teorie dei concetti - Università degli Studi di Bergamo

Transcripción

teorie dei concetti - Università degli Studi di Bergamo
Filosofia del linguaggio ordinario:
la critica al paradigma dominante
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Astrattezza del paradigma dominante: il paradigma
dominante non dà conto di come effettivamente usiamo il
linguaggio nelle diverse interazioni comunicative.
L’approccio logico idealizza in misura eccessiva i fenomeni
semantici, quasi disinteressandosi del fatto che il linguaggio
è parlato e compreso dagli agenti umani in specifiche
circostanze comunicative.
Nel paradigma dominante il significato delle espressioni è
determinato da certi “fatti” oggettivi, indipendentemente
dalle pratiche sociali . Ma i significati non sono cose che si
possono studiare “al microscopio”. Il linguaggio è un tipo di
comportamento, un’attività sociale, un fare. Gli enunciati
non possiedono una vita di per se stessi.
L’unico assunto pienamente condiviso del paradigma
dominante è l’antipsicologismo.
Filosofia del linguaggio ordinario:
caratteri generali
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Primato delle pratiche sui principi: studiare come funziona
davvero il linguaggio, piuttosto che irreggimentarlo in
strutture astratte
Grande sensibilità per le distinzioni linguistiche. Ad es. gli
enunciati non sono solo assertivi e quello referenziale non è
l’unico uso delle parole.
Il compito della filosofia del linguaggio è quello di
esplicitare e chiarire i diversi usi, non quello di costruire
sistemi formali
I problemi della filosofia si possono dissolvere facendo
vedere che nascono da un fraintendimento del linguaggio
ordinario
Attenzione verso gli aspetti pragmatico-comunicativi. Così la
filosofia del linguaggio ordinario è stata la “levatrice” della
pragmatica
Filosofia del linguaggio
2013-2014
II parte – teorie dei concetti
Alfredo Paternoster
Il contesto teorico: la “svolta cognitiva”
- Declino della filosofia linguistica wittgensteiniana
- Insoddisfazione riguardo la semantica logica
caratteristica del paradigma dominante (
inadeguatezza teorica riguardo al lessico; problemi dei
contesti di credenza, tratti non verocondizionali del
significato, idealizzazione eccessiva)
- La grammatica generativa (Chomsky)
- La psicologia cognitiva e l’intelligenza artificiale (
“scienza cognitiva”)
Psicologia cognitiva:
le rappresentazioni mentali
Il comportamento non può essere spiegato in termini
di mere reazioni a stimoli. Esso è nella grande
maggioranza dei casi mediato da rappresentazioni
mentali, cioè da strutture di informazioni che stanno
nella testa delle persone.
Le rappresentazioni mentali non sono né soggettive,
né private, perché non sono frammenti di esperienza,
bensì ipotesi teoriche con una base empirica.
Le rappresentazioni mentali assolvono almeno alcuni
dei ruoli che la tradizione filosofica assegnava ai
concetti.
Concetti:
di che cosa stiamo parlando (più o meno) ?
- Idee: qualcosa che sta nella testa o «entra» nella
testa
- Mediazione tra parole e cose (= significati?)
- Strutture di conoscenza o informazioni
Ma non è detto che i concetti richiedano il linguaggio…
Concetti:
di che cosa stiamo parlando (più o meno) ?
I concetti sono ciò in virtù di cui trattiamo come
equivalenti certi oggetti di esperienza.
 i concetti sono ciò che ci consente di organizzare
l’esperienza, di pensare il mondo, di averne
un'immagine sensata.
 i concetti hanno molto a che fare con l'astrazione:
concettualizzare uno stimolo mi consente di
ignorare certi aspetti dello stimolo per concentrarmi
su altri.
Concetti:
di che cosa stiamo parlando (più o meno) ?
Concetti vs. categorie: le categorie sono insiemi di
cose; i concetti sono ciò che «tiene insieme» i
membri della categoria.
Es. Categoria dei gatti = l’insieme di tutti e soli i gatti
Concetto di gatto = ciò in virtù di cui qualcosa
appartiene alla categoria dei gatti (= ciò che fa di un
gatto il tipo di cosa che è).
Mentalismo vs. platonismo
Mentalismo (psicologismo, cognitivismo): i concetti
sono enti mentali  i concetti sono generi naturali
Platonismo: i concetti sono enti astratti, né mentali né
fisici (cfr. Frege 1918)
Platonismo implica realismo riguardo agli universali.
Mentalismo tende a implicare nominalismo (dipende
da che cosa si intende esattamente per
‘nominalismo’).
Teorie filosofiche vs. teorie psicologiche
L’opposizione tra mentalismo e platonismo non coincide
con l’opposizione tra teorie psicologiche e teorie
filosofiche: se è vero che per uno psicologo i concetti
sono enti mentali, non è vero in generale che per un
filosofo i concetti sono enti astratti ( ci sono teorie
filosofiche mentalistiche).
L’opposizione filosofia/psicologia è legata a quali aspetti dei
concetti si considerano più importanti.
Filosofia = concetti come mattoni del pensiero (concetti =
costituenti dei contenuti di credenza e in generale degli
stati mentali)
Psicologia = concetti come meccanismi di categorizzazione
Comunque, non si può tracciare un’opposizione netta tra
l’approccio filosofico e quello psicologico.
Teorie filosofiche vs. psicologiche
(Teorie filosofiche)
In che modo il concetto C1 (ad es. neve) e il concetto C2 (ad
es. bianca) si compongono a formare il pensiero o
credenza che la neve è bianca?
(teorie psicologiche)
In base a che cosa un soggetto X riconosce (categorizza) un
oggetto o come appartenente a una classe (categoria) C?
Forse il modo migliore di caratterizzare l’opposizione è in
termini di diverse sensibilità ai requisiti che una buona
teoria è chiamata a soddisfare.
Funzioni dei concetti
Il multiforme e ricchissimo materiale empirico viene
organizzato in categorie allo scopo di:
-
Reidentificare
Rappresentare (in absentia)
Fare inferenze/generalizzazioni
“concepts are in the first instance tools for putting together
particulars for a variety of goals: giving appropriate
behavioural responses to stimuli of a given kind, forming
inductive predictions about properties that have to be
applied to new (unmet) particulars, and so on”.
Funzioni dei concetti
Reidentificazione (riconoscimento):
una volta che mi sono formato un concetto C,
successivi oggetti di esperienza diventano
identificabili come degli C:
«applicare un concetto per categorizzare significa
appunto riconoscere che l'esperienza presente,
l'individuo qui e ora, è simile a qualcos'altro già
incontrato prima» (Lalumera 2009, p. 3). Esso
appartiene a una categoria, è un oggetto di un certo
tipo.
Funzioni dei concetti
Rappresentazione:
Avere un concetto mi consente di rappresentarmi uno
stimolo in absentia, cioè di elaborare informazioni
su oggetti (all’interno di certi processi cognitivi) in
assenza degli stimoli percettivi corrispondenti: se ho
il concetto di gatto posso parlare di gatti, ragionare
sui gatti, pensare ai gatti, anche se nessun gatto è
presente nel mio campo percettivo.
Funzioni dei concetti
Inferenza:
Se categorizzo un oggetto come un C –se lo faccio
ricadere sotto il concetto C– gli posso trasferire
“automaticamente” tutta una serie di proprietà,
tutte le proprietà che sono associate a quel
concetto. E nella misura in cui a un concetto sono
associate proprietà, posso eseguire ragionamenti
(inferenze) che coinvolgono più concetti. Ad
esempio, poiché le proprietà associate al concetto
animale sono ereditate da tutti i concetti
subordinati, io posso “trasferire” a un gatto le
proprietà tipiche di un animale.
Funzioni dei concetti: inferenza
«Se un’amica mi chiama e mi chiede se posso prendermi
cura del suo cane, so abbastanza bene che cosa devo
aspettarmi. Anche se non ho mai incontrato quel cane in
particolare, so qualcosa dei cani in generale e sul tipo di
cura che richiedono. Non ho bisogno di chiedere se
devo innaffiare il cane, passarci l’aspirapolvere, …,
portarlo in lavanderia, …: so già di cosa ha bisogno un
cane. In effetti, è proprio questo tipo di inferenza che
rende importanti le categorie. Se non fossimo in grado
di compiere inferenze significative su oggetti nuovi, non
avremmo grande vantaggio dal riconoscere che
qualcosa è un cane piuttosto che un divano o un
albero.» (Murphy 2002, p. 243).
Tre aspetti/questioni…
1. Che cos’è un concetto? (questione metafisica)
(esistono i concetti? Che tipo di cose sono?)
2. In che modo un concetto rappresenta una categoria,
cioè le cose cui esso si applica? (questione
semantica)
3. Come facciamo a categorizzare? (questione
psicologica o cognitiva)
(In virtù di quali capacità e meccanismi segmentiamo il
mondo in categorie?)
1. Che cosa sono i concetti
(a un livello molto generale)
-
Oggetti astratti (es. Peacocke)
Rappresentazioni mentali*(es. Fodor)
Capacità di riconoscimento (es. Millikan)
Regole d’inferenza (es. Brandom)
I concetti non esistono! (es. Machery)
* Ci sono vari generi di rappresentazioni mentali con
cui i concetti sono stati identificati: immagini,
simboli di un linguaggio mentale, schemi o modelli,
…
…e altre questioni
Questi aspetti/questioni sono tutti legati tra loro. Ma
cercheremo, per semplicità, di affrontarli
separatamente (per quanto possibile) …
Altre questioni:
- Quali requisiti sono necessari per attribuire
concetti? (es. linguaggio, capacità inferenziali,
capacità di riconoscimento)
- Possiamo attribuire concetti anche ad alcune specie
animali?
Alcuni (tipici) requisiti delle teorie dei concetti
(1) Combinabilità/composizionalità
(2) Pubblicità
(3) Normatività
(4) Efficacia causale
(5) Categorizzazione
(6) Intensionalità
(7) Acquisizione
(8) Vasto ambito di copertura
(…)
Requisito 1: combinabilità/composizionalità
Concetti semplici si combinano a formare concetti
complessi. Una buona teoria dei concetti deve
spiegare in che modo ciò sia possibile.
Es. Il concetto di gatto nero è costituito dal concetto di
gatto e dal concetto di nero.
La combinazione dei concetti rispetta certe regole
semantiche.
Es. L’estensione del concetto di gatto nero (= la classe o
categoria dei gatti neri) si ottiene per intersezione
delle estensioni dei concetti componenti.
Requisito 2: pubblicità
I concetti sono necessariamente condivisibili ( Frege).
Una buona teoria dei concetti deve spiegare in che
modo due soggetti possono afferrare (intrattenere)
lo stesso concetto.
Ragioni per la pubblicità: se X e Y non condividessero il
concetto, ad es., di gatto, non si capirebbero
quando l’uno parla all’altro di gatti.
Requisito 3: normatività
A un concetto sono necessariamente associate regole o
norme che determinano (almeno):
- a quali particolari si applica
- le relazioni inferenziali con altri concetti
Se l’uso di un concetto da parte di una persona evidenzia
una violazione di queste norme, a quella persona non si
può attribuire il concetto.
Es. - se io categorizzo un cane come gatto (ad es. perché era
buio e si vedeva male), non sto applicando
correttamente il concetto di gatto.
- se io deduco dal fatto di avere dolore ai muscoli della
mano che ho l’artrite, non sto applicando correttamente
il concetto di artrite (perché l’artrite è una malattia delle
articolazioni, non delle fibre muscolari).
Requisito 4: efficacia causale
Gli stati mentali causano l’azione in ragione del loro
contenuto, e i concetti sono i costituenti dei
contenuti.
Se prendiamo sul serio la spiegazione psicologica
secondo cui, ad es., sono entrato in panetteria
perché desideravo della focaccia e credevo che in
panetteria ne vendessero, sono questi contenuti e
non altri ad aver causato la mia azione.
Requisito 5: categorizzazione
I concetti si riferiscono a categorie (= si applicano a tutti e
soli i membri della loro estensione) e sono
intrinsecamente dei meccanismi di categorizzazione:
avere il concetto di gatto è saper applicarlo ai gatti e solo ai
gatti, ovvero implica saper riconoscere i gatti.
La categorizzazione è il processo tramite cui enti distinti
sono trattati come equivalenti.
Una buona teoria deve spiegare che cosa fissa l’estensione
o riferimento di un concetto e in virtù di quali
meccanismi gli organismi sappiano applicarlo.
(* sono davvero due problemi diversi?)
Requisito 6: intensionalità
Una stessa categoria può essere colta sotto due (o più)
concetti diversi.
Es. - Organismo con un cuore e Organismo con i reni sono
due concetti diversi anche se si applicano alla stessa
classe di individui.
- Triangolo equilatero e Triangolo equiangolo sono due
concetti diversi anche se si applicano alla stessa classe di
individui.
(i concetti non sono semplicemente insiemi di cose, sono
insiemi di cose visti sotto una certa prospettiva  sensi
fregeani, ovvero i concetti hanno un «ruolo cognitivo»)
Requisiti 7 e 8:
acquisizione e ambito di copertura
- Una buona teoria dei concetti deve dar conto della
loro acquisibilità (ad es. una teoria che implicasse
che la quantità di informazione costitutiva di un
concetto è infinita non sarebbe accettabile) e offrire
almeno un abbozzo di spiegazione di come li
acquisiamo.
- Una buona teoria dei concetti deve idealmente dar
conto di tutti i tipi di concetto: concreti, astratti,
semplici, complessi ecc.
Soddisfacibilità dei requisiti
È altamente improbabile, per non dire impossibile, che
un’unica teoria possa dar conto di tutti questi requisiti.
È quindi ragionevole privilegiare alcuni requisiti e rinunciare
ad altri.
Ad esempio, se siamo convinti (per certe ragioni) che i
concetti siano rappresentazioni mentali, conviene
rinunciare fin dall’inizio a sostenere che i concetti sono
normativi. La premessa (i concetti sono
rappresentazioni mentali) sembra implicare la nonnormatività. Ma si può capovolgere questo
ragionamento e sostenere che l’adesione al requisito di
normatività ci fa scartare a priori le teorie mentalistiche
dei concetti.
Teorie dei concetti
1. La teoria classica dei concetti
Rimonta a Platone. È tacitamente condivisa da autori come
Locke, Frege e Carnap (e molti altri), ed è stata accolta,
in un primo momento, anche in psicologia cognitiva.
I concetti sono DEFINIZIONI, ovvero insiemi di condizioni
singolarmente necessarie e congiuntamente sufficienti
che devono essere soddisfatte affinché qualcosa ricada
sotto il concetto.
Es. Il concetto di scapolo è: MASCHIO (E) ADULTO (E) NON
SPOSATO.
(se qualcosa soddisfa quei tre requisiti, allora è uno
scapolo, e viceversa)
1. La teoria classica dei concetti
La teoria risponde alle tre questioni più generali?
1. Più NO che SI’. Alla questione metafisica non risponde
in modo soddisfacente perché (vedi dopo) non è ben
chiara la natura del definiens
2. SI’. Alla questione semantica risponde molto
chiaramente: qualcosa appartiene a una categoria se e
solo se soddisfa la definizione. (la definizione fissa il
riferimento del concetto)
3. SI’. Alla questione psicologica risponde chiaramente:
giudichiamo che qualcosa è un C verificando se soddisfa
la definizione.
Il fatto che la teoria dia una risposta alle domande 2 e 3 non
implica che le risposte siano considerate unanimemente
soddisfacenti…
La teoria classica: problemi
1. Nessuno è mai riuscito a dare definizioni per un
numero plausibilmente ampio di casi. (se i concetti
sono definizioni perché riusciamo a definirli solo in
un numero limitato di casi? Vedi dopo)
2. Non è chiaro quale sia la natura dei componenti
della definizione:
2.a parole di un (meta)linguaggio
2.b altri concetti
La questione della natura dei componenti
2a. Se le parole non sono interpretate, non è una
spiegazione; se le parole sono interpretate ricadiamo nel
caso 2b.
2b. Ci sono tre possibilità.
2.b.1. Ogni concetto è definito in termini di altri concetti.
Non abbiamo davvero una definizione di un singolo
concetti; abbiamo bensì una struttura concettuale
onnicomprensiva  olismo
2.b.2. C’è una gerarchia di concetti alla cui base ci sono dei
concetti non definibili.  La costruzione delle gerarchie è
difficile; qual è la natura dei primitivi? (innati?)
2.b.3. C’è una gerarchia di concetti alla cui base ci sono dei
primitivi sensoriali. È sostanzialmente la teoria di Locke e in
generale dell’empirismo britannico. Problemi simili a 2.b.2.
La teoria classica: problemi
Ma il problema forse più serio è che la teoria sembra
essere, almeno in alcuni casi, falsa: NON ci sono
condizioni necessarie e sufficienti. (non riusciamo a
dare le definizioni perché NON ci sono definizioni!) 
le categorie sono strutture a «somiglianza di famiglia»
(Wittgenstein 1953, §§66-67).
Affinché a e b appartengano alla stessa categoria, non
c’è bisogno che condividano un insieme determinato di
tratti.
Somiglianze di famiglia
•
•
Non ci sono un insieme di condizioni necessarie e
congiuntamente sufficienti (= criteri) in grado di
fissare l’estensione di un termine. I membri di una
categoria sono caratterizzati da una rete di
somiglianze. (es. ‘gioco’)
Anti-essenzialismo. Significati e proposizioni non
sono “cose”. I concetti non catturano “essenze”.
Non è possibile avere una teoria sistematica che
assegni a ogni enunciato la sua forma logica. Non
c’è la forma logica.
Il problema dei membri anomali
Qualche esempio:
- Se definisco limone come agrume aspro dalla buccia
gialla, un limone verde sarà escluso dalla categoria
dei limoni.
- Se definisco uccello come animale dotato di ali e a
sangue caldo, uno struzzo sarà escluso dalla
categoria degli uccelli
…
I problemi della teoria classica trovano un riscontro e
una risposta nella Teoria del prototipo.
2. Rosch: la teoria del prototipo
Esperimenti su giudizi di categorizzazione evidenziano come i
parlanti non considerino i membri di una categoria come
equivalenti (= egualmente rappresentativi della categoria).
Al contrario, alcuni membri sono considerati più
rappresentativi di altri.
Sembra seguirne (almeno) che:
•
L’appartenenza a una categoria non è una questione
tutto/niente. Un membro appartiene più o meno
chiaramente alla categoria a seconda di quanto somiglia a
un membro esemplare, detto prototipo.
•
Le frontiere intercategoriali sono sfumate: ci sono oggetti
che è difficile collocare in una categoria piuttosto che in
un’altra.
2. Rosch: la teoria del prototipo
I prototipi sono membri tipici o rappresentazioni
mentali di membri tipici?
Il prototipo è “il caso più chiaro di appartenza alla
categoria, definito operativamente dal giudizio
delle persone sulla ‘bontà’ di appartenenza alla
categoria.” (Rosch 1978)
Tuttavia il giudizio di categorizzazione deve
(presumibilmente) essere basato su una
rappresentazione mentale  interpretazione
psicologica dei prototipi.
Come è fatta questa rappresentazione?
2. Rosch: la teoria del prototipo
Prototipi come rappresentazioni mentali:
vanno pensati più come assemblaggi di tratti tipici o
come immagini di un membro esemplare?
Nel primo caso il prototipo potrebbe anche essere
un’entità astratta, che non corrisponde
esattamente a nessun caso reale.
Rosch: l’organizzazione verticale
FRUTTO
ANIMALE
VEICOLO
MELA
CANE
AUTOMOBILE
RENETTA
BOXER
SUV
(superordinata /base/subordinata)
La categoria base è quella più saliente da un punto di vista
linguistico, cognitivo e culturale.
Gli effetti prototipici si riscontrano sia a livello superordinato sia
al livello base, ma è al livello base che trovano la loro
applicazione più chiara.
Rosch: l’organizzazione verticale
Sulla base di esperimenti di vario genere è emerso come la
categoria base sia quella fondamentale sotto quattro aspetti:
Percettivo (membri esperiti come forme – Gestalt -- comuni)
Funzionale (interazione con i membri)
Linguistico-comunicativo (uso più frequente)
Informativo (ottimizzazione del rapporto
generalità/informatività)
Le esemplificazioni della categoria-base (i casi prototipici) sono «le
prime a essere apprese dai bambini, sono quelle categorizzate
e riconosciute più velocemente, vengono menzionate per
prime nell’enumerare i membri appartenenti a una categoria»
(Violi 1997, 173)
Rosch: l’organizzazione verticale
Il livello base è più informativo nel senso che è a questo livello
che la maggior parte della conoscenza è immagazzinata.
-
Concetto di cue validity : la probabilità che un certo oggetto
appartenga a una categoria se possiede una certa proprietà
o indizio (cue). Es. se X ha le ali c’è un’alta probabilità che
sia un uccello.
Def. Cue validity di una categoria = la somma delle cue validities
per ciascun indizio.
Le categorie base sono quelle con cue validity più alta  al
livello base le differenze intracategoriali sono modeste,
mentre quelle intercategoriali sono molto grandi.
2. La “teoria standard” del prototipo
(i) Le categorie hanno una struttura interna prototipica,
(sono cioè costituite da un esemplare tipico - il prototipo - e da una
serie di membri che sono più o meno somiglianti all’esemplare tipico).
(ii) Il grado di rappresentatività di un esemplare corrisponde al suo
grado di appartenenza alla categoria.
(iii) Le frontiere intercategoriali sono sfumate.
(iv) Non esiste una collezione di proprietà comuni a tutti i membri di
una categoria; questi sono raggruppati, tenuti insieme, da somiglianze
di famiglia.
(v) La determinazione dell’appartenza a una categoria si effettua in
base a un giudizio sul grado di similarità col prototipo.
(vi) Tale giudizio non opera attraverso un esame analitico di tratti, ma
tramite un confronto di carattere olistico, globale.
La “teoria standard” del prototipo: obiezioni
- Nelle categorie zoologiche (non rigorosamente scientifiche), i
membri più lontani dal prototipo non sono “meno appartenenti”
alla categoria.
- Sono stati riscontrati effetti prototipici anche per categorie che
funzionano in modo classico.
- Non esiste alcuna prova solida del fatto che i prototipi siano
memorizzati come immagini piuttosto che come descrizioni
strutturali.
- Confusione tra ruolo epistemico e ruolo metafisico dei
concetti? (La teoria classica delle categorie non è messa in crisi
dalla teoria del prototipo in quanto tale, perché esse
concernono due problemi diversi, Rey 1983).
La “teoria estesa” del prototipo
Ridimensionamento considerevole:
(a) Ci sono effetti prototipici ma ciò non implica che le categorie
abbiano una vera e propria struttura prototipica. In particolare,
non è vero che i giudizi di categorizzazione vengano
sistematicamente fatti sulla base di un confronto con il
prototipo.
(b) Le categorie hanno sempre una struttura a somiglianze di
famiglia.
Anche il concetto di prototipo ha una struttura…prototipica!
La teoria del prototipo si è trasformata in un vincolo incorporato
da altre teorie psicologiche («teoria della teoria», «teoria degli
esemplari»).

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