qualora si rivestano contemporaneamente le qualifiche di
amministratore e dipendente dell'ente. Circostanza questa non secondaria, data la
diversa disciplina dell’onere probatorio, prevista rispettivamente dagli art. 6 e 7 del
D.Lgs. in esame.
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In questo caso, volendo seguire l'orientamento giurisprudenziale consolidato (per
tutte, cfr. Cass. sez. lav. 8 febbraio 1999, n.1081, in Not, giur. lav., 999, 291, che
condiziona la configurabilità di un rapporto di subordinazione del consigliere
d'amministrazione di una società di capitali alla prova della sussistenza concreta di
una soggezione al potere direttivo di controllo e disciplinare da parte di sovraordinati
organi sociali. In ogni caso, l'accertamento di fatto della compatibilità dei
diritti/doveri del subordinato con le funzioni gestorie è riservato al giudice di merito,
il quale è incensurabile in cassazione), per le prestazioni oggetto del rapporto di
lavoro subordinato, il soggetto colpevole di reato deve concretamente risultare
sottoposto ad un potere disciplinare e direttivo esercitato da altri amministratori,
prevedendo pertanto la presenza di altri consiglieri non dipendenti.
Per quanto riguarda la responsabilità dei soggetti sottoposti all’altrui direzione, ai
sensi dell’art 7 D.Lgs. 231/2001, viene presunto, al contrario, il rispetto degli obblighi
di direzione e vigilanza da parte dei vertici, attribuendo l’onere della prova al
magistrato inquirente.
Tra essi si devono ricomprendere i dipendenti dell'impresa, ossia coloro i quali siano
legati da un rapporto di lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 2094 e 2095 C. c., ma
anche coloro i quali, non avendo un rapporto di dipendenza, siano comunque in
posizione di subalternità alla direzione e al controllo del vertice societario, come, ad
esempio, i collaboratori coordinati e continuativi.
Alla luce della struttura normativa appena descritta, si inserisce la facoltà per gli enti
di adottare dei “modelli di organizzazione e di gestione” prevista dal D.Lgs 231/2001
come elemento di esclusione dalla responsabilità amministrativa.
Proprio questi modelli, previsti dall’art. 6, comma 1, lett. a), si sono diffusi in ambito
sanitario, con l’obiettivo, in primo luogo, di avvalersi di un elemento esimente dalla
responsabilità amministrativa e, in secondo luogo, di definire diritti, doveri e
responsabilità di tutti i soggetti interni ed esterni che operano e collaborano nell’ente
stesso.
L’adozione di un codice etico, che costituisce parte integrante dei modelli di
comportamento, ai sensi dell’art. 6, comma 3, si è diffusa, soprattutto in ambito
sanitario, al fine di includervi i criteri generali di comportamento ai quali devono
attenersi tutti coloro che, direttamente o indirettamente, temporaneamente o
stabilmente, instaurano rapporti con le aziende ospedaliere. Esso, pertanto,
rappresenta un elenco di principi etici essenziali in riferimento al sistema di controllo
preventivo rispetto ai reati contemplati nel D.Lgs. 231/2001.
Il modello di comportamento e di gestione diventa, così, uno strumento fondamentale,
ad esempio, per l’identificazione delle attività a rischio reato, con particolare riguardo
a quelle rilevate nel corso delle indagini condotte dall’Autorità Giudiziaria
sull’Istituzione Ospedaliera.
Inoltre esso è strumento utile per introdurre eventuali modifiche e integrazioni alla
struttura aziendale, alle procedure in essere ed al sistema organizzativo interno, al
fine di rendere maggiormente efficaci la vigilanza ed i controlli esistenti, favorendo
anche la sensibilizzazione di tutti coloro che operano nell’Istituto sanitario a tenere un
determinato comportamento.
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Destinatari del Codice sono, quindi, tutti coloro che operano all’interno di un Istituto
Ospedaliero o che comunque abbiano interesse nello svolgimento delle attività
proprie delle aziende ospedaliere.
Rimanendo in tema di codice etico, per ribadire come la normativa in esame sia stata
recepita dalle aziende sanitarie, è opportuno citare le “Linee guida regionali per
l’adozione del codice etico e dei modelli d’organizzazione e controllo delle aziende
sanitarie ospedaliere”, pubblicate dalla Regione Lombardia.
Le suddette linee guida regionali prevedono espressamente l’applicabilità del D.Lgs
231/2001 alle aziende ospedaliere, anche locali, in virtù di quel processo di “de
pubblicizzazione” che tali enti hanno subito con il D.Lgs. n. 502/1992 e con il D.Lgs
229/1999 ( “la nuova configurazione connota le Aziende Sanitarie e Ospedaliere di
tutte le funzioni ed i caratteri operativi dell’impresa, caratterizzati e qualificati dal
concetto di professionalità”).
Fermandoci per un momento su quanto adottato dalla Regione Lombardia, è
opportuno osservare come questa abbia inteso procedere con la sperimentazione
dell’introduzione di un
codice (o sistema) etico-comportamentale, basato sulla normativa relativa alla
responsabilità amministrativa degli enti, “non unicamente per la prevenzione degli
eventuali illeciti (di cui al D.Lgs. 231/2001), ma quale ulteriore garanzia della
migliore organizzazione e trasparenza dell’operato delle aziende”.
Seguono le indicazioni di quello che, a nostro avviso, dovrebbe essere il contenuto del
codice etico.
Il codice etico contiene una serie di obblighi giuridici e doveri morali che definiscono
l’ambito della responsabilità etica e sociale di ciascun partecipante all’organizzazione
e che, nel loro complesso costituiscono, uno strumento volto a prevenire
comportamenti illeciti, o irresponsabili da parte dei soggetti che si trovano ad agire in
nome o per conto dell’azienda.
Esso costituisce quindi:
i) lo strumento di esternalizzazione dei valori cui si ispira l’attività aziendale;
ii) la “carta costituzionale” dell’Azienda da condividere con i destinatari per creare
valore aggiunto;
iii) lo strumento di prevenzione di comportamenti contrari alla legge ed in particolare
al D.Lgs. 231/2001;
iv) l’incentivo al miglioramento della qualità dei servizi offerti.
Il Codice etico-comportamentale, inoltre, per poter essere considerato anche come
“sistema di controllo preventivo” (ex art. 6 D.Lgs. 231/2001) deve possedere almeno i
seguenti componenti:
a) Codice etico (documento ufficiale);
b) Modello Organizzativo (documento ufficiale);
c) Organismo di Vigilanza;
d) Sistema di comunicazione.
In conclusione, il D.Lgs. 231/2001 ha innovato in modo sensibile l’ordinamento
italiano, includendo questo particolare tipo di responsabilità “amministrativa”,
adeguandolo agli ordinamenti comunitari, nonché alle già citate convenzioni
internazionali, alle quali anche l’Italia ha aderito.
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Da un’analisi della normativa, nonché degli ultimi orientamenti della dottrina e della
giurisprudenza, tra i destinatari sono sicuramente incluse le A.S.L., le aziende
sanitarie private e quelle private che operano in regime convenzionato, per i reati
commessi da i dirigenti delle stesse nonché da coloro che sono subordinati alla
vigilanza di questi ultimi.
Inoltre, la previsione di un modello di organizzazione e di gestione, nonché di un
codice etico, da parte di tutti gli enti già citati, non può far altro che migliorare la
trasparenza delle loro attività favorendo anche ulteriori garanzie per una loro migliore
organizzazione.
Invero, la presenza, all’interno del Decreto, del modello di organizzazione e di
gestione costituisce un elemento di notevole importanza.
Le aziende sanitarie, già prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto avevano
iniziato ad adeguarsi, anche alla luce di indagini della Magistratura, all’adozione di un
codice etico che ne disciplinasse tutta la struttura.
Con l’entrata in vigore della presente normativa, poi, il Modello organizzativo è
diventato, oltre che un vero e proprio elemento esimente dalla responsabilità, anche
un utile strumento di identificazione delle attività a rischio reato.
Non solo. Di recente, il Servizio Sanitario Nazionale, ha iniziato a richiedere
“l’adozione del Modello quale requisito fondamentale ai fini dell’accreditamento”
presso il Sistema stesso. Questo è evidente anche con riferimento al D.P.R. del
14.01.1997 che ha approvato l’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle
province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali,
tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle
strutture pubbliche e private.
Tra i suddetti requisiti minimi è presente proprio l’adozione di linee guida e
regolamenti interni, anticipando quello che, di lì a poco, tramite il D.Lgs 231/2001,
sarebbe diventato il Modello organizzativo e gestionale.
Si intravede, quindi, la vastità della portata dell’intero dettato normativo, che ha
investito una moltitudine di soggetti in numerosi settori, tra cui quello sanitario.
Per concludere, si rende auspicabile per il futuro un maggiore coordinamento
all’interno stesso dell’articolato.
Infatti, nel corso dell’ormai decennale vigenza del decreto, si è reso necessario
aggiornare la normativa con tutta una serie di fattispecie delittuose non
precedentemente preventivate.
Le caratteristiche del Modello di gestione e organizzazione, previste dall’art. 7 D.Lgs.
cit. sono rimaste, al contrario, invariate, rimanendo strettamente collegate con le
tipologie di reato inizialmente previste, quali i reati contro la Pubblica
Amministrazione previsti dagli artt. 24 e 25 del Decreto 231/2001.
E’ quindi auspicabile, in prospettiva de iure condendo, la previsione di un Modello
maggiormente coordinabile con tutte quante le fattispecie delittuose previste dal
decreto, così da renderlo uno strumento che realmente possa plasmarsi sulle diversità
delle situazioni giuridiche che ogni Ente, in ogni settore è costretto ad affrontare.

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